lunedì 27 giugno 2016

Svizzera: Presa di Posizione del Ministro delle Finanze

Il ministro svizzero Maurer dichiara illegale il denaro bancario ? "La moneta scritturale creata dalle banche (svizzere) non è considerata denaro inteso quale mezzo di pagamento legale"

Svizzera. Presa di posizione del Ministro delle Finanze

martedì 21 giugno 2016

BPVI: a chi vanno i soldi creati dal nulla ?


Banca Popolare di Vicenza: l'ora della verità

Banca Popolare di Vicenza: l'ora della verità


http://www.beppegrillo.it/2016/06/banca_popolare.html

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di Jacopo Berti, portavoce M5S Veneto




Potrebbe essere arrivata l'ora della verità per la Banca popolare di Vicenza. Questa mattina sono scattate perquisizioni della Guardia di Finanza nella sede dell'istituto. «la Banca è indagata per responsabilità amministrativa per fatti penali dei suoi dirigenti perché rispetto ai reati contestati evidenziava un modello organizzativo e di controllo inadeguato o di fatto inattuato», spiegano le carte. Il riferimento è ai manager indagati della vecchia gestione: il presidente Giovanni Zonin, i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, il direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta.
Noi del M5S avevamo denunciato da tempo uno “Schema Zonin”, oggi al centro delle indagini. E' grazie alla nostra coerenza che domenica scorsa sono potuto andare a testa alta, unico politico, al funerale di Antonio Bedin, il piccolo azionista suicidato proprio a causa di questo schema, attraverso il quale la cricca di BpVI ha bruciato i suoi risparmi di una vita. Ho guardato negli occhi la gente lì presente, siamo la loro unica speranza mi hanno detto. La mia promessa è che non molleremo mai fino a che giustizia non sarà fatta.
LO SCHEMA ZONIN: COME TRUFFARE I RISPARMIATORI
Il cda e il presidente Zonin hanno usato la banca come un bancomat personale. Hanno usato i soldi di 119mila azionisti per creare una delle più grandi bolle finanziarie della storia d’Italia, distruggendo e mettendo in ginocchio uno dei territorio più ricchi d’Europa.
Ecco lo schema Zonin, un manuale su come truffare i risparmiatori in 8 mosse:
1. BpVi viene usata come un bancomat personale da parte di Zonin e dal Cda per 20 anni.
2. Quando il buco diviene insostenibile elaborano uno schema di truffare i soci, gonfiando i bilanci.
3. Vengono erogati prestiti che hanno bassissime probabilità di essere restituiti.
4. Per sostenere questa politica occorre però continuare a vendere azioni, a gente comune ed a grandi investitori.
5. Per continuare a vendere azioni occorre però tenere il valore del titolo artificialmente alto, sopravvalutandolo. In questo modo si sopravvaluta la “solidità apparente” della banca, e contemporaneamente si guadagnano molti più soldi
6. Quando la naturale richiesta di azioni finisce, non è però finito il bisogno di soldi freschi per alimentare il sistema dei prestiti “facili”. Si comincia a concedere prestiti a patto che con una parte dei soldi si acquistino azioni della stessa banca.
7. Questo sistema però genera altri prestiti rischiosi, altri crediti deteriorati.
8. Quando la sorveglianza passa alla Bce si apre il vaso di Pandora: la banca non vale più niente, i soci hanno perso il 99% del valore investito in pochi anni, perché il capitale è stato completamente mangiato dai crediti deteriorati, i famigerati “NPL”.
Si era arrivati a prestare denaro ai soci per comprare azioni Bpvi per un totale di circa 974 milioni. Deriva da qui gran parte della maxi perdita, 1,05 miliardi, dell’ultima semestrale, chiusa a giugno e pubblicata a fine agosto 2015, che ha di fatto sancito la morte dell’Istituto.
Sono i cosiddetti prestiti “baciati”, che noi del M5S denunciamo da tempo, ovvero la pratica di condizionare l'erogazione di finanziamenti all'acquisto di azioni dell'istituto. Fortunatamente il Tribunale di Venezia in datata 27 aprile 2016, venuto a conoscenza di questa pratica illegale, ha emesso un'ordinanza che vieta alla Pop Vicenza di procedere al recupero del prestito, che nel caso specifico ammontava a 9,4 milioni di euro. Quindi il prestito non è valido e l’ordinanza “inibisce a Banca Popolare di Vicenza la richiesta del pagamento dei saldi passivi”.
PRESTITI FACILI AGLI AMICI DEGLI AMICI
Ma venendo ai prestiti facili, quelli senza garanzie. A chi hanno prestato questi soldi? Ad esempio allo stesso Zonin e le aziende ad esso collegate: 48 milioni di euro!
Questo avvenne il 6 agosto 2015, quando già da due mesi a Vicenza era arrivato il nuovo consigliere delegato Francesco Iorio, il consiglio di amministrazione, secondo i dati riportati dal prospetto Consob pubblicato il 21 aprile 2016, approvò all'unanimità e con voto favorevole di tutti i sindaci effettivi finanziamenti per oltre 48 milioni di euro a società riconducibili all'allora presidente, compreso un prestito personale di 2,4 milioni di euro a Zonin. Sono tutti complici, nessuno escluso, vecchi e nuovi membri del cda.
Ma fra i nomi celebri di chi ha ricevuto denaro dalla banca abbiamo anche Alfio Marchini, l'uomo che voleva diventare sindaco di Roma e che abbiamo rimandato a casa. Marchini, così come risulta anche dalle ispezioni effettuate dalla Bce ha ottenuto alla fine del 2014 un totale di 76,2 milioni di euro; i fratelli Emanuele, Giovanni e Vito Fusillo hanno avuto 10, 3 milioni di euro; i Degennaro sono stati invece finanziati con 27,75 milioni di euro. Non male vero?
Le ispezioni della Finanza hanno evidenziato come «per tutte le operazioni di investimento in titoli di debito sarebbe stata necessaria l’approvazione del Cda», quindi le responsabilità sono palesi. Eppure ad oggi, nonostante gli annunci e i falsi pentimenti degli attuali vertici, non è stata avviata alcuna azione di responsabilità nei confronti di Zonin & co. Per fortuna la giustizia sta facendo il suo corso indipendentemente.
Come M5S abbiamo sempre puntato il dito sulla responsabilità degli organi di vigilanza Bankitalia e Consob. Quest'ultima, con colpevole ritardo, finalmente batte un colpo e chiede: “sanzioni per le supposte violazioni alla normativa europea Mifid“, quella sui profili di rischio della clientela. Che, come emerso dall’ispezione della Bce del 2015 sono stati in 58mila casi falsati, attribuendo ai risparmiatori competenze finanziarie che non possedevano. I pirati in giacca e cravatta in questo modo potevano vendere loro azioni il cui prezzo era sistematicamente sovrastimato dai vertici della banca.
La Consob agisce comunque troppo tardi. Il suo compito deve essere quello di prevenire disastri del genere. Ora almeno li ripari. Ciò che abbiamo sempre chiesto – ed oggi torna a chiederlo l'unione nazionale consumatori del Veneto - è il sequestro dei beni della dirigenza responsabile di queste violazioni (ai sensi dell’art. 321 del codice penale) e l'istituzione di un tavolo conciliativo per poter restituire quanto i risparmiatori hanno perso.
Chi ha sbagliato deve pagare, vogliamo che a questi pirati in giacca e cravatta venga tolto tutto fino a che non risarciranno le vittime, così come loro hanno tolto tutto a gente che ha avuto l'unica colpa di fidarsi di loro.

lunedì 20 giugno 2016

Ricostruire dal basso un sistema monetario internazionale

16 Giugno 2016
inchiesta

Ricostruire dal basso un sistema monetario internazionale in Europa e nel mondo

Bruno Amoroso

http://www.sinistrainrete.info/index.php?option=com_content&view=article&id=7416:bruno-amoroso-ricostruire-dal-basso-un-sistema-monetario-internazionale-in-europa-e-nel-mondo

