mercoledì 23 novembre 2011

Napolitano. Anatomia di un golpe


Giorgio Napolitano. Anatomia di un golpe…
di Umberto Bianchi - 22/11/2011

Fonte: mirorenzaglia


Strano paese, l’Italia. Si urla, si grida, ci si strappa le vesti nel nome dei santi valori della democrazia. Qualunque uscita poco conforme all’asfissiante dogma democratico in salsa buonista, subisce immediatamente il rito di un pubblico processo, (che il più delle volte assume l’alea del linciaggio) a cui fa quasi sempre seguito un’inesorabile condanna o, nei casi meno gravi, un’impietosa “damnatio memoriae”. Niente pietà e niente sconti, sembrano esservi per coloro che solo osano mettere in discussione i santi principi della democrazia, sia pur sotto le mentite spoglie di un’ideologia rivoluzionaria, di sinistra o di destra che dir si voglia.
Stavolta però, sembra che le cose abbiano invece passato il segno, senza alcuna consistente reazione al riguardo. Mettete il caso di un paese nel bel mezzo di una crisi economico-finanziaria internazionale. Mettete un governo il cui leader è sulla scena da più o meno un quindicennio, promettendo a destra e a manca riforme strutturali di peso, a cui però fan seguito solo dei modesti ed insufficienti palliativi. Mettete un’opposizione che peggiore non si può; burocratica, conservatrice e veramente priva di idee innovatrici ed il cui unico vezzo sia appunto quello di vivere sul dileggio dell’altra parte fine a se stesso, senza però aver nulla da proporre.
Mettete “O’ Presidente”, che d’improvviso ti fa senatore a vita uno dei più ragguardevoli rappresentanti della razza dei “burosauri” di Bruxelles, arrivando addirittura a farlo nominare Presidente del Consiglio, senza che questi si sia mai presentato al giudizio del popolo. Mettete tutti questi elementi assieme e ditemi in quale razza di strana democrazia viviamo. Quanto abbiamo visto in questi giorni rappresenta un fatto di inaudita gravità. Non è la crisi di governo in sé, accompagnata dall’altalenarsi di nomine, poltrone o cadreghe varie a doverci impensierire più di tanto.
L’Italia ci ha abituato in sessant’anni e passa di democrazia, a questo ed altro. Il problema vero sta nel “come” ed in quale contesto i fatti si sono svolti. Partiamo dal secondo punto. Mai come in questi ultimi anni in Italia il dibattito si sia incentrato sul problema della governabilità. Ovverosia la capacità di coniugare l’idea di un esecutivo forte, svincolato dai lacciuoli di un dettato costituzionale sin troppo ingabbiato in regole e vincoli di natura burocratica, con l’esigenza di una maggior partecipazione della gente ai processi decisionali della vita del proprio paese.
Si fa tanto parlare di istituti come il bilancio partecipato o di quale valenza possa avere l’istituto referendario, senza voler parlare della sempre più frequente nascita di gruppi politici spontanei, frutto della progressiva tendenza da parte di interi settori dell’opinione pubblica a gestire più direttamente la propria realtà, nazionale o regionale, senza dover passare attraverso la mediazione dei poteri costituiti. E’ il caso del mondo dell’associazionismo, che abbraccia uno spettro che va da quello della tutela dei consumatori a quello dell’ecosistema.
Senza voler parlare dei partiti territoriali come la Lega o dei movimenti come i grillini o i No Tav o dei vari comitati spontanei che, qua e là, sempre più prendono a costituirsi in base a temi politico economici o sociali d’interesse generale. Un quadro che, sin dagli inizi degli anni ’90, ha visto nell’istituto referendario lo strumento principe per arrivare all’elezione diretta del capo dell’esecutivo e della squadra di governo. Orbene, sulla scia di queste così sentite istanze, cosa ti combina la nostra classe politica? Ti prende e ti nomina a capo del governo uno che dal popolo non è stato eletto, assieme ad una squadra di altrettanti non eletti, sotto la regia del Presidente Napolitano e l’auspicio di una classe politica, stavolta stranamente unita a destra come a sinistra nell’appoggio a questa ulteriore schifezza all’italiana.
La cosa gravissima è che, la classe politica nazionale per intero (eccezion fatta per la Lega e qualche altro sporadico soggetto antagonista) ha avallato il tutto, demandando ad altri l’ora delle scelte più difficili ed impegnative, dimostrando in tal modo una disgustosa pavidità, accompagnata da una cieca ed incondizionata obbedienza ai diktat UE e mondialisti, di cui costoro subiscono ricatti, pressioni, minacce, lazzi ed insulti, senza colpo ferire. Senza contare che l’aria compassata ed educata del neo premier Monti non prepara niente di buono per la gente. Tagli, privatizzazioni forsennate, tasse a iosa e tante altre sgradite sorpresine, covano sinistre nel cilindro del premier-professore.
