mercoledì 19 ottobre 2011

MES, la nuova dittatura europea, ratifica entro il 31 dicembre

Source: http://www.comite-valmy.org/spip.php?article1960
14 ottobre 2011, Rudo de Ruijter, video de Jozeph Muntenbergh
Trad. Nicoletta Forcheri

Un nuovo trattato trattato europeo, di cui nessuno ha sentito parlare? Ebbene si. E' un trattato che riguarda tutti i paesi dell'eurozona. E non è un caso che nella maggior parte dei paesi interessati non circoli assolutamente alcuna informazione su questo trattato. La ragione è che è molto pericoloso per i cittadini! Non dovreste saperne niente prima che le cose non siano diventate definitive!

Il trattato istituisce una nuova amministrazione europea, chiamata Meccanismo Europeo di Stabilità (MES): da non confondere con i predecessori, i fondi di soccorso europei MESF e FSFE, di cui si sente molto parlare nei telegiornali in questi giorni !!! Il FSFE è dotato di massimo 440 miliardi attualmente, ossia 1320 euro per euro-cittadino.

Il MES sostituirà i due precedenti e avrà la facoltà di svuotare le Casse degli Stati quando e tutte le volte lo vorrà. Il MES non ha limiti. Il Consiglio del MES sarà composto dai 17 ministri delle Finanze che ne diventeranno i Governatori. Sono loro che prenderanno le decisioni. I parlamenti nazionali non avranno voce in capitolo sul MES, né sui suoi Governatori che godranno di una totale immunità (come del resto tutti i suoi dipendenti).

Fino a oggi Bruxelles ha reso pubblico un unico esemplare del trattato... in inglese! (il 96,5%della popolazione dell'eurozona parla altre lingue!).

TRATTATO CHE ISTITUISCE IL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA' (ESM)

http://consilium.europa.eu/media/1216793/esm%20treaty%20en.pdf

E' stato firmato l'11 luglio 2011. Curiosamente nessun giornale francese o internazionale vi ha consacrato il sia pur minimo titolo. Il trattato diventerà definitivo dopo la ratifica dei parlamenti nazionali. Normalmente tali ratifiche sono una semplice formalità ed è poco probabile che i deputati abbiamo già capito che il testo significa la fine del potere supremo del parlamento, quello di decidere il bilancio. E quando le Casse saranno vuote, anche noi dovremo stringerci la cintura sempre di più per salvare l'euro e le banche.

Bruxelles vuole che i Parlamenti dell'eurozona diano il loro accordo entro il 31 dicembre 2011.

Se agiamo rapidamente, possiamo ancora allertare l'opinione pubblica e tentare di impedirne la ratifica.

Articolo di Rudo de Ruijter

video di Jozeph Muntenbergh

Sous-titrée en français




Link a YouTube : http://www.youtube.com/watch ?v=rFTbIGahzhU

E' questo il futuro dell'Europa? E' questa la nuova UE?


Una Europa senza democrazia sovrana ?


E' questo che volete ?

Se non lo volete, inviate le petizioni per email ai membri del vostro Parlamento.

Per la Germania tramite Abgeordnete.de

Il trattato diventa definitivo quando i parlamenti dei 17 paesi dell'eurozona lo avranno ratificato. Le ratifiche dovranno avvenire entro il 31 dicembre 2011.

Che aberrazione è mai questa ?

Questa è stata la mia reazione quando vidi per la prima volta il video. Non è possibile una cosa simile!!! Un'organizzazione che può svuotare le casse degli Stati così? Viviamo in un paese democratico o no? Ho tuttavia fatta la ricerca dei testi ufficiali, è nel Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di Stabilità (MES).

TREATY ESTABLISHING THE EUROPEAN STABILITYMECHANISM (ESM) http://consilium.europa.eu/media/1216793/esm%20treaty%20en.pdf

Si possono ritrovare facilmente gli articoli citati nel video (dalla pagina 19). Per il resto del trattato, non ho potuto scoprire niente che potesse limitare questo potere dittatoriale in alcun modo. Ne ho ancora la pelle d'oca!

Ma com'è possibile nel contesto dei trattati dell'Unione europea? E' un ampliamento illegale delle competenze dell'Unione! Cercando ulteriormente, sembrerebbe che siano intervenute tante decisioni discrete, prese rapidamente per rendere «possibile» l’attuazione di questo MES.

Sono sicuro che se dei politici in Francia volessero creare un club, con la prerogativa di potere svuotare le casse dello Stato quando vuole e quanto vuole, non riuscirebbe a ottenere gli adeguamenti di legge necessari, neanche dopo vent'anni! Ma la burocrazia bruxellese riesce persino ad adeguare i trattati in fretta e furia per effettuare il golpe in diciassette paesi contemporaneamente !!!
Lo sprint Bruxellese

Il 17 dicembre 2010 il Consiglio europeo aveva deciso che vi era bisogno di un meccanismo di stabilità permanente per rilevare i compiti del Meccanismo europeo di Stabilità finanziaria (MESF) e della Facilità di Stabilità Finanziaria europea (FSFE). Sono più noti in inglese come European Financial Stabilisation Mechanism (EFSM) e European Financial Stability Facility (EFSF). Sono due organismi costituiti tempestivamente, rispettivamente a maggio e a giugno del 2010 per erogare prestiti ai paesi troppo indebitati. Tuttavia per questi organismi mancava una base legale.

Si noti che queste due organizzazioni erano concepite esplicitamente per interventi finanziari ma l'emendamento nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea per istituire il MES consente anche d'istituire altri organismi in qualsiasi altro settore.

L'emendamento giunge il 25 marzo 2011. Per evitare di dovere organizzare nuovamente dei referendum in Europa, si riferiscono all'articolo 48,6 del Trattato dell'Unione europea, che consente al Consiglio europeo di decidere le modifiche negli articoli del trattato purché non comportino un ampliamento delle competenze dell'Unione. (Queste decisioni devono ciononostante essere ratificate dai parlamenti nazionali, con quella che è normalmente non di più di una semplice formalità.) L'emendamento consisteva nell'aggiunta apparentemente innocente a un paragrafo dell'articolo 136. In breve l'aggiunta stipula che «i paesi dell’UE che utilizzano l'euro sono autorizzati a istituire un meccanismo di stabilità per salvaguardare la stabilità dell'eurozona nel suo insieme». Qua non si tratta quindi più esplicitamente di stabilità finanziaria, ma anche di repressione degli scontri, di sorveglianza dei cittadini vivaci o di lotta contro qualsiasi elemento destabilizzante per l'eurozona, che potrà ai sensi dell'emendamento essere deferito di fronte ai nuovi enti europei.

In altre parole l'emendamento costituisce sicuramente un ampliamento delle competenze dell'UE. E' quindi contrario all'articolo 48.6 del Trattato dell'Unione europea. Ciononostante nessun ministro e nessun parlamento nazionale ha fatto un cenno a Bruxelles dove continuano tranquillamente e rapidamente a redigere il trattato del MES.

Il 20 giugno 2011 i parlamenti nazionali autorizzavano che i compiti del trattato del MES sarebbero effettuati dall'UE e dalla Banca centrale europea.

L'11 luglio 2011 il trattato era firmato. Benché la firma fosse annunciata quel giorno dall'apertura di una conferenza stampa cui assistevano decine di giornalisti, il giorno dopo non si è potuto trovare nessun titolo sulla firma di questo nuovo trattato europeo né sui giornali francese né sui giornali stranieri. Era forse perché Juncker l'aveva annunciato in francese... prima di continuare la conferenza stampa in inglese?

Attualmente il trattato è in attesa di ratifica da parte dei parlamenti nazionali: la ratifica deve avvenire tra qui e il 31 dicembre 2011.

Il trattato non è ancora entrato in vigore che già si tratta della necessità di aumentarne il capitale da 700 miliardi (2100 euro per cittadini dell'eurozona) a 1500 o a 2000 miliardi e cioè tra due a tre volte tanto.

Secondo il testo del trattato dovrebbe entrare in vigore a giugno 2013 ma adesso vogliono farlo per il 2012.
Logicamente chiederanno ai parlamenti che accelerino sui tempi di ratifica del trattato. In Germania il soggetto è dibattuto già. Apparentemente è necessaria un’accelerazione poiché un numero di tedeschi sempre maggiore si sta svegliando!
Se vogliamoimpiegare l’ultimo cavallo democratico per impedire l’avvento di questa dittatura, dobbiamo rapidamente risvegliare il maggior numero di cittadini e inviare il maggior numero di lettere e di mail di protesta ai deputati, ai politici e ai partiti politici (vedi lista di indirizzo sotto). Aspettare che alter persone lo facciano è un atteggiamento catastrofico allo stato attuale delle cose.

Se avete contatti all’estero, inviate loro le informazioni: nella maggior parte dei paesi dell’euro si sa poco o niente al riguardo.

Non appena si siede al trono un dittatore, lo si scaccia non prima di 30 anni e non vogliamo imporre questo ai nostri figli, vero?

