martedì 30 luglio 2013

La crisi banco-diretta: una guerra al massacro

Autodeterminazione dei popoli e indipendenza di classe per la prospettiva del Socialismo nel XXI secolo*

LAB e Fondazione Ipar Hegor (Paesi Baschi) intervistano Rita Martufi e Luciano Vasapollo

Come definirebbe l'imperialismo del XXI secolo? Come si è evoluto?

 Luciano Vasapollo (L.V.): La questione inerente l'imperialismo è complessa e relazionata al metodo di produzione capitalista. Il XXI secolo è caratterizzato da una forte competizione globale inter-imperialista nella quale gioca un ruolo centrale quello degli USA, ma va rafforzandosi anche l'imperialismo europeo che oggi come oggi, per noi, ha un forte impatto economico, commerciale e sociale. Secondo la nostra analisi, la costruzione della moneta unica europea, ha coinciso con la costruzione di un polo imperialista concorrenziale a livello globale dal punto di vista economico, commerciale e monetario all'interno del quale, l'euro, rappresenta la moneta forte dell’area valutaria europea che coincide con la forza economica e finanziaria tedesca.

Attualmente la Germania sta imponendo a tutta l'Europa, e non solo, il suo modello d'esportazione e l'euro può essere considerato come un super marco, proprio come l'Unione Europea può considerarsi una super Germania.

Una forma di imperialismo e neo colonialismo perciò nati dall'interno, che hanno canalizzato verso la disindustrializzazione i Paesi dell'area mediterranea denominati PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), obbligandoli a divenire Paesi importatori colpiti in seguito da debiti interni, esterni, pubblici e privati. 
Tutto ciò avviene per permettere alla Germania di poter esportare, poter poi comprare i debiti di questi Paesi ed organizzare una scalata concorrenziale tra le grandi imprese e a livello globale, con l'area orientale (Giappone) e gli USA.

Per mantenere questo livello di competizione globale e rafforzarsi, l’”armata tedesca” ha bisogno di tenere tutto il resto dell'Europa sotto una sorta di neocolonialismo. Ciò spiega il massacro sociale che sta portando a termine la Troika.


Con l'intento di ottenere sempre più potere non hanno esitato ad utilizzare tutte le armi che avevano a disposizione. Le guerre, ad esempio, sono state e vengono tutt'oggi utilizzate per saccheggiare le ricchezze di altri Paesi. Ci troviamo di fronte ad un pericolo reale?

Rita Martufi (R.M.): Possiamo affermare che la crisi economica del '29 terminò con una Guerra Mondiale. Il sistema capitalista utilizza tutti i metodi a sua disposizione per risolvere le crisi. Penso che questa sia una crisi di sistema, è la crisi del modello capitalista e non hanno ancora trovato il modo per risolverla.

Dobbiamo dire che, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino ad oggi, ci sono state molte guerre in tutto il mondo.

Non è necessario arrivare ad una guerra mondiale per affermare che ci troviamo in una situazione di conflitto permanente, basti vedere tutti gli attacchi messi in atto dall'imperialismo statunitense.

Anche l'imperialismo europeo sta attaccando i Paesi che non si sottomettono alle sue regole. Vi sono le guerre con la Libia, l'Afganistan, l'Irak, la Siria..., classificate come “missioni di pace”.

Anche l'Italia è uno dei Paesi che da sempre si trova al primo posto quando si tratta di partecipare ad una guerra di controllo ed espansione. Il nuovo Governo italiano, ad esempio, sostiene che occorre ancora essere presenti in tutte le “missioni di pace” che, come ho affermato poco fa, non sono altro che guerre di dominio ed espansione camuffate.

La Costituzione italiana pone il nostro Paese decisamente contro la guerra, eccetto in casi in cui occorre difendersi, mentre queste di cui parliamo attualmente sono guerre contro i popoli e contro la loro autodeterminazione. Si dice che in America Latina vi siano dittature, ma in realtà tale menzogna dipende dai punti di vista occidentalcentrici e dalle regole di dominio imperialista che negano e soffocano i processi di autodeterminazione che mettono al centro gli interessi di classe dei lavoratori.

