lunedì 30 gennaio 2017

M5S: tassare la creazione di danaro delle banche

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Il governo "Renziloni" non sa come trattare lo spinoso capitolo banche. E oscilla tra una scandalosa connivenza con il ceto dei banchieri (che ha distrutto il settore del credito) e un'incapacità cronica di evitare toppe che siano peggio del buco quando si tratta di proteggere il risparmio.
I portavoce del M5S hanno seguito con attenzione e domande precise le audizioni parlamentari (dalle quali normalmente inizia l'esame di un provvedimento) circa il decreto "salva-risparmio": stiamo mettendo in gioco 20 miliardi di nuovo debito, soldi dei cittadini, per salvare Mps e stabilizzare il sistema bancario. Un governo serio, come minimo, chiederebbe chiarezza sul disastro degli Npl e spingerebbe le autorità di vigilanza a far pagare tutto ai colpevoli. Sarebbe il minimo, prima di metterci i danari delle nostre tasse.
Invece l'esecutivo fa spallucce di fronte agli errori della dirigenza bancaria e al tempo stesso copre nefandezze e mancanze degli organi di vigilanza Bankitalia e Consob.
Così dobbiamo subire l'affronto dell'ad di Siena, Marco Jp Morelli, che resta al suo posto. Anzi, viene in Parlamento e fa pure la parte del buon samaritano che (forse) rinuncia a qualche bonus per il bene, dice lui, della banca che guida (grazie alla ricapitalizzazione dello Stato). Val sempre la pena ricordare che il manager romano, da vicedirettore generale del Montepaschi ai tempi di Mussari e Vigni, raccolse i soldi per portare a termine l'operazione Antonveneta, l'acquisizione che ha mandato al tappeto Siena. Ed è stato sanzionato da Bankitalia per questo, indagato dalla procura senese e poi prosciolto quando il fascicolo passò a Milano.
Poi fa specie sentire da Palazzo Koch che gli obbligazionisti puniti dal decreto di risoluzione delle quattro banche hanno meno diritti sui rimborsi (forfait non per tutti e all'80%, con procedura arbitrale alternativa sparita dai radar) rispetto ai risparmiatori di Mps (100% di risarcimento al retail e 75% agli istituzionali, senza valutare a quanto abbiano in carico i titoli). E ciò soltanto per un presunta condizione finanziaria differente del Montepaschi rispetto a Etruria, Banca Marche e compagnia.
I bond subordinati, con le loro differenti gradazioni di rischio, dovrebbero dare uguali diritti e uguali condizioni a tutti, a prescindere da chi è l'emittente. Altrimenti, siamo al limite dell'incostituzionalità.
A quel punto, però, il M5S ha chiesto: "Avete in mano perizie che permettano di capire se nel caso delle quattro banche e di Mps sia stato rispettato il principio del 'no creditor worse off' (principio secondo cui la risoluzione si può fare se non dà per gli stakeholder esiti peggiori della liquidazione)"? E gli indici usati per dichiarare la posizione di dissesto del Monte in caso di scenario avverso? Anche rispetto, per dire, ad Unicredit?
Carmelo Barbagallo, ossia il capo del dipartimento di Vigilanza di Palazzo Koch, si è stretto nelle spalle: "Presumo che questi documenti ci siano". Poi, rispondendo a una nostra interrogazione, ha spiegato che la perizia c'è per le quattro banche (ma non dice dove sia e come rintracciarla), mentre per Mps ci ha pensato la Bce a fare le valutazioni sui fabbisogni di capitale.
La verità è che Bankitalia e governo misero in risoluzione le quattro banche, nel 2015, sulla base di stime arbitrarie, come il M5S ha sempre sostenuto. Una risoluzione che, tra l'altro, ci è costata non meno di 7 miliardi, visto che ora Via Nazionale ha ammesso candidamente che servirà almeno un altro miliardo e mezzo (soldi di tutte le banche) per chiudere il capitolo aperto il 22 novembre di due anni fa.
Perché sulle quattro banche non si è intervenuti un anno prima, in modo da evitare il dissesto e mettere in piedi una operazione in stile Mps?
Abbiamo chiesto dove fosse stato Palazzo Koch quando certi amministratori distruggevano banche sane, in particolare le quattro risolte, Mps o le popolari venete. Barbagallo ancora ha tentennato e si è nascosto dietro l'alibi dei commissariamenti. Dimenticando di dire che proprio durante la gestione dei commissari gli istituti della risoluzione sono stati portati al collasso.
Il dirigente di Bankitalia ha avuto poi il coraggio di sostenere che le crisi degli intermediari derivano dalle difficoltà di famiglie e imprese, non dal modo di erogare crediti e affidamenti. Una follia: i 186 miliardi di sofferenze lorde registrati a settembre 2016 riguardano, al 78%, prestiti superiori a 250mila euro, che vengono deliberati direttamente da direttori generali, consigli di gestione e Cda. Dunque famiglie e piccole aziende sono parte in causa solamente in scarsa misura. La vera piaga risiede nel legame incestuoso tra banchieri e certa grande impresa, con la benedizione del sistema dei partiti.
Abbiamo sentito dire a Bankitalia che gli istituti dovrebbero recuperare remuneratività. Noi crediamo invece che le banche debbano recuperare il ruolo di intermediari nell'interesse pubblico. E dovremmo iniziare a tassare la creazione di moneta da parte loro, come già proposto recentemente anche in Svizzera. Perché siamo sotto una montagna di liquidità meramente virtuale che ci sta schiacciando.
Con il presidente Consob Giuseppe Vegas siamo passati dalla padella alla brace. Come si fa a sostenere che la sua authority non si sarebbe opposta se le banche avessero emesso gli scenari probabilistici volontariamente? La Consob avrebbe dovuto pretendere uno strumento chiaro a tutela del risparmio. Invece Vegas ne ha sminuito il valore. E come si può accettare che il regolatore dei mercati, su Mps, si lavi la coscienza con 13 sanzioni? A cosa sono servite se siamo arrivati a questo punto? Siamo di fronte a un personaggio impresentabile per quel ruolo, un personaggio la cui continuità con il salottino marcio della finanza italiana ne imporrebbe immediate dimissioni, come chiediamo da tempo.
Il M5S in Parlamento prova a inchiodare questa gente alle proprie responsabilità. Il problema è che le audizioni si trasformano troppo spesso in un vuoto rito pro forma, quando non in farsa. Non si rispettano le prerogative dei parlamentari e gli auditi spesso non replicano in modo puntuale a domande che vengono raccolte in maniera cumulativa e troppo di frequente aggirate.
Noi, però, vi informiamo. Teniamo acceso un faro. Siamo nelle istituzioni anche per questo. Solo una puntuale conoscenza dei fatti dà sostanza al nostro status di cittadini.