Photos pour la postérité




Serie di poto di persone a cui si chiederà un giorno perché hanno messo fine alle democrazie sovvrane in Europa…

Link verso la sessione di 30 foto:

http://consilium.europa.eu/council/photographic-library.aspx ?command=PIC&pic=1&bid=170&lang=en&rubrique=3736&dateEvent=11/07/2011&id=&picid=60bec2d5-00c7-43eb-8822-7970df493f13

Il seguito al sito: http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=27074

Aristocrazie della speculazione e potere di creare moneta


Aristocrazie della speculazione e potere di creare moneta
di Gaetano Colonna - 18/10/2011

Fonte: Clarissa

Presentiamo ai lettori di Clarissa la traduzione integrale di un lungo e documentatissimo reportage della prestigiosa rivista Bloomberg News, specializzata nelle analisi di carattere finanziario.
Si tratta di un vero e proprio studio sui rapporti, durante la grave crisi finanziaria in atto, fra le principali banche internazionali, americane ed europee, e la Federal Reserve americana, la banca centrale statunitense, intorno alla quale ruotano i più importanti rapporti dell'alta finanza globalizzata del nostro tempo.
Sottolineiamo il fatto che quanto apprendiamo grazie alla coraggiosa iniziativa di Bloomberg era rimasto fino ad ora segreto ed alla sua divulgazione la Fed stessa si è opposta tenacemente per bene due anni, fino cioè a quando, in base alla legge americana che impone la pubblicazione di molti documenti pubblici (il Freedom of Information Act), Bloomberg è riuscita ad ottenere da un tribunale americano l'accesso ai database contenenti i dati sui prestiti.
Quando si parla pertanto di "opacità dei mercati finanziari" non dimentichiamo di includere in essa le gravi reticenze degli stessi cosiddetti regolatori del sistema. Tale opacità non può tuttavia sorprendere, qualora si consideri, cosa che spesso viene trascurata, la natura del sistema della Fed, così come di altre similari istituzioni, che il cittadino ritiene erroneamente poste a garanzia del controllo pubblico sulla moneta che utilizziamo tutti i giorni. Non è così.
La Federal Reserve Usa, nota come Fed, in realtà è un sistema privato, articolato su dodici Federal Reserve Districts, ognuno dei quali dispone di una Federal Reserve Bank: è ben noto, ad esempio, che la Federal Reserve Bank di New York, a causa della presenza in questo distretto di alcune delle principali banche del mondo, ha un peso tecnico e politico molto superiore alle Federal Reserve Bank degli altri distretti.
Il sistema, costituito con il Federal Reserve Act approvato il 23 dicembre 1913, durante l'amministrazione del presidente Woodrow Wilson, poi modificato non sostanzialmente nel corso degli anni, non ha alcun carattere pubblico, in quanto le banche che ne fanno parte sono tutte private e detengono in quote societarie la proprietà delle singole Federal Reserve Bank, che hanno tutte veste giuridica di società per azioni. Questo aspetto in particolare, nel corso della storia del Federal Reserve System, ha suscitato e continua a suscitare forti opposizioni contro il sistema, del quale è quindi pacifico il carattere privatistico, come è stato riconosciuto ad esempio nel 1983 dal tribunale della nona circoscrizione giudiziaria della California nel caso "Lewis contro gli Stati Uniti" che ha definito la Fed come "un'organizzazione privata di società per azioni, rivolta al conseguimento di un profitto". Il personale del sistema Fed, del resto, non dipende né dall'autorità pubblica degli Stati né da quella del governo federale americano.
Il peso delle banche private è del resto ben evidenziato dalla struttura decisionale del sistema, che vede per ogni banca di distretto un consiglio direttivo composto da nove governatori, suddivisi in tre tipologie: categoria A, tre direttori nominati dalle banche azioniste; categoria B, tre direttori espressione del mondo economico-finanziario privato; categoria C, di nomina politica, ma privi di poteri in materia monetaria. È pur vero che esiste poi un Federal Reserve Board centrale, i cui membri sono nominati dal Presidente degli Usa, e confermati dal Senato degli Stati Uniti, ma tale comitato non ha reale potere di controllo, oltre ad essere in genere composto da personalità provenienti dal mondo dell'alta finanza statunitense.
Annualmente poi il sistema Fed deve presentare al Congresso degli Stati Uniti un rapporto sulla propria attività, ma, come vedrete leggendo il reportage qui presentato, fino all'azione legale di Bloomberg i dati più delicati restano coperti dal massimo riserbo, al punto che l'esatta struttura delle quote azionarie detenute dalle banche americane nella Fed, ad esempio, rappresenta tuttora un dato estremamente riservato.
Correttamente, quindi, la stessa brochure di presentazione scaricabile dal sito internet della Fed, testualmente afferma: "il Federal Reserve System è considerato come una banca centrale indipendente, in quanto le sue decisioni non devono essere ratificate né dal Presidente né da alcun altro organo esecutivo del governo" (The Federal Reserve System - Purposes and Functions, Washington, 2005).
Non sembra più paradossale a questo punto che le banche socie della Fed (secondo i dati ufficiali, al marzo 2004, su 7.700 banche commerciali presenti negli Usa, 2.900 erano socie della Fed, di cui 2.000 di livello statale e 900 di livello nazionale), non solo hanno ottenuto i 1.200 miliardi di aiuti segreti di cui parla Bloomberg, ma hanno altresì tratto profitti dai prestiti di emergenza, anche quelli pubblicamente dichiarati, come informava l'agenzia Reuters già l'8 ottobre 2008:
"La U.S. Federal Reserve ha ottenuto un strumento tattico chiave dal pacchetto di aiuti finanziari di 700 miliardi di dollari rivenuto legge venerdì scorso, che l'aiuterà a indirizzare fondi ai mercati del credito ormai prosciugati. Nascosto nelle 451 pagine della legge, c'è un provvedimento che consente alla Fed di pagare interessi sulle riserve che le banche sono obbligate a tenere presso la banca centrale".
La lettura del reportage, quindi, è fondamentale perché ci dà conto chiaramente di come sia avvenuto il progressivo travaso della crisi finanziaria dai bilanci delle banche ai bilanci dei Paesi e di come dunque l'attuale crisi del cosiddetto "debito sovrano" sia la fase logicamente e tecnicamente conseguente ai provvedimenti adottati nel 2008, rivolti appunto a preservare a tutti i costi istituzioni finanziarie private che, per dimensioni e potere, non dovevano fallire: si sono quindi riversate sui cittadini le perdite delle banche, finanziandole senza misura, dal momento in cui è apparso ben chiaro che la bolla speculativa dei derivati, dei titoli spazzatura, dei fondi speculativi ad alto rischio, aveva di fatto cancellato la maggior parte delle risorse reali del sistema finanziario internazionale.
È sintomatico notare infatti che sui cosiddetti mercati finanziari aperti non si riuscivano più a reperire risorse, per l'ovvia circostanza appunto che chi doveva sapere era perfettamente edotto del fatto che, esplosa la bolla dei mutui subprime, nessuno era più disponibile a sostenere ulteriormente il gioco: questo spiega la vampata speculativa del 2008 sulle commodities agricole ed energetiche, ad esempio, e la corsa ai titoli di Stato ovunque nel mondo - come soli strumenti di rifugio per i capitali speculativi superstiti.
È del pari sintomatico il fatto che, come hanno documentato una nutrita serie di articoli del Sole 24 Ore italiano nel corso del 2011, la speculazione non si è affatto arrestata, ed anzi i volumi delle transazioni speculative si sono rapidamente riavvicinati a quelli prima della crisi: prova evidente del fatto che la copertura offerta dalla Fed e dalle altre istituzioni cosiddette "pubbliche" (che, come abbiamo appena visto, in realtà tali non sono), è stata perfettamente compresa, nel suo significato politico, dalla speculazione. Per cui si poteva continuare su questa strada senza rischi eccessivi: il cosiddetto prestatore "di ultima istanza" era pronto a coprire le perdite delle banche, attingendo alle tasche dei cittadini.
La Fed, e le altre istituzioni "centrali", hanno quindi rappresentato il necessario punto tecnico di passaggio per trasformare la bolla speculativa in debito pubblico, cioè debito di tutti i cittadini. La scelta politica è chiaramente dimostrata dal reportage di Keoun e Kuntz: con quei 1.200 miliardi di dollari si sarebbero potuti riscattare tranquillamente, per decisione pubblica, tutti i mutui incagliati delle famiglie americane. Era quindi tecnicamente possibile sanare i debiti dei cittadini (come anticamente fece Solone ad Atene con la seisachteia, per ricostituire pace e dignità civile nella città), invece di finanziarie quelli delle banche: si è preferito stigmatizzare l'irresponsabilità dei cittadini indebitati, dimenticando che, in un sistema economico moralmente sano, la responsabilità maggiore è certamente di chi offre denaro a chi sa essere impossibilitato a pagare, soprattutto quando chi lo offre, offre denaro non suo, come nel caso dei raffinati strumenti speculativi costruiti nel corso degli ultimi due decenni.
La Fed, quindi, ha creato moneta nei modi già descritti nel 1960 da Wright Patman, presidente dello House Banking and Currency Committee americano, che definiva la Federal Reserve una total money-making machine (una macchina stampa-soldi totale) e scriveva: "Quando la Federal Reserve scrive un assegno per comprare buoni del tesoro fa esattamente quello che fanno tutte le banche, creare puramente e semplicemente moneta scrivendo un assegno". Patman sapeva bene quello che diceva, dato che il 30 settembre 1941, nel corso di un'audizione della commissione da lui presieduta, si era svolto questo dialogo tra lui ed il governatore della Federal Bank of New York, Marriner Eccles:
"Patman: Come ha ottenuto il denaro per comprare questi due miliardi di dollari in buoni del Tesoro americano nel 1933?
Eccles: Li abbiamo creati.
Patman: Da dove?
Eccles: Dal diritto di fornire denaro per il credito (to issue credit money).
Patman: E non c'era altro dietro questo denaro, non è vero, a parte il credito del nostro governo?
Eccles: Questo è il nostro sistema monetario. Se nel nostro sistema monetario non ci fossero debiti, non ci sarebbe denaro."
Il fatto è che questo debito, proprio a motivo della garanzia offerta dagli Stati, diventa debito di tutti i cittadini produttivi, aggiungendosi ai debiti che alcuni di essi, come nel caso dei mutui subprime, possono avere inopportunamente assunto.
Crediamo utile rendere leggibile al pubblico italiano il bel reportage di Keoun e Kuntz, nel momento in cui i provvedimenti che gli Stati europei stanno adottando andranno a riversare su tutti noi il peso delle perdite della speculazione dell'alta finanza internazionale, trasformato in debito pubblico attraverso gli abituali meccanismi moderni di creazione della moneta. Risulterà in tal modo, speriamo, più chiaro come, ancora una volta nella storia degli ultimi due secoli, la speculazione debba essere riscattata dal lavoro onesto di quanti non dispongono del potere di creare moneta, il potere che solo tiene ancora in piedi, nonostante più di un secolo di fallimenti, l'aristocrazia di Wall Street, il potere che senza merito la rende, come abbiamo visto altrove, masters of the universe .
Speriamo che da letture come questa cominci a diffondersi fra i cittadini una domanda semplice ma essenziale: perché mai il potere di battere moneta non viene affidato al lavoro, invece che all'aristocrazia della speculazione?


