martedì 5 gennaio 2016

Banche e usura: come procurarsi le prove

Banche e usura: come procurarsi le prove

Vincenzo Imperatore
4 Gen 2016

Giustizia civile e giustizia penale: la denuncia per usura dei funzionari di banca.

Perché ciò che è illecito per le banche non trova mai un risvolto penale, un responsabile che paghi una pena? Basta andare sul web e digitare “sentenze usura” per capire quante sconfitte hanno subito gli istituti di credito che hanno dovuto “semplicemente” restituire il maltolto.

La procura di Trani è stata capace di rinviare a giudizio i vertici di Bnl, Unicredit e Banca Popolare di Bari, accusati di aver creato un sistema di tassi di usura con l’avallo della Banca d’Italia (cioè di chi aveva il dovere di controllare) i cui massimi esponenti sono stati anche’essi sottoposti a processo.

Nel 2006, il ministero dell’Interno ha sviluppato e promosso una costosa campagna pubblicitaria d’informazione che invitava le vittime a denunciare l’usura, prospettando il sostegno efficace dello Stato (in particolare delle prefetture) ed una magistratura rapida. Nel corso di circa 10 anni è emerso però che numerose prefetture e molti magistrati abbiano ritenuto la vittima di usura bancaria non una vera “vittima”. Complice anche la giungla di società di consulenza e periti che creano aspettative non veritiere, spesso l’usurato è passato come un “furbastro” che si è inventato un meccanismo per aggirare una difficile situazione economica in cui è caduto per sua incapacità. Eppure, così come confermato dai giudici investigativi di Trani, non dovrebbe esistere differenza di valutazione giuridica fra il comportamento dell’usuraio “comune” – quello che, metaforicamente, vive agli angoli delle strade e brucia l’auto di chi non paga regolarmente gli interessi – e la banca, la quale per ottenere un decreto ingiuntivo, esegue dichiarazioni false, attestanti secondo cui il credito verso il cliente è certo, liquido ed esigibile. La differenza è una sola: mentre l’usuraio rischia la galera e il sequestro della refurtiva, l’istituto non rischia nulla perché, per la maggior parte delle procure italiane, esso non commette reato ma solo illecito civile.

Arrivati a questo punto non dobbiamo accettare per principio ideologico l’idea di una magistratura asservita e poco coraggiosa; i giudici vanno aiutati anche con il nostro coraggio: quello di chi denuncia. Nel marzo del 2015, nel corso della presentazione di “Io so e ho le prove” alla Camera Penale di Napoli, mi sono confrontato con due stimatissimi magistrati, un pubblico ministero e un giudice per le indagini preliminari, che hanno spiegato in maniera semplice come le denunce penali in generale – e quindi anche quelle per usura, comportamento estorsivo, violenza privata, ecc. – vengano archiviate perché mancano due elementi fondamentali per il rinvio a giudizio: l’identificazione soggettiva di chi commette il reato e le prove.
Nel primo caso, sostenere che la banca – genericamente e senza nome e cognome del responsabile – abbia estorto denaro mette in seria difficoltà un magistrato, che in tal caso manifesta incertezza su chi deve innanzitutto interrogare. Il presidente dell’istituto? L’amministratore delegato? Il direttore generale? Il direttore di area? Il direttore di filiale? L’ultimo semplice gestore? Nella consapevolezza che le strategie commerciali vengono decise dall’alto, il consiglio dei magistrati (e anche il mio) è quello di denunciare la persona con cui si ha costantemente il contatto in banca, fosse anche l’ultimo semplice impiegato, in maniera che, interrogato al riguardo, inizi quel processo di “scaricabarile” delle responsabilità che porta quel semplice ultimo gestore a dichiarare di aver ricevuto istruzioni da chi per lui. Fino ad arrivare alla individuazione di uno o più responsabili.

Altro elemento fondamentale, anche questo sottolineato dai due giudici, è il possesso delle prove. L’usura, come qualsiasi altro reato, va provata con una perizia seria, professionale fatta da periti bancari iscritti in appositi albi e non dall’ultimo improvvisato ex intermediario finanziario che ha comprato un software specifico. Non solo, ma va dimostrato anche il comportamento estorsivo o la violenza privata e, a tal proposito, non posso che consigliare quanto più volte ribadito anche nel mio precedente libro: dotatevi di un microregistratore. Uno strumento semplice, che costa poche decine di euro, ma che può far cambiare l’esito delle sentenze. Oppure dovete convincere i testimoni che hanno ascoltato quelle minacce a testimoniare davanti al giudice.