Amoroso 2Il mio amico e collega Jesper Jespersen mi sollecita da tempo a riprendere  insieme il progetto di Keynes sulla riforma del sistema monetario internazionale, noto come Bretton Wood. Questo nella convinzione che oggi, come allora (1944), c’è bisogno di una ricostruzione del sistema economico e monetario in Europa e nel mondo, e gli strumenti e le conoscenze necessarie per farlo sono a disposizione. Si è scelta invece la strada della moneta unica e dell’euro, imponendo un processo di integrazione economica a scapito della solidarietà sociale e del co-sviluppo tra paesi, europei e no.
Questo non vale solo per il sistema monetario. Gli squilibri economici e sociali tra l’Europa e il Mediterraneo sono noti da tempo e nel Primo Rapporto sul Mediterraneo elaborato per il CNEL nel 1991 avevamo scritto con chiarezza che l’andamento demografico dei paesi euro-mediterranei e il divario economico segnalavano con chiarezza che di li a venti anni, in assenza di nuove politiche di cooperazione (le chiamammo di co-sviluppo) tra le due sponde saremmo andati incontro al disastro attuale, di una emigrazione selvaggia da quei paesi e una ripresa generale della conflittualità tra stati europei. Fummo accusati (dalla sinistra e sindacati) di allarmismo economico.
Tuttavia quelle elaborazioni contribuirono a dar vita ad alcune spinte positive con il progetto euro-mediterraneo di Barcellona (1995) (“un’area di benessere condiviso”) interrotto poi bruscamente con l’invenzione prodiana delle “politiche di vicinato” (2004), che scambiarono il welfare condiviso con la difesa comune, trasformando una strategia di cooperazione e stabilizzazione in quella di destabilizzazione e di guerra voluta dalla NATO.
Lo stesso si può dire delle politiche dell’occupazione e della coesione sociale, tutte affrontabili con misure che conciliano l’economia con la società, e che con una sana pianificazione europea che parta dal riconoscimento della sua natura policentrica, rimetterebbero il progetto europeo sui suoi giusti binari.
Tuttavia la storia insegna: a Bretton Wood si arrivò alla fine di una guerra spaventosa, e come compromesso tra le maggiori potenze “vincitrici”, con il risultato che bastò qualche anno per abbondonare il progetto di una nuova Europa (un’Europa di pace, di cooperazione e di solidarietà) e per riorganizzarsi sui vecchi binari del conflitto armato, della competizione tra stati e tra popoli, della rinascita di vecchi e nuovi poteri (militari e finanziari).
Tolta di mezzo la competizione positiva che l’Unione Sovietica rappresentava per il capitalismo, costringendolo a dare attenzione al consenso e al benessere interno dei cittadini europei, si è ripresa la strada dell’autoritarismo gettando alle ortiche le chiacchiere sulla democrazia (post-democrazia), sulla solidarietà e la cooperazione sostituite con lo stato competitivo e l’individualismo.
Quella che fino agli anni Novanta veniva utilizzata con valenza negativa – la fortezza Europa – è divenuta oggi una formula politica invocata proprio dagli “europeisti” che prima parlavano di solidarietà e cooperazione tra paesi e sistemi economici.
Tutto questo era stato previsto. In un suo noto testo sul futuro dello Stato del Benessere (1960) l’economista svedese Gunnar Myrdal indicava la strada da seguire che era quello di passare dal welfare nazionale al welfare mondiale. Così come gli stessi economisti scandinavi misero in guardia dai pericoli della Globalizzazione proponendo (1971) il controllo sui capitali mediante forme di democrazia economica gestire nell’interesse nazionale e con strategia di solidarietà internazionale.
Testi e indicazioni sui quali alcuni di noi hanno insegnato all’università per decenni con il consenso o assenso passivo dei nostri colleghi. Nonostante il clima di tensione in Europa e nel mondo si consolidò in Europa, accanto alle proposte e alla resistenza dei partiti comunisti, un nucleo dirigente socialdemocratico (Willy Brandt, Olof Palme, Anker Jørgensen, ecc.) che apertamente contrastava la politica della divisione Est-Ovest, deciso a porre fine al “muro” non con il crollo dei sistemi socialisti dell’Est ma con l’avvio di politiche di cooperazione e di coesistenza pacifica.
Poi tutto è improvvisamente cambiato. La “guerra fredda” è stata l’incubatrice del nuovo piano di dominio mondiale (la Globalizzazione) e di divisione dell’Europa mettendo al centro la rinascita della Germania come paese egemone. Si procedette all’eliminazione fisica e “giudiziaria” dei dirigenti socialdemocratici dei paesi del nord, i più ostili al “crollo del muro” a scapito della cooperazione e della coesistenza tra sistemi, ed all’eliminazione delle due anomalie dell’Occidente, i paesi scandinavi e l’Italia a sud entrambi infidi rispetto alle politiche di aggressione che si volevano attuare.
Rapidamente furono reclutate le nuove leve che dovevano diffondere il verbo del neoliberismo occupando tutti gli spazi dell’accademia e della ricerca. È iniziato il trasloco di dirigenti della sinistra europea (socialdemocratica e no) dalle idee, teorie e programmi dei sistemi di welfare, della programmazione democratica, della coesistenza pacifica e del co-sviluppo a quelle dello Stato competitivo, della esportazione dei sistemi economici e politici occidentali. Il tradimento degli intellettuali e dell’accademia è stato rapido e unanime. I libri di testo sono scomparsi dalla circolazione sostituiti dalle traduzioni di quelli di autori statunitensi o affiliati, che iniziarono a spiegare che l’economia era un’altra cosa.
Dietro questo polverone causato dalla distruzione delle vecchie idee grazie al potere mediatico dei mezzi di informazione e alla falsificazione dei dati della storia si riorganizzarono i signori della guerra. Fu così che l’occasione storica di riorganizzare il sistema mondiale dopo la scelta del campo socialista di non opporsi con la forza ai cambiamenti richiesti al loro interno, ha fatto seguito il rilancio della NATO come braccio militare diretto dagli Stati Uniti e esteso all’Europa. L’adesione alla NATO dei paesi del nord è stata la leva per reclutare i dirigenti politici di quei paesi alle politiche neoliberiste.
Il nord d’Europa è oggi divenuto l’area maggiormente critica per il rischio di una nuova guerra rivolta contro la Russia. In questi ultimi mesi si è decisa la dislocazione di migliaia di truppe statunitensi nei paesi Baltici e nell’Europa dell’Est in funzione anti russa, oggi sono in corso manovre militari dirette dagli Stati Uniti ai confini della Russia. Destabilizzato il mondo medio orientale trasformato in una macelleria al servizio delle industrie militari occidentali e dei suoi sciacalli al seguito per il commercio di uomini, donne e bambini, si punta ora a mettere in ginocchio la Russia e l’Iran per poter poi procedere alla resa dei conti con il mondo orientale
Mentre si sta attuando la distruzione fisica e morale del pianeta secondo logiche di spartizione e sfruttamento predatorie si tiene aperta la sceneggiata dei vertici mondiali per salvare la terra, per i diritti, ecc.  La finzione dei vertici europei che si susseguono incessanti, tutti decisivi, deve oscurare che l’UE ormai non esiste più e sta in piedi solo grazie ai poteri che di essa si sono impadroniti, a partire da quelli militari e dalla BCE di Draghi.
Siamo di fronte a un processo di omologazione culturale e politica preparato con il decennio di Berlusconi e sul quale marcia oggi per il prossimo decennio il socialfascismo di Renzi e del PD. Oggi come nel passato ventennio – le radici del cambiamento sono le stesse. Far marcire la situazione e ogni speranza di cambiamento per poi invocare il “Kapo” che rimetta le cose a posto. Qualunque cosa, ma non l’immobilità è la vera chiave del consenso al regime. All’interno nessuno parla cercando di entrare nella partita e di ottenere il dividendo del regime. Appellarsi ai corpi autonomi dello Stato, magistrati o altri, è come insaponare la corda del cappio che dovrà strangolarci , in “nome della legge” s’intende.
Intanto la vita quotidiana delle persone continua, alla ricerca di spazi di sopravvivenza per se e le proprie famiglie. Lo sanno bene i milioni di persone in fuga dalla guerra e dalla fame con l’intenzione disperata di scavalcare tutti i vincoli e le frontiere creati per ostacolarli. Un fiume umano nel quale giuste aspirazioni trovano spesso aiuto e risposte concrete dall’industria del crimine e dai professionisti della solidarietà il cui vero limite è quello di agire in nome e per conto dei responsabili di questi disastri.
In Europa si assiste a tutto ciò con sgomento, consapevoli che il conto finale sarà poi pagato dai cittadini e dai lavoratori, lasciati in questa situazione senza mezzi e senza difesa. Una richiesta ingenua è quella di fare regole e leggi per affrontare tutto ciò. Ma le regole e le leggi ci sono, ma sono quelle che hanno causato questo disastro e le autorità che dovrebbero cambiarle non hanno ovviamente alcuna ragione per farlo. Al contrario.
Lo ha ben capito papa Francesco che con la sua proposta di aprire le chiese agli immigrati e ai bisognosi e con le ripetute condanne  dei poteri causa di tutto propone la costruzione di un nuove ordine sociale e mondiale a partire dalla distruzione di quello esistente oggi nella Chiesa.. Nel loro piccolo lo hanno capito i cittadini danesi che informati dell’arrivo alle frontiere del loro paese di centinaia di   emigrati si sono precipitati con le loro macchine per accoglierli e portarli laddove volevano evitando i controlli della polizia.
Una nuova società si costruisce dal basso, riscrivendo leggi e regole sui bisogni delle persone, cittadini e no. Ma vanno riscritte insieme per evitare conflitti, creando i luoghi di incontro e elaborazione fuori dalle istituzioni, in contesti di amicizia e di affetti. Per sostenere la nascita di queste nuove comunità è utile creare gli spazi della nuova economia solidale, dove si scambia il lavoro e l’aiuto tra persone con beni e monete spendibili. Lo stesso vale per il commercio alternativo, le monete locali, ecc. Non strumenti per far star meglio i ceti medi privilegiati ma per includere le famiglie e le persone tutte in circuiti virtuosi di convivenza. Un nuovo modo di vivere che crea le sue regole e le sue istituzioni sottraendosi alle funzioni predatorie di quelle esistenti.