Ma c’è qualcosa che dovrebbe ancor più preoccuparci. Pierferdinando Casini, il “responsabile”, colui che quando parla sembra un capo scout, piuttosto che un navigato politico, si è fatto sfuggire un preoccupante “nulla sarà come prima”.Papademos in Grecia, Draghi alla BCE, Monti in Italia, non sono coincidenze. Né lo sono le voci di un imminente attacco israeliano all’Iraq, al pari del graduale smantellamento dei tradizionali equilibri interni al mondo arabo. Né lo sono i concentrici attacchi speculativi alle finanze della vecchia Europa. Senza accorgercene, siamo entrati in una nuova e più incisiva fase di quel processo epocale chiamato Globalizzazione.
Gradualmente, iniziando dai paesi considerati più a rischio, si vanno sostituendo le classi politiche con i rappresentanti del mondo finanziario, il cui compito è ora di mettere interi paesi sotto tutela. Stranamente, il “progressista” PD vorrebbe dare l’avallo ad un governo Monti senza restrizioni o limiti di tempo. Lo stesso neo premier, ha più volte esternato il desiderio di voler rimanere in sella sino al 2013, almeno. Alla faccia dunque dei famosi due mesi di durata…
Un’Italia sotto tutela, un’Europa sotto tutela, un mondo sotto tutela.              Il progetto di un governo mondiale della finanza si sta oggi realizzando, preparando un futuro di oppressione e miseria generalizzate, su scala globale. Il sistema capitalista in crisi tira fuori gli artigli, cercando di chiudere più rapidamente possibile le proprie reti sui popoli di tutto il mondo, per garantire la propria sopravvivenza in un mondo malato di degrado politico, economico ed ambientale.
La congiura mondialista, iniziata secoli fa, tra i mercanti ed i banchieri calvinisti e protestanti, esportata nelle sterminate lande del Nuovo Mondo dalla peste massonica e dai suoi strumenti politico- economici liberal-liberisti, è oggi uscita dalla fogna di Wall Street , si è fatta oggidì universale, anzi tri-laterale e sta oggi impestando con i propri miasmi di usura e corruzione il mondo intero. Quel processo di omologazione e conquista allora iniziato, sta forse oggidì volgendo alla propria fase più decisiva.
Ma la Storia è, come si sa, costellata di imprevedibilità. Non sempre la vecchia ratio cartesiana, le certezze positiviste, i calcoli di micro o macro economia azzeccano l’obiettivo. La Storia non finisce con le crisi economiche. Semmai riparte sospinta dal vento della rivolta, da quello spirito vitale, irrazionale, tanto ben decantato dai filosofi del secolo scorso e di quello precedente.
Nietzsche, Husserl, Heidegger, Stirner, Dilthey, Marinetti, Heisenberg, Deleuze e tanti altri, ci insegnano che non si può schematizzare il pensiero, rinchiudendolo nelle gabbie dorate di ideologie putrescenti, né si può fare dell’uomo un semplice oggetto di consumi, un anodino tubo digerente, impacchettandone ed assoggettandone il destino alle leggi del mercato. Europa è figlia dello spirito ellenico, di quelle sponde settentrionali del Mediterraneo, sulle quali si sviluppa l’idea di un governo forte di uomini liberi che nella democrazia greca e nella res publica romana, conoscerà la sua più perfetta realizzazione, all’opposto di quelle città-stato di mercanti di stirpe semitica che, situate sulle sponde orientali del Mare Nostrum, conosceranno solo dispotismi, schiavitù e sottomissione alle leggi dei più forti di turno.
Appartenenza comunitaria e partecipazione, rappresentano la giusta miscela per intraprendere una battaglia epocale di cui si intravede ora l’inizio e che, nella democrazia diretta trova il proprio strumento-principe. Pertanto ora è necessario far ripartire una battaglia dal basso, mobilitandosi per rimandare immediatamente a casa il governo degli oligarchi, dei “nominati” dai poteri forti dell’economia. Indire un referendum per dire NO alle ricette della BCE.
Richiedere elezioni subito e far assumere loro il significato di un vero e proprio plebiscito contro un sistema di partiti che, al momento della bisogna, hanno codardamente demandato ad altri la responsabilità di decisioni forti. E farla definitivamente finita con destre, sinistre e centri, addivenendo alla creazione di un fronte comune che voglia e sappia coniugare le istanze di partecipazione democratica delle masse alle più vitali decisioni politiche, con la irrinunciabile necessità di esecutivi caratterizzati da incisività ed efficienza nella propria azione politica.

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