L. V. : Ogni volta che vi è una crisi profonda, il capitale ne esce attraverso una guerra. Quando finì l'imperialismo inglese tutto venne risolto con la Prima Guerra Mondiale. La crisi del '29 non si risolse con il keynesismo o con il fordismo, ma con la Seconda Guerra Mondiale dalla quale nacque un nuovo impero, gli USA, che a partire da quel momento, determinarono tutta la politica economica commerciale e militare mondiale.

Anche la Seconda Guerra Mondiale ha costituito un elemento di rivalsa fondamentale per la successiva evoluzione della competizione globale fra poli imperialisti e quindi per determinare la nascita dell'UE.

Quando si parla di guerra non si parla solo di conflitto militare. Oggi la guerra militare esiste anche se non a livello mondiale. Il periodo compreso, tra la seconda Guerra Mondiale ed i tempi attuali, è stato caratterizzato dai maggiori conflitti armati locali.

Cos’è questa crisi che massacra giovani, immigrati, precari del mondo del lavoro?Guerra sociale ed economica. Il sistema attuale si sostiene e si rafforza solo esclusivamente attraverso la guerra economica, finanziaria, sociale e politico- militare.


Si può affermare che la nostra società del benessere si basi sulla povertà di altri Paesi?


R. M.: Si. La ricchezza è racchiusa nelle mani di pochi proprio perché molta altra gente vive in miseria. Non posseggono i beni di prima necessità, la casa, il lavoro, la sanità, anche nel mondo a capitalismo maturo si sopravvive nella precarietà del lavoro, senza Welfare, previdenza sociale né norme per la sicurezza sul lavoro. I giovani, ad esempio, non hanno futuro, questa sarà la prima generazione che vivrà peggio dei propri genitori.

Io sto meglio, ad esempio, rispetto a come vivevano mio padre e mia madre ma le mie figlie, nonostante abbiano terminato i loro studi, non hanno un lavoro fisso.

L. V.: Ciò è vero ma non solo in periodi di crisi bensì anche nei periodi di espansione e crescita del sistema. Il capitalismo è caratterizzato da un forte consumismo e la crisi si caratterizza per la sovraccumulazione e sovrapproduzione.

I miei studenti mi domandano perché si parla di crisi di sovrapproduzione quando vi sono 4 miliardi di persone che soffrono la fame, miliardi di persone che non posseggono infrastrutture né ospedali.

Può esistere una parte ricca solo per il fatto che questo sistema provoca morte e povertà per i quattro quinti dell’umanità.

Questo è il vero volto del colonialismo. Per vivere “bene”, una parte del mondo, ha bisogno di un tasso di povertà incredibile e, ciò che avviene, è una sovrapproduzione funzionale alla valorizzazione del capitale nella trasformazione delle necessità sociali in merce.

La FAO (organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) afferma che la produzione alimentare, durante il 2012, sarebbe stata in grado di nutrire 12-13 miliardi di persone. Se siamo in tutto 7 miliardi e 4 miliardi soffrono la fame, e altri 2 miliardi circa sono nell’area della povertà relativa, significa che vi è una tecnologia, una potenzialità in grado di alimentare 12-13 miliardi di persone ma, che in realtà, la produzione viene destinata solo a 1,2 miliardi di “fortunati” e cioè coloro in grado di acquistarla. Questo è il capitalismo.

I compagni dell'America Latina propongono un nuovo modello di sviluppo che si basa non sul profitto ma sulla complementarietà e solidarietà, in quanto davanti a tale barbarie della società del profitto ciò di cui oggi abbiamo bisogno è il socialismo.

Oggi come oggi non vi è altra possibilità, in quanto la parte del mondo che si considerava ricca e che ha risolto in passato i suoi problemi attraverso la povertà altrui, ora per la maggior parte non lo è più.