sabato 18 giugno 2016

Banche, Scilipoti Isgrò (Fi): la bramosia di pochi che riduce in schiavitù le masse





Banche, Scilipoti Isgrò (Fi): la bramosia di pochi che riduce in schiavitù le masse asservendole alla compulsione verso la ricchezza


(AGENPARL) – Roma, 10 giu 2016 – Il Senatore Domenico Scilipoti Isgrò parla della riforma in tema di banche in liquidazione, ma viene interrotto in quanto il suo intervento non è ritenuto pertinente all’argomento trattato.
Eppure la Parola di Dio descrive chiaramente la situazione economica che stiamo vivendo, con la bramosia di pochi che riduce in schiavitù le masse asservendole alla compulsione verso la ricchezza, e conseguentemente la dannazione.
Cosa risulta essere poco pertinente? Forse la Parola stessa nell’aula del Senato, anche se si dibatte di solidarietà sociale e giustizia egualitaria?
Seduta Pubblica N.640
“Sono costernato per il fatto che la Presidenza del Senato non ritenga “argomento di discussione” la Parola di Dio in tema di solidarietà”: questo il tweet di un amareggiato Domenico Scilipoti Isgrò. Il Senatore stava intervenendo in aula a proposito delle riforme in tema di banche in liquidazione, ed è stato interrotto dalla Vicepresidente Lanzillotta che lo ha ammonito di “tornare all’argomento in discussione”.
“Continuerò sempre a sostenere che la Parola di Dio e l’insegnamento evangelico costituiscano l’unico vero esempio di solidarietà da seguire, per cercare di risolvere i problemi che affliggono la nostra società” afferma il Senatore, “dal momento che si parlava di schiavitù dai creditori, cosa che nel nostro Paese è stata resa possibile con la sottrazione della sovranità monetaria attraverso la cessione di Banca d’Italia a soggetti privati, e tramite la mostruosa pratica del signoraggio bancario che, a mio avviso, rappresenta proprio il laccio della bramosia di cui parla San Paolo Apostolo”.
E conclude ricordando ai colleghi “che siamo chiamati ad amministrare il paese non solo con la diligenza del buon padre di famiglia, ma con vero e proprio spirito fraterno e cristiano, in quanto tutti gli uomini sono stati creati uguali dall’unico vero Padre che è il nostro Dio.
Di conseguenza, bisogna di fatto restituire la sovranità, attraverso la restituzione della Banca d’Italia stessa, al popolo italiano.”


L'integrazione è pubblicata qui a pag. 141:
http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/978623.pdf 

L'intervento completo è sul blog della Madonna dei Debitori:
http://madonnadeidebitori.blogspot.it/2016/06/intervento-al-senato-dellon-scilipoti.html

venerdì 17 giugno 2016

Banca nazionale svizzera. Verifica della governance

15.4053 Postulato
Banca nazionale svizzera. Verifica della governance
Depositato da:
Bischof Pirmin Bischof Pirmin
Gruppo PPD
Partito popolare democratico svizzero
Data del deposito:
25.09.2015
Depositato in
Consiglio degli Stati
Stato delle deliberazioni  
Adottato 
 
Il Consiglio federale è incaricato di illustrare in un rapporto se, e in che misura, la governance della Banca nazionale svizzera (BNS) debba essere adeguata alla situazione attuale tenendo conto della sua indipendenza.
In particolare è invitato a rispondere alle seguenti domande:
1. L'attuale effettivo ordine di competenza della BNS (il professor Paul Richli parla di "espansione della competenza") corrisponde ancora alla base costituzionale e legale vigente? È necessario adeguare il mandato della BNS e/o le basi?
2. Con riferimento alla forma giuridica (SA di diritto speciale con azionariato statale o privato), alle nomine o alla dimensione e composizione della direzione e del consiglio di banca è necessario intervenire?
3. A livello di rendiconto e di comunicazione occorrono adeguamenti? Oltre agli orientamenti informali odierni della CET dei due consigli è opportuno introdurre indagini conoscitive?
4. In merito alle domande di cui sopra come è la situazione giuridica nei casi di banche centrali estere comparabili? Nell'ambito della good governance occorre intervenire?
Dall'ultima revisione totale della legge sulla Banca nazionale l'ambito regolatorio e della politica monetaria della BNS in Svizzera e all'estero è notevolmente cambiato. Su scala mondiale la disponibilità ad agire da parte delle banche centrali è accresciuta sensibilmente e comporta ripercussioni dirette su tutte le economie nazionali. Il principio dell'indipendenza della BNS ha dato buoni risultati anche e soprattutto in un ambiente difficile. A maggior ragione la legittimazione politica del mandato e del suo adempimento da parte della BNS deve essere interamente ancorata nella Costituzione e nella legge, visto che le decisioni della BNS non soggiacciono giustamente a nessun controllo politico o giudiziario. Allo stesso tempo a livello mondiale sono aumentate le esigenze in ordine a trasparenza e comunicazione.
Il Consiglio federale propone di accogliere il postulato per esaminare la questione. Il rapporto che ne risulterà offrirà l'opportunità di analizzare se esiste veramente la necessità di modificare la vigente legislazione in merito alla governanza della Banca nazionale svizzera (BNS). Il Consiglio federale non mette tuttavia in questione né l'indipendenza della BNS né i suoi obiettivi. La risposta al presente postulato può essere integrata nel rapporto sui postulati accolti concernenti la politica monetaria (Bischof 15.3091 e Rechsteiner Paul 15.3367).
Il Consiglio federale propone di accogliere il postulato.

Cronologia

Dipartimento competente

lunedì 13 giugno 2016

Se non ora, quando, vostro Onore? O sono cambiati gli ordini di scuderia?