L'aristocrazia di Wall Street ha ottenuto 1200 miliardi di dollari dalla Fed in prestiti segreti
Bradley Keoun, Phil Kuntz - Bloomberg

Citygroup e Bank of America erano i campioni incontrastati delle finanza, nel 2006, quando i valori americani erano al loro massimo, al primo posto fra le 10 maggiori banche e società finanziarie americane nel migliore anno dei loro profitti, giunti a 104 miliardi di dollari.
Nel 2008, il collasso del mercato immobiliare ha costretto queste aziende a prendere prestiti di emergenza dalla Federal Reserve Usa per un ammontare di sei volte quei profitti, pari a ben 669 miliardi di dollari. I prestiti fanno sembrare niente i 160 miliardi di dollari che le top ten hanno ottenuto dal Tesoro degli Stati Uniti, nonostante fino ad ora l'intero ammontare di questi aiuti sia rimasto segreto.
Nello sforzo senza precedenti del presidente della Fed, Ben S. Bernanke, di evitare che l'economia precipitasse nella depressione, sono stati inclusi 1.200 miliardi di dollari di denaro pubblico per banche ed altre società finanziarie, quasi la stessa cifra di cui le famiglie americane sono attualmente debitrici a fronte di 6,5 milioni di mutui truffaldini e fallimentari. Il più grande beneficiario, Morgan Stanley, ha percepito 107,3 milioni di dollari, mentre Citygroup ne ha presi 99,5 e Bank of America 91,4, secondo l'elenco che Bloomberg News ha ottenuto grazie alla richiesta ai sensi del Freedom of Information Act, a mesi di cause e ad un atto del Congresso.
"Sono tutte cifre enormi", dice Robert Litan, ex funzionario del ministero della giustizia che nel 1990 ha fatto parte di una commissione che indagava sulle cause della crisi dei prestiti e delle assicurazioni. "Stiamo parlando dell'aristocrazia della finanza americana che va in malora senza il denaro federale".
Non si tratta solo di finanza americana. Almeno metà dei 30 maggiori beneficiari in ordine di valore massimo sono banche europee. Comprendono infatti la Royal Bank of Scotland di Edimburgo, che ha ottenuto in totale 84,5 miliardi di dollari, il maggiore beneficiario non statunitense, la Ubs di Zurigo, con 77,2 miliardi. La tedesca Hypo Real Estate ha ottenuto altri 28,7 miliardi, una media di 21 milioni di dollari per ognuno dei suoi 1.366 dipendenti. I maggiori beneficiari comprendono anche Dexia, la maggiore banca belga per capitalizzazione e la Société Générale, con sede a Parigi, la cui crescita del valore di contro-assicurazione delle sue azioni lo scorso mese ha fatto pensare che gli investitori stessero speculando sul fatto che il dilagare della crisi del debito sovrano in Europa poteva aumentare le sue possibilità di fallimento.
Il picco di 1.200 miliardi di dollari del 5 dicembre 2008 (risultante dai sette programmi di intervento conteggiati da Bloomberg) era almeno tre volte il deficit federale Usa di quell'anno, superiore al totale delle entrate delle banche assicurate dal governo americano nel decennio 2000 - 2010, secondo i dati elaborati da Bloomberg. Questo totale è oltre 25 volte il massimo ammontare dei prestiti della Fed, 46 miliardi di dollari il 12 settembre 2001, cioè il giorno dopo l'attacco terroristico al World Trade Center di New York ed al Pentagono. Calcolato in biglietti da un dollaro, i 1.200 miliardi di dollari riempirebbero 539 piscine olimpioniche.
La Fed ha dichiarato "nessuna perdita dai prestiti" in nessuno dei suoi programmi di emergenza, e una relazione dell'ufficio della Federal Reserve Bank di New York [una delle banche Usa che compongono la Fed americana, N.d.T.] afferma che la banca centrale ha guadagnato 13 miliardi di interessi e commissioni dal programma di aiuti, dall'agosto 2007 al dicembre 2009.
"Abbiamo concepito i nostri come programmi di emergenza ad ampio raggio, sia per contenere efficacemente la crisi sia per ridurre il rischio dei contribuenti americani", dice James Cloude, vice-direttore del dipartimento affari monetari della Fed a Washington. "Quasi tutti i nostri programmi di prestito di emergenza sono stati conclusi. Non abbiamo avuto e non ci attendiamo perdite".
Se è vero che la recessione americana di diciotto mesi, conclusasi nel giugno 2009 con una riduzione di 5,1 punti percentuale nel Pil, non è nemmeno lontanamente paragonabile con il calo di ben il 27 per cento di quella di quattro anni fra l'agosto 1929 ed il marzo 1933 [si tratta del periodo iniziale della Grande Depressione che colpì gli Usa e il mondo occidentale, tuttora considerata la più grave crisi del capitalismo occidentale, NdT], le banche e l'economia restano sotto stress. Le probabilità di una nuova recessione sono aumentate nel corso degli ultimi sei mesi, secondo cinque degli economisti del Business Cycle Dating Commitee del National Bureau of Economic Research, un gruppo di valutazione accademico che elabora stime sulle recessioni.
Il costo della contro-assicurazione sulle azioni della Bank of America è aumentato la scorsa settimana fino a 342.040 dollari, per un anno di copertura su 10 miliardi di dollari di debito, al di sopra di quanto era valutata la contro-assicurazione per le azioni Lehman Brothers all'inizio della settimana prima del suo fallimento. Le azioni di Citygroup vengono trattate al di sotto del prezzo medio di aggiustamento di 28 dollari che avevano raggiunto nel gennaio 2009, quando i prestiti della Fed sono arrivati al loro picco. Il tasso di disoccupazione Usa è stato in luglio del 9,1 per cento, rispetto al 4,7 per cento del novembre 2007, vale a dire prima dell'inizio della recessione. La famiglie americane sono in ritardo di oltre trenta giorni nel pagamento dei loro mutui nel caso di 4,38 milioni di immobili negli Usa; altri, 2,16 milioni di proprietà sono pignorate, rappresentando un capitale non restituito di 1,27 miliardi di dollari, secondo Lender Processing Services, una società di Jacksonville in Florida.
"Per quale mai ragione la Fed sembra in grado di trovare il modo di aiutare queste istituzioni, che sono gigantesche?", ha dichiarato il 1° giugno scorso Walter B. Jones, deputato repubblicano della North Carolina nel corso di una audizione a Washington sulle rivelazioni sui prestiti della Fed. "Queste banche hanno ottenuto aiuti quando la media degli imprenditori da noi nella North Carolina orientale, e probabilmente ovunque in America, non riesce nemmeno ad ottenere un prestito da una banca con cui lavorano da 15 o 20 anni!".
Le dimensioni effettive dei prestiti della Fed riaprono la questione dei requisiti minimi di liquidità che i regolatori globali hanno concordato di imporre per la prima volta alle banche, dice Litan, ora vice presidente della Fondazione Kauffman, con sede a Kansas City nel Missouri, che sostiene la ricerca imprenditoriale. La liquidità fa riferimento ai fondi di cui le banche necessitano quotidianamente per operare, compreso il denaro contante per coprire eventuali ritiri di depositi da parte dei correntisti.
Le regole, che impongono alle banche di tenere denaro contante e patrimoni immediatamente smobilizzabili per affrontare una crisi di 30 giorni, non entrerà in vigore fino al 2015. Un altro requisito richiesto ai prestatori, vale a dire la "stabile disponibilità di fondi" per un lasso di tempo di un anno è stato rinviato fino almeno al 2018, dopo che le banche hanno dimostrato che avrebbero dovuto contrarre nuovi debiti a lungo termine per 6 miliardi di dollari per soddisfare questo requisito.
I decisori "non stanno andando abbastanza avanti per evitare che tutto ciò capiti di nuovo", dice Kenneth Rogoff, un ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale (IMF) e ora professore di economia all'Università di Harvard.
Le riforme adottate dall'inizio della crisi potrebbero non essere in grado di isolare i mercati e le istituzioni finanziarie americane dalla crisi del bilancio e del debito pubblico che stanno affrontando Grecia, Irlanda e Portogallo, secondo il Financial Stability Oversight Council americano, un'organismo di dieci membri creato con il Dodd-Frank Act, guidato dal Segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner. "La recente crisi finanziaria fornisce un'efficace dimostrazione di quanto rapidamente si possa erodere la fiducia e di come il contagio finanziario possa diffondersi", ha scritto il Council in un suo rapporto del 26 luglio scorso.
Qualsiasi nuovo intervento di aiuto da parte della banca centrale statunitense dovrebbe essere governato dalle normative sulla trasparenza adottate nel 2010, che impongono alla Fed di rendere noti dopo due anni i nomi delle istituzioni beneficiarie dei suoi prestiti. I funzionari della Fed hanno sostenuto per più di due anni che indicare le identità dei beneficiari e le condizioni dei prestiti avrebbe messo le banche in cattiva luce, influenzando negativamente i prezzi delle azioni o provocando una corsa al ritiro dei fondi da parte dei correntisti. Un gruppo delle più grandi banche commerciali ha chiesto lo scorso anno alla Corte Suprema degli Stati Uniti di mantenere almeno in parte il segreto sui prestiti della Fed. In marzo, l'alta corte ha respinto la richiesta di appello e la banca centrale ha rilasciato una quantità di informazioni senza precedenti.
I dati, presi qua e là tra le 29.346 pagine di documenti ottenute sulla base del Freedom of Information Act e da altre basi di dati relative a oltre 21.000 transazioni, rendono chiaro per la prima volta quanto profondamente le maggiori banche mondiali dipendano dalla banca centrale americana per evitare crisi di liquidità. Anche se le società finanziarie hanno sempre sostenuto nei loro comunicati stampa e nelle loro audizioni di disporre di ampia liquidità, esse in realtà ottenevano in segreto fondi dalla Fed, per evitare di essere bollate come deboli.
Due settimane dopo la bancarotta della Lehman, nel settembre 2008, Morgan Stanley, per contrastare le preoccupazioni secondo cui sarebbe stata la prossima a fallire, annunciò "di avere solide posizioni di capitalizzazione e liquidità". L'affermazione, contenuta in un comunicato stampa del 29 settembre 2008, relativa ad un investimento di 9 miliardi di dollari da parte della Mitsubishi UFJ di Tokio, non faceva alcun cenno ai prestiti della Fed a Morgan Stanley.
Era lo stesso giorno del picco di 107,3 miliardi di dollari di prestiti dalla banca centrale, per cui era questa la fonte di praticamente tutta la liquidità a disposizione della Morgan Stanley, secondo i dati ed i documenti resi pubblici oltre due anni più tardi dalla Financial Crisis Inquiry Commission. Il suo ammontare era tre volte i profitti complessivi della società nel corso del decennio precedente, come mostrano i dati elaborati da Bloomberg.
Mark Lake, portavoce di Morgan Stanley di New York, afferma che la crisi ha fatto sì che l'industria "riconsiderasse dalle fondamenta" il proprio modo di gestire il contante. "Abbiamo tenuto conto delle lezioni apprese in quel periodo e le abbiamo applicate al nostro programma di gestione della liquidità per proteggere l'operatività sia degli agenti sia dei clienti", sostiene Lake. Non ha voluto dire che tipo di cambiamenti la banca ha messo in atto.
Nella maggior parte dei casi, la Fed ha richiesto garanzie: buoni del tesoro, azioni di aziende o titoli garantiti da mutui, che potessero essere confiscate e vendute nel caso in cui il denaro non venisse restituito. Ciò significava che il maggior rischio per la banca centrale era che le garanzie offerte dalle banche, in caso di fallimento, avrebbero avuto un valore inferiore a quanto ottenuto in prestito.
Via via che la crisi si acuiva, la Fed ha allentato i suoi standard di stima sulle garanzie ritenute accettabili. Di norma, la banca centrale accetta solo titoli con il maggiore livello di affidabilità, come i buoni del tesoro Usa. Alla fine del 2008, accettava anche junk bonds [i cosiddetti "titoli spazzatura", basati su crediti considerati non più esigibili, per lo più derivanti dalla bolla dei mutui immobiliari accesi da debitori non in grado di onorarli, NdT], quelle considerate al di sotto del valore minimo. Arrivò a includere azioni della banca, che sono le prime a perdere di valore in caso di una sua liquidazione.
Morgan Stanley ottenne prestiti per 61,3 miliardi di dollari da un programma della Fed nel settembre 2008, fornendo garanzie per 66,5 miliardi di dollari, secondo i documenti della Fed. Le garanzia offerte comprendevano 21,5 miliardi di azioni, 6,68 miliardi di titoli a bassissimo rating e 19,5 miliardi di beni con "rating sconosciuto", secondo i documenti. Circa il 25 per cento delle garanzie erano a prevalenza estera.
