domenica 2 giugno 2013

Carabinieri: peggio di tangentòpoli ?


La via smarrita
Alcuni delegati della Legione Carabinieri Lombardia hanno emanato un nota che colpisce al cuore la nostra Istituzione.
Costoro, riferendosi ad alcuni generali dell’Arma, così scrivono: “ TI FANNO LA MORALE, MA NON TI INSEGNANO COME SI FA AD ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE”.
Ma di che cosa si lamentano? Del fatto che alcuni generali non sono d’esempio e, quando possono, arraffano come i peggiori politici.
E l’Arma vacilla, e sempre più numerosi sono i casi dei Carabinieri che hanno smarrito il senso dell’onore e dell’appartenenza ad una Istituzione così gloriosa.
Diceva il nostro sommo poeta, Dante Alighieri: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, chè la diritta via era smarrita”.
Da troppo tempo al Comando Generale dell’Arma hanno smarrito la diritta via, quella delle regole che debbono essere rispettate da tutti, principio che era la vera forza dei Carabinieri. Tutti, dal generale al semplice carabiniere, uniformavano i loro comportamenti al Regolamento Generale dell’Arma.
Oggi, invece, chi può, chi ha un minimo di potere, fa quello che vuole e se ne infischia degli altri e delle loro condizioni.
Tutto è iniziato nel 1989 quando, per una miserabile indennità di funzione, lo Stato Maggiore dell’Arma vendette l’Istituzione e scardinò la compattezza interna.
I Marescialli e i Brigadieri si sentirono traditi perché quella indennità era percepita solo dagli Ufficiali.
In occasione del ricorso da loro presentato per l’equiparazione con gli Ispettori della Polizia di Stato, il Comando Generale inopinatamente si mise contro i 22.500 ricorrenti. Come ha sempre fatto.
Da Presidente del COCER mi schierai apertamente con i ricorrenti. Alcuni miei colleghi ebbero la sfrontatezza di dirmi: “Non ti perdoneremo mai il fatto che tu abbia svegliato il popolino”.
Ma noi vincemmo.
Credetti che il Comando Generale, dopo la sonora sconfitta subita, cambiasse atteggiamento. Nulla di tutto questo. Si continuò imperterriti a curare gli interessi dei gradi superiori, ignorando le esigenze del personale.
Oggi alcuni coraggiosi delegati, di fronte alla grave crisi economica del Paese, hanno giustamente puntato il dito, non contro la festa dell’Arma, in cui si ricordano una volta all’anno i nostri morti, ma contro taluni Generali, che si azzannano fra di loro per acchiappare sempre maggiori compensi.
I delegati si chiedono allarmati: quanti generali abbiamo nell’Arma dei Carabinieri?
Ecco l’elenco:
  • 7 generali di Corpo d’Armata, di cui 5 in servizio nella capitale (molti non sanno che per legge ne possono promuovere 11);
  • 23 generali di Divisione, di cui 13 in servizio nella capitale;
  • 60 generali di Brigata, di cui 40 in servizio nella capitale;
Totale 90 generali, di cui ben 58 in servizio nella Capitale.
Poi, questi delegati hanno puntato il dito contro la carica di Vice Comandante Generale, che viene conseguita ad anzianità, e ricoperta per brevi periodi, giusto il tempo per appropriarsi di una bella pensione, che non trova riscontro nei contributi versati.
I Delegati hanno posto attenzione agli emolumenti dell’attuale Vice Comandante Generale: stipendio mensile circa 6.000,00 euro + altre indennità, che fanno lievitare di parecchio le sue retribuzioni complessive.
Quello che, però, fa accapponare la pelle è il fatto che - di fronte alla gente che vive con 500 euro al mese e ai carabinieri che, nelle grandi città con 1300 euro, debbono trovare il secondo lavoro (ovviamente di nascosto) e agli ufficiali del ruolo speciale, che non vengono equiparati “perché non ci sono soldi”) - il Vice Comandante, che ha iniziato il suo mandato il 18 maggio 2013 che terminerà fra due mesi, per questo breve periodo di pseudo comando, si vedrà estesa l’indennità speciale che spetta al Comandante Generale dell’Arma.
La sua pensione avrà un incremento di 8.000 € per un totale di 14.000,00 € al mese. Come è accaduto a tutti quelli che lo hanno preceduto!