LA PSEUDO-COSTITUZIONE RENZIANA


L’essenza strutturale della riforma Renzi-Boschi è l’abolizione del principio della separazione dei tre poteri dello Stato -legislativo, esecutivo, giudiziario-, che vengono ampiamente concentrati nelle mani del premier. Essa abolisce quella separazione, che distingue gli Stati di diritto moderni da quelli assolutistici. Questo punto essenziale sta sfuggendo al dibattito in corso: non si tratta semplicemente di una radicale riforma della Costituzione – che già come tale non sarebbe ammessa dalla Costituzione stessa, perché questa prevede solo la revisione (ossia l’aggiornamento, il ritocco) e non la ristrutturazione (art. 138), per la quale sarebbe necessaria la convocazione di un’assemblea costituente. Si tratta di molto più: si tratta dell’abolizione dello stesso principio fondante del costituzionalismo e dello Stato di diritto, garantista e rappresentativo. Un’abolizione che hanno realizzato tutti i dittatori, per divenire tali, iniziando – in epoca moderna – con Napoleone. Non puoi fare il dittatore se c’è un potere indipendente da te, che controlla la legittimità del tuo agire.

La riforma Renzi-Boschi, inoltre, vanifica l’altro pilastro dello Stato moderno, ossia la rappresentanza del popolo, in quanto il Senato non è più elettivo, e 2/3 dei membri della Camera sono decisi dai segretari dei partiti mediante le liste bloccate, mentre il terzo residuo degli eletti è in parte determinato dal caso.

Infine, in un siffatto parlamento, a liste bloccate e con forte premio di maggioranza, controllato dal premier, non può più concretarsi l’opposizione al premier stesso e all’esecutivo; e con tanto è completamente eliminata la struttura giuridico-costituzionale dello Stato moderno, di diritto, rappresentativo, democratico. La Camera diventa un organo ripetitivo del governo, senza autonomia, quindi praticamente inutile ai fini democratici. Così come il Senato.
Quindi non siamo nemmeno nell’ambito del concetto di riforma o anche di rovesciamento della Costituzione, siamo a un’operazione di abolizione funzionale della Costituzione del 1948, anzi della stessa costituzionalità come modernamente intesa. La costituzione Renzi-Boschi è una pseudo-costituzione.

Aggiungiamo che il premier di questo nuovo Stato, controllando il potere legislativo, quello esecutivo e molti organi di controllo, sostanzialmente ha in mano tutti i principali centri di spesa pubblica, di finanziamento pubblico, di informazione pubblica, oltre alla grande stampa amica, ossia  ha in mano le fonti di consenso, di clientela, di sponsorizzazione. Dato che diviene l’unico soggetto che può comperare tutto il consenso che gli serve per annullare l’opposizione politica nel Paese, la sua posizione di potere diventa inattaccabile dal basso, democraticamente, e potrà essere scalzato solo da eventi tanto catastrofici per la nazione, da vanificare quegli strumenti di raccolta di consenso.

CONTROPROPOSTA: UNA RIFORMA  PER L’EFFICIENZA NELLA RAPPRESENTATIVITA’
L’esigenza di abbreviare l’iter legislativo e di assicurare stabilità alle maggioranze, tagliando inciuci e ricatti partitici nonché spese eccessive, può essere soddisfatta senza sacrificare rappresentatività popolare e garanzie,riformando la Costituzione come segue:
-una Camera dei Deputati, di 300 membri, eletta ogni 4 anni (salvo scioglimento anticipato) con sistema “stabilizzante” (maggioritario o meglio con voto trasferibile, secondo il modello australiano), la quale vota la fiducia, le leggi di bilancio, le leggi ordinarie; il premier nomina e revoca i ministri;

-un Senato della Rappresentanza e delle Garanzie, di 300  membri, eletto con sistema proporzionale puro su base regionale per metà dei suoi membri ogni 3 anni, non soggetto a scioglimento anticipato, competente in via esclusiva  per le revisioni della Costituzione, le leggi costituzionali, le leggi in materia di cittadinanza, elezioni, giustizia, limitazione di sovranità, nonché per le commissioni d’inchiesta, l’impeachment, la revoca delle leggi ordinarie (ovviamente con opportune maggioranze qualificate); elegge il Presidente della Repubblica, un terzo della Consulta e del CSM, gli organi di garanzia e controllo, i vertici della Rai.

Si è ormai capito, infatti, che leggi come quelle elettorali e quelle che, ratificando trattati internazionali, limitano o trasferiscono la sovranità, sono vere e proprie parti della costituzione di uno Stato.
Insomma, il Senato, rappresentando fedelmente il corpo elettorale, è giustamente competente per i controlli, le garanzie e le regole del gioco; non essendo soggetto a scioglimento anticipato, non è ricattabile dal premier. Per le altre materie è competente, in via esclusiva, la Camera. Il premier, disponendo di una maggioranza ragionevolmente stabile e certa, e potendo nominare e revocare i ministri, è più libero e meno frenabile nella sua azione.

Ritorniamo alla riforma Renzi-Boschi.

Lo spiega bene il giudice Luciano Barra Caracciolo nel suo recente saggio Euro e (o?) democrazia costituzionale: La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei – Dike Giuridica ed.: già nei decenni scorsi, in nome dell’Europa e dei mercati, profonde trasformazioni costituzionali erano state introdotte surrettiziamente, soprattutto in materia di politica economico-sociale, di moneta, di banche. Tali riforme sono consistite nel togliere gradualmente quote di reddito, diritti e potere da cittadini, lavoratori, utenti, onde trasferirli al capitale finanziario e ad organismi non eletti e non responsabili verso la gente, verso gli elettori: UE, BCE, FMI, WTO. Sono così stati praticamente svuotati, con leggi ordinarie di ratifica dei trattati (europei ma non solo), gli articoli 1, 2, 3 c.2, 36, 38 c. 2, 41 c. 2, 47 e altri della Costituzione attraverso il sistematico abuso dell’art. 11 Cost., che consente solo limitazioni della sovranità, e non cessioni; e le consente solo per scopi di pace e di giustizia, e solo a condizioni di parità. L’art. 11 è stato sistematicamente applicato in modo illegittimo per cedere sovranità anziché limitarla, e al di fuori dei casi predetti.

Queste riforme non hanno affatto apportato i miglioramenti di pil e occupazione che promettevano, nei molti paesi in cui sono state attuate. Il loro scopo era un altro, e riguardava non l’economia, ma il modo di inquadrare e gestire i popoli. La riforma costituzionale Renzi-Boschi è soltanto una tappa, per quanto cruciale, di un lungo percorso di sovvertimento della Costituzione del 1948 e dei suoi principi, verso la realizzazione di un tipo di costituzione, di società e di persona radicalmente diversi. Una nuova concezione del diritto e del potere politico, che si viene realizzando su scala globale, e che comporta il livellamento al basso delle classi intermedie, la precarizzazione delle classi popolari, l’esclusione della sua partecipazione alle scelte politiche, la concentrazione del potere, del reddito, della tecnologia di punta in una classe elitaria globale.

Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze sfavorevoli soprattutto perché la produttività (efficienza) arretra rispetto ai paesi competitori mentre il debito pubblico cresce.  Dall’altro lato, abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri – legislativo, esecutivo (spesa pubblica) e di controllo, cioè di garanzia – nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa. Questi, prendendo anche solo in teoria il 22% dei suffragi, può ottenere il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di garanzia, delle authorities, dei vertici della Rai. Nomina il presidente della Repubblica, di giudici costituzionali e di componenti del CSM (le quote c.d. “laiche”). Cioè il premier nomina gli organi che lo dovrebbero controllare e bilanciare.
In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali bloccate del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali chances. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato (cosa vietata dalla Costituzione), ma non nei confronti degli elettori, bensì del segretario del partito.

Tutto ciò costituisce un ritorno massiccio e deciso a prima della separazione dei poteri statuali, cioè a un modello di Stato di tipo assolutistico di oltre due secoli fa. Probabilmente ce lo chiedono i mercati, l’Europa, gli investitori.
Già ora il presidente della Repubblica Mattarella è un nominato. Un nominato del Primo Ministro, ratificato da un parlamento di nominati, un parlamento eletto con una legge elettorale già dichiarata incostituzionale una Corte di cui era membro lo stesso Mattarella! Renzi lo ha scelto unilateralmente e ha comunicato il nome della sua scelta all’ultimo momento persino al suo partito. Ovviamente non è possibile che svolga una funzione di controllo e contrappeso rispetto al capo del governo. Il suo unico intervento significativo è stato contro l’istituzione di una commissione di inchiesta a seguito di omissioni di sorveglianza e intervento della Banca d’Italia sulle operazioni fraudolente che hanno mandato in dissesto diverse banche, iniziando da MPS.