Anche nell'UE e negli USA aumenta ogni giorno il numero di chi soffre la povertà, vi sono nuovi poveri, gli esclusi, i disperati. Il gruppo dei ricchi che vivono grazie alla povertà infinita altrui si sta riducendo.

In questo momento in cui le grandi imprese accumulano alte rendite e profitti, mentre la popolazione s'impoverisce sempre di più, possiamo concludere che la crisi lungo questo percorso non è altro che un ulteriore meccanismo di impoverimento globale.

R. M. : Il problema è che questa crisi coinvolge solo in parte le aziende e le banche. Infatti ciò che viene fatto dal sistema capitalista come prima cosa è aiutare le banche e le multinazionali e non i poveri, i lavoratori...

L. V. : Ormai va interpretato questo sistema in termini di concentrazione di ricchezza e potere, questo è il vero processo storico-economico che sta rafforzandosi.

Il potere si sta concentrando sempre più nelle mani di alcune multinazionali connesse fortemente ai centri finanziari. Qualcuno afferma che vi è un capitalismo negativo, “cattivo”, che sarebbe quello finanziario e, dall'altra parte un capitalismo produttivo, un capitalismo “buono”.

Questa è una follia in quanto la parte finanziaria, la banca, la funzione monetaria, l'intero sistema della rendita finanziaria sono parte integrante della stessa società del capitale.

Le escalation finanziarie non creano ricchezza sociale, ma bolle speculative che tendono ad esplodere. Non possono essere le rendite e le speculazioni finanziarie la soluzione al problema della crisi sistemica.

 
Come definireste la crisi attuale?

R. M. : Noi sosteniamo che questa crisi sia sistemica in quanto crisi del modo di produzione del capitale, del capitalismo.

Non si può cercare una soluzione cambiando perciò alcuni effetti delle politiche economiche, il problema è che lo stesso sistema sta crollando. La soluzione alla crisi del '29 fu la Seconda Guerra Mondiale, questa volta non sappiano quale meccanismo e processo di accumulazione tenteranno o se la troveranno.

Non credo che domani stesso usciremo da questo sistema, ma credo che sia difficile per i capitalisti in questi momenti trovare una soluzione in grado di risolvere i problemi senza che la situazione peggiori per la classe operaia.

L. V.
 : Quando Rita parla di crisi sistemica ciò vuol dire che ingloba la modalità di produzione del sistema capitalista. Oggi, a differenza del 1929, il capitalismo non possiede un nuovo sistema di accumulazione per uscire dalla crisi.

Nel 1929 ciò si fece attraverso il fordismo di massa, con l'utilizzo generalizzato del petrolio, promuovendo una forte domanda pubblica e, non necessariamente, una domanda sociale in quanto il keynesismo era caratterizzato dalla domanda pubblica in senso generale.

La crisi del '29 si risolse con un nuovo modello di accumulazione anche definito fordista-keynesiano, di cui parte importante ha ricoperto l’economia di guerra.

Oggi invece il capitale non possiede nuovi modelli di investimento per l’accumulazione. Ciò vuol dire che la crisi di sovrapproduzione sta anche diminuendo la domanda di investimento globale come anche il tasso di profitto. Identifichiamo la crisi con la caduta del tasso del profitto, il profitto globale aumenta ma diminuisce invece il suo saggio medio. Significa che per mantenere stabile il profitto totale questo modo di produzione ha bisogno di un’entità d'investimenti sempre maggiori, ciò vuol dire un livello di sfruttamento e tagli sul costo del lavoro sempre maggiori.

Per tale motivo non pensiamo che il capitale abbia la capacità di uscirne in termini economici. Questo tipo di capitalismo non può riformarsi.

Domani finirà il capitalismo? No.

Tutto dipende, come dice Marx, dalle dinamiche della lotta di classe. Le relazioni di forza del movimento operaio internazionale nei confronti del capitale sono decisamente negative. Occorre dare impulso politico alla lotta di classe per invertire i rapporti di forza.