"Quello che state vedendo è la disponibilità a fare prestiti a fronte praticamente di niente", dice Robert Eisenbeis, ex direttore della Federal Reserve Bank di Atlanta e ora capo economista monetario ad Atlanta della Cumberland Advisors, con sede in Sarasota, Florida. L'assenza di alternative sul mercato privato mostra quanto fossero scettici i partner commerciali ed i correntisti sul valore dei capitali e delle garanzie bancarie, dice Eisenbeis.
"I mercati erano proprio completamente chiusi", dice Tanya Azachars, ex capo della analisi bancaria di Standard & Poor's e attualmente consulente indipendente di Briarcliff Manor di New York. "Se avevate bisogno di liquidità, c'era un posto solo dove andare".
Persino banche che sono sopravvissute alla crisi senza iniezioni di capitali governativi sfruttavano i programmi di aiuto della Fed garantiti confidenzialmente. La Barclays di Londra ottenne 64,9 miliardi di dollari, la Deutsche Bank di Francoforte 66 miliardi. Sarah MacDonald, portavoce di Barclays, e John Gallagher, portavoce di Deutsche Bank, si sono rifiutati di rilasciare commenti.
Mentre i programmi di prestito di ultima istanza in genere applicano ratei di interesse al di sopra dei valori di mercato, per evitare che la richiesta di questo tipo di prestiti divenga abituale, questa pratica fu interrotta durante la crisi. Il 20 ottobre 2008, ad esempio, la banca centrale fu pronta a fornire un prestito di 113,3 miliardi di dollari per 28 giorni sulla base del programma Term Auction Facility al tasso dell'1,1 per cento, secondo una notizia di stampa. Il tasso era inferiore di un terzo rispetto al 3,8 per cento che le banche praticavano reciprocamente per prestiti di un mese in quel giorno. La Bank of America e Wachovia ottennero ciascuna 15 miliardi di dollari all'1,1 per cento dei prestiti TAF, seguite dalla unità RBS Citizens Nord America della Royal Bank of Scotland, che ottenne 10 miliardi di dollari, come mostrano i dati Fed.
JPMorgan Chase, prestatore che ha vantato il suo "bilancio solido come una fortezza" almeno sedici volte in comunicati e conferenze stampa, dall'ottobre 2007 al febbraio 2010, ottenne 48 miliardi di dollari nel febbraio 2009 in base al TAF. Lo strumento, creato nel dicembre 2007, fu una temporanea alternativa alla discount window, il programma, antico di 97 anni, concepito per aiutare le banche in caso di crisi di liquidità.
Goldman Sachs, che nel 2007 era la compagnia di assicurazioni finanziarie più redditiva di Wall Street, prese in prestito 69 miliardi di dollari dalla Fed il 31 dicembre 2008. Tra i programmi che la Goldman Sachs di New York ha utilizzato dopo la bancarotta della Lehman c'è stato il Primary Dealer Credit Facility (PDCF), concepito per prestare denaro a società di intermediazione non autorizzate ad utilizzare i programmi di prestito alle banche della Fed. Michael Duvally, portavoce della Goldman Sachs, si è rifiutato di commentare.
I salvagenti Fed per la liquidità possono accrescere la possibilità che le banche si assumano rischi eccessivi con il denaro ottenuto in prestito, sostiene Rogoff. Un tale fenomeno, noto come rischio morale (moral hazard), si verifica se le banche ritengono che la Fed sarà anche allora pronta a supportarle, afferma. La dimensione dei prestiti alle banche "mostra certamente che gli interventi di salvataggio della Fed erano su diversi piani molto più ampi del TARP", dice Rogoff.
Il TARP è il Troubled Asset Relief Program del ministero del Tesoro, un fondo di intervento per le banche di 700 miliardi di dollari, che ha fornito iniezioni di capitale per 45 miliardi di dollari ciascuna a Citygroup e Bank of America e di 10 miliardi di dollari a Morgan Stanley. Dato che la gran parte degli investimenti del Tesoro erano realizzati in forma di titoli privilegiati, venivano considerati più rischiosi dei prestiti della Fed, un tipo di debito più impegnativo.
A dicembre 2010, in risposta al Dodd-Frank Act, la Fed rese note 18 basi di dati contenenti il dettaglio dei suoi programmi temporanei di prestiti di emergenza. Il Congresso ne richiese la pubblicazione dopo che la Fed nel 2008 aveva respinto la richiesta, da parte del reporter di Bloomberg News Mark Pittman e di altre società di mass-media che cercavano di conoscere i dettagli dei suoi prestiti, sulla base del Freedom of Information Act. Dopo avere lottato per tenere questi dati segreti, la banca centrale ha reso pubbliche informazioni senza precedenti sulla propria discount window ["finestra di sconto", lo strumento di prestito, in genere a breve termine, che la Fed e altre cosiddette banche centrali mettono a disposizione di selezionate istituzioni bancarie private, NdT] e su altri programmi, in forza di un ordine del tribunale nel marzo 2011.
Bloomberg News ha collegato le basi di dati disponibili a dicembre e luglio con le registrazioni della discount window rilasciate a marzo, per ottenere i totali giornalieri delle banche nel corso di tutti i programmi, inclusi lo Asset-Backed Commercial Paper Money Market Mutual Fund Liquidity Facility, il Commercial Paper Funding Facility, la discount window, il PDCF, il TAF, il Term Securities Lending Facility e le operazioni singole su mercato aperto. Questi programmi hanno fornito risorse dall'agosto 2007 all'aprile 2010.
Il risultato è una linea temporale che mostra come la crisi del credito si sia diffusa da una banca all'altra via via che il contagio finanziario si andava espandendo. I prestiti che la Société Générale, la seconda banca francese, ottenne dalla Fed toccarono un massimo di 17,4 miliardi, nel maggio 2008, quattro mesi dopo che l'istituzione con sede a Parigi aveva annunciato un record di perdite di 4,9 miliardi di euro (7,2 miliardi di dollari) a causa delle scommesse non autorizzate, da parte del trader Jerome Kerviel, sui futures basati sugli indici di borsa.
Il picco massimo per Morgan Stanley si verificò quattro mesi più tardi, dopo la bancarotta della Lehman. La Citigroup, insieme ad altre 43 banche, lo raggiunsero nel gennaio 2009, il mese di maggior prelievo durante l'intera crisi. Quello della Bank of America si verificò due mesi dopo. Sedici banche, incluse Beal Financial di Plano, nel Texas, EverBank Financial di Jacksonville, Florida, toccarono il loro apice non prima del febbraio o marzo del 2010.
"In nessun momento ci furono rischi materiali per la Fed o per i contribuenti, dato che i prestiti richiedevano garanzie", dice Reshma Fernandes, portavoce di EverBank, che ottenne 250 miliardi di dollari di prestiti. Le banche hanno massimizzato i loro prelievi utilizzando le loro sussidiarie, per utilizzare simultaneamente più programmi della Fed. Nel marzo 2009, la Bank of America di Charlotte nella Carolina del Nord ottenne 78 miliardi di dollari attraverso due filiali della banca e 11,8 miliardi di dollari da altri due programmi attraverso il suo intermediario, la Bank of America Securities.
Le banche inoltre hanno anche cambiato tipo di programma fra quelli attivati dalla Fed. Molte hanno preferito il TAF perché era meno legato all'immagine negative associata con la discount window, spesso considerata l'ultima spiaggia per i prestatori in difficoltà, secondo un documento del gennaio 2011 dei ricercatori della Fed di New York.
Dopo la bancarotta della Lehman, gli hedge fund [fondi speculativi ad alto rischio, NdT] cominciarono a portar via il loro denaro dalla Morgan Stanley, temendo che potesse essere prossima al collasso, afferma in un rapporto di gennaio la Financial Crisis Inquiry Commission, citando interviste dell'ex direttore generale John Mack e dell'allora tesoriere David Wong.
I prestiti alla Morgan Stanley da parte del PDCF dal 14 settembre [2008] crebbero fino a 61,3 miliardi di dollari del 29 settembre. Nello stesso tempo, i suoi prestiti con il programma TSLF salirono da 3,5 a 36 miliardi di dollari. Il rapporto della tesoreria di Morgan Stanley reso pubblico dal FCIC mostra che la società aveva 99,8 miliardi di dollari di liquidità il 29 settembre, una cifra che comprendeva i prestiti della Fed.
"I flussi di contante si stavano tutti prosciugando", dice Roger Lister, un ex economista della Fed che è ora a capo della sezione istituzioni finanziare della società di rating bancario DBRS di New York. "Avevano abbastanza risorse per far fronte a questa situazione? La risposta avrebbe potuto essere positiva, ma avevano bisogno della Fed".
Mentre le richieste della Morgan Stanley erano le più pressanti, Citigroup era, tra le banche Usa, il più cronico utilizzatore di quei fondi. La banca, con sede a New York, ottenne prestiti per 10 miliardi di dollari dal TAF nel primo giorno di attivazione del programma, nel dicembre 2007, e raggiunse i 25 miliardi di dollari, tra tutti i programmi, nel maggio 2008, secondo i dati della Bloomberg.
Il 21 novembre, quando la Citigroup iniziò i suoi colloqui con il governo per ottenere 20 miliardi di dollari di iniezioni di capitale, in aggiunta ai 25 miliardi che aveva ricevuto un mese prima, i suoi prestiti dalla Fed erano raddoppiati a circa 50 miliardi di dollari. Nei due mesi successivi, questo totale raddoppiò ancora. Il 20 gennaio, quando le sue azioni crollarono sotto i 3 dollari, per la prima volta in sedici anni, a causa della paura degli investitori che la base di capitalizzazione della banca fosse inadeguata, Citigroup stava utilizzando sei programmi della Fed contemporaneamente. Il totale dei prestiti contratti superava il doppio del budget del ministero americano dell'Educazione del 2011.
"Citibank è stata fondamentalmente sostenuta dalla Fed per un lungo arco di tempo", dice Richard Harring, professore di scienza delle finanze all'Università della Pensilvania di Filadelfia, che ha studiato le crisi finanziarie. Jon Diat, portavoce della Citigroup, afferma che la banca ha utilizzato i programmi che "raggiungevano l'obiettivo di diffondere fiducia nei mercati". L'amministratore delegato di JPMorgan, Jemie Dimon, scriveva in una lettera agli azionisti dello scorso anno che la sua banca ha evitato di utilizzare molti programmi governativi. Abbiamo usato TAF, dice Dimon nella sua lettera, "ma questo è avvenuto su richiesta della Fed, per aiutarla a spingere gli altri a utilizzare il sistema". La banca, la seconda negli Usa per dimensioni patrimoniali, ha utilizzato il TAF per la prima volta nel maggio 2008, sei mesi dopo che il programma aveva avuto inizio, per poi azzerare i propri prestiti nel settembre 2008. Il mese dopo, cominciò di nuovo ad usare il TAF. Il 26 febbraio 2009, oltre un anno dopo la creazione del TAF, i prestiti a JPMorgan da parte di questo programma salirono a 48 miliardi di dollari. Quel giorno, il bilancio totale di tutte le banche toccò il suo apice, con 493,2 miliardi di dollari. Due settimane dopo, le cifre cominciarono a ridursi. "Il nostro primo commento è corretto", dice Howard Opinsky, portavoce di JPMorgan.
Herring, il già ricordato professore dell'Università della Pensilvania, afferma che alcune banche possono avere usato il programma per massimizzare i propri profitti prendendo in prestito denaro "dalla fonte più economica, perché si riteneva che ciò sarebbe rimasto segreto e mai reso pubblico".
Se le banche hanno avuto bisogno del denaro della Fed per sopravvivere o se l'hanno utilizzato perché offriva tassi di interesse vantaggiosi, il ruolo di prestatore di ultima istanza delle banche della Fed trasforma in un disastro la politica di libera assicurazione verso le banche sulla disponibilità di fondi, dice Herring.
Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale dello scorso ottobre sostiene che i regolatori dovrebbero considerare la possibilità di far pagare alle banche un costo per avere diritto di accesso ai fondi della banca centrale.
"L'ampiezza degli interventi pubblici è la prova più evidente che i rischi di liquidità del sistema sono stati sottostimati e sottovalutati sia dal settore privato che da quello pubblico", afferma il FMI in uno specifico rapporto dell'aprile 2011. L'accesso al sostegno della Fed, "porta a correre rischi maggiori", dice Herring. "Se non esistesse, non si correrebbero i rischi che possono creare difficoltà e che richiedono di accedere a questo tipo di finanziamento".
(traduzione italiana a cura di G.C.)