Fino a ieri, la divisione dei poteri dello Stato sembrava un principio cardine, scontato oramai e indiscutibile, indispensabile ai fini della legittimità dello Stato, un’acquisizione definitiva e irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della rivoluzione francese.  La tesi fondamentale esposta nel suo celebre trattato Lo spirito delle leggi,pubblicato nel 1748, è che può dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per prevenire tale abuso, occorrono contrappesi e controlli, occorre che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e debordare in tirannia. La riunione di questi poteri nelle medesime mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. “Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”: è partendo da questa considerazione, che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei poteri.

Tecnicamente, perciò, Renzi sta ripristinando lo schema ordinamentale dell’ancien régime. Si è fatto controllore di sè stesso. Ricordiamo che l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla presenza del re a capo dello Stato, il quale non era scelto, ovviamente, dal Duce ed era al di sopra del suo raggio d’azione, tanto è vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Il premier che esce dalla riforma renziana non avrà tale limitazione, perché nominerà egli stesso il Capo dello Stato.

Ma dove sono, oggi, i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i filosofi, i politici, gli intellettuali, quelli che hanno ampio accesso ai mass media e che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo, costituzione, resistenza, garanzie? Dove sono i fieri magistrati che dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato? Perché tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un’unica persona, di fronte all’abolizione dei controlli e dei bilanciamenti? Perché non insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora, quando, vostro Onore? O sono cambiati gli ordini di scuderia?

Ciò che sta avvenendo, e a cui tanti si sono già allineati, è che, in previsione di una situazione economica e sociale sempre peggiore e tale da generare forti tensioni e forse rotture, viene costituito, con la massima precedenza, un apparato statuale autocratico e bloccato, per garantire alla buro-partitocrazia parassitaria e corrotta le sue rendite, le sue poltrone, le sue impunità anche nel disastro nazionale; e insieme per garantire il dominio sul Paese ai grandi interessi finanziari stranieri, con la possibilità di completare l’estrazione o l’acquisizione degli asset nazionali e dei mercati nazionali ancora appetibili attraverso il controllo del suo governo e del suo capo di Stato. In Italia e in altri paesi deboli e arretrati, il capitalismo finanziario globale sta instaurando regimi autocratici, non condizionati dal basso, al fine di usarli per imporre, rapidamente e senza possibilità di opposizione, leggi e riforme strumentali ai suoi interessi e al suo potere, come il famigerato TTIP, oggi in gestazione. I poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e l’efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Si sono convinti che per governare e spremere questo paese ci vuole invece proprio il suo autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri collegati. E lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato, ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore di sè stesso internamente, ma controllato da loro esternamente.

2 Giugno 2016                  Marco Della Luna

sabato 4 giugno 2016

BPVI: Magistratura, Fiamme Gialle, Bankitalia...tutti assunti !


Ispettori, magistrati e Gdf ecco la rete di protezione della Popolare Vicenza

Ispettori, magistrati e Gdf ecco la rete di protezione della Popolare Vicenza
Gianni Zonin 
Tutti i segnali del crac ignorati da Bankitalia e pm con l'aiuto anche di diplomatici e prefetti. Gli esposti sono rimasti inascoltati e oggi 118 mila risparmiatori chiedono giustizia



VICENZA - Li chiamavano "i pretoriani". E anche se nessuno lo ha mai esplicitato, nei corridoio della Popolare di Vicenza tutti intuivano quale fosse la loro missione: controllare i controllori. Adesso dicono che questa è sempre stata l'idea fissa di Gianni Zonin, presidente della banca dal 1996 allo scorso 23 novembre. E' stato lui, già celebre come re dei vini, a segnare l'ascesa e la caduta di questo istituto, che dal Veneto si è esteso in tutta Italia con 5 mila dipendenti e 482 filiali. Un castello di carte ridotto in cenere, bruciando in pochi mesi 6,2 miliardi di euro e lasciando sul lastrico 118 mila soci che avevano investito i loro risparmi in azioni passate dal valore di 62,5 euro a dieci centesimi. Il 2 giugno le vittime del crac hanno manifestato davanti alla villa di Zonin, chiedendo alla magistratura di sequestrarla. Ma ufficialmente non è più sua, perché si è liberato di ogni proprietà, forse pronto a trascorrere la vecchiaia nei suoi possedimenti esteri. Il crollo è stato rapidissimo mentre le indagini dei pm che lo hanno scalzato dal vertice dell'istituto sono lente, tanto da non prevedere sviluppi prima dell'autunno. Eppure nel corso degli anni i campanelli di allarme sulla solidità della banca, che sponsorizzava squadre sportive e finanziava film da Oscar come la "Grande Bellezza", non sono mancati: dal 2001 al 2014 ci sono stati esposti, ispezioni di Bankitalia e due inchieste della procura che avrebbero dovuto approfondire proprio gli elementi poi rivelatisi determinanti nello sgretolamento del forziere vicentino.

Ad esempio, secondo quanto accertato dalla Bce negli anni passati, la crescita di BpVi che nel ventennio di Zonin ha portato all'acquisizione di Banca Nuova e Cari Prato è stata sostenuta imponendo ai soci l'acquisto di azioni della stessa banca come condizione necessaria per la concessione di prestiti. Una pratica denunciata da gruppi di piccoli risparmiatori già agli esordi della presidenza di Gianni Zonin. "Sin dall'inizio il suo intento era mettere al riparo la Popolare di Vicenza da verifiche e guai giudiziari - dice Renato Bertelle, avvocato di Malo, presidente dell'associazione nazionale azionisti BpVi -. Come lo ha fatto? Con nomine e assunzioni. Ha creato una rete di protezione, per evitare che franasse tutto. Ha cercato di mettere a libro paga quelli che potevano dargli fastidio, o i loro capi. E in molti casi ce l'ha fatta". Non è un caso che fra le prime iniziative del nuovo amministratore delegato Francesco Iorio ci sia stata la sostituzione dei "pretoriani", arruolati ai vertici delle istituzioni che avrebbero dovuto tenere sotto controllo la banca. Porte girevoli che hanno permesso di passare dai ranghi della magistratura, delle Fiamme Gialle, di Bankitalia a quelli della Popolare.

Le crepe e i guadagni. Le inchieste avviate dalla procura di Vicenza sulla gestione di BpVi fino a oggi sonostate affossate da archiviazioni, prescrizione dei reati e sentenze di non luogo a procedere, arrivate dopo anni dall'apertura dei fascicoli. Un ventennio di occasioni sprecate. "La cosa che fa più male, vedendo i soci che hanno perso tutto, è che già nel 2001 le crepe erano visibili - sottolinea Antonio Tanza, avvocato e vice presidente dell'associazione Adusbef, che prima del 2008 aveva presentato 19 esposti contro gli amministratori vicentini - . E sono quelle stesse crepe che si sono allargate fino a provocare il crac". L'epilogo è stato il salvataggio da parte di Fondo Atlante, costretto a rastrellare per 1,5 miliardi tutte le azioni della banca, dopo il flop della sottoscrizione di capitale. "È assurdo che si sia arrivati a tanto. Le premesse del disastro erano chiare quindici anni fa", conclude Tanza.

L'ispezione di Bankitalia. Nel 2001 Bankitalia dispone un'ispezione sulla Popolare di Vicenza, la prima da quando Zonin è presidente. Al centro degli accertamenti, i criteri con cui la Popolare ha valutato le azioni. Gli ispettori, al lavoro da febbraio a luglio, concludono che il valore di 85.196 lire (44 euro) era "poco oggettivo". E che la banca, nonostante si fosse all'inizio della presidenza Zonin, era già caratterizzata da un "modello gestionale verticistico che limita l'attività del cda". Unico oppositore di Zonin in consiglio di amministrazione è l'avvocato Gianfranco Rigon, che nel 1999 lascia la vicepresidenza. A suo dire, "il ruolo presupponeva sudditanza alla autoritaria e autocratica gestione di Zonin ". Già allora c'è un episodio illuminante, sottolineato dall'avvocato Bertelle: "La storia sembra incredibile, ma è agli atti dell'inchiesta milanese su Antonveneta. Nicola Stabile, che nel 2001 era nel team ispettivo di Bankitalia, riferì di avere ricevuto un invito da Zonin a trascorrere le vacanze in una sua tenuta nel Chianti". Non solo. Luigi Amore, funzionario della Vigilanza di via Nazionale che ha firmato quella verifica, sarà poi chiamato alla Popolare come responsabile dell'Audit. Allo stesso modo Andrea Monorchio, dopo tredici anni come Ragioniere generale dello Stato, sarà nominato nel cda di BpVi fino a divenirne vicepresidente nel 2014. L'uomo che ha arbitrato i bilanci del Paese diventa una sorta di ambasciatore di Zonin nei palazzi romani del potere.