La soluzione non è un nuovo keynesismo, non sta nel proporre un capitalismo soft, riformato. La soluzione deve essere connessa alla costruzione di un nuovo soggetto rivoluzionario uguale a quella che fu la borghesia durante la rivoluzione francese.

Occorre creare rapporti di forza favorevoli per provocare un cambiamento strategico e oltrepassare il sistema produttivo capitalista. Bisogna pensare partendo da nuove prospettive; se ci vorranno 5 o 5000 anni, non è possibile saperlo in quanto dipende dalla relazione di forza nella lotta di classe. L'unica soluzione è proporre percorsi tattici di lotte per la prospettiva della presa del potere, cioè a partire sempre dalla costruzione della prospettiva strategica socialista. Questa è la soluzione politica.


Quali sono le principali caratteristiche di questa crisi? Esistono differenze tra uno Stato ed un altro?


L. V. : Esistono dei blocchi (aree monetarie, aree commerciali) che si confrontano in una competizione globale. Perché?

Perché quando il tasso di profitto diminuisce la concorrenza aumenta. È normale, considerando che il mondo unilaterale degli USA è ormai scomparso.

Oggi c'è l'UE a costituire l'altro blocco imperialista, all'interno della quale, il punto forte e dominante è la Germania; ma vi sono anche altri Paesi che chiedono il loro spazio nel mondo come ad esempio i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Non dico che siano Paesi socialisti ma, possiamo dire, che all'interno del posizionamento della competizione cercano il loro spazio economico, commerciale e politico.

Poi vi è l'ALBA che sta realizzando, in maniera diversa da paese a paese, una fase di transizione verso il socialismo e che possiede un modello completamente diverso dal capitalismo. C’è oggi a livello internazionale una realtà diversa, profondamente diverso anche rispetto a soli dieci anni fa.


Fino a dove può arrivare questa situazione?


R. M. : La situazione è molto negativa per il mondo del lavoro e del lavoro negato, ma può continuare a peggiorare. La mia speranza è che i popoli di tutto il mondo reagiscano con dure lotte.

Ad esempio in Italia, in cui la situazione è molto negativa non vi è, nonostante ciò, una forte risposta da parte della maggior parte della popolazione.

Quella che si mobilita è solo una minima parte, quella del sindacalismo conflittuale e dei movimenti sociali antagonisti.

Credo che la situazione arriverà ad un punto di crisi sociale in cui la gente penserà che l'unica soluzione sia la lotta organizzata per combattere contro i grandi centri di potere.

L. V. :  La speranza che abbiamo è che si creino delle condizioni di conflitto reale e radicale in quanto questa crisi non è ancora terminata e può peggiorare.

Se si pensa che si uscirà da questa crisi perché il capitale ha la volontà positiva di creare buone condizioni sociali e un mondo lavorativo migliore, si è dei folli, in mala fede, ciò non è possibile.

Come sempre il futuro del mondo del lavoro è nelle mani del soggetto storico, cioè la classe operaia organizzata. Si tratta di creare condizioni d'organizzazione rivoluzionaria nel conflitto e per il socialismo.

Se cerchiamo soluzioni individuali, accadrà che ognuno cercherà solo di risolvere i suoi problemi e rimarrà intrappolato e poi stritolato nei meccanismi del sistema.

Credo che questa crisi andrà oltre alimentando una crisi sociale e, come organizzazione sindacale e forze politiche rivoluzionarie, abbiamo il dovere di creare e organizzare le condizioni di conflitto e l’uscita in termini socialisti.


Tutti i partiti che vanno al potere stanno mettendo in atto le stesse politiche. In cosa consiste l'alternativa?


L. V. : Credo che la storia non è mai lineare. Il capitalismo propone una linearità nella storia avendo assunto il sistema attuale come ultima tappa di progresso per l’umanità. In realtà non è proprio così e il ciclo storico non è uguale al ciclo biologico.

