martedì 31 gennaio 2012

Saccheggio di Stato


Saccheggio di Stato
di Giacomo Gabellini - 30/01/2012

Fonte: statopotenza 

Non appena il capo dello Stato Giorgio Napolitano ebbe incaricato Mario Monti di formare il governo, Barack Obama telefonò immediatamente al nuovo inquilino di Palazzo Chigi per sbrigare i soliti convenevoli e, soprattutto, per caldeggiare la nomina a ministri di due personaggi strettamente collegati alle strutture atlantiche, ovvero il presidente del Comitato Militare della NATO, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola e l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti Giulio Terzi di Sant’Agata.
In seguito, quando Monti ufficializzò la nomina di Di Paola come ministro della Difesa e di Giulio Terzi come ministro degli Esteri accogliendo le “raccomandazioni” di Obama, apparve immediatamente chiara la linea che avrebbe seguito il governo dei tecnici insediatosi a “furor di mercati”.
Una volta che questo governo ebbe varato la nota manovra finanziaria interamente incentrata sull’aumento delle imposte di base a carico di un tessuto produttivo composto essenzialmente da piccoli e medi imprenditori, alcuni osservatori esterni sollevarono la spinosa questione su come questa proclamata “austerità” finalizzata ufficialmente a raggiungere il pareggio di bilancio potesse sposarsi con l’erogazione di ben 16 miliardi di euro dei contribuenti per l’acquisto di 131 caccia F35 Joint strike Fighter prodotti dalla compagnia statunitenseLockheed Martin.
A recidere ogni nodo gordiano di sorta intervenne puntualmente il generale Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, il quale ammonì i giornalisti che avevano posto il problema a non «avventurarsi su temi militari rispetto ai quali hanno poca dimestichezza».
In primo luogo, ha chiarito Tricarico, la cancellazione dell’ordine relativo a questi 131 F35 comporterebbe una relativa sottrazione di «miliardi di lavoro a una settantina di aziende italiane, dai giganti Finmeccanica e Fincantieri, a molte piccole e medie imprese».
In secondo luogo, ha proseguito il generale, l’acquisto di questi caccia non andrebbe interpretato come la soddisfazione di un salato capriccio, dal momento che l’F35 è destinato a fungere da «pilastro della Difesa italiana del XXI secolo», in assenza del quale l’Italia «potrebbe esser costretta a chiamarsi fuori se un altro dittatore sanguinario dovesse massacrare il proprio popolo».
La solita retorica imperniata sulla “complessità” dell’argomento, accompagnata dall’innata reticenza da parte di giornalisti e politici nell’entrare nel merito delle faccende che riguardano le forze armate, ha fatto in modo che nessuno interlocutore di Tricarico e del suo superiore Di Paola avanzassero la più elementare delle obiezioni, ovvero che Finmeccanica, azienda italiana di cui lo Stato detiene ancora (seppur per poco, a quanto pare) la Golden Share, controlla Alenia, società che progetta e realizza tra i più avanzati aerei da difesa e sistemi di volo e che ha ampiamente dimostrato di avere tutte le credenziali necessarie per dotare l’Italia di un avanzato e completo sistema di difesa, producendo le relative ripercussioni positive sull’occupazione e sull’economia, che trarrebbe ampio beneficio dal rilancio di una delle aziende di punta capace di porsi all’avanguardia nei settori, strategicamente fondamentali, della difesa e dell’alta tecnologia.
Ma proprio la significativa concatenazione di eventi che nell’arco del 2011 hanno riguardato Finmeccanica ha evidenziato in maniera piuttosto evidente quali siano gli interessi in ballo.
Nel corso del 2011 la quotazione in Borsa di Finmeccanica ha fatto registrare un sonoro -64% e dedurre a cosa sia dovuto questo impressionante e repentino tracollo rappresenta un enigma di non difficile risoluzione.
Negli scorsi anni Finmeccanica aveva beneficiato dello stretto rapporto di collaborazione tra Italia e Libia ottenendo da Muhammar Gheddafi lucrose commesse che vanno dalla realizzazione di strutture ferroviarie lungo i litorali mediterranei alla cooperazione con la difesa libica per quanto concerne i settori dell’aeronautica e dell’elicotteristica.
Tuttavia, la crociata contro Gheddafi sferrata da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna ha interrotto bruscamente questi affari e costretto l’azienda romana a rinunciare agli importanti affari in Libia.