Affari di famiglia. Le segnalazioni che hanno dato il via all'ispezione della Banca d'Italia finiscono sui tavoli della procura di Vicenza, che nello stesso 2001 apre un'inchiesta. Zonin viene indagato per falso in bilancio. Secondo gli esposti, gli amministratori avrebbero fatto sparire dal rendiconto del 1998 quasi 58 miliardi di lire di minusvalenze, frutto dell'acquisto di derivati. All'attenzione dei pm vicentini vengono portate anche alcune operazioni immobiliari intraprese dalla banca nel 1999 con la società Querciola Srl diretta da Silvano Zonin, fratello di Gianni. L'istituto avrebbe pagato affitti per un valore eccessivo, con danno per i soci. L'allora procuratore capo, Antonio Fojadelli, avoca a sé il fascicolo. Esperto in criminalità organizzata - aveva guidato le inchieste sulla mala del Brenta - chiede l'archiviazione. Il gip Cecilia Carreri respinge la richiesta e ordina l'imputazione coatta per Zonin. Ma nel 2005 la giudice viene travolta da uno scandalo dai contorni oscuri, nato dalla pubblicazione di una sua foto sul giornale locale. Per Zonin la vicenda si chiude con una sentenza di non luogo a procedere. Fojadelli nel 2011 lascia la magistratura e tre anni dopo Zonin lo chiama nel cda della Nord Est Merchant, detenuta da BpVi. Direttamente dalla guardia di finanza arriva invece Giuseppe Ferrante, ex capo del nucleo di polizia Tributaria di Vicenza, già dal 2006 responsabile della direzione Antiriciclaggio della banca. Anche l'avvocato Massimo Pecori, figlio di uno dei pm di punta della procura cittadina, ottiene incarichi per l'istituto. Ma, come spiega lui stesso, la Popolare "ha centinaia di legali sotto contratto". L'istituto di Zonin infatti è il simbolo stesso della ricchezza in un NordEst che all'epoca non conosce crisi.

Gli esposti del 2008. Adusbef il 18 marzo 2008 segnala a Bankitalia e alla procura di Vicenza "il ricorso illegittimo da parte della Popolare al prestito obbligazionario subordinato per reperire 220 milioni dei complessivi 950 di rafforzamento patrimoniale" e denuncia "il valore inverosimile della quotazione azionaria". Per la prima volta, si fa riferimento a "metodi estorsivi per diventare azionisti, pena la mancata concessione di prestiti, mutui, fidi", ipotesi alla base delle attuali inchieste aperte dopo il crollo. Nel 2008 il procuratore di Vicenza è Ivano Nelson Salvarani. L'inchiesta viene affidata al pm Angela Barbaglio, che il 15 aprile 2009 chiede archiviazione, "non ravvisando credibili ipotesi di reato". Il 21 aprile l'ufficio del gip di Vicenza chiude il fascicolo senza nemmeno comunicarlo ad Adusbef. Intanto, Zonin rafforza la fortezza attorno alla banca, continuando ad arruolare magistrati e uomini di vertice delle istituzioni bancarie. Già alla fine del 2008 arriva Mario Sommella, assunto come addetto della Segreteria generale dell'istituto, lo stesso ruolo che aveva ricoperto in Banca d'Italia.

Le porte girevoli. Luigi Amore e Mario Sommella non sono gli unici uomini di vertice di Bankitalia ad approdare a Vicenza. Nel 2013 Zonin ingaggia alle relazioni istituzionali di BpVi Gianandrea Falchi. Già membro della segreteria quando governatore era Mario Draghi, aveva condotto una seconda ispezione sulla Popolare di Vicenza, i cui risultati costituiscono la spina dorsale dell'attuale inchiesta della procura di Vicenza sulla gestione Zonin. Nel dicembre 2012 la verifica si conclude con un verdetto "parzialmente sfavorevole" e senza sanzioni. Come "ambiti di sofferenza" viene indicata la valutazione dei cespiti ricevuti a garanzia dei crediti. Quello che la verifica non mette in luce fino in fondo è il cuore del problema: il meccanismo della concessione di finanziamenti in cambio dell'acquisto di azioni della banca, che sarà reso esplicito solo quindici mesi dopo dall'intervento della Bce, con i conti ormai irrimediabilmente compromessi.

Nel 2012 Zonin appare ancora forte, come il gruppo che guida. Da un anno il prezzo delle azioni è fissato a 62,5 euro e il numero dei soci (che nel 2008 erano 60mila) lievita. È in quei mesi che il cda di Banca Nuova istituto con 100 sportelli in Sicilia, creato nel 2000 a Palermo da BpVi - nomina come consigliere indipendente Manuela Romei Pasetti, già presidente della Corte d'Appello di Venezia, competente sul territorio di Vicenza. "Zonin, come sempre nella sua vita, ha fatto le cose in grande anche quando si è trattato di comporre i cda di fondazioni e controllate - dice l'avvocato Bertelle - verso la fine della sua avventura in banca, aveva così tanto potere da portarsi in casa prefetti e diplomatici". Il prefetto è Sergio Porena, rappresentante degli Interni a Vicenza fra il 1989 e il 1991, e già probiviro di BpVi. Zonin gli apre le porte del cda della Fondazione Roi, di cui lui stesso è presidente. Il diplomatico è Sergio Vento, già ambasciatore a Parigi, ingaggiato da Zonin come vice presidente di Nord Est Merchant Due, società di risparmio gestito di BpVi. Nulla di straordinario. In centri di provincia come Vicenza, Arezzo, Treviso, Chieti, Ancona, Ferrara gli istituti locali erano il cuore della ricchezza e del potere, elargivano finanziamenti, incarichi e offrivano prestigiose poltrone. In ogni città si è ripetuto un copione simile, con controllori incapaci di riconoscere i segnali del crollo.

E adesso il prezzo di quella grande illusione lo pagano migliaia di risparmiatori. Senza che nessuno si ponga il problema di cambiare le regole e creare meccanismi più efficaci di vigilanza. Una settimana fa, durante la visita di Sergio Mattarella ad Asiago, un gruppo di azionisti della Popolare di Vicenza, una rappresentanza dei tanti che hanno visto il valore dei loro investimenti passare da 62,5 euro ad azione a soli dieci centesimi, gli ha consegnato un appello: "Siamo stati educati a rimboccarci le maniche e lavorare ancora di più per ricostruire quanto abbiamo perduto, ma non vogliamo sentire denigrare o irridere la nostra operosità. Vogliamo giustizia, vogliamo che i responsabili di questo tracollo siano messi di fronte alle proprie responsabilità ".
f.vanni@repubblica.it

Eurogruppo e Grecia: dal saccheggio alla devastazione

vocidallestero

Il capitalismo è arrivato al saccheggio: la Germania all’assalto del FMI

di Paul Craig Roberts

http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/7320-paul-craig-roberts-il-capitalismo-e-arrivato-al-saccheggio-la-germania-all-assalto-del-fmi.html

Paul Craig Roberts, ex assistente segretario del tesoro USA e Associate Editor del Wall Street Journal, scrive un articolo di denuncia sul trattamento riservato alla Grecia dalla Germania e dalle istituzioni europee. Con la complicità del governo-fantoccio di Syriza, la Grecia viene saccheggiata e la sua popolazione depredata dei propri diritti e conquiste sociali per poter garantire i profitti dei “creditori”. L’UE e il FMI sono ormai diventati dei semplici strumenti di saccheggio nelle mani dei ricchissimi del pianeta, mentre la loro azione viene Orwellianamente propagandata come “salvataggio”