Rompere il monopolio monetario-creditizio


Rompere il monopolio monetario-creditizio
di Marco Della Luna - 18/10/2011

Fonte: Italicum

Il decreto legge risanatore del 12 Agosto è un palliativo strutturalmente errato e impotente, depressivo, socialmente dirompente. La forte e compatta opposizione che esso giustamente suscita può costringere il governo Tremonti a far qualcosa all’altezza dell’intelligenza del suo capo. Per riuscirci, però, ha necessità di costringerlo a confrontarsi con la causa vera dei mali finanziari in cui ci dibattiamo.

 I disastri della borsa e dell’economia reale, e i fallimenti delle ricette di risanamento e rilancio, i declassamenti, il debito pubblico a 1.900 miliardi, il crollo del 12,5% del gettito tributario a giugno, ancora non sono bastati: ancora si finge di non vedere il problema di fondo, ossia che il mondo vive in un regime di monopolio (cartello bancario) della moneta (del money supply), comprendente anche le banche centrali (Fed, BCE etc.), e che questo, come tutti i monopoli dei beni necessari, tende a ottenere, in cambio del proprio prodotto, il massimo dal mercato del prodotto stesso, cioè  tutto il reddito prodotto nel mondo. E persegue questo scopo mediante il farsi pagare il denaro, l’indebitare, il raccogliere interessi. Il punto di equilibrio di tale sistema è quando ogni reddito è destinato al servizio del debito e ogni asset alla garanzia del servizio. Con governi e legislatori come ostaggi-garanti-esecutori di questa destinazione, sotto permanente minaccia di downgrading da parte delle agenzie di rating del medesimo cartello monopolista, e di rifiuto di acquistare i loro titoli. Quindi è ovvio che la BCE, in questa fase, arrivi a commissariare Grecia, Italia e altri paesi. Era tutto prevedibile e scontato.

Ovvio e inevitabile, dunque

a) che il denaro prodotto dal monopolista (a costo zero: fiat money, monrta fiduciaria, nessuna copertura o convertibilità in valore) sia un denaro (come meglio vedremo) che genera un debito infinitamente ed esponenzialmente crescente a carico di tutta la società: il debito costituisce ulteriore bisogno-domanda del bene prodotto dal monopolista, quindi aumenta il valore di questo bene rispetto a tutti gli altri beni, ne rende più pressante il bisogno, sicché la gente, le imprese, gli stati, sono sempre più dipendenti, oramai anche per la sopravvivenza quotidiana, dal monopolio monetario-creditizio, e fanno, danno, subiscono e promettono oramai qualsiasi cosa pur di ottenerne quanto basta per l’immediato – si sono abituati a vivere con l’acqua alla gola;

b) che l’esponenzialmente crescente peso di questo indebitamento progressivamente ed inarrestabilmente erode tutti i redditi e tutti i patrimoni, costringendo a crescenti trasferimenti degli uni e degli altri, anche via tassazione, a favore del settore finanziario-speculativo che esercita la sovranità monetaria; questo trasferimento è costante da decenni e porta con se riforme delle norme sul lavoro, sul bilancio, sul welfare;

c) che nessuna misura di tassazione o di risparmio o di efficientizzazione dell’economia o della pubblica amministrazione può conseguire più di un sollievo sempre più breve dal peso dell’indebitamento e delle devastazioni che esso comporta: ciò che i governi vanno da anni deliberando, comprese le manovre agostane di Tremonti, è semplicemente ingiusto e sterile, perché niente sortisce effetto stabile se non si comincia con l’eliminazione del monopolio.

Il fine connaturale del cartello monopolista della moneta, oltre ovviamente a preservare (con mezzi accademici, politici, militari) il proprio monopolio della creazione, distruzione e fissazione del tasso d’interesse della moneta, è quello – ribadisco – di ottenere, in cambio del proprio prodotto (o in pagamento degli interessi e del debito) tutto il valore disponibile prodotto da ogni altro soggetto economico – il che comporta anche l’acquisizione di potere politico, come oggi palesano gli atti con cui i banchieri centrali prescrivono la politica a governi e parlamenti, e coi quali riformulano l’ordinamento sociale in funzione di tale fine. Se ciò che osserviamo oggi sono semplicemente gli sviluppi avanzati della tendenza intrinseca del monopolio, la novità del 2012 è che adesso il cartello monopolista è venuto allo scoperto, ossia viene divulgato il fatto che esso impartisce direttive ai governi in difficoltà finanziarie – i c.d. commissariamenti. Quindi per la prima volta il cartello monopolista, attraverso BCE e FMI, assume, davanti all’opinione pubblica, la responsabilità politica, sostanzialmente, di essere un super-governo tecnico. Si espone al biasimo e alle conseguenze  e alle possibili reazioni politiche di ciò che potrà conseguire all’adozione delle sue ricette. Questa è la novità di oggi: il padrone ci mette la faccia, a costo di far capire che governi e parlamenti sono solo teste di legno. E che il Trattato di Maastricht è una farsa, laddove stabilisce che la BCE non debba dare direttive alle istituzioni politiche. La BCE sta facendo l’unità politica dell’Europa intorno al fine di trasferire stabilmente molto reddito al settore finanziario (stabilmente, nel senso di non fare default e mettere in crisi il sistema internazionale di questi trasferimenti).