Parallelamente, alcune indagini condotte dalla magistratura riguardo ad un oscuro giro di tangenti raggiunsero il vertice della società, ovvero il Presidente Pier Francesco Guarguaglini, contro il quale venne orchestrata una sontuosa campagna di pressione affinché abbandonasse spontaneamente l’incarico.
I più “autorevoli” organi di riferimento della grande finanza angloamericana, ovvero il Financial Times e il Wall Street Journal, colsero l’occasione per riversare ulteriore benzina sul braciere italiano, gettando enorme discredito sia sull’impresentabile governo in carica sia su Finmeccanica, che stava subendo durissimi attacchi in Borsa (-20% in un solo giorno).
Malgrado ciò che viene comunemente creduto, il mercato azionario necessita di essere inderogabilmente spogliato del carattere ludico (“giocare in Borsa”) che i principali organi informativi sono soliti affibbiargli, perché la grande speculazione persegue generalmente specifiche finalità strategiche e pertanto le tendenze di base di un quel tipo di investimenti vengono indirizzate a porte chiuse dai più navigati protagonisti della politica e della finanza, nell’ambito di riunioni di grandi consessi internazionali come il Club Bilderberg e la Commissione Trilaterale, ove si stabiliscono le regole del “gioco”.
Alla luce di questo fatto risulta quindi chiaro il motivo per cui al crollo pilotato di Finmeccanica abbia fatto seguito un significativo calo azionario delle compagnie possedute dal Primo Ministro Silvio Berlusconi, finito anch’esso, come Guarguaglini, nell’occhio del ciclone giudiziario.
Con il valore di Mediaset e Mondadori dimezzato (rispettivamente -53% e -50,5% annuale) e la considerevole flessione subita da Mediolanum (-12% nell’anno 2011) Berlusconi si è deciso a recidere il nodo gordiano relativo alla sua posizione di governo, dimettendosi dall’incarico di Primo Ministro.
Una volta insediatosi, il capo del governo Mario Monti ha convocato d’urgenza Guarguaglini per “accettare” le sue dimissioni, conferendo pieni poteri all’Amministratore Delegato Giuseppe Orsi ma tergiversando sull’opportunità di assecondare il “suggerimento” dato dal Financial Times lo scorso 26 novembre, relativo alla necessità di cedere la quota statale dell’azienda.
Ciò ha provocato la pronta reazione di Standard & Poor’s, che ha calato la propria scure su Finmeccanica affibbiandogli un BBB- con outlook negativo.
Un fuoco incrociato similare a quello sferrato contro Finmeccanica è stato recentemente aperto sull’ENI, l’altro grande caposaldo del potenziale strategico italiano colpito dalla guerra alla Libia e “attenzionato” dal Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, che ha annunciato l’intenzione di inserire lo scorporo della SNAM, che gestisce la rete del gas, dal “cane a sei zampe”.
Scopo dichiarato dell’operazione è quello di «tagliare i costi e favorire gli investimenti»; un ritornello già sentito innumerevoli volte che si richiama all’intramontabile dogma del liberismo secondo cui la “concorrenza” assicurerebbe prodotti di buona qualità al minor prezzo possibile.
Tuttavia, come aveva già spiegato egregiamente Platone più di due millenni fa, la realtà non ricalca infallibilmente i concetti che risiedono nel mondo delle idee (iperuranio) e pertanto la cosiddetta “concorrenza” celebrata dai cultori del libero mercato non è mai “libera”, in quanto viene regolarmente strumentalizzata dai grandi agenti sociali dominanti che la inquinano o la distorcono a proprio uso e consumo allo scopo di ottenere la supremazia a scapito degli altri competitori.
Dal momento che l’ENI rappresenta l’unico soggetto in Italia a concepire strategie di politica estera – che hanno fruttato successi del calibro del gigantesco gasdotto South Stream – appare quindi estremamente controproducente promuovere misure che intacchino la sua capacità operativa in ottemperanza a direttive impartite da organi sovranazionali come l’Unione Europea che hanno ripetutamente mostrato la propria inadeguatezza prestando il fianco alle pugnalate dagli strateghi degli Stati Uniti, che a suon di manovre speculative e guerre commerciali non dichiarate stanno cercando, con discreto successo, di porre l’Europa sotto il tallone di ferro di Washington.