Essendo riusciti ad usare l’UE per conquistare il popolo Greco, trasformando il governo “di sinistra” di Syriza in un fantoccio delle banche tedesche, la Germania si ritrova ora il FMI a intralciare il suo piano per saccheggiare la Grecia fino alla sua scomparsa.
Le regole del FMI impediscono a questa organizzazione di prestare soldi a paesi che non siano in grado di restituirli. IL FMI ha quindi concluso, sulla base di dati e analisi, che la Grecia non è in grado di restituire i soldi presi in prestito. Quindi, il FMI non è disposto a prestare alla Grecia i soldi che le servono per ripagare le banche private creditrici.
Il FMI sostiene che i creditori della Grecia, molti dei quali non sono nemmeno i creditori originali ma semplicemente avvoltoi che hanno acquistato il debito greco a prezzo di saldo nella speranza di specularci, devono tagliare parte del debito in modo da riportarlo a un ammontare che sia sostenibile da parte dell’economia greca.
Le banche non vogliono che la Grecia sia in grado di ripagare il suo debito, perché intendono invece usare l’incapacità della Grecia di ripagare per saccheggiarla dei suoi asset e delle sue risorse e per distruggere la rete di protezione sociale costruita durante il ventesimo secolo. Il neoliberismo intende ristabilire il feudalesimo – pochi baroni e molti servi della gleba: l’1 per cento contro il 99 per cento.
Per come la vede la Germania, il FMI dovrebbe prestare alla Grecia i soldi con cui ripagare le banche tedesche. Poi il FMI verrà ripagato forzando la Grecia a ridurre o abolire le pensioni di anzianità, ridurre i servizi pubblici e i dipendenti pubblici, e utilizzare le somme risparmiate per ripagare il FMI.
Poiché le somme risparmiate saranno insufficienti, nuove misure di austerità vengono imposte così che la Grecia sia costretta a vendere gli asset nazionali, come le società pubbliche di gestione dell’acqua, i posti e le isole greche protette, agli investitori stranieri, principalmente le stesse banche o i loro migliori clienti.
Finora i cosiddetti “creditori” si sono impegnati solo in qualche forma di sgravio del debito, ancora indefinito, tra 2 anni. Per allora i giovani greci saranno emigrati e saranno stati sostituiti da immigrati che scappano dalle guerre di Washington in Medio Oriente e in Africa, che avranno appesantito il sistema di welfare greco già privo di fondi.
In altre parole, la Grecia viene distrutta dalla UE, un’istituzione così follemente sostenuta e apprezzata. La stessa cosa sta accadendo in Portogallo e si prepara ad avvenire in Spagna e in Italia. Il saccheggio ha già divorato l’Irlanda e la Lettonia (e un buon numero di paesi dell’America Latina) ed è in corso in Ucraina.
Gli attuali titoli dei giornali che riportano l’accordo raggiunto tra il FMI e la Germania riguardo il tagli del debito greco a un livello sostenibile, sono falsi. Nessun “creditore” ha dato il suo assenso al tagli di nemmeno un centesimo del debito. Tutto quello che il FMI ha ottenuto dai cosiddetti “creditori” è un vago “impegno” per un ammontare sconosciuto di tagli del debito che avverrà tra 2 anni.
I titoli dei giornali non sono altro che una vernice esterna, per coprire il fatto che il FMI ha ceduto alle pressioni e violato le sue stesse regole. La copertura consente al FMI di dire che un tagli (futuro e indefinito) del debito consentirà alla Grecia di renderlo sostenibile e, pertanto, il FMI può prestare alla Grecia i soldi per ripagare le banche private.
In altre parole, il FMI è ormai diventato l’ennesima istituzione Occidentale senza regole e il cui regolamento conta meno della Costituzione degli Stati Uniti o della parola del governo di Washington.
I media continuano a chiamare il saccheggio della Grecia un “salvataggio”.
Chiamare il saccheggio di un paese e del suo popolo “salvataggio” è proprio Orwelliano. Il lavaggio del cervello è talmente riuscito che perfino i media e i politici della saccheggiata Grecia chiamano l’imperialismo finanziario che la Grecia sta subendo un “salvataggio”.
Da ogni parte del mondo Occidentale un gran numero di interventi, sia delle società che dei governi, stanno portando alla stagnazione della crescita dei profitti. Per poter continuare a fare profitti, le mega-banche e le società multinazionali si sono dedicate al saccheggio. I sistemi di sicurezza sociale e i servizi pubblici vengono messi nel mirino per essere privatizzati, e l’indebitamento così ben descritto da John Perkins nel suo libro, Confessioni di un sicario economico, viene utilizzato per preparare il terreno al saccheggio di interi Paesi.
Il capitalismo è entrato nella fase del saccheggio . Il risultato sarà la devastazione.

Manipolazione statistica al FMI: il caso Rogoff


Debito: i conti non tornano


Debito: i conti non tornanohttps://it.wikipedia.org/wiki/Illusionismo#/media/File:Hieronymus_Bosch_051.jpg

La scoperta di un giovane ricercatore distrugge un tabù sul debito pubblico basato su uno studio farlocco. Ma non sarà certo la ragione a fermare i mandarini del capitale. Un forte conflitto sociale in Europa è sempre più urgente.

di Ascanio Bernardeschi

Ha fatto clamore la notizia che un giovane ricercatore, allievo dell'economista Robert Pollin, ha scoperto degli errori di calcolo nel lavoro, pubblicato nel 2010 sulla prestigiosissima American Economic Review, di Ken Rogoff, capo economista del Fondo monetario internazionale dal 1971 al 1973 e Carmen Reinhart [1]. Tale studio ha utilizzato i dati statistici sulla crescita economica, l'inflazione, la spesa pubblica e il debito pubblico di 44 paesi in un arco temporale di circa 200 anni, per un totale di 3.700 osservazioni, da ritenere statisticamente significative. I risultati, assai citati nella letteratura economica e dai sostenitori delle politiche europee di austerità, erano che un debito pubblico superiore al 90 per cento del Pil fa diminuire di almeno un punto percentuale la crescita del Pil. Altri risultati riguardavano l'inflazione e il debito estero, di cui sembrerebbero fortemente risentire in maniera negativa le economie dei paesi emergenti.

L'eccesso di austerità di Merkel e compagnia, è stato più volte giustificato dai tecnocrati proprio da queste elaborazioni. Per esempio il commissario UE per l’Economia, Olli Rehn, ha affermato che “È ampiamente riconosciuto, sulla base di una seria ricerca scientifica, che quando i livelli del debito pubblico salgono oltre il 90% tendono a presentare una dinamica economica negativa, la quale si trasforma in bassa crescita per molti anni”.

La “seria ricerca scientifica” si è dimostrata errata in fatto di metodologia, in quanto ha manipolato in maniera non corretta i dati da analizzare e ha presentato la correlazione esistente fra le due grandezze del debito e del PIL come un rapporto causa-effetto non dimostrato. Inoltre è stato rilevato anche un grossolano – “originale” dicono i ricercatori – errore di impostazione del foglio elettronico utilizzato per i calcoli. Tutti questi errori, guarda caso hanno contribuito a produrre il risultato voluto dai “prestigiosi scienziati” [2].
Quanti tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni e quanta disoccupazione sono stati giustificati in Europa da questa “seria ricerca scientifica”! Quanta gioventù è stata espropriata di futuro!

Da questa scoperta scaturirà certamente un dibattito in sede scientifica sulla validità delle politiche di austerity. Non sono pochi infatti gli economisti di ispirazione keynesiana che stanno mettendo in discussione il tabù che un forte debito pubblico contribuisca a rallentare la crescita. Infatti la correlazione esistente fra bassi livelli di crescita e alti rapporti debito/Pil, potrebbe essere spiegata secondo un rapporto causale invertito rispetto a quello ipotizzato dai due grandi scienziati. In parole più semplici, è legittimo sostenere sia la bassa crescita a far lievitare il rapporto debito/Pil e non il contrario. Una bassa crescita infatti tende a diminuire gli introiti fiscali e con essi ad accrescere il debito pubblico. Aumenterebbe perciò anche il rapporto debito/Pil, vista la stagnazione del prodotto lordo. Anche l'evidenza empirica dovrebbe essere un buon insegnamento. In nessuna parte del mondo occidentale la crescita è così bassa come in Europa, in cui vengono imposte le politiche di austerità senza eguali.