La leva di comando del monopolio sui governi è semplice: “se non fai le cose che ti dico, ti abbasso il rating con le mie agenzie di rating e non ti compero più i titoli del debito pubblico con la mia banca centrale (BCE) – quindi ti faccio saltare.” Ciò che rimane implicito è che il debito pubblico, con la sua spinta al rialzo, deriva dal fatto che il monopolio esercita il potere politico e sovrano di creare denaro a costo zero dal nulla, impadronendosi del potere d’acquisto corrispondente, e lo presta agli stati a interesse, creando così in capo agli stati il bisogno di ulteriori prestiti per pagare gli interessi, all’infinito. Quindi il monopolio crea il bisogno e la crisi a proprio beneficio, e poi lo sfrutta per assumere la guida politica degli stati.

In questo regime monopolista sovrannazionale e non-regolato dalla politica, ma regolante sulle istituzioni pubbliche, la funzione del denaro e del credito, ovviamente, non è la piena attivazione dei fattori di produzione, non è la produzione di ricchezza, non è nemmeno la massimizzazione del profitto, né la stabilità dei prezzi, ma il potere, il dominio economico, politico e sociale, nonché quello scientifico/culturale. Il monopolio si concentra soprattutto sugli obbiettivi di irrigidire ed esasperare la domanda di liquidità/credito (massimizzare il bisogno, la mancanza, la scarsità) e di impedire che qualche stato si sottragga alla dipendenza dal monopolio. Perché la dipendenza rigida e stringente di tutti verso il fornitore-creditore monopolista conferisce a questi il potere assoluto, ma anche l’impunità e il diritto di “fare la morale” alle istituzioni. Quindi il monopolio ha bisogno che i popoli, finanziariamente ed economicamente, stiano con l’acqua alla gola, che siano in crisi, in difficoltà – in un’emergenza permanente, seppur mutevole nelle espressioni.

Ricordiamo che la medesima comunità bancaria mondiale che, da un lato, produce e sfrutta le bolle-truffe finanziarie, dei derivati, dei mutui subprime, dei falsi bilanci greci, dall’altro lato esprime i vertici e forgia la politica delle banche centrali che fanno le analisi, prescrivono le ricette, commissionano i governi, dettano le politiche ai parlamenti, fanno direttamente le politiche economiche avendo ricevuto la sovranità finanziaria e monetaria (Maastricht), e minacciano di far saltare gli stati che non obbediscono declassando i loro bonds mediante le agenzie di rating da essa posseduta e non comperandoli più.

Quanti fallimenti di manovre e riforme finanziarie ci vorranno ancora, quanti crolli di borsa e sacrifici sociali, quanti default e quanti commissariamenti di governi, prima che si capisca che è sbagliata, non corrispondendo alla realtà, la concezione di fondo della moneta, del debito, della finanza, dell’economia? Che le analisi, le ricette, gli interventi, i sacrifici falliscono perché non tengono conto dell’esistenza e della logica del monopolio monetario privato-irresponsabile (consacrata dal Trattato di Maastricht, dallo statuto di BCE, Fed, Bis) e si basano su una concezione errata della realtà, quindi è inevitabile che falliscano e non risolvano i problemi? Che bisogna riconsiderare il fondo delle cose senza preconcetti scolastici?

Alcuni paesi – ovviamente – hanno problemi propri, peculiari, di inefficienza, corruzione, ma il problema mondiale è il debito, pubblico e privato, che comporta alte tasse e alti interessi passivi, e sottrae liquidità all’economia, inducendo così insolvenze, defaults, disinvestimenti, disoccupazione, cali della domanda interna, rincari generalizzati.

E questo debito, pubblico e privato, con i suoi effetti suddetti, cresce inarrestabilmente, nonostante i sempre più frequenti interventi di contenimento e risanamento: è dagli anni ’80 che sento fare manovre di risanamento del debito pubblico, e che esso continua a crescere, anzi si è impennato proprio da quanto, col fine dichiarato di contenerlo, è stata fatta la riforma che l’ha moltip0licato, ossia il divorzio Tesoro-Bankitalia.

E non cresce linearmente, ma esponenzialmente, perché i mezzi monetari vengono tutti creati mediante operazioni di addebitamento – cioè in pratica vengono tutti dati a prestito, gravati di un debito ad interesse composto, che fa sì che il totale del debito sia più alto, e divenga sempre più alto, con andamento esponenziale, rispetto alla totalità del money supply, drenando quindi dall’economia una esponenzialmente crescente quota del reddito per il pagamento degli interessi.

L’indebitamento è oramai fuori controllo, come dimostrano i fallimenti di ogni tentativo di arrestarlo, o meglio come dimostra il fatto che i vari tentativi falliscono sempre prima. E le bolle mobiliari e immobiliari non sono accidenti, bensì sono prodotto inevitabile dell’uso del denaro-debito (della necessità di distruggere l’eccedenza del credito-debito sul money supply), tuttavia, pur succedendosi molto velocemente, non riescono più a mantenere il funzionamento del sistema.

Bisogna insomma rivedere il fondo delle cose per capire il rapporto tra moneta e debito.

(In Italia, bisognerebbe inoltre aprire un dibattito sul divorzio BdI-Tesoro, causa principale dell’impennata incontenibile del pubblico indebitamento, assieme alla spesa assistenzialistica finalizzata a prevenire la saldatura, negli anni di piombo, tra protesta operaia del Nord e protesta dei diseredati del Sud. Il Giappone, che ha un debito pubblico più che doppio del pil, non subisce attacchi speculativi ai suoi t-bonds, perché la sua banca centrale compera i titoli invenduti. In Italia (e in altri paesi) bisognerebbe ripristinare i vincoli di portafoglio che aveva un tempo la BdI.)

Le ricette anticrisi, che falliscono ma arricchiscono sempre determinati livelli, producendo una concentrazione della ricchezza e dei redditi in tutto il mondo, e l’immiserimento dei ceti medi, vengono da un soggetto interessato, dal settore bancario mondiale, dalle sue scuole di economia e dai suoi ingegneri finanziari. Arrivano attraverso le banche centrali, come Fed, BCE, BoE, BoJ. E attraverso la banca centrale delle banche centrali, la BIS. E’ stupido presentare siffatte analisi, critiche, richieste, ricette, come l’espressione dell’”Europa”. Sono l’espressione di un soggetto interessato. Precisamente, controinteressato, rispetto al resto della società globale, e soprattutto verso i produttori di ricchezza, i risparmiatori, i pensionati, i giovani.

La liquidità in assoluto è troppa, è un multiplo di quanto dovrebbe essere, ma si concentra nel settore speculativo: non investe e non consuma. Ma è insipiente dire che il mercato sia drogato da troppa liquidità.  La ricorrente ricetta del monopolio bancario, comprendente le banche centrali, di curare la crisi mobiliare e la recessione con iniezioni di moneta, il c.d. quantitative easing, produce brevi fiammate di borsa, seguite da profondi e persistenti cali o crolli. E da nessun beneficio per l’economia reale. Infatti, tali immissioni vengono fatte dalle banche centrali, a controllo e (spesso anche, come la Fed) a proprietà privata (di finanzieri) in favore degli speculatori (cioè delle stesse banche che esprimono la direzione delle banche centrali). E il settore speculativo dà rendimenti più elevati e rapidi del settore produttivo, soprattutto ai grandi soggetti che sono in grado di influenzare i mercati finanziari dall’esterno (con l’insider trading, l’aggiotaggio, il vantaggio conoscitivo, il condizionamento sui governi). Il settore speculativo fa così concorrenza, da decenni oramai, al settore produttivo, e lo sta de-monetizzando e costringendo a competere sulla redditività di breve, mediante politiche di disinvestimenti, licenziamenti, tagli della qualità, della formazione, della ricerca, della produzione, per perseguire la massimizzazione non del profitto totale, ma del saggio di profitto.

Le politiche fiscali possono essere utili, quindi, solo se abbassano la redditività del settore speculativo rispetto a quello produttivo. Ma per riuscire in questo necessitano di essere globali (perché la piazza speculativa è delocalizzata, apolide) e da esser precedute da una revisione delle regole di contabilità bancaria, che consentono massicci occultamenti di ricavi e utili realizzati nell’erogazione del credito, nel senso più volte indicato negli scritti miei e di altri (v. Euroschiavi e La Moneta Copernicana), le cui analisi e previsioni stanno ricevendo la più dura delle conferme. Però anche questo sarà insufficiente, se si continuerà a consentire che una moneta fiduciaria, prodotta a costo zero e senza garanzia/convertibilità, in regime di monopolio privato non regolato, venga trattata come merce. Qualsiasi passo in questa direzione presuppone che si interrompa l’azione finanziaria e politica dei monopolisti (grandi famiglie finanziarie e bancarie, direttori delle banche centrali) ossia che i governi (via G8 e servizi di sicurezza) dispongano il loro arresto e la segregazione in un regime del tipo di Guantanamo, per prevenire che essi si oppongano in qualsiasi modo, e che abbiano contatti con l’esterno. Non si può pensare che l’orso consegni la sua pelle su garbata richiesta, foss’anche con voto popolare. Si tratta di riforme possibili solamente se, prima, si abbatte il potere del monopolio. E questo orso è molto più pericoloso e organizzato dei terroristi islamici, veri o supposti. Quindi le mezze misure non servirebbero.

Ma come riorganizzare il sistema monetario e bancario, dopo l’eliminazione del monopolio? Ne La Moneta Copernicana (Nexus 2008), scritto assieme a Nino Galloni, ho delineato l’alternativa all’attuale sistema basato sulla distruttiva moneta-debito e sul monopolio privato della funzione monetaria:

“Avremo lo Stato che, attraverso un suo organo di regolazione del money supply – organo costituzionale, tecnico-economico, meglio configurabile come quarto potere dello Stato, e per quanto possibile super partes e indipendente monitorerà in continuo la situazione monetaria ed economica nazionale e internazionale, accertando di quanta liquidità abbisogni il paese per impiegare o sviluppare al meglio i propri fattori produttivi (sui criteri per stabilire questo ‘meglio’ ritorneremo presto), e vigilerà soprattutto affinché non si producano situazioni di demonetazione, ossia di insufficienza della moneta disponibile rispetto al fabbisogno, che causerebbe un rischio di deflazione e recessione.