Ma la soglia del vero autolesionismo è stata varcata proprio in questi giorni, in occasione della crisi tra Iran e Stati Uniti (con Israele in agguato).
Nell’arco di qualche settimana le portaerei statunitensi Stennis prima, e Lincoln poi, hanno attraversato lo Stretto di Hormuz suscitando l’indignazione del governo di Teheran, che ha minacciato di chiudere l’angusto braccio di mare in cui transita qualcosa come il 20% circa del petrolio mondialmente estratto.
Le autorità statunitensi hanno immediatamente minacciato di intervenire militarmente qualora Ahmadinejad attuasse questa misura mentre il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha chiarito che «chiudere lo Stretto sarebbe una violazione del diritto internazionale», puntando direttamente il dito contro la Repubblica Islamica.
Tale affermazione assume un significato piuttosto eloquente se inserita nel contesto generale che è andato delineandosi nel corso dell’ultimo mese, e più precisamente dallo scorso 31 dicembre 2011, data in cui l’amministrazione Obama aveva approvato un pacchetto di ulteriori sanzioni da applicare all’Iran salvo poi attivare una massiccia campagna di pressione sull’Unione Europea e sui singoli governi del Vecchio Continente affinché tagliassero i ponti con Teheran.
In ottemperanza alle gerarchie atlantiste, il 23 gennaio l’Unione Europea ha approvato un embargo totale sulle importazioni di petrolio dall’Iran che entrerà pienamente in vigore nel giro di pochi mesi, malgrado questa decisione minacci seriamente la sicurezza energetica continentale e sia destinata a provocare un sensibile aumento del prezzo di carburanti.
Malgrado l’Italia sia il maggior importatore del greggio iraniano e il documento approvato il 23 gennaio vincoli i paesi aderenti all’Unione Europea a rescindere i contratti petroliferi stipulati con Teheran entro il primo luglio, il Ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata ha affermato che l’impatto delle limitazioni adottate a Bruxelles sarebbe «trascurabile, se non nullo», in virtù del fatto che le fonti di approvvigionamento italiane sarebbero «in progressiva differenziazione».
L’inasprimento delle sanzioni non provocherà alcun impatto agli Stati Uniti, che non importano petrolio dall’Iran, ma l’embargo petrolifero imposto dall’Unione Europea non può assolutamente essere indolore e sarà inesorabilmente destinato a sortire ripercussioni profondamente negative proprio su quei paesi, come l’Italia, che sono maggiormente esposti.
Il che la dice lunga sul cosiddetto “alto profilo” del Ministro Giulio Terzi di Sant’Agata, che omette di riconoscere il fatto che la maggior parte dei contratti con l’Iran erano stati stipulati dall’ENI , che a sua volta aveva costruito impianti di raffinazione “su misura” del greggio iraniano, ovvero adatti alla lavorazione di un greggio dotato di quelle specifiche caratteristiche.
E la sedicente “differenziazione delle fonti” appare nel migliore dei casi come una battuta di scarso spirito, perché rimpiazzare qualcosa come 180.000 barili di petrolio al giorno sarà un’impresa praticamente impossibile.
In definitiva, le fasi attraverso cui sta dispiegandosi l’attacco all’ENI mostrano, pur mutatis mutandis, svariate affinità rispetto a quelle che hanno contraddistinto l’aggressione a Finmeccanica; in entrambi i casi gli avversari geopolitici dell’Italia sono riusciti, attraverso la guerra alla Libia e l’isolamento dell’Iran – che riempirà il vuoto lasciato dall’Unione Europea (che era il secondo importatore di petrolio iraniano) incrementerà le proprie esportazioni verso Cina, India, Giappone e Corea del Sud – a sferrare un duro colpo alle due principali aziende capaci di garantire un seppur ridotto margine di autonomia e, in prospettiva, di sovranità al paese.
Nel mettere in atto le loro strategie questi avversari di Washington, Parigi e Londra hanno potuto contare sull’infima statura politica della classe dirigente italiana che in entrambi i casi ha assecondato i loro interessi e che pare accingersi ora a completare il lavoro, inserendo nel pacchetto di liberalizzazioni la frammentazione di Finmeccanica ed ENI in una miriade di piccole società, la cui privatizzazione finale concluderà la parabola inaugurata nel 1992, con “Mani pulite” e con la crociera sul Britannia da parte del gotha della finanza e della politica italiana.