Il capitalismo fu qualcosa di rivoluzionario per l'umanità in quanto cambiò la condizione della relazioni produttive e sociali, della schiavitù del lavoro salariato, di rottura con l'epoca feudale e fu caratterizzato da miglioramenti tecnologici. Per tale motivo Marx parla di borghesia intesa come classe rivoluzionaria.

Di quanto tempo ha avuto bisogno il capitalismo per affermarsi come sistema?

Se diamo uno sguardo alla storia, il modello feudale entrò in crisi più o meno tra la fine del 1200 e l'inizio del 1300 e, per vedere il modello capitalista divenire un modo di produzione fatto sistema, ci vollero altri 500 anni. Perché? Perché ebbe bisogno di un processo di accumulazione primaria che avvenne con i viaggi di Colombo. L'Europa e la Spagna in particolar modo, avevano bisogno di oro, ferro e tutte le materie prime che possiede l'America Latina, per poter creare ricchezza primaria di base e alimentare questo sistema. Tutto ciò significò genocidio di varie civiltà. Dopodiché si ebbe bisogno di un ulteriore passaggio politico, con la Rivoluzione Francese, che mise la borghesia come classe rivoluzionaria in contrapposizione all'aristocrazia per il superamento del suo sistema politico-economico e sociale.

Il terzo passaggio infine fu quello caratterizzato dalla rivoluzione industriale inglese, il mondo delle fabbriche e del lavoro salariato. Tutto questo avvenne in 500 anni quando in realtà la necessità storica proveniva già dal 1200.

Oggi abbiamo come necessità storica, quella di attuare il socialismo, ma quanto tempo ci vorrà per realizzarlo non lo sappiamo.


In pochi anni in America Latina sono avvenuti molti cambiamenti. Costituiscono un esempio da seguire? Vi sono altri modelli nel mondo che considera interessanti?


L. V. : Penso che ogni popolo abbia il diritto all'autodeterminazione. Oggi il più importante e significativo processo rivoluzionario di transizione verso il socialismo, che noi appoggiamo fortemente e indiscutibilmente, si sta mettendo in atto nei Paesi dell'ALBA: Cuba, la grande resistenza rivoluzionaria, la rivoluzione Bolivariana, la rivoluzione del socialismo comunitario di Evo, Correa e la sua rivoluzione cittadina e Nicaragua.

E' questo un socialismo realizzato totalmente? E' un paradiso? No. Costituisce però un processo di transizione che esce dagli schemi del capitalismo attraverso forme contrarie ai modelli e alle regole del sistema del profitto e dello sfruttamento come ad esempio le imprese statali, socialiste, le cooperative, le imprese solidali, la Banca dell'ALBA, Telesur...

 
E per quanto riguarda la Cina?

L. V. : Non mi azzardo ad affermare se sia socialismo di mercato o capitalismo di Stato. Stiamo parlando di un quarto dell'umanità governato comunque da un sistema che si richiama tutt’oggi all’impostazione socialista.

Ciò che sicuro è che si tratta di un Paese che si contrappone all'imperialismo europeo e agli USA.

Vi sono poi la Palestina e il popolo basco, i quali lottano per l'autodeterminazione.

Il modello da seguire è quello secondo il quale ogni popolo lotti in funzione al proprio processo di autodeterminazione e di autonomia di classe e riesca a costruire per lo meno un punto di vista anticapitalista.

Nel nostro caso ,guardo con maggiore ammirazione la transizione socialista che sta avvenendo nel Paesi dell'ALBA perché costituisce il nostro ideale.

 
Stanno sorgendo molti dubbi riguardo il modello europeo attuale. Qual é la vostra opinione in merito?

R. M. : E' un modello ormai anche questo di capitalismo selvaggio che massacra i lavoratori e la popolazione tutta. Non rispetta l’ambiente, i bisogni reali della popolazione, i diritti umani e la salute delle persone, le possibilità stesse di emancipazione della gente comune che soffre nella precarietà del vivere quotidiano.

L'importante come sempre e per tutti i capitalismi è ottenere profitto. Tutto questo abbandono del modello renano-nipponico non è iniziato in questo momento ma, con la crisi, sta mostrando il suo lato più feroce che non riserva rispetto per i bisogni, per la vita di nessuno.

Diciamo che l'Europa costituisce un polo imperialista da tutti i punti di vista. La creazione dell'UE fu la creazione di un contro potere verso gli USA e mentre questi esercitano il loro dominio, o tentano,in primis sull'America Latina, l'Europa fa lo stesso con i Paesi dell'Europa del Est e del nord Africa.

Abbiamo la speranza che questi Paesi si ribellino e costruiscano percorsi antimperialisti e anticapitalisti come hanno già fatto i Paesi dell'ALBA.

L. V. : Alcuni anni fa si parlava di modelli capitalisti differenti. Da una parte vi era il modello inglese che costituiva quello più aggressivo e, dall'altra, il modello tedesco più moderato, più di carattere sociale, nel quale il conflitto era differente poiché ammortizzato dallo Stato sociale.

Oggi non esiste un modello più equilibrato rispetto ad un altro, il modello europeo e quello tedesco sono aggressivi quanto quello statunitense. L'Europa applica il capitalismo più aggressivo utilizzando forme di repressione dei movimenti sociali, vedi in primis ad esempio nei Paesi Baschi.

Non solo contro i movimenti antimperialisti e anticapitalisti radicali, ma i poteri forti europei combattono qualsiasi forma di conflitto, l’antagonismo organizzato non viene assolutamente ammesso.

Per tale motivo guardiamo con ammirazione politica ad un modello come quello dell'ALBA. Non diciamo che tale modello si possa esportare ma, quando parliamo di creare un ALBA mediterranea, intendiamo auspicare a condizioni favorevoli per intraprendere decisioni democratiche, partecipative e rappresentative, popolari, a partire dalla rottura e fuoriuscita dall’UE. Creare così un'area d'intercambio solidale, anticapitalista, tra i Paesi del sud dell'Europa e il nord Africa significa muoversi per la costruzione del socialismo.

Quando parliamo di rottura con la UE per l’uscita dall'euro non si tratta di ritornare alla moneta nazionale, ma si tratta di creare quelle condizioni che permettano che all'interno dell'area vi sia un nuovo soggetto di governo il mondo del lavoro.

Per questo osserviamo l'ALBA dicendo che, se all'interno dell'alleanza stanno prendendo forma diversi tipi di socialismo (quello comunitario di Evo è differente da quello dell'Ecuador che nasce dalla rivoluzione cittadina, il socialismo bolivariano è diverso da quello cubano), possiamo immaginare che si possa creare un'area di transizione socialista anche in Europa, nella quale, il processo di produzione e accumulazione venga portato avanti a favore del popolo e dei lavoratori.

Per questo la trasformazione per l’alternativa di sistema deve avvenire solo seguendo questa prospettiva.


Tornando a Euskal Herria: chi dovrebbe spingere verso la costruzione di un'alternativa? I movimenti sociali, la classe operaia...? In che modo?


R. M. : Tutti insieme, movimenti sociali, classe operaia...è necessaria unità tra tutti coloro che vengono sfruttati per riuscire a raggiungere l’indipendenza nel nostro obiettivo di classe anche nei Paesi Baschi.

L. V. : Mi permetto di addentrarmi nella questione storica inerente l'indipendenza dei Paese Baschi. Appoggiamo l'autodeterminazione come forma di lotta scelta dal popolo e considerata come la più corretta in assoluto perché voluta e costruita dal basso e in termini di classe.

Non si può comparare questa questione con i parametri italiani; noi in Italia abbiamo un problema qui ve n'é anche un altro quello legittimo dell’indipendenza e la costruzione del proprio Stato.

La lotta anticapitalista, qui è per prima cosa lotta contro l'impero spagnolo ed in seguito contro l'Europa. La questione basca è una questione nazionale del popolo, per ciò occorre cercare il modo di coinvolgere in questo processo tutte le forze possibili che appoggino in qualche maniera l'indipendenza e in seguito, spero, che abbiano una prospettiva anticapitalista e anti imperialista.

L'unione deve essere dei movimenti sociali, dei sindacati conflittuali, delle forze politiche, una unità che imponga in modo decisivo l'idea di rivoluzione in senso socialista e non solo d'indipendenza, ha tutto il nostro appoggio.


Abbiamo parlato di imperialismo del XXI secolo, come deve essere il sindacalismo del XXI secolo ?


L. V. : Il sindacalismo di classe deve agire radicalmente nella fase storica, sociale e locale, nella quale è inserito e agisce per la trasformazione. Ci troviamo in una fase diversa del capitalismo, un imperialismo differente e condizioni del mondo lavorativo diverse rispetto al passato. Oggi esiste precariato, assenza pressoché totale dello Stato sociale, c'è il problema delle migrazioni e dei giovani...

Per tali motivi occorre un sindacalismo sempre più realista, quindi combattivo, di classe conflittuale. La maggior parte dei sindacati europei collaborano con i governi, ciò non è altro che una voluta e determinata mancanza di rispetto nei confronti della volontà di trasformazione storica che il mondo operaio richiede da sempre.

La caratteristica principale deve essere l'indipendenza assoluta dal sistema di sviluppo capitalista e dai partiti politici che lo rappresentano. Un sindacalismo conflittuale, di classe, indipendente, che non accetti nessuna collaborazione con il sistema capitalista e che interpreti la volontà di un nuovo soggetto sociale, cioè quello di un nuovo blocco sociale, per le prospettive dei giovani in particolar modo, e rispetti l'autonomia di ogni soggetto della classe dei lavoratori nelle diverse determinazioni.


Euskal Herria é un Paese senza uno Stato. La costruzione di un'alternativa possibile per Euskal Herria deve necessariamente passare attraverso la costruzione di uno Stato?


R. M. : Noi possiamo decidere di appoggiare in maniera militante la costruzione di uno Stato, ma non sappiamo come possa avvenire la sua realizzazione perché rispettiamo l’autodeterminazione del popolo basco.

L. V.
 : La decisione è vostra, voi scegliete la forma più adatta alle condizioni storiche e dei rapporti di forza. Come marxista e comunista affermo che la nostra azione è fortemente caratterizzata dall'internazionalismo, il che significa, rispetto per il processo di autodeterminazione e di indipendenza di classe. Per tale ragione rispettiamo pienamente la volontà rivoluzionaria del vostro popolo.


* Il Maggio scorso Luciano Vasapollo e Rita Martufi, compagni dell’USB (Unione Sindacale di Base) e direttori del Centro Studi CESTES, hanno visitato Euskal Herria invitati da LAB e dalla fondazione Ipar Hegoa.

Durante la visita, la Fondazione Ipar Hegoa ha avuto modo di discutere con loro riguardo tematiche quali: l'imperialismo del XXI secolo, le principali caratteristiche della crisi e l'alternativa da contrapporre ad essa, i cambiamenti avvenuti in America Latina ed infine la necessità di uno Stato per Euskal Herria.

 Luciano Vasapollo e Rita Martufi hanno partecipato a diversi atti organizzati da Ipar Hegoa e a diverse riunioni con vari membri di LAB al fine di condividere gli scenari politici, economici e sociali italiani e dell' Euskal Herria.

Rita Martufi ha partecipato al colloquio inerente la sovranità alimentare e il sindacalismo di classe, tenuto a Durando.

Luciano Vasapollo invece, insieme al sociologo statunitense James Petras, è intervenuto in due conferenze analizzando la crisi del capitalismo e l'imperialismo europeo e mondiale.

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