Quest’organo darà conseguenti disposizioni a un dipartimento del Ministero del Tesoro di creare ed immettere nel mercato la quantità di moneta ritenuta opportuna, o di ritirare quella che risulti in eccedenza (mediante prelievi fiscali, vendite di beni pubblici comprese riserve auree, vendite di valute estere, etc.).

Verrà così creata tutta la moneta, ossia tutto il money supply: sia quell’8% che oggi è costituito da moneta legale (cartamoneta e monetine), sia quel 92% che oggi è costituito da moneta scritturale delle banche; il money supply consisterà tutto di moneta legale, la quale sarà affiancata solo da moneta complementare, essendo alle banche proibita la creazione di liquidità. Il Ministero del Tesoro emetterà la moneta, per una parte, sotto forma di monete metalliche, per una parte sotto forma di cartamoneta, per il resto sotto forma di annotazioni contabili (informatiche o anche su supporto cartaceo). Registrerà l’importo di ogni emissione tra le entrate tributarie.

Per disposizione costituzionale, vincolerà in bilancio la spesa del valore delle emissioni a impieghi produttivi (investimenti, infrastrutture, etc.) – ossia tali da generare un aumento di ricchezza reale a copertura dell’importo dell’emissione, onde prevenire tensioni inflative.

Le uscite diverse dagli investimenti produttivi saranno coperte da entrate non derivanti dall’emissione di moneta.

L’immissione della nuova moneta avverrà attraverso:

-investimenti diretti

-erogazioni di mutui a banche di credito e altri soggetti.

-sovvenzioni alla produzione.

In tal modo, lo Stato eserciterà la funzione sovrana e politica di creare denaro prelevando potere d’acquisto dalla nazione e spendendo e investendo nell’interesse di essa senza indebitarla né tassarla; e le banche non creeranno più moneta contabile (e debito infinito), non preleveranno più tasse occulte dai cittadini e dalle imprese, ma svolgeranno la funzione loropropria di intermediari del credito: raccoglieranno il denaro prendendolo a prestito dai risparmiatori e dallo Stato, pagando loro un tasso di interesse che sarà stabilito dal mercato, e lo presteranno ai loro clienti a tassi e condizioni che saranno stabiliti, a loro volta, dal mercato. Guadagneranno sullo spread, sulla ‘forbice’. Le banche presteranno quindi solo il denaro che esse effettivamente hanno in proprietà ho hanno ricevuto in prestito (mutuo) dai depositanti; di conseguenza, non vi sarà più riserva frazionaria, ma riserva totale. Certamente, in un simile sistema sussiste il rischio che la sovranità bancaria,tolta formalmente alle banche e trasferita allo Stato, venga nuovamente privatizzata, nel senso che lo Stato stesso è ‘privatizzato’, ossia oggetto di possesso e lottizzazione partitocratica o a corporate takeover. Ma a questo rischio si opporrebbe la chiarezza oramai fatta, la conoscenza diffusa, circa i meccanismi fondamentali della moneta e il loro impatto su economia e società. Diverrebbe, cioè, impossibile continuare a ingannare e a governare con l’inganno il mercato, gli operatori economici, i contribuenti, come lo si sta facendo ora.” (pag. 127 ss).

41 Werner, 2005, 258.

142 Zarlenga, 663 ss., propone una riforma analoga.

139 Così raccomanda Anche Zarlenga, 657

140 La principale obiezione di merito alla creazione del denaro da parte dello Stato in funzione di pagare le proprie spese, è che essa si tradurrebbe, per ragioni di demagogia, in un’espansione monetaria incontrollata e inflazionistica. A questa obiezione, oltre a richiamare quanto già detto, si può replicare:

-in primo luogo, che il sistema attuale è in ogni caso peggiore, perché lascia a un sistema bancario privato la possibilità  di compiere un’espansione dei mezzi monetari incontrollata, destabilizzante, e destinata ad attività speculative delle banche stesse;

-in secondo luogo, che una creazione eccessiva di liquidità da parte dello Stato può essere prevenuta con vincoli costituzionali e con l’affidamento della regolazione a un organo indipendente dai partiti politici; e, ancor più, con la divulgazione della conoscenza di quello che oggi rimane, per quasi tutti, il segreto della moneta.

Raccomando al governo Tremonti, prima di lasciarsi sconfiggere, marginalizzare o rottamare dagli eventi e dai poteri forti, di spiegare alla gente, e soprattutto al serttore produttivo, come stanno veramente le cose, quale è la causa dei mali in cui ci dibattiamo - ossia il monopolio privato irresponsabile di credito e moneta. Il momento è giusto perché molti si interessino, capiscano, e si muovono in modo tale da consentire una riforma decente anzichè il proseguire di un processo distruttivo che porta solo alla disperazione.

Le banche di proprietà pubblica: il modello tedesco


Le banche di proprietà pubblica: il modello tedesco
di Ellen Brown - 18/10/2011

Fonte: Come Don Chisciotte



Le banche di proprietà pubblica sono state fondamentali per il finanziamento del "miracolo economico" della Germania dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Sebbene le banche pubbliche tedesche siano state prese di mira negli ultimi dieci anni dai loro concorrenti privati per ottenerne la distruzione, il modello rimane una valida alternativa all’affarismo privato ora oggetto di contestazione a Wall Street.