lunedì 30 gennaio 2012

Far la spesa con gli Scec ?


Far la spesa con gli Scec come a Monopoli ''ma non è un gioco, si aiuta l'euro''

Uno Scec da dieci al banco di frutta e verdura (Foto Ign) Uno Scec da dieci al banco di frutta e verdura (Foto Ign)
30 gennaio, ore 17:00
Roma - (Ign) - Dai colori brillanti e simili a una vera e propria banconota, integra la spesa fatta con la moneta corrente dal salumiere o dal fruttivendolo. Ma può essere utilizzato anche dal parrucchiere, al ristorante o dal professionista. Il commerciante: "E' il sogno dello sconto che cammina" (FOTO)



Scalfaro presidente emerito ? Ma de che ?


Oscar Luigi Scalfaro,Presidente Emerito?

http://www.sindacatosupu.it/2012/01/30/oscar-luigi-scalfaropresidente-emerito/

Articolo pubblicato da Redazione SUPU
il 30 gennaio 2012

Cari Amici,

“Oggi è morto Oscar Luigi Scalfaro, Presidente emerito della Repubblica. Fu vera gloria, avrebbe detto Manzoni? I posteri lo giudicheranno. Posso sin d’ora dire che vi sono alcune pagine oscure legate al suo settennato di Presidente della Repubblica.
Ve ne vorrei ricordare due:
- il primo, quando non ha mai voluto chiarire come ha impiegato i 4 miliardi di euro che i Servizi segreti gli avevano versato, mentre era Ministro dell’Interno;
- il secondo, quando, mentre ero Sottosegretario di Stato alle Finanze, mi ha invitato, pur dicendomi che avevo ragione, a inghiottire il rospo, dimettendomi dalla mia carica di governo, per una condanna per diffamazione che avevo avuto da un Tribunale militare, per aver detto che il Comandante Generale dell’Arma non poteva essere scelto dalle segreterie dei partiti. Quale grave accusa!
Gli ho risposto che non avevo inghiottito rospi da ufficiale dei Carabinieri; non lo avrei fatto da deputato della Repubblica.
Mi ha replicato che lui in 40 anni di attività politica, aveva inghiottito rospi a tutta forza.
Gli ho continuato a dire di no!
Al mio rifiuto, mi ha detto che, seppur costretto, avrebbe firmato il DPR per revocarmi il mio incarico.
Inaudito! Un fatto senza precedenti! Chi ha costretto Scalfaro a firmare un provvedimento che si poneva contro la norma costituzionale, che dice che tutti i cittadini sono colpevoli a sentenza definitiva, e per altro per un reato di diffamazione militare che si è poi rivelato inesistente?
Pur essendo stato assolto pienamente dalla Corte di Cassazione, Scalfaro non mi ha mai scritto un rigo per scusarsi per il grave errore commesso.
Questa è l’Italia dei prepotenti che noi stiamo combattendo in tutta Italia da oltre 30 anni.
Ho scritto un libro “I racconti del Colonnello” (editore Morrone di Siracusa), in cui sono scritti i vari abusi commessi contro il popolo italiano.
Penso che sia arrivato il momento di alzare la testa contro questo regime che infanga il nome e la dignità delle persone che vi si oppongono e affama gli Italiani.
Ecco perchè è nato il Movimento civico “Dignità sociale”. Per salvare la nostra Patria.
Antonio Pappalardo

domenica 29 gennaio 2012

Rimandata - per ora - la marcia su Roma...


Denunciato il Questore di Latina

Alberto Intini
In data odierna alle ore 17,30 si e’ riunita l’Assemblea del Comitato “Dignita’ Sociale”,presenti oltre 500 Delegati e rappresentanti di tutto il territorio,ove all’unanimita’ e’ stato deciso di Querelare il Questore di Latina Alberto Intini per gravi reati commessi per il divieto che ha posto alla manifestazione della marcia su Roma del 30.01.2012 alle ore 6 da Latina a Roma.
L’Autorita’ di Governo ha chiesto ad una delegazione del Movimento di incontrarsi a Roma Mercoledi’ prossimo per concordare le modalita’ e giorno per la marcia su Roma.
L’assemblea al fine di evitare scontri violenti con le Forze dell’Ordine che sono apprezzate dal Popolo Italiano e per organizzare su Roma da varie parti del Territorio Nazionale,ha accolto l’invito,si riserva di far conoscere il giorno e l’ora in cui ci sara’ la marcia su Roma del Popolo Italiano senza bandiere di Sindacati e di Partiti
Latina 28.01.2012
Antonio Pappalardo

sabato 28 gennaio 2012

USA: pressioni sul'Ungheria per governo tecnico


USA preme sull’Ungheria 

per un governo tecnico

Pubblicato da: admin    Tags:  ,    Pubblicato il:  gennaio 15, 2012  |  No comment




Il governo tecnico delle badanti..

venerdì 27 gennaio 2012

Ordinamento Internazionale del Sistema Monetario

L'Ordinamento Internazionale del Sistema Monetario

giovedì 26 gennaio 2012

Andamento borse mondiali nel 2011, dal 2007

2012_01_16_borse_mondiali_2011

Il Punto di Monia Benini




http://ilpuntotv.blogspot.com/
 E poi ci vengon a parlare di debito... La grande finanza e le banche stanno divorando tutto: dai fondi pensionistici degli ordini professionali, al futuro delle aziende e degli imprenditori. E così mentre gli agricoltori dovranno pagare le tasse su pollai e stalle, e mentre noi abbiamo versato i nostri risparmi per il mantenimento pubblico di un porcile politico, Monti pensa che sia opportuno raddoppiare l'abominevole trappola del Meccanismo Europeo di Stabilità.

mercoledì 25 gennaio 2012

Monti indignato per lesa maestà


Monti minaccia e sputa veleno indignato per lesa maestà
di Cedolin Marco - 24/01/2012