“Alla faccia del bicarbonato di sodio”, avrebbe detto Totò, che, se fosse vissuto in questi anni tristi, avrebbe impersonato invece che il ladro che sostituisce De Sica, Maresciallo dei carabinieri, un Vice Comandante Generale. Senza uscire dal tema!
I Delegati sono andati oltre, e così hanno contato i peletti a tutti i generali, che hanno approfittato di una norma, che penalizza le casse dello Stato e le tasche dei cittadini:
  1. generale C.A. Massimo Iadanza, inizio mandato 7 marzo 2013, fine mandato 18 maggio 2013. Circa due mesi;
  2. generale C.A. Clemente Gasparri, inizio mandato 7 marzo 2012, fine mandato 7 marzo 2013, circa un anno;
  3. generale C.A. Carlo Gualdi, inizio mandato 13 gennaio 2012, fine mandato 6 marzo 2012, meno di due mesi;
  4. generale C.A. Michele Franzé, 14 giugno 2011, 12 gennaio 2012, 7 mesi;
  5. generale C.A. Corrado Borruso, 14 giugno 2010, 13 giugno 2011, un anno;
  6. generale C.A. Stefano Orlando, 23 luglio 2009, 14 giugno 2010, un anno;
  7. generale C.A. Giorgio Piccirillo, 11 gennaio 2008, 22 luglio 2009, un anno e mezzo;
  8. generale C.A. Massimo Cetola, 12 luglio 2007, 11 gennaio 2008, sei mesi;
  9. generale C.A. Goffredo Mencagli, 17 luglio 2006,0 11 luglio 2007, un anno;
  10. generale C.A. Roberto Cirese, 27 febbraio 2006, 11 luglio 2006, 5 mesi;
  11. generale C.A. Roberto Santini, 27 febbraio 2005, 26 febbraio 2006,un anno;
  12. generale C.A. Ermanno Vallino, 6 febbraio 2005, 26 febbraio 2005, 20 giorni;
  13. generale C.A. Salvatore Fenu, 23 marzo 2004, 5 febbraio 2005,un anno;
  14. generale C.A. Emo Tassi, 2 settembre 2003, 22 marzo 2004, sei mesi;
  15. generale C.A. Virgilio Chirieleison, 2 settembre 2002, 1 settembre 2003, un anno;
  16. generale C.A. Mariano Ceniccola, 10 aprile 2002, 2 settembre 2002, 5 mesi;
  17. generale C.A. Carlo Alfiero, 10 aprile 2001, 9 aprile 2002, un anno;
  18. generale C.A. Giovanni Narici, 9 agosto 2000, 9 aprile 2001, 8 mesi;
  19. generale D. Paolo Bruno Di Noia, 9 agosto 1999, 8 agosto 2000, un anno;
  20. generale D. Giorgio Cancellieri, 9 agosto 1998, 8 agosto 1999, un anno;
  21. generale D. Giuseppe Bario, 15 giugno 1998, 8 agosto 1998, 2 mesi;
  22. generale D. Bruno Brancato, 15 giugno 1997, 14 giugno 1998, un anno.
Uno scandalo! In appena 15 anni si sono succeduti 22 Vice Comandanti Generali.
I politici, invece di perdere tempo in inutili chiacchiere, mettano il naso nella più prestigiosa Istituzione dello Stato, che da qualche anno qualcuno sta trascinando verso il basso, per meri profitti ed interessi personali. E non per colpa della truppa, come qualcuno va cianciando, quando le cose vanno male!
Pensate dal 1997 ad oggi ci sono stati 5 Comandanti Generali (Siracusa, Bellini, Gottardo, Siazzu, Gallitelli) contro, come detto 22 Vice Comandanti, molti dei quali hanno goduto di quella maledetta indennità. La logica è perversa: uno solo può diventare Comandante Generale, ma gli altri non debbono stare a becco asciutto.
In effetti i becchi siamo noi, Carabinieri dei gradi inferiori, che dobbiamo assistere a questo spettacolo indecoroso e alla fine dobbiamo pure sorbirci le loro le prediche moralizzatrici quando commettiamo qualche marachella.
Non solo. Molti di loro sono stati capaci di agguantare altri incarichi, divenendo prefetti e consiglieri di stato e della Corte dei Conti. Altri emolumenti! Alla faccia del popolo italiano, che non arriva alla fine del mese.
E il COCER tace. Ma non tutti.
Quei delegati, coraggiosi, tirino fuori l’elenco di tutti i generali che ricoprono o hanno ricoperto incarichi di sottogoverno, con quello che percepiscono.
Nessuno sinora pipita.
Come non hanno pipitato quando il generale Ganzer, condannato a 14 anni di reclusione, è rimasto a ricoprire il suo incarico, delicatissimo, di Comandante del ROS, mentre i Carabinieri, di rango inferiore, venivano e tuttora vengono massacrati per sciocchezze.
Come non hanno pipitato quando un generale di divisione ha scavalcato ben tre suoi colleghi, posti davanti a lui in graduatoria, nella promozione a generale di corpo d’armata. E per interessi, che era ed è facile rilevare. Ci sono generali pronti a testimoniare!
