martedì 8 maggio 2012

Hollande e l'elezione precoce

Al Grande Oriente di Francia, Tempio Arthur Groussier, Parigi, 22 novembre 2011, si tenevano, probabilmente per il grande pubblico, i seguenti discorsi - giusto per rifarsi una verginità o per uscire allo scoperto - con il neo eletto presidente della Repubblica francese, François Hollande - letteralmente Franco-Olanda - che già sapeva che sarebbe stato eletto. Il corsivo e le parentesi quadre sono della traduttrice, N. Forcheri, e vogliono sottolineare le parole inusitate, parole o espressioni chiave e/o gravide di doppi sensi. 

"Grazie per le risposte che questa assemblea ha seguito con molta attenzione, e che è riuscito a fare in orario, me ne congratulo, La invito a dare le Sue impressioni su questa serata dei grandi scambi e a concludere gli interventi.” F. Hollande: “Vorrei innanzitutto ringraziare per le interpellanze e le interrogazioni che mi hanno portato a precisare, per quanto possibile, la concezione che ho della carica che rivendico ["che pretendo"], e delle sfide che dovremo raccogliere. Se voglio dare una conclusione è che una campagna presidenziale non è solo una competizione tra persone. Ci sarà molto di questo, uno dirà che essendo presidente ha ricevuto la formazione opportuna, dell'altro diranno che non è stato neanche ministro come se quando si considera la composizione dei governi degli ultimi dieci anni, per non essere ingeneroso, non mi dicessi che la mia condizione è più elevata, ma è da dimostrate. Certamente sarà una gara personale per vedere chi è capace, per vedere chi è più sincero e chi convince di più per trascinare il paese, ma l'elezione presidenziale è soprattutto una questione di società, una posta in gioco collettiva, di cui il paese deve appropriarsi. Non è una giostra/contesa [joute, termine di cavalleria, si noti la negazione: in realtà sta dicendo che è esattamente questo, una joute tra 'cavalieri'?], ci sono elementi di divario che dobbiamo riconoscere, ci saranno delle scelte che impegneranno la nazione nella durata, ci saranno sicuramente delle conseguenze molto importanti per la scuola, i nostri valori, la previdenza sociale, e se non citiamo la portata ["l'altezza"] delle poste in gioco, allora cadremo nella mediocrità dei dibattiti, nella facilità, nella menzogna, nel riduzionismo del grande oggetto [strano l'uso del singolare: di quale argomento/soggetto parla?] a interessi mediocri. Quindi è una questione collettiva e vincerò solo se ci sarà un movimento collettivo, peraltro le grandi vittorie della sinistra – se si considera quella del 1981-1982 oppure quella del 1997 in altro contesto - le grandi vittorie della sinistra sono sempre state precedute da movimenti, ci vuole del movimento [si noti il gioco di parola sull'ambiguità di 'un movimento' e 'movimento' nel senso di agitazione]. Se la società è inerte, la sinistra francamente non potrà essere dinamica essa stessa.

 Seconda conclusione: un'elezione è una divaricazione, c'è una scelta, e quindi una separazione temporanea del paese e ciononostante il ruolo del presidente della Repubblica così come lo concepisco è di riunire, unificare, riconciliare, pacificare, persino in un momento particolarmente aspro e difficile, il suo ruolo sarà di elevare il paese, di rispettarlo, ho fatto quindi questa distinzione tra la modalità di esercizio della carica presidenziale e quello che rivendico per il paese. Non vuol dire non fare scelte, mi diranno che se voglio riunire, vuol dire che vorrò sempre scendere a compromessi, trovare sempre un equilibrio, e invece no!, bisognerà fare delle scelte e permettere nel contempo che tutti siano rispettati, elevati, onorati. Questa è la mia concezione dell'elezione del presidente della Repubblica, che non è qualcuno che separa, stigmatizza e divide, ma dev'essere qualcuno in cui tutti si riconoscono anche se non lo hanno votato.

 Terzo elemento conclusivo: ho messo i giovani al centro del mio impegno perché considero la trasmissione generazionale l'elemento più decisivo, ragion per cui ho tanto insistito questa sera sulla scuola della Repubblica. Non è solo una questione di mezzi e di organico, ma è ciò che unisce il paese, che può ridargli fiducia, il che non significa che tutto dipenda dalla scuola – sono state fatte ricadere sulla scuola a volte responsabilità che non le appartengono - ma dipende anche dalla scuola. Vorrei che la generazione che sta arrivando, chi ha meno di vent'anni, vivesse meglio. Nel 1981 [il motto, per chi?] era cambiare vita. Se cambiassimo la vita dei meno di 20 anni, se alla fine del mio mandato quinquennale, quindi nel 2017, se vengo scelto dai francesi, se osservassi che la generazione nuova vivrà meglio che nel 2012 allora sarò consapevole di avere avuto successo, se ci provate con il presidente uscente [sa già che Sarkozy non verrà rieletto???] non sono sicuro che l'esercizio arriverà in porto [figura retorica tratta dalla navigazione tirata per i capelli in questo contesto]. Ma ciò che conta per me non è tanto di essere alla guida di una nave – metafora di navigazione di cui diffido [come mai questo insistere sull'immagine retorica della navigazione, negandole importanza, con risolini in sala?] – ma di poter accompagnare una generazione verso il progresso [parola chiave: di quale progresso parla?], di cui vi ho già parlato, se la Repubblica non porta il progresso, la Repubblica sarà minacciata e io sono repubblicano. E un repubblicano deve portare il progresso".