Fonte: Il Corrosivo di Marco Cedolin


La prima (e ad oggi unica) vera protesta contro l'esproprio bancario, portato avanti dal governo dell'usura, sta facendo saltare i nervi di mr. Goldman Sachs e della congrega di servoprofessori che lo coadiuvano nell'impresa di rendere l'Italia un grande successo come la Grecia.
Per ironia della sorte a far barcollare Monti non sono i sindacati, già preventivamente cooptati sul libro paga del professore, non è la sinistra antagonista in profonda crisi d'identità e decisamente a corto di antagonismo quando si tratta di combattere Bruxelles e le banche e neppure la Lega di Bossi dispensatrice di aria fritta. Sono i camionisti, che ridotti con le pezze al culo hanno messo i propri mezzi di traverso, bloccando la macchina del consumo e toccando nel vivo l'unico nervo scoperto di un banchiere con tanto aplomb: il portafoglio! Quello suo e dei suoi padroni naturalmente, perchè i portafogli degli italiani somigliano ogni giorno di più a dei porta monete.
Mario Monti è rimasto un poco spiazzato, (ma solo un poco non fatevi illusioni) perchè fermamente convinto di avere comprato tutti coloro che era necessario comprare, per garantirsi l'acquiescenza del paese........

Capitalismo terminale contro sovranità popolare


Il capitalismo liberale contro la sovranità popolare
di Alain de Benoist - 24/01/2012

Fonte: Diorama Letterario


 http://liberospirito.altervista.org/wp-content/uploads/2011/12/Capitalismo.jpg

Oggi non sono più molti gli uomini di sinistra disposti ad accusare la democrazia di essere una procedura di classe inventata dalla borghesia per disarmare e addomesticare il proletariato, come sosteneva Karl Marx, né gli uomini di destra disposti a sostenere, così come facevano i controrivoluzionari, che essa si riduce alla “legge del numero” e al “regno degli incompetenti” (senza peraltro mai essere capaci di dire esattamente che cosa desidererebbero mettere al suo posto). Fatte salve le rare eccezioni, ai nostri giorni la contrapposizione non è più tra sostenitori e avversari della democrazia, ma esclusivamente tra suoi sostenitori, in nome dei diversi modi di concepirla.

martedì 24 gennaio 2012

L'Ecuador è forse il posto più radicale


L'Ecuador è forse il posto più radicale ed emozionante sulla Terra?


Da NetworkIdeas qualcuno ci ricorda che non esiste solo debito e austerità, che un altro mondo è possibile, che è veramente successo, e non stiamo sognando...

di Jayati Ghosh 

L'Ecuador, in questo momento,  deve essere considerato uno dei luoghi più emozionanti sulla Terra, nel senso che indica un  nuovo paradigma di sviluppo. Mostra quanto può essere realizzato con la volontà politica, anche in tempi di incertezza economica.

Solo 10 anni fa, l'Ecuador era più o meno un caso disperato, una quintessenza di "repubblica delle banane" (in effetti è il più grande esportatore mondiale di banane), caratterizzato da instabilità politica, disuguaglianze, un'economia scarsamente performante, e l'impatto sempre incombente degli Stati Uniti sulla sua politica interna.

Nel 2000, in risposta a un'iperinflazione e a problemi di bilancia dei pagamenti, il governo ha “dollarizzato” l'economia, sostituendo il sucre con la valuta statunitense come moneta a corso legale. Questo ha ridotto l'inflazione, ma non ha fatto nulla per affrontare i fondamentali problemi economici, e ha ulteriormente limitato lo spazio della politica interna.

Un punto di svolta è arrivato con l'elezione a Presidente dell'economista Rafael Correa. Dopo l'entrata in carica nel gennaio 2007, il suo governo ha inaugurato una serie di cambiamenti, sulla base di una nuova Costituzione (la 20ma del paese, approvata nel 2008) approvata da un referendum popolare. Un tratto distintivo dei cambiamenti che si sono verificati da allora è che le politiche più importanti sono state sottoposte a referendum. Ciò ha dato al governo la capacità politica di toccare  interessi forti e potenti lobbies.

lunedì 23 gennaio 2012

Illiceità delle tasse e signoraggio privato

ILLICEITÀ DELLE TASSE
http://pas-fermiamolebanche.blogspot.com/2012/01/illiceita-delle-tasse.html
DOC. n. 190 del 23.1.2012

