domenica 7 aprile 2013

Disoccupato: «Dite perché mi sono suicidato»


Zanè: «Dite perché mi sono suicidato»

ZANÈ/2. Un genitore lascia scritto al figlio di informare l'opinione pubblica sui motivi che l'hanno spinto alla tragedia. Un cinquantenne rimasto senza lavoro si è tolto la vita: in un biglietto ha chiesto che i suoi cari spieghino i motivi del gesto
06/04/2013
Zoom Foto
Un 50enne si è suicidato ma prima ha lasciato un biglietto chiedendo ai suoi di parlare del suo caso
ZANÈ. Un biglietto di saluto ai suoi cari; la spiegazione del motivo di quel tragico gesto, dettato dalla disperazione di non avere più un lavoro e una richiesta chiara: «Fatelo sapere tramite il giornale». È questo che ha spinto un ragazzo a reagire al dolore e a raccontare la storia del padre, un autotrasportatore di Zané, che la scorsa settimana si è tolto la vita nella sua abitazione. Da quanto tempo suo padre era senza lavoro? «Mio papà ha fatto il camionista per trent'anni. Ha sempre versato regolarmente i contributi e si è sempre dimostrato un gran lavoratore. Poi con la crisi le cose hanno iniziato ad andare male, non veniva più pagato, ha cercato altri lavori, ma alla fine si è trovato disoccupato. Ha ricevuto un contributo di 700 euro al mese, per sette mesi. E da ottobre, più nulla». Come ha reagito a questa situazione? «Senza lavoro si sentiva impotente. Non ha mai smesso di cercare un'occupazione, ha presentato oltre 300 richieste, anche fuori regione, ma le risposte erano sempre le stesse: o non cercavano, o era troppo vecchio. Aveva 50 anni». Ha mai chiesto aiuto? «Non nel senso di un sostegno. Chiedeva solo di poter lavorare, con dignità. Quando ha visto che non cambiava niente, ha fatto quello che sappiamo. Voleva che qualcuno si muovesse, che lo Stato prendesse in mano la situazione, che i politici cominciassero a fare qualcosa». Vi sareste aspettati un gesto così estremo? «No. Era una persona allegra, solare. Amava la vita e la sua famiglia. E ha sempre cercato di trasmettere questa immagine, anche se soffriva. Ha covato per mesi un malessere, fino ad esplodere, con la speranza però che non fosse inutile. È per questo che ho raccontato la sua storia anche alla fine del funerale, davanti alla chiesa piena». Crede che si sia sentito abbandonato? «Sì perché dopo una vita di lavoro, quando ha chiesto aiuto, ha trovato il silenzio dello Stato. 
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Alessia Zorzan