 Gran Maestro: "F. Hollande, La ringrazio della Sua partecipazione. Spetta a me, per tradizione, in qualità di presidente dell'associazione e Gran Maestro di ringraziarLa, ma queste riunioni possono avvenire solo grazie alle nostre Logge, devo dirlo, e sono grato ai fratelli che si sono impegnati, dico 'fratelli' perché all'Oriente vedo poche sorelle, argomento di cui potremmo parlare, ma i fratelli che si sono impegnati qua lo hanno fatto senza riserve e con un talento che ha forse affinato il Suo, che già conoscevamo. Lei si è espresso innanzitutto in un'assemblea che, è vero, a parte il contesto che la circonda e che può sembrare esotico per chi non lo conosce, è un'assemblea di uomini e di donne che si ritrovano in una cultura determinata, una cultura molto particolare, fatta di temi e di concetti – che riconoscerete - che sono quelli della riconoscenza. Sapete che esiste nei nostri rituali, o non lo sapete, un termine, la 'riconoscenza', diciamo che ci riconosciamo in quanto tali, il tema del riconoscere l'altro, che è uno dei fondamenti del nostro impegno, è importantissimo. Perché se Lei ha parlato di tutte quelle difficoltà attuali, in particolare nelle periferie e della gioventù, che ci stanno a cuore, è perché tutta una serie di fasce della popolazione non sono riconosciute in quanto tali, sono viste con pregiudizi, sono discriminate e si descrivono e si ingessano in caricature in cui non si riconoscono. I giovani sono adulti in divenire e noi tentiamo di dire che sono gli attori della società attuale, i giovani sono hic et nunc in vita [strana espressione, in vita, "en vie" che si può capire anche come 'envie', voglia], con la necessità per noi, di riconoscerne la partecipazione nella società, la prima cosa per evitare le sbavature.

 La seconda cosa è che noi abbiamo un desiderio profondo di affermare la nostra identità sociale. Il tema dell'identità sociale che è nella ricerca delle rivolte al di là del Mediterraneo [ruolo della massoneria nelle primavere arabe] è anche la ricerca di una legittimità che si ritrova nella Repubblica, o che dovrebbe essere della Repubblica ma che spesso è negata attualmente. Il cittadino, Lei lo ha detto e qua lo ribadiamo, sparisce di fronte a degli imperativi, ed è una delle problematiche della laicità. Perché è vero che è stato detto che ci sono delle clericature [parola poco usata derivante da clero, nella forma ricorda 'caricatura', nel merito significa sia lo stato o la condizione di chi deve entrare negli ordini, sia una congrega di esperti], alcune delle quali più legittime di altre e che alcune spiritualità lo erano più di altre, non dimentichiamo che Jean Jaurès nel 1985 diceva già che il massimo bene è la libertà sovrana dello spirito, che non si misura con il metro delle religioni e quando si dice che il maestro (fondatore) [instituteur, gioco di parola tra maestro e fondatore di istituzione] ha meno legittimità del religioso nella società, ci possiamo porre delle domande, e altre domande ancora sorgono di cui non abbiamo parlato ad esempio quella di altre clericature, come quella dei soldi: si pensi a uomini come Monti in Italia o a Papademos in Grecia, o alla BCE, uomini provenienti dalla Goldman Sachs, che sono stati per tanto tempo dipendenti di una banca che è stata all'origine della nostra crisi, ci possiamo legittimamente porre una serie di domande su queste clericature che fanno dei soldi una mistica.

Non ne abbiamo abbastanza parlato qua, ma riportare il denaro al ruolo di strumento e non di fine, noi ci teniamo e ciò ci obbliga a volte a tirar fuori dei discorsi definiti utopisti [doppio senso: si può capire anche "ci obbliga a uscire dai discorsi utopisti"], semplicemente perché ci troviamo nell'obbligo di sistemi che ci vincolano e dove la libertà di cui ha parlato è l'ultima cosa." Infine il sentimento di debito sociale, di cui ha parlato e a cui teniamo. Al GOF e in genere nella massoneria abbiamo l'impressione di avere un debito sociale nella misura in cui abbiamo una conoscenza acquisita nelle nostre Logge e quindi un potere, perché si ritorna alla Sua conclusione, quella del potere. Noi abbiamo un certo potere e abbiamo anche la sensazione che è morale dirlo ed esercitarlo e riconosciamo chi si impegna con la volontà di riabilitare anche la politica. Ecco gli elementi che hanno arricchito il dibattito. Lei non ci aveva dato tutte le chiavi, noi volevamo vederla in una formula semplice [parola strana, formula] perché è con le spalle al muro che si riconosce il massone.

 8 maggio 2012