Al SUPU, sindacato di militari e carabinieri che non vogliono stare zitti, stanno giungendo segnalazioni allarmanti sull’attuale situazione nell’Arma dei Carabinieri (troppi suicidi, troppi delitti, troppe irregolarità, troppi abusi).
Altro che Tangentopoli. Già si parla di ARMOPOLI.
Il generale Giovanni Antolini, Presidente del COIR Palidoro, ha chiesto se vi siano i presupposti per recuperare le somme di denaro percepite da questi generali con un artifizio che ha consentito loro di aggirare la legge, per distribuirle ai 107.000 carabinieri d’Italia, che vivono in difficoltà inenarrabili.
Il SUPU si affianca al Generale Antolini nella sua più che legittima richiesta.
Inviteremo sindacati e altre associazioni ad unirsi a noi. Faremo una raccolta di firme.
Il 25 febbraio 2011, il senatore Caforio ha scritto: “In un contesto di tagli indiscriminati, un aumento dei vertici delle Forze armate è difficile da comprendere. Che senso ha mantenere ancora il Vice Comandante dei Carabinieri e il Comandante in seconda della Guardia di Finanza?.
Nell'ambito di una politica di razionalizzazione delle spese forse sarebbe maggiormente opportuno, in un quadro di grave crisi economica, verificare l'incidenza sul bilancio della difesa, in termini numerici ed economici, degli alti vertici militari ed estendere, di conseguenza, la politica dei tagli anche agli alti livelli.
Ciò andrebbe fatto, non indiscriminatamente e linearmente, bensì colpendo quelle forze armate che, rispetto alle altre, si caratterizzano per una palese e consistente sovraesposizione numerica. E' il caso, ad esempio, dell'esercito che conta nelle sue fila 26-27 generali di corpo d'armata.
Mi chiedo, inoltre, quale senso abbia mantenere in vita la figura del vice Comandante Generale dei carabinieri e della Guardia di Finanza alla luce anche della riforma dello scorso anno con la quale si è provveduto, per la prima volta, alla nomina di un Comandante Generale proveniente dai ranghi dello stesso corpo, venendo, quindi, a mancare la necessaria figura di raccordo.
Ritengo, infatti, che anche nel settore difesa, si debba debitamente tenere conto del momento estremamente difficile che il paese sta attraversando. Tuttavia, non si può far finta di non sapere che le Forze di Polizia, ormai da molto tempo, hanno estrema difficoltà a pattugliare il territorio, a causa della mancanza di carburante. Deficit di risorse che, impedisce , purtroppo, lo svolgimento di una seria e importante opera di prevenzione dei reati, creando insicurezza tra i cittadini.
Già in sede di trattazione, in Commissione Difesa, al Senato, del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, "recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", lanciai un serio campanello d'allarme in merito alle riduzioni delle dotazioni finanziarie del Ministero della Difesa. In quell'occasione denunciai una diminuzione delle risorse, per il prossimo triennio, di oltre 600 milioni di euro. Più precisamente 255 milioni per l'anno 2011, 304 milioni per l'anno 2012 e 104 milioni per l'anno 2013.
Inoltre, a fronte dei rilevanti tagli di bilancio effettuati in settori di particolare importanza, l'Esecutivo prevedeva lo stanziamento di fondi per interventi dalle discutibili finalità, quali l'istituzione di corsi di formazione delle Forze armate per i giovani (la cosiddetta naia breve). Intervento, questo, previsto inizialmente nel disegno di legge n. 2096 e successivamente introdotto come emendamento a tale decreto legge.
Credevo, e ne sono tuttora pienamente convinto, che non possiamo permetterci sprechi di denaro pubblico, né per finanziare corsi di dubbia utilità né per gratificare ulteriormente alti funzionari dello stato, già peraltro ampiamente remunerati. Ciò vale ancor di più per un paese come il nostro dove, in un momento di grave crisi economica come quello attuale, i bambini a scuola sono addirittura costretti a portarsi la carta igienica da casa”.
Nonostante questa grave denuncia, nessuno ha mosso un dito e i Comandanti Generali hanno lasciato fare.