Per questo consideriamo la scoperta del gruppo di ricercatori diretto da Pollin una buona notizia, ma senza farci troppe illusioni sulla sua ricaduta pratica nelle politiche economiche europee. Lo scetticismo si giustifica con il fatto che anche prima di questa scoperta erano evidenti i guasti di tali politiche e ciò nonostante esse sono state imposte inflessibilmente ai paesi dell'area Euro.

Come abbiamo avuto modo di sostenere ripetutamente in questo giornale, la cosa non si spiega con la sciocchezza o l'impreparazione dei nostri tecnocrati e politici, ma con il sostegno che essi debbono assicurare agli interessi del capitale il quale sta cercando di recuperare la perdita dei margini di profitto che inevitabilmente accompagna le economia evolute, come Marx aveva previsto, con la riduzione del costo diretto, indiretto e differito della forza-lavoro.
Soltanto una ripresa del protagonismo dei lavoratori e il rilancio dei conflitti sociali potrà imporre cambiamenti di prospettiva. Ma l'obiettivo non dovrà essere solo una più equa distribuzione del reddito. A questa sacrosanta rivendicazione dovrà accompagnarsi un ripresa del ruolo pubblico nel governo dell'economia.

Un ulteriore elemento di pessimismo della ragione si riferisce alla possibilità che simili lotte possano essere intraprese con la dovuta forza ed efficacia nel quadro di questa Europa in cui vengono sempre più ridotti gli spazi di partecipazione dei lavoratori e le politiche economiche sembrano condotte da un “pilota automatico”, programmato però dal capitale. Anche per questo la battaglia per affossare la controriforma della Costituzione, voluta da chi detiene il potere economico, deve essere in questa fase un impegno prioritario.

Note:

[1] È possibile scaricare il paper al seguente url http://www.nber.org/papers/w15639.pdf

[2] Thomas Herndon, Michael Ash and Robert Pollin, Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A Critique of Reinhart and Rogoff, reperibile all'indirizzo http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/working_papers/working_papers_301-350/WP322.pdf

giovedì 2 giugno 2016

Lectio magistralis di Paolo Maddalena




Da Wikipedia:
 
Paolo Maddalena (Napoli, 27 marzo 1936) è un giurista e magistrato italiano, che ha ricoperto l'incarico di giudice costituzionale.
Dopo una lunga carriera nella quale ha coniugato l'attività di studio e ricerca nei settori del diritto romano, diritto amministrativo e costituzionale e diritto ambientale con le funzioni di magistrato, culminate con la nomina alle funzioni di presidente di sezione della Corte dei conti, il 17 luglio 2002 è stato eletto alla Corte costituzionale nella quota riservata alla magistratura contabile. Ha assunto le sue funzioni dopo aver giurato il 30 luglio dello stesso anno. Successivamente, il 10 dicembre 2010 è stato nominato vicepresidente della Corte dal neo-eletto presidente Ugo De Siervo, carica nella quale è stato riconfermato il 6 giugno 2011 dal neo-eletto presidente Alfonso Quaranta. Tra il 30 aprile 2011 e il 6 giugno dello stesso anno ha svolto le funzioni di presidente della Corte. Il suo mandato è giunto a termine il 30 luglio 2011.

Veneto Banca, quei regali di Consoli al presidente del Tribunale...

Veneto Banca, quei regali dell’ex numero uno Consoli al presidente del Tribunale. Che ora è nel board

Il vicepresidente dell’istituto di Montebelluna respinge le accuse: è una bufala, un’aggressione. Al magistrato l’allora amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, avrebbe regalato una bici da 5.500 euro e un orologio da 11 mila

L’assemblea 2015 di Veneto Banca in una foto d’archivio (Lapresse) L’assemblea 2015 di Veneto Banca in una foto d’archivio (Lapresse)
«Indipendenza di giudizio dei nuovi consiglieri d’amministrazione» di Veneto Banca, «e completa assenza di legami con le passate carenze gestionali» dell’era Vincenzo Consoli: è quanto la Banca centrale europea (Bce) aveva chiesto nella
Stefano Ambrosini, presidente di Veneto Banca
Stefano Ambrosini, presidente di Veneto Banca
lettera del 3 maggio. Ed è quanto (con l’aumento di capitale da 1 miliardo e la quotazione in Borsa) il 13 maggio Francoforte si era vista assicurare dalla visita dei protagonisti del «ribaltone» dell’assemblea al PalaMarghera del 5 maggio: quella che alla presidenza di Montebelluna ha portato (primo non veneto nella storia dell’istituto) l’avvocato torinese Stefano Ambrosini, alla vicepresidenza l’ex presidente del Tribunale di Treviso e fondatore dell’associazione Azionisti di Veneto Banca (12% circa del capitale), Giovanni Schiavon, e alla presidenza del comitato esecutivo l’economista renziana Carlotta De Franceschi.
Giovanni Schiavon, vicepresidente di Veneto Banca ed ex presidente del Tribunale di Treviso (Balanza)
Giovanni Schiavon, vicepresidente di Veneto Banca ed ex presidente del Tribunale di Treviso (Balanza)
Ma su questa «completa assenza di legami» con la gestione Consoli emerge ora dal passato una possibile controindicazione riguardante l’attuale vicepresidente: quando Schiavon era ancora presidente del Tribunale di Treviso competente sull’istituto di credito, Consoli gli ha destinato in regalo, con soldi e personale e consegne della banca, una bicicletta mountain-bike «Cannondale» da 5.500 euro nell’estate 2009, e un orologio in oro bianco «Vacheron Costantin» da 11.000 euro nell’autunno 2010. Testimoni e appunti manoscritti riconducono gli ordini a Consoli, e le due consegne alla casa del magistrato. E dentro la banca, parlando con propri funzionari, Consoli aveva motivato l’orologio d’oro come un regalo per una persona «molto vicina alla banca» e che «le stava dando una grande mano». Trattandosi ora del nuovo vicepresidente della banca, e all’epoca del presidente del Tribunale di Treviso (dove peraltro per il comandante provinciale della GdF la gestione Consoli, stando a una perquisizione in banca, aveva pronta la proposta di un contratto da 160.000 euro in vista della sua uscita dal Corpo), è evidente la delicatezza della questione. «È una bufala, uno squallore, un’aggressione premeditata e concepita già prima dell’assemblea, io so da chi ma per ora non lo dico», replica Schiavon interpellato ieri sera dal Corriere: «Più volte sono stato richiesto dalla banca di fare conferenze ai suoi dirigenti in materia fallimentare, e non ho mai chiesto una lira di compenso. Probabilmente la banca si è sentita in dovere con me». In che senso probabilmente? Prescindendo dall’eventuale motivo, ha ricevuto o no orologio e bici di quel valore? «Non ritengo di rispondere a queste domande da interrogatorio, tra sì e no c’è tutta una gamma di situazioni».
Un decennio fa Schiavon era stato il capo degli ispettori del ministro della Giustizia leghista Roberto Castelli, il quale nel maggio 2005 lo aveva dimissionato quando sotto l’appello di 150 giuristi contro una riforma della bancarotta era comparsa la firma del magistrato, a detta del quale invece la cacciata era dettata «in realtà dalla lobby che vuole insabbiare gli scandali dei giudici» fallimentari a Roma e Milano.
Nel maggio 2012, poco prima di andare in pensione, Schiavon aveva subìto un processo disciplinare dal Csm, che lo aveva condannato con la sanzione dell’«ammonimento» per aver violato le predefinite tabelle di sostituzione quando in cinque udienze fallimentari (una delle quali su un gruppo trevigiano difeso da uno studio legale col quale collaborava il figlio) come presidente del collegio aveva preso il posto di un giudice in precedenza astenutosi.
27 maggio 2016 (modifica il 28 maggio 2016 | 10:15)