Sono degli incolpevoli disinformati, o dei delinquenti, gli assertori della bellezza o della necessità delle tasse. Le tasse sono infatti illecite, configurano una serie di gravissimi crimini, sono la rovina della società, e vanno abolite! Al limite si può dire che vanno pagate finché non viene rimosso l’altro crimine che causa perora la loro necessità: il signoraggio bancario. Un crimine, il signoraggio, che questi 20.000/30.000 figuri che, attraverso i media, rappresentano in Italia il regime cercano in tutti i modi di occultare perché hanno terrore del momento – imminente – in cui la collettività scoprirà il gioco. Un crimine che magistratura, politica e media si sforzano di promuovere, nonostante sappiano che non potranno negare di esserne stati al corrente, perché ricevono da anni i miei volantini informativi. Così come non potranno dire gli siano sfuggiti i video in cui Sara Tommasi nuda o Rossy de Palma o Ruby spiegano cosa sia. Gente che sa che le tasse sono un’invenzione del sistema bancario, ma finge di ignorarlo per conservatorismo. Un conservatorismo divenuto oggi una disdicevole e ottusa forma di perseveranza nell’aggrapparsi a un regime, non solo depravato, ma al tracollo. È cioè ormai noto che le banche centrali sono private e per lo più di proprietà delle banche di credito che dovrebbero controllare; e che stampano, da proprietarie, i soldi al costo della carta e dell’inchiostro e poi li ‘vendono’ (è più un sconto, ma in realtà è una mera frode) agli Stati, che glieli pagano con i buoni del tesoro, creando così dal nulla il debito pubblico. Un crimine di straordinaria gravità, visto che non c’è motivo perché gli Stati non stampino da sé i soldi.

Stampa dei soldi da parte degli Stati che non provocherebbe svalutazione perché lo Stato i soldi non te li regala, ma te lidà solo in cambio di beni, ope-re, diritti eccetera, cioè contro-prestazioni con cui chi li rice-ve li ‘copre’, ovvero li ‘invera’, perché ho definito questo fenomeno ‘inveramento’. Con il risultato che non si ha svalutazione perché cresce parallelamente sia il quantitativo di denaro che la ricchezza reale. Inveramento che non c’è quando a produrre i soldi è un falsario (è un falsario chiunque crei i soldi e non sia lo Stato, e quindi anche le banche centrali e non, come la BCE, FED, Unicredit ecc.), perché il falsario i soldi li attribuisce a sé senza prima inverarli/coprirli, facendo così aumentare la quantità di denaro in assenza di alcun aumento della ricchezza reale. Ricchezza reale di cui poi, mettendo in circolazione i soldi mediante lo spenderli, comprerà per di più una percentuale, producendo, oltre alla svalutazione, anche la diminuzione della quota di ricchezza reale dei cittadini.

Un quadro (criminale) nel quale le tasse servono a rastrellare soldi inverati per ‘comprare’ assurdamente i soldi da inverare dalle banche centrali. Tasse che servono però anche a reprimere la società mediante la recriminazione di alcuni come evasori, altri come riciclatori ecc. Tasse che dunque vanno abolite previa nazionalizzazione – attraverso confisca penale – delle banche sia centrali che di credito, perché anche le banche di credito producono, da falsarie, denaro elettronico mediante il ‘moltiplicatore monetario’ (signoraggio secondario: approfondisci dal www.marra.it). È ovvio insomma che nel momento in cui lo Stato non dovrà più ‘comprare’ il denaro presso le banche centrali, o assistere al fatto che le banche commerciali lo creino mediante il moltiplicatore, ma potrà invece Esso stesso crearlo, non avrà più bisogno di tasse. Salvo invero un’unica imposta (potremmo definirla la ‘generale’) da pagarsi – senza compensazioni tra dare e avere – sui consumi di beni o servizi. Un’imposta variabile (tipo 2% sui beni di prima necessità e 20% sui beni di lusso) formulata per porre a carico del fruitore lo sforzo sociale che ogni transazione richiede.

Campagne scellerate quindi, quelle pro-tasse della politica, la quale, incolta com’è, si è fatta inculcare dalle banche e ha inculcato al grosso dell’elettorato l’idea che senza le tasse dei ricchi perderebbe la sua fonte di sostentamento. Banche che, peraltro, evadono da sole tasse per importi multipli di tutte le tasse sia pagate che evase dal resto dell’intera società. Un equivoco culturale a causa del quale i partiti, per difendere le tasse, difendono poi anche le banche, da cui capiscono che le tasse dipendono. Cose che spiegano il singolare legame tra entità come il PD, Napolitano, Bersani, il bilder-beghino Monti e le banche che, attraverso il Bilderberg, lo hanno eletto. Cosa bisogna fare? Nulla! Stanno facendo tutto loro, specie Monti e le banche sue mandanti.

