lunedì 10 giugno 2013

Europa in assenza di sovranità monetaria


LE AREE VALUTARIE OTTIMALI E IL FALLIMENTO DELL'EURO

Quando i politici di turno cominceranno a dare ascolto ai veri economisti e non essere servilmente servili a banche e multinazionali forse cominceremo a vedere reali situazioni di benessere collettivo.

Tutti gli economisti non venduti al regime bancario o a qualche corporationssi sono da principio espressi contro la nascita dell'euro-zona, ritenendola da subito quel che adesso è sotto gli occhi di tutti: un progetto fallimentare; ovviamente i loro moniti sono stati e restano inascoltati.
Già venti anni fa si poteva ascoltare la cronaca di un fallimento annunciato, leggendo le considerazioni dell'economista keynesiano Wynne Godley, collaboratore del Tesoro del Regno Unito, il quale individuò i problemi nella costruzione dell’Unione Monetaria a partire dal Trattato di Maastricht, dicendo che in assenza una banca centrale pubblica, di un fisco e di un welfare federali, di trasferimenti tra regioni, si arriverà inevitabilmente alla rottura dell’Unione monetaria, appena uno dei suoi membri si troverà in forti difficoltà per qualsiasi motivo.

Eppure bastava intuirlo da piccole cose che l'euro sarebbe stato un fallimento totale, appigliandosi alla già nota teoria delle "aree valutarie ottimali" (A.V.O.),  teoria nata nel 1961 dagli studi dell’economista canadese Robert Mundell, il quale elencò le condizioni necessarie affinché due o più paesi potessero adottare con successo la stessa moneta:
flessibilità di prezzi e salari;
- mobilità interregionale di lavoro e capitale;
- grado di apertura dell'economia; 
- integrazione fiscale;
- convergenza dei tassi di inflazione;

Come potevano Paesi diversi tra loro per lingua, cultura, moneta, imposte, giurisprudenza, livelli inflazionistici, produttività, livelli occupazionali ed altro integrarsi agevolmente in una comunità economica, senza che qualcuno non ci rimettesse le penne?
Secondo quale criterio logico due o più Paesi, come Italia, Grecia, Spagna, potevano pensare di convivere agevolemente in un'aerea economica come "eurolandia" senza possedere nemmeno uno dei requisiti descritti nella teoria dell'A.V.O.?
Gli europeisti hanno pensato (sperato) di poter risolvere gli shock asimmetrici attraverso riforme e trattati sul piano internazionale. 

In assenza di sovranità monetaria era ed è impossibile svalutare la moneta, per cui per cercare di risolvere i problemi non si è fatto altro che cercare di sottoscrivere riforme che avrebbero reso i mercati del lavoro sufficientemente flessibili, a discapito di salari e regalando un avvenire incerto ai lavoratori.
Del resto si persevera a ricercare il benessere economico e l'aumento della produzione nel mercato del lavoro, quando invece è risaputo che il PIL aumenta attraverso mosse ben precise fatte nel mercato dei beni, finanziando la spesa pubblica, abbassando la pressione fiscale, svalutando la moneta e, quindi, riattivando i consumi; in sintesi, attraverso la sovranità monetaria e una politica monetaria espansiva, tutte strategie queste impossibili da realizzare in un regime di moneta unica e con le enormi difficoltà e disparità tra gli Stati membri dell'Ue.

A cosa è servito, quindi, l'euro? 
L'euro è da considerare sotto due aspetti: è stato un progetto fallimentare qualora il suo intento fosse stato quello di ottenere il benessere socio-economico tra i Paese aderenti; è stato un progetto ben realizzato qualora la mission dell'oligarchia bancaria sia stata quella di privare gli Stati di pezzi di sovranità ed assoggettarli maggiormente al diktat dei mercati finanziari, poiché i Paesi membri di un’unione monetaria emettono titoli di debito in una valuta su cui non hanno alcun controllo, con la conseguenza che i mercati finanziari detengano il potere di condurre al default questi Paesi.
Ci sono strumenti e teorie economiche che sono più precise di un'incisione laser, ignorarle significa agire al fine di soddisfare interessi privatistici e svendere contemporaneamente la vita milioni di esseri umani e non ritengo che, specialmente nell'ultimo caso, si possa mai perdonare l'operato di chi ci sta governando ormai da troppo tempo.

Salvatore Tamburro

Diritto internazionale e fantasmi giuridici


Scritto il: 21/05/13

Multinazionali e diritti umani: limiti all’extraterritorialità dalla Corte Suprema (Kiobel)


http://www.filodiritto.com/multinazionali-e-diritti-umani-limiti-allextraterritorialita-dalla-corte-suprema-kiobel/#.UbYBDKDR3Zg

Nell’attuale mondo globalizzato la tradizionale dottrina del diritto internazionale si dimostra inadeguata ad assicurare un’efficace tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, della cui violazione sono molto spesso responsabili quei giganti dell’economia noti come ‘multinazionali’. Per anni, dunque, gli Stati Uniti hanno rappresentato un’opportunità unica per la repressione di tali crimini, offrendo, tramite l’Alien Tort Act, un foro per le richieste di risarcimento. Le sue pronunce hanno evidenziato l’influenza di due questioni giuridiche di grande interesse: la legittimazione processuale passiva delle società e l’applicazione extraterritoriale delle leggi statunitensi. Quest’ultimo fattore è un elemento di imbarazzo per gli Stati Uniti, suscettibile di generare conflitti con altri paesi, nonché costituire elemento di tensioni interne. Per questo, la Corte Suprema, interrogata sulla questione, ha ristretto l’applicabilità dell’ATS alle controversie interne.
1. L’Alien Tort Act e la tutela dei diritti umani: una questione controversa
Un brutto colpo per gli attivisti dei diritti umani quello inferto lo scorso 17 aprile dalla Corte Suprema degli Stati Uniti che, in Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co 569 U.S. (2013), ha negato l’applicabilità dell’Alien Tort Statute (ATS) a controversie tra stranieri per condotte avvenute al di fuori del territorio degli Stati Uniti.
L’ATS è una legge che consente ad attori stranieri di proporre cause di risarcimento danni nelle corti federali distrettuali per violazioni delle norme previste dal diritto internazionale e dai trattati sottoscritti dagli USA. Emanata nel 1789, è rimasta praticamente inutilizzata per circa 200 anni. La sua applicazione nelle cause relative ai diritti fondamentali cominciò ad essere invocata dagli anni ’80, suscitando reazioni contrastanti: entusiasmo, da parte degli attivisti, i quali sottolineavano l’importanza dell’evoluzione del principio di responsabilità internazionale e la necessità di ammettere i parenti delle vittime di atrocità al foro statunitense; i critici, d’altra parte, ammonivano che l’applicazione indiscriminata della legge nazionale potesse avere un effetto destabilizzante.[1]
Insomma, la questione era spinosa. Una risoluzione difforme da quella presa dalla Corte Suprema avrebbe comportato il rischio di gravi ripercussioni a livello economico e politico, interno e internazionale. D’altra parte, la sentenza in esame ci induce a riflettere sull’efficacia della tutela dei diritti umani nell’attuale sistema globalizzato.
2. Tutela dei diritti umani e diritto internazionale
Ed invero, le ragioni di tanto interesse nei confronti di una legge processuale civile statunitense, risiedono nell’incapacità del diritto internazionale di predisporre strumenti di tutela efficaci quando il soggetto attivo della condotta criminosa è una società. A questo proposito, negli ultimi anni la ricerca scientifica è stata caratterizzata da un ampio dibattito sulla validità dell’approccio classico del diritto internazionale nell’affrontare le nuove sfide poste dalla modernità.
a. Multinazionali e soggettività giuridica internazionale
La difficoltà risiede nel fatto che l’orientamento tradizionale poc’anzi ricordato riconosce solo gli stati come soggetti di diritto internazionale. [2] Innegabilmente è difficile sciogliere il legame tra diritto internazionale e stati: il primo è stato creato dai secondi, allo scopo di regolamentare i rapporti tra gli stessi e si atteggia come diritto della comunità internazionale. Tuttavia, è altrettanto innegabile che il diritto internazionale fallirà il suo obiettivo di regolamentare pacificamente la vita della comunità internazionale se continuerà a rivolgersi esclusivamente agli stati.[3]
Infatti, altri soggetti hanno fatto il loro ingresso sulla scena internazionale: pensiamo alle organizzazioni internazionali o regionali e al ruolo delle società nella vita economica. Questo spostamento di attenzione dallo stato ad altri soggetti è ben evidenziato con il sempre maggior accento posto sui diritti dell’individuo; quest’ultimo dispone di una vasta gamma di diritti inalienabili, ma anche di doveri: oggi, anche i dittatori rispondono dei loro atti davanti alla giustizia internazionale. E’ per lo meno anomalo che lo stesso non avvenga anche per le società,[4] tanto più che le questioni più scottanti emergono proprio in riferimento alla condotta di quelle entità di tale potere economico e politico da essere in grado di influenzare e condizionare anche le decisioni degli stati: le multinazionali.[5]
 b. Globalizzazione e crisi del paradigma tradizionale
 Molteplici sono i fattori che hanno conferito alle società commerciali un ruolo più attivo in ambito internazionale.[6] Clapham ne identifica quattro: la globalizzazione, la privatizzazione, la frammentazione degli stati e la femminilizzazione del diritto internazionale dei diritti umani.[7]
I primi due sono i più rilevanti. L’abbattimento delle barriere commerciali ha contribuito ad attenuare la tradizionale separazione tra pubblico e privato nel diritto e nelle relazioni internazionali. Le privatizzazioni, spesso realizzate con l’ausilio di investimenti stranieri, hanno portato enti non statali ad esercitare funzioni svolte precedentemente da enti o organi statali.[8]
Invero, molte società dispongono di un potere economico di gran lunga superiore a quello degli stessi stati in cui investono, i quali, di conseguenza, non sono in grado di assicurare il rispetto dei diritti umani dei loro cittadini, specialmente nell’ambito del diritto del lavoro, diritto dell’ambiente e altri diritti a protezione della salute fisica e mentale.[9]
Tuttavia, gli stati avranno assolto il loro dovere di assicurarne la tutela, qualora prevedano dei meccanismi al loro interno, atti a regolamentare le obbligazioni degli individui e delle società. In questi casi l’obbligazione posta a carico dell’individuo ha natura essenzialmente nazionale, dal momento che trova nel diritto internazionale la sua fonte indiretta, cosicché al livello del diritto internazionale la violazione sarà imputabile solo allo stato.[10]
L’impostazione tradizionale, che non riconosce l’efficacia orizzontale diretta delle norme a tutela dei diritti umani, ossia ne esclude l’applicabilità nei rapporti intersoggettivi, è considerata il maggiore ostacolo a un effettivo sistema di protezione.E la soluzione proposta da alcune di imporre obbligazioni dirette alle società transnazionali incontra un ostacolo teorico insormontabile, la mancanza di personalità giuridica internazionale delle stesse.[11]
c. Tentativi di formalizzare la responsabilità societaria nel diritto internazionale
Infatti, nonostante le diverse proposte per rendere le società internazionali responsabili per le violazioni dei diritti umani, non si è riusciti, ad oggi, a dar vita ad una cornice normativa vincolante. Gli strumenti legali adottati sinora – ricordiamo, ad esempio, il Patto Globale, la Dichiarazione Tripartita di Principi concernenti le Imprese Multinazionali e la Politica Sociale, le Linee Guida dell’OCSE per le Imprese Multinazionali -  non sono vincolanti e non fanno che rafforzare l’idea che solo gli stati sono destinatari di obbligazioni di diritto internazionale nel campo dei diritti umani[12].
d. Nuove prospettive: la responsabilità penale internazionale delle società
La tradizionale distinzione tra i due livelli di responsabilità, che rispecchia l’esistenza di due differenti sistemi legali, vede alcune eccezioni, ad esempio, nell’ambito della responsabilità penale internazionale, attribuita anche agli individui. Estenderla anche alle società non sarebbe, dunque, cosi fantasioso e non determinerebbe la necessità dell’attribuzione della personalità giuridica, come avviene per gli individui. Tuttavia gli stati sono riluttanti ad accettare tale espansione e alcuni dubitano che il diritto penale internazionale sia uno strumento adeguato per assicurare la responsabilità delle violazioni dei diritti umani per le società. Si ricordi, a titolo di esempio, che la responsabilità penale delle persone giuridiche è stata espunta dalla bozza dello Statuto di Roma istitutivo del Tribunale Penale Internazionale.[13]
 3. L’ATS: aspetti diplomatici, politici ed economici
Una delle strategie per aggirare le difficoltà sopra illustrate è quello di sfruttare i meccanismi di tutela offerti da un sistema giuridico nazionale. Questo non spiega, tuttavia, perché gli Stati Uniti siano un foro preferenziale.
E’ opportuno rilevare, infatti, l’attuale tendenza di individui stranieri, facilmente riscontrabile nella prassi, a ricorrere al sistema giudiziario statunitense per far valere pretese che altrove non troverebbero facile accoglimento. Questo fenomeno è noto come ‘magnetizzazione’ del foro statunitense.[14]
Le ragioni di tale tendenza sono molteplici: l’ammontare dei risarcimenti solitamente liquidati dalle corti federali sia in termini di compensatory damages che di punitive damages; il sistema delle contingency fees; l’ampiezza della discovery; la disponibilità di class action efficaci e così via. [15]
Mentre alcuni celebrano l’ATS come una vittoria per l’efficacia della tutela dei diritti umani, altri ammoniscono che l’abuso potrebbe avere gravi conseguenze di politica estera. Pensiamo a quanto  possa essere rischioso ampliarne l’ambito di applicazione, ad esempio, alle fattispecie in cui la condotta incriminata è caratterizzata dal supporto fornito a governi stranieri nel perpetrare le violazioni: si finirebbe, in sostanza, col mettere sotto accusa proprio i governi! [16]
Dunque, un’interpretazione ottimale dovrebbe essere in grado di massimizzare gli effetti positivi dei contenziosi fondati sull’ATS e minimizzare i pregiudizi per gli U.S.A. Tuttavia, come trovare l’equilibrio? I valori espressi dai diritti umani sono universali, rimane da stabilire se adire il sistema giudiziario federale sia il meccanismo migliore per la loro tutela.[17]
L’applicazione della legge a controversie puramente extraterritoriali è suscettibile di determinare anche contrasti interni, creando un conflitto di poteri. I Dipartimenti di Stato e Giustizia fanno notare che maggiore è la distanza tra le condotte dannose, gli attori e gli Stati Uniti, maggiore è il sospetto di ‘imperialismo giuridico’.[18] I giudici federali, non essendo eletti, non sono soggetti a pressioni politiche e sono in grado di giudicare basandosi esclusivamente su criteri giuridici. Nondimeno, questo importante aspetto della separazione dei poteri può risultare in decisioni che contrastano con la volontà di figure politiche istituzionali, compreso il Presidente e il Segretario di Stato e interferire con la gestione degli affari internazionali del Dipartimento di Stato.[19]
Per tutti questi motivi, alla ‘magnetizzazione’ le corti hanno col tempo opposto una tendenza contraria volta, a ‘smagnetizzare’ le corti federali, ed è possibile individuare una spinta ad una progressiva attenuazione del forum shopping verso gli Stati Uniti.
 4. La giurisprudenza dell’ATS prima di Kiobel
L’idea che l’imposizione dell’obbligo di risarcire i danni arrecati attraverso gravi crimini può rivelarsi più efficace, anche a fini dissuasivi, della punizione penale venne messa in atto per la prima volta nel 1980, quando un tribunale civile di New York decise, su sollecitazione del Dipartimento di stato, di applicare in un’ottica nuova, reinterpretandola completamente, l’Alien Tort Act. [20]
Occorre ricordare che originariamente l’ATS non si applicava a controversie tra stranieri. Si limitava ad accordare azione ad attori stranieri, ma taceva sulla nazionalità del convenuto. Con Filartiga v. Pena-Irala, 630 F. 2d 876 (2nd. Cir. 1980) (in cui due cittadini paraguanensi citavano l’ex ispettore generale della polizia del Paraguay per tortura e omicidio della loro famiglia in Paraguay)[21]l’azione fu accordata anche in controversie tra stranieri.[22]
Filartiga ha rappresentato una svolta nella giurisprudenza dell’ATS; da allora la legge è stata invocata in numerosi casi di violazioni del diritto internazionale consuetudinario e non solo per citare individui, ma anche società.[23]
La tendenza a estendere la giurisdizione alle persone giuridiche è stata giustificata su un assunto arbitrario: l’esistenza di una legge nazionale che offre un foro per le cause contro le società straniere sarebbe indice del riconoscimento di una responsabilità societaria per violazione dei diritti umani nel diritto internazionale. L’equivoco consiste nel confondere il concetto di soggetto passivo di un’obbligazione con quello di giurisdizione. Uno stato potrebbe anche esercitare la giurisdizione per violazioni societarie dei diritti umani in base alle proprie leggi, applicate extraterritorialmente; ma questo non implicherebbe il riconoscimento internazionale di tale principio. Semmai il rapporto