Voglio ricordare che il Decreto Legislativo 5 ottobre 2000, n. 297, “Norme in materia di riordino dell’Arma dei Carabinieri”, all’art. 25, comma 1, lettere a) e b), stabilisce che il Vice Comandante Generale:
  • è il generale di corpo d’armata più anziano in ruolo e viene nominato su decreto predisposto dal Comandante Generale dell’Arma;
  • rimane in carica con mandato della durata massima di un anno, salvo che nel frattempo non debba cessare dal servizio permanente effettivo per limiti di età o per altra causa prevista dalla legge.
E’ del tutto evidente che il legislatore ha predisposto una norma a favore dei Generali di Corpo d’Armata, in modo da conferire loro, comunque, l’incarico di Vice Comandante anche se, divenuti i più anziani nell’Arma, rimangono in servizio per meno di dodici mesi.
Ma da questo trattamento di favore si è passato all’abuso, per acquisire una cospicua indennità dopo aver retto taluni l’incarico addirittura per meno di un mese.
L’irregolarità è del tutto evidente e le responsabilità sono molteplici.
Dapprima del Comandante Generale, al quale la legge attribuisce la responsabilità della predisposizione del decreto della nomina del Vice Comandante. E’ ben evidente la sua colpa di non aver controllato il verificarsi ripetuto di un simile abuso. Inammissibile nel momento in cui si impone alle amministrazioni il contenimento delle spese, e si bloccano gli stipendi del personale.
Peraltro, la sua responsabilità è ancora più rilevante, in quanto la sua minore vigilanza ha esposto il Consiglio dei Ministri, il Ministro della Difesa, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, e persino il Presidente della Repubblica, che ha firmato il decreto per eccessiva fiducia nel Comandante Generale.
Sarebbe stato un gesto di grande responsabilità il suo, se avesse chiesto la modifica della normativa sulla rotazione dei Vice Comandanti, ma soprattutto l’eliminazione di un simile inammissibile beneficio.
Le responsabilità sono poi dei diretti interessati, che erano ben consapevoli della forzatura della norma che portava ad un incremento stipendiale e della pensione, sproporzionato ai giorni di incarico ricoperto.
Voglio ricordare che dal 1814 nell’Arma si sono succeduti 58 Comandanti Generali e 96 Vice Comandanti, con una media di un Comandante Generale ogni 4 anni e di 1 Vice Comandante Generale ogni 2 anni.
Dal 1997 questa media è saltata: 1 Vice Comandante ogni 7 mesi. E non per spirito di corpo o per qualche altro nobile fine.
Se questo ritmo si fosse mantenuto nei secoli, dal 1814 ad oggi, avremmo avuto 374 Vice Comandanti Generali.
La media si innalza se prendiamo a valutazione gli ultimi 4 anni, in cui si sono avuti ben 7 Vice Comandanti Generali.
Il SUPU non starà a guardare: abbiamo già dato incarico ai nostri legali di valutare la presentazione di un esposto denuncia alla magistratura.
E questo per la parte giudiziaria.
Per la parte politica, inoltreremo una richiesta di audizione alle Commissioni parlamentari competenti per essere ascoltati su questo grave malcostume, inammissibile in un’Arma che giustamente pretende dai suoi appartenenti, soprattutto da quelli dei gradi più bassi, comportamenti ineccepibili.
Sono numerosi i casi di Carabinieri ai quali sono stati mossi addebiti di certo meno rilevanti di quelli sopra segnalati.
Il SUPU si muoverà con determinazione affinché si intervenga con immediatezza al fine di non far continuare una condotta che il Regolamento di Disciplina militare censura ammonendo il militare, di ogni grado, all’art. 9, di impegnarsi “solennemente ad operare per l’assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze Armate con assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane, con disciplina ed onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione”.
Peraltro, “il militare, investito di un grado, deve essere di esempio nel compimento dei doveri, perché l’esempio agevola l’azione e suscita lo spirito di emulazione” (art. 10).
Non vogliamo fare la fine dei gloriosi Moschettieri del Re, oggi ricordati nei romanzi di Dumas!

Palermo, 31 maggio 2013

Antonio Pappalardo

Euro: referendum d'indirizzo


Il referendum sull’euro? Si può fare!

Euro crepe
La questione del rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta all’interno della nostra organizzazione politica ed istituzionale è uno degli temi centrali del MoVimento. Strumenti che dovranno portare ad un rafforzamento della democrazia fondata sulla partecipazione attiva di tutti i cittadini, contro quel sistema di «democrazia dei partiti» (o partitocrazia) che è stata l’espressione più evidente della volontà delle vecchie forze politiche dispostare la sovranità dal popolo ad un particolare soggetto politico, il partito appunto. Uno dei punti programmatici del MoVimento è, in questo senso, costituito dall’introduzione del referendum propositivo senza quorum.  Come è noto, per realizzare questo obiettivo sarà necessaria una modifica della Costituzione, che non potrà non attuarsi attraverso tutti i passaggi previsti dal testo costituzionale.
La Costituzione prevede, per le leggi di modifica della Costituzione, due approvazioni successive, ad almeno 3 mesi l’una dall’altra, da parte di entrambi i rami del Parlamento (Camera e Senato). Nella seconda votazione, è richiesta, per l’approvazione, la maggioranza assoluta (metà più uno dei componenti dell’assemblea). A questo punto, secondo l’art. 138 della Costituzione, si devono distinguere due ipotesi:
  1. se, entro tre mesi dall’approvazione – lo richiedano 500.000 elettori, oppure 1/5 dei membri di ciascuna Camera, o, infine, 5 consigli regionali – la legge viene sottoposta a referendum popolare;
  2. se la legge, invece, è stata approvata nella seconda votazione con una maggioranza più alta di quella assoluta, pari ai 2/3 dei componenti dell’assemblea (maggioranza qualificata), essa è sottratta al referendum.
È evidente che questo procedimento richiede che, per la modifica della Costituzione, il MoVimento disponga di una forza, di una maggioranza parlamentare, che al momento non ha. Che fare, allora, di fronte ad un problema decisivo come l’Euro? Come rendere possibile e concreta la necessità di cui Grillo, pochi giorni fa, si è fatto portavoce («L’Europa va ripensata. Noi consideriamo di fare un anno di informazione e poi di indire un referendum per dire sì o no all’Euro e sì o no all’Europa»)?
L’Europa va ripensata. È vero: questa Europa dei banchieri e dei grandi gruppi finanziari non è certo l’Europa dei popoli, ma l’Europa che sta dividendo i popoli. La questione della moneta riguarda tutto questo, perché è il cuore di questa Europa che non vogliamo. Il MoVimento ha sempre mantenuto una posizione chiara e coerente: quella di far decidere agli italiani con un referendum se continuare a stare in questa  gabbia d’acciaio o uscirne. Nessuno ce lo ha chiesto. Siamo entrati nell’Euro con una decisione presa senza alcuna consultazione popolare (utili idioti all’interno di un patto tra Kohl e Mitterrand) e – non dimentichiamolo – il Governo Monti ci è stato imposto dalla dittatura di Berlino e Bruxelles per salvare la moneta unica.
Non ci sono alternative, dal momento che per ora un referendum abrogativo  è impossibile: non soltanto, infatti, l’art. 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Corte Costituzionale, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l’ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall’Italia nei confronti dell’Unione Europea. Niente referendum abrogativo, quindi.
Eppure qualcosa si può fare. Esiste, infatti, un precedente, che potrebbe essere utilizzato. È da questo precedente che si può cominciare quella campagna di informazione e di dibattito pubblico contro il silenzio imposto dai giornali, anche in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Veniamo, pertanto, al precedente che consentì, nel 1989, di evitare il “blocco” che la costituzione pone all’intervento diretto del popolo in materia di rapporti con l’Europa. Con legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2), fu allora indetto un “referendum di indirizzo” (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento Europeo per redigere un progetto di Costituzione Europea (fu un plebiscito a favore dell’Europa, con l’88% dei sì). Fu necessaria, allora, una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento Federalista Europeo – successivamente sostituita dalla proposta di legge costituzionale presentata dal Partito Comunista – la cui approvazione richiese la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l’iter necessario per le leggi costituzionali.
La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un’ipotesi simile, ma nell’89 i partiti furono concordi nell’approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente “in deroga” o “rottura” di quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, per legittimare con il ricorso al voto popolare l’accelerazione del processo di integrazione europea. Vi fu, allora, una «temporanea “rottura della Costituzione”», che servì a consentire agli italiani di esprimere direttamente la propria posizione su una decisione fondamentale per lo Stato e la sua sovranità. Nessuno, tuttavia, ritenne questa “rottura”incostituzionale.
La nostra stessa storia repubblicana ha dunque conosciuto – e non si vede perché ciò non possa ripetersi – “rotture” della lettera della Costituzione dirette a consentire al popolo di esprimersi direttamente su temi che mettevano in discussione alla radice la sua stessa sovranità. Si potrebbe, pertanto, lavorare per una nuova legge costituzionale ad hoc che consenta ai cittadini di esprimersi direttamente sulla possibile uscita dell’Italia dall’Eurozona. Questa volta non sarebbe neppure necessaria una iniziativa popolare, in quanto il MoVimento è già presente in Parlamento, ed i suoi deputati e senatori potrebbero, pertanto, presentare direttamente il progetto di legge.
A differenza di un progetto di riforma e modifica della Costituzione, questa legge costituzionale ad hoc – che, senza introdurre nell’ordinamento ilreferendum di indirizzo si limiterebbe a farlo entrare e, dopo il voto, subito uscire dallo scenario costituzionale – costringerebbe i partiti ad esprimersi non sull’istituto del referendum in generale, ma su una questione particolare e concreta: decidere se chiedere ai cittadini, direttamente, di esprimere la loro volontà sull’Euro.
Il MoVimento dimostrerà, con questa iniziativa, la propria volontà di andare avanti, con coerenza e forza, nei propri obiettivi: ridare la voce al popolo, ridare la sovranità ai cittadini.

Blockupy, in piazza contro la Troika in 80 città


Blockupy, in piazza contro la Troika in 80 città europee. Scontri a Francoforte

Pubblicato il 1 giugno 2013 21.53 | Ultimo aggiornamento: 1 giugno 2013 21.53
FRANCOFORTE –  Al grido ”I popoli uniti contro la Troika’‘ gli indignados sono scesi per le strade di 80 città europee contro quello che definiscono ”il colpo di stato” di Commissione Europea, Bce e Fondo monetario internazionale (le componenti dell’odiata triade) nei confronti delle nazioni che da anni attraversano una crisi profonda. A Francoforte sono oltre settemila le persone scese in piazza per la marcia di Blockupy. Ma la manifestazione, inizialmente pacifica, è poi degenerata in scontri fra la polizia e una minoranza di dimostranti, contro i quali gli agenti hanno usato manganelli e gas al peperoncino.
Dopo un braccio di ferro durato oltre cinque ore, gli agenti portano via tutti. Tra spintoni e cariche. Compresi i sette deputati della Die Linke scesi in piazza insieme al capogruppo Willy Van Doyen.
La protesta si è fatta sentire in tutta Europa. A Madrid, dove si è svolta la manifestazione principale, a Bruxelles, dove è stato inscenato il delitto della Troika, a Lisbona, Atene, Dublino, Londra. In Spagna – con quasi cinque milioni di iscritti alle liste di disoccupazione su 48 milioni di abitanti – nell’occhio del ciclone è finito anche il governo conservatore di Mariano Rajoy, accusato di assecondare ”i ricatti della troika” e di sviluppare una politica che sta impoverendo la popolazione. Circa diecimila persone – controllate a distanza da un ingente spiegamento di polizia – si sono radunate nel tardo pomeriggio nella piazza del Nettuno, tra il museo del Prado e la sede del Congresso, per poi sfilare, senza incidenti, davanti alle sedi di quelli che vengono indicati essere i co-responsabili della situazione critica attuale: la Borsa, il Banco di Spagna e la delegazione della Commissione Ue.
Battere la troika, vincere il futuro”, ”il tuo bottino è la mia crisi”, ”EU: no alla Troika, il popolo non è un bottino” sono solo alcuni degli slogan scritti sui cartelli per protestare contro i tagli imposti dal Memorandum d’intesa per il salvataggio bancario spagnolo, tagli che vengono giudicati ”brutali e inumani”. La ”marea cittadina” madrilena – formata da indignados del 15-M, Ecologistas en Accion, Piattaforma contro gli sfratti per insolvenza delle ipoteche (PAH), le Maree bianca (contro i tagli alla sanita’) e verde (alla pubblica istruzione) – contesta alla troika di svolgere ”un ruolo di collusione con i governi europei”, alcuni dei quali sarebbero ”corrotti”. Tra questi i manifestanti includono anche quello monocolore di Rajoy: il Partito popolare è coinvolto in un vasto scandalo per fondi illeciti e documentazioni parallele per nascondere tangenti.
I toni della protesta non sono stati ammorbiditi neppure dalle dichiarazioni rese poche ore prima a Barcellona dal capo del Governo nella 29/a giornata dell’economia: Rajoy ha detto che ”sono chiaramente ottimistiche” le cifre sulla disoccupazione a maggio. ”Non sono molto propenso a parlare di germogli verdi o di uscita dalla crisi appena girato l’angolo, ma vi invito ad osservare quelle cifre”. Per ora ci sono quelle alternative dell’Istituto nazionale di statistica, che parlano di 6 milioni di disoccupati, uno in piu’ dei dati ufficiali, perché – come prevedono le regole Eurostat – includono anche la popolazione attiva e in cerca di lavoro. E proprio tre giorni fa l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha annunciato che la disoccupazione salirà al 28%, mentre oggi quella giovanile è al 53,2%, contro il 22,8 della media dell’intera Unione europea.

GIORNALISTA DI LA7 DENUNCIA STRAUSS KHAN


SHOCK IN DIRETTA: LA GIORNALISTA DI LA7 DENUNCIA STRAUSS KHAN

Il racconto in diretta

 

Myrta Merlino, giornalista di La7, dice: "Dominique Strauss Khan tentò di abusare di me. Mi spinse violentemente contro un muro e tentò di baciarmi. Gli mollai un potente ceffone e mi divincolai con fatica".

Myrta Merlino ricostruisce così, in un'intervista al programma tv di Klaus Davi su You Tube, l'episodio, a fine anni '90 in un albergo di Davos, rivelando che l'allora ministro delle finanze francese (poi direttore generale del Fmi, costretto alle dimissioni per lo scandalo sessuale con una cameriera in un albergo di New York) cercò di molestarla in occasione di un'intervista che la giornalista gli avevo chiesto.

L'appuntamento era "al bar del suo albergo a Davos" ma quando "arrivai con il mio operatore - racconta la Merlino - mi arrivò un piattino d'argento con sopra un bigliettino che diceva che il ministro mi aspettava nella sua suite. Salii con l'operatore, bussai alla porta e Strauss-Khan mi aprì in vestaglia. Mi disse di lasciare l'operatore fuori per concordare prima l'intervista, quindi entrai un po' titubante e mi sedetti sulla poltrona. C'era una grande coppa di champagne e lui cominciò a fare una conversazione del tutto estranea alla nostra intervista. Cominciò spudoratamente a farmi la corte, dicendomi che adorava le giornaliste".

A quel punto "mi alzai - continua la Merlino - e lui mi spinse violentemente contro un muro e cercò di baciarmi".