Monti che non è sobrio ma delirante di supponenza frustrata, così come lo stesso potere bancario che, anche a volerne condividere gli illeciti intenti fiscali, sta risolvendo il problema dell’evasione mediante la distruzione dei redditi. Redditi in ogni caso destinati a scomparire perché ribadisco che la ragione della crisi, oltreche nella concorrenza straniera e non, è nell’eccesso e nell’inutilità dei beni prodotti, per cui non si riesce più a vendere, e se si vende non si guadagna. Problemi risolvibili solo nazionalizzando le banche e finanziando quindi, con i soldi che allora lo Stato potrà creare liberamente, una radicale riconversione lanciando opere utili come la ristrutturazione e la bonifica dell’intero mondo, aria e acque comprese, a partire dalle città, la riconversione energetica ecc., garantendo così per decenni tutto il lavo-ro che si vuole sia ai lavoratori che agli imprenditori. Cambiamenti che, non so se anche nelle carte di altri, ma nelle mie sono descritti dal 1985. Cambiamenti per giungere aiquali non bisogna far nulla perché – ad averli decisi sarebbero stati dei meravigliosi eventi – ma ora, con la fine dell’illusione Monti, accadranno comunque e, peraltro, dovendoli subire, saranno dolorosi. Un cambiamento che, come sempre da 2.000 anni, inizierà dall’Italia, paese fondatore delle vere culture, e verrà poi esportato nel mondo. Nuova cultura che da 27 anni, ho la pretesa di aver formulato nei miei libri, dal primo, La storia di Giovanni e Margherita, fino all’ultimo, Il labirinto femminile.

 Alfonso Luigi Marra


La guerra dei bottoni


La guerra dei bottoni
di Beppe Grillo - 22/01/2012

Fonte: Il Blog di Beppe Grillo


La_guerra_dei_bottoni.jpg
Il valore di un titolo pubblico per i creditori è considerato intangibile. Se lo Stato che ha contratto il debito non paga, allora va all'inferno, finisce in default. Il valore di un BOT, in principio, non è però diverso da quello di qualsiasi azione di un'azienda quotata in Borsa. Chi acquista un titolo di Fiat o di ENI sa che può guadagnare o perdere. Non chiede l'intervento del FMI o della BCE. Fa parte del gioco. L'economia di uno Stato si fonda su molte variabili, un PIL che può crescere o diminuire, un disavanzo, o un avanzo, di bilancio, e fattori imponderabili, come disastri naturali o guerre, che lo possono mettere in ginocchio. Chi compra un'azione si assume un rischio, lo stesso dovrebbe valere per chi acquista un BOT. Se Formigoni, per fare un esempio, ha acquistato milioni di euro di titoli greci che oggi valgono il 60% in meno, la responsabilità è sua, non dei greci (ma perchè la Regione Lombardia investe in titoli? La Corte dei Conti sa rispondere?).
Chi compra il debito pubblico si assume il rischio della sua svalutazione. Con questa regola il rischio ricadrebbe in prevalenza sugli acquirenti, in particolare sulle banche che hanno in pancia centinaia di miliardi di euro di debito, a cui cinicamente si potrebbe dire "Nessuno vi ha costretto" o, metaforicamente, "Sono c...i vostri". Questo approccio ridurrebbe l'uso del debito per tenere in piedi le economie malate degli Stati. Le aste pubbliche andrebbero semideserte. E sarebbe un bene per un pianeta che farnetica di una "crescita" senza limiti sostenuta da un debito senza fine. Nel 2012 sono in scadenza nel mondo almeno 11.000 miliardi di titoli pubblici. Chi li comprerà?
Una moglie, stanca di vedere il marito rigirarsi nel letto per un debito con il vicino, apre la finestra e grida "Giovanni, i soldi mio marito non li ha e non li avrà mai!". E quindi al coniuge "Ecco, ora il problema lo ha lui". Nel romanzo francese la "Guerra dei bottoni", due bande di ragazzi si rubano i bottonicome trofeo di guerra. Chi possiede più bottoni è il vincitore. La battaglia finale è vinta dai ragazzi che decidono di combattere nudi. Un debito si può cancellare o ristrutturare, la responsabilità è anche del compratore. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure, Ci vediamo in Parlamento se non fanno una legge elettorale per impedirlo.

sabato 21 gennaio 2012


Dire addio all’euro, la tentazione dei finlandesi alle urne


I finlandesi vanno alle urne per le presidenziali e potrebbero mandare al ballottaggio un candidato anti euro, rendendo così le loro elezioni un referendum sulla moneta unica. Nei sondaggi un terzo dei cittadini ora ha un’opinione negativa dell’euro. Helsinki ha tenuto la tripla A e la sua posizione è determinante anche per il fondo salvastati. Così, proprio quando potrebbe iniziare a contare davvero di più a Bruxelles, la tentazione della Finlandia di mandare a quel paese i greci e tutti noi si fa sempre più forte. Ma qualsiasi cosa decideranno, questo è uno dei paesi col miglior sistema educativo al mondo e dove il 79% degli abitanti usa internet. Insomma non sarà becero populismo.

I finlandesi che domani potrebbero mandare al ballotaggio per le presidenziali un candidato anti euro, Paavo Matti Väyrynen, da opporre al più filo Bruxelles ex ministro delle finanze Sauli Niinistö, celebre nel Paese anche per essere sopravvissuto allo tsuanami del 2004, sono molto stanchi di dare soldi ai greci e più in generale ai Paesi periferici. Lo stesso ministro degli esteri finlandese Erkki Tuomioja ha bollato come "inutile e dannoso" l’accordo sull'unione fiscale europea, suscitando paure di una futura opposizione.  Così la situazione generale trasforma il voto di queste cinque milioni e mezzo di persone in un referendum sulla moneta unica e il futuro della Ue. Niinistö potrebbe vincere anche al primo turno o andare al secondo con altri rivali, mentre i candidati che vogliono lasciare l’euro, (perché assieme a Väyrynen dei centristi c'è anche Timo Soini dei populisti «True Finns») dovrebbero portare a casa circa un quarto dei voti. 
Negli ultimi tempi i segnali finlandesi non sono stati troppo negativi per la moneta unica. Helsinki ha poi spiegato che quella di Tuomioja non è la posizione ufficiale del governo e pochi giorni fa  è trapelata la notizia che eurozona e la Finlandia sono vicini a un accordo sul nuovo sistema di voto per il nuovo fondo salvastati Esm. I leader della zona euro hanno concordato infatti il mese scorso che l'Esm prenderà decisioni urgenti sui prestiti ai paesi in difficoltà con una maggioranza dell'85% dei voti, invece che all'unanimità come concordato inizialmente. Ed Helsinki è l'unica capitale che non potrebbe cambiare, perché questa modifica allo schema dell'Esm richiederebbe il sostegno dei due terzi del Parlamento finlandese, una maggioranza che il governo non ha. Un'intesa eliminerebbe così uno degli ultimi ostacoli per il varo del programma il luglio prossimo e, senza il consenso della Finlandia, per il fondo di salvataggio permanente sono guai. Fra l'altro la Finlandia è una delle poche nazioni sopravissute alla forbice di S&P e la sua tripla A è necessaria perché il fondo possa prendere a prestito denari a tassi più vantaggiosi.  Come ha spiegato al Financial Times il ministrio dell'economia Jyri Jukka Häkämies il Paese è ora in «una posizione più forte per prendere un ruolo di rilievo in Europa». Ed ecco il paradosso: proprio quando i finlandesi potrebbero iniziare a contare davvero di più a Bruxelles, la tentazione di mandare a quel paese i greci e tutti noi si fa sempre più forte. 

Gli osservatori raccontano però che la retorica anti euro dei candidati ha fatto in queste ultime elezioni un grande balzo in avanti, preludio di altre retoriche che sentiremo sempre più anche da noi. Nei sondaggi risulta che ora un terzo dei finlandesi ha un'opinione negativa di Ue ed euro (alla fine del 2009 era un quarto). Per un economia passata da agricola ad industriale come facemmo noi nel dopoguerra, ma anche da industriale ai servizi, come fece il Regno Unito con la Thatcher, e la cui dipendenza dal commercio estero è forte, questa voglia di mandare in pensione la moneta unica pone prima di tutto delle sfide interne visto che anche per loro le previsioni per il 2012 sono fosche con l'Ocse che teme che i consumi interni non riusciranno a continuare a compensare la caduta nell'export. La crisi del 2009 ha avuto per il Paese un impatto quasi pari solo alla caduta dell'Urss con cui confina e con la quale, per l'esigenze del buon commercio, aveva sempre evitato di usare toni critici («finlandizzare» un discorso negli anni '70, quando il presidente finlandese era Urho Kekkonen, durato ben 25 anni, voleva dire evitare di usare toni critici coi comunisti russi).

Insomma da questo primo turno delle elezioni finlandesi (il secondo sarà il 5 febbraio) possono dipendere umori ed effetti a catena che per la sopravvivenza della moneta unica e chissà che il termine "finlandizzare" non siginificherà in futuro "criticare così tanto la moneta unica da affossarla”.

Ma teniamo conto che questo non è un paese da populismo ignorante e zoticone. Qui il 79% degli abitanti usa Internet, la sua stampa è considerata da Freedom House una delle più libere e migliori al mondo, e il suo sistema educativo è per l'Ocse uno dei migliori in assoluto con i risultati dei test Pisa fra i più alti. Certo, siamo in una cultura nordica, dove lo spazio è solo quello dell'interno, dove non si dà esterno, dove una cultura della piazza alla Rabelais è impossibile, dove quindi l'alcol è spesso l'unico modo per uscire, dove il 15% dei ragazzi fra i 15 i 19 senza lavoro o studio si suicida, dove non per caso lì a fianco, in Norvegia, Ibsen ha portato il dramma borghese a nuove vette, ma qualsiasi cosa decideranno sarà il frutto di uno dei sistemi sociali che meglio rende il cittadino capace di decidere. Che poi saremo d'accordo con loro, questa è un'altra storia.