Una delle richieste avanzate dai manifestanti del modello Occupy Wall Street è la "public option" [Ndt: Per “public option” si intende l’ingresso dello Stato nel mercato privato] nel settore bancario. Che cosa ciò significhi è stato spiegato dal dottor Michael Hudson, docente di Economia presso l'Università del Missouri a Kansas City, in un'intervista a firma di Paul Jay del Real News Network del 6 ottobre:
[L]a richiesta non è semplicemente quella di creare una banca pubblica, ma di trattare le banche in genere come un servizio pubblico, proprio come le società elettriche vengono considerate di pubblica utilità.[…] Così come ci sono state pressioni per un ingresso dello Stato nel settore sanitario, ci dovrebbe essere l’ingresso dello Stato nel settore bancario. Ci dovrebbe essere una banca controllata dal governo che offra carte di credito con tassi di interesse non punitivi come quelli attualmente praticati pari al 30%, senza sanzioni, senza aumentare il tasso di interesse se non si paga la bolletta elettrica. Quello che ha reso l'America forte nel 19° secolo e nell'inizio del 20° secolo è stato l’avere infrastrutture essenzialmente pubbliche, proprio come se si hanno strade e ponti pubblici. […] L'idea alla base delle infrastrutture pubbliche consisteva nella volontà di pervenire alla riduzione del costo della vita e dei costi di impresa.
Negli Stati Uniti non si sente parlare molto dell’ingresso dello Stato nel settore bancario, ma alcuni paesi hanno già un forte settore bancario pubblico. A maggio 2010 un articolo comparso su The Economist sottolineava che la presenza di banche forti e stabili di proprietà pubblica in India, Cina e Brasile ha aiutato questi paesi a superare la crisi bancaria che negli ultimi anni sta affliggendo la maggior parte del mondo.
Negli Stati Uniti, il North Dakota è l'unico Stato a possedere una propria banca. È anche l'unico stato che ha potuto mostrare un avanzo di bilancio ogni anno dalla crisi del credito del 2008. Ha il più basso tasso di disoccupazione nel paese e il più basso tasso di inadempienze sui prestiti. Possiede giacimenti di petrolio, ma come altri stati che non stanno facendo altrettanto bene. Eppure, i media tendono ad attribuire il successo del Nord Dakota alle risorse petrolifere.
Tuttavia, ci sono altri modelli bancari pubblici occidentali che hanno avuto successo senza boom economici connessi al petrolio. L'Europa ha un forte settore bancario pubblico, in cui il paese leader è la Germania, dove vi sono undici banche regionali pubbliche e migliaia di casse di risparmio municipalizzate. La Germania nei primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale era un paese con un'economia disastrata, degenerata in baratto. Oggi è l'economia più grande e più robusta della zona euro. La produzione in Germania contribuisce al 25% del PIL, più del doppio rispetto a quanto fa il Regno Unito. Nonostante la recessione, il tasso di disoccupazione della Germania è al 6,8%, il valore più basso negli ultimi venti anni. Alla base della sua forza economica c’è il suo Mittelstand, un sistema di imprese, dalle piccole alle medie dimensioni, supportato da un forte sistema bancario regionale che è disposto a concedere prestiti per finanziare la ricerca e lo sviluppo.
Nel 1999 le banche pubbliche controllavano il credito interno tedesco e le banche private rappresentavano meno del 20% del mercato, rispetto a oltre il 40% in Francia, in Spagna, nei paesi nordici e nel Benelux. Da allora, in Germania le banche pubbliche sono state oggetto di attacchi; ma gli osservatori locali dicono che ciò è da imputare alla rivalità dei concorrenti privati, piuttosto che a una reale debolezza del settore.
Come precedente per la presenza dello Stato nel settore bancario, quindi, il modello tedesco merita uno sguardo più attento.
Dalle ceneri della sconfitta al diventare leader mondiale nella produzione
La Germania si rigenerò come una fenice dalle disastrose sconfitte delle due guerre mondiali per diventare la potenza economica d'Europa nella seconda metà del XX secolo. Nel 1947 la produzione industriale tedesca era pari solo a un terzo del suo livello del 1938 e una notevole percentuale dei suoi uomini in età lavorativa erano morti. Meno di dieci anni dopo la guerra, già si parlava di miracolo economico tedesco e venti anni dopo la sua economia era oggetto di invidia di gran parte del mondo. Nel 2003 un paese delle dimensioni pari alla metà del Texas era diventato il principale esportatore mondiale, con una produzione di automobili di alta qualità, di macchinari, apparecchiature elettriche e prodotti chimici. Solo nel 2009 la Germania è stata superata per i volumi di prodotti esportati dalla Cina, che ha una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone rispetto agli 82 milioni della Germania. Nel 2010, mentre gran parte del mondo si stava ancora riprendendo dal crollo finanziario del 2008, la Germania ha fatto registrare una crescita economica del 3,6%.
Il miracolo economico del paese è stato attribuito a una varietà di fattori, tra cui la cancellazione del debito da parte degli Alleati, la riforma monetaria, l'eliminazione del controllo dei prezzi e la riduzione delle aliquote fiscali. Ma anche se questi fattori hanno liberato l'economia dai suoi ceppi, non bastano a spiegare la fenomenale ascesa della Germania da un devastato campo di battaglia a leadermondiale nella produzione e nel commercio.
Un trascurato punto di forza del dinamismo economico del Paese è il suo forte sistema bancario pubblico, il quale finalizza i suoi sforzi per il perseguimento dell'interesse generale, piuttosto che per la massimizzazione del profitto privato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono state leLandesbanken di proprietà pubblica a dare sostegno alle aziende provinciali a conduzione familiare perché potessero entrare nel mercato mondiale. Ecco come Peter Dorman descrive le Landesbanken in un blog nel Luglio 2011:
Sono soggetti di proprietà pubblica che stanno sulla cima di una piramide fatta da migliaia di casse di risparmio di proprietà comunale. Se si considerano anche gli istituti di credito immobiliare di proprietà pubblica, circa la metà del totale del sistema bancario attivo tedesco appartiene al settore pubblico. (Un altro pezzo sostanziale è costituito dalle casse di risparmio cooperative.) Queste banche sono strumenti fondamentali della politica industriale tedesca, essendo specializzate nei prestiti al Mittelstand, cioè al sistema di imprese di piccole e medie dimensioni che sono il motore delle esportazioni del paese. Grazie alle Landesbanken, le piccole imprese in Germania hanno lo stesso accesso al capitale delle imprese di grandi dimensioni; non ci sono economie di scala nella finanza. Questo significa anche che i lavoratori nel settore delle piccole imprese guadagnano lo stesso salario di quelli impiegati nelle grandi multinazionali, hanno le stesse competenze e la stessa formazione e sono altrettanto produttivi.
Le Landesbanken svolgono una funzione di "banche universali" che operano in tutti i settori del mercato dei servizi finanziari. Sono tutte controllate da governi statali e operano come amministratori centrali di casse di risparmio di proprietà municipale, chiamate in Germania“Sparkassen”.
Le Casse di Risparmio sono stati istituite in Germania nel tardo 18° secolo come organizzazioni senza scopo di lucro per aiutare i poveri. L’intento era quello di aiutare le persone con basso reddito a risparmiare piccole somme di denaro e di svolgere una funzione di sostegno per coloro che volessero dare inizio ad attività imprenditoriali. La prima cassa di risparmio è stata costituita da accademici e mercanti con una mentalità filantropica ad Amburgo nel 1778 e la prima banca di risparmio che avesse come garante un governo locale è stato fondata nel 1801 a Gottinga. Le banche di risparmio comunale erano così efficaci e popolari che si diffusero rapidamente, aumentando da 630 nel 1850 a 2.834 nel 1903. Oggi le casse di risparmio operano con una rete di oltre 15.600 filiali e uffici, impiegano oltre 250.000 persone e si caratterizzano per la notevole capacità di investire con saggezza nelle imprese locali.
Prese di mira per la privatizzazione
La reputazione e la posizione delle banche pubbliche tedesche sono state, tuttavia, poste in discussione quando sono hanno assunto una posizione di concorrenza sui mercati internazionali. Peter Dorman scrive:
Alla UE non piacciono le Landesbanken. Essa ha denunciato come la proprietà statale comporti sovvenzioni pubbliche esplicite e implicite che violano le regole della politica di concorrenza. Per oltre un decennio, la UE ha combattuto perché il sistema fosse privatizzato. Alla fine, la controversia è semplicemente ideologica: se si pensa che la proprietà pubblica debba essere un'eccezione, accuratamente creata per affrontare fallimenti di uno specifico mercato, allora le Landesbanken devono essere messe in blocco all’asta. Se si pensa che l'economia debba essere organizzata in modo da soddisfare esigenze socialmente definite e che dovrebbero essere degli input pubblici a decidere come allocare la maggior parte del capitale, si deve lottare per mantenere le Landesbanken come sono. (C'è un movimento in corso negli Stati Uniti per promuovere le banche pubbliche.)
Le vicende del sistema bancario tedesco negli ultimi dieci anni sono state ricostruite in un articolo dal titolo "L’obiettivo sporco della Commissione: far divorare WESTLB da banche private" (La WESTLB AG è una banca commerciale parzialmente posseduta dallo stato tedesco della Renania Settentrionale-Vestfalia) del luglio 2011, scritto da Ralph Niemeyer, redattore capo di EUchronicle. Egli osserva che, dopo il 1999, le più importanti banche private hanno abbandonato la strada della sostenibilità perseguita dal sistema bancario tradizionale per giocare sui CDO[Collateralized Debt Obligation: sono letteralmente obbligazioni che hanno come garanzia (collaterale) un debito], sui credit default swap [CDS: è un accordo tra un acquirente e un venditore per mezzo del quale il compratore paga un premio periodico a fronte di un pagamento da parte del venditore in occasione di un evento relativo ad un credito (come ad esempio il fallimento del debitore) cui il contratto è riferito] e sui derivati. Le banche private tedesche hanno accumulato circa 600 miliardi di euro di asset tossici attraverso le loro filiali bancarie di investimento e i contribuenti tedeschi stanno fornendo garanzie per le tensioni ad essi associate. La Deutsche Bank AG ha fatto registrare profitti record che sono stati ripartiti esclusivamente nella sua divisione di investimento bancario, che ha fatto una fortuna commerciale grazie ai credit default swaps sulle obbligazioni dello stato greco. Quando questo investimento si è guastato, il governo tedesco ha dovuto salvare l'istituto finanziario in cui la Deutsche Bank AG aveva scaricato questi asset tossici.
Mentre le grandi banche private stavano puntando sui casinò dei mercati finanziari, i prestiti alle imprese e all'economia "reale" sono state lasciate alle Sparkassenpubbliche, che sono state più efficienti nel servire il cittadino medio e le imprese locali perché non erano società di capitali che dovevano soddisfare la fame sempre più grande degli azionisti di dividendi. Oggi la quota di mercato delle banche private in Germania è solo del 28,4% e la Deutsche Bank AG domina il segmento. Ma con una quota di mercato del 7%, è ancora molto indietro rispetto alle banche pubbliche di proprietà delle municipalità e delle comunità.
Niemeyer dice che le banche private hanno voluto rompere il dominio sul mercato delle banche pubbliche per ottenere per sé stesse un pezzo più grande della torta e hanno usato la Commissione Europea per farlo. Le banche private tedesche, e la Deutsche Bank AG in particolare, hanno fatto pressioni sin dai primi anni ‘90 sulla Commissione Europea perché attaccasse il governo tedesco per la “rigidità” del settore bancario pubblico nel paese.
Il FMI, anche, aveva da tempo chiesto che qualsiasi monopolio pubblico nel mercato bancario tedesco fosse spezzato, elencando le loro "inefficienze". Quando leSparkassen pubbliche e le Landesbanken sono state riluttanti a rivolgersi a banche di investimento con profitti alle stelle, furono etichettate come burocratiche e poco appetibili. Quando furono poste sotto pressione per aumentare i rendimenti per i governi che le possedevano, leLandesbanken tedesche si sono aperte ai derivati ​​e ai CDO(fraudolentemente con rating tripla A). Ma mentre "hanno perso miliardi in Goldman Sachs, nella Deutsche Bank e nella Lehman Brothers", dice Niemeyer il grado in cui erano coinvolte in operazioni altamente speculative era "ridicolo in confronto al danno fatto dalle banche private, per le quali sono ora i contribuenti a fornire garanzie."
Sono state le banche e le casse di risparmio a fornire liquidità all'economia reale e a intervenire a favore delle banche private, quando queste smisero di scommettere nel casinò finanziario; ma è stato sugli errori delleLandesbanken e delle Sparkassen che i media hanno concentrato la loro attenzione. Il vero motivo, afferma Niemeyer, era che le grandi banche private volevano la quota di mercato delle banche pubbliche per sé stesse:
Al fine di riconquistare questa importante quota di mercato, è diventato una prerogativa distruggere completamente il sistema bancario pubblico in Germania. Questa mossa impopolare non potrebbe mai venire dal governo tedesco in sé, è per questo che la Commissione [europea] è stata impiegata per questo lavoro sporco.
Il prezzo del successo
Le banche pubbliche tedesche sono state fatte crollare sottraendo loro il sostegno pubblico. In precedenza, avevano goduto di garanzie statali che avevano permesso loro di acquisire ed erogare fondi a tassi sostanzialmente migliori rispetto a quelli delle banche private. Ma nel 2001 la Commissione Europea decise di privare le Landesbankendelle loro esplicite garanzie di credito statali, costringendole a competere alle stesse condizioni delle banche private. E oggi l'Autorità bancaria europea si rifiuta di considerare le garanzie statali implicite alle banche nei loro "stress test" quando valutano la solvibilità delle banche.
Il risultato è che le banche pubbliche tedesche sono state spogliate di ciò che le ha rese sinora stabili, sicure e in grado di prestare a tassi di interesse bassi: hanno avuto la piena fede e il credito del governo, nonché il consenso dell'opinione pubblica. Non avendo quale motivazione del loro agire il profitto, con particolare attenzione al perseguimento dell’interesse pubblico e facendo affidamento sulle garanzie del governo, le banche pubbliche tedesche sono state in grado di trasformare il credito bancario in quella sorta di pubblica utilità descritta dal Prof. Hudson.
L'esempio della Germania dimostra che anche il successo non basta quale garanzia di fronte a un implacabile attacco di propaganda da parte delle grandi banche di proprietà privata interessate solo a fare soldi per i loro amministratori delegati, i loro ricchi clienti e i loro azionisti. Ma sbirciando dietro la propaganda, il modello bancario pubblico che tanto ha contribuito al successo economico della Germania può essere un esempio da seguire per un sistema bancario negli Stati Uniti che sia al servizio di Main Street piuttosto che di Wall Street.
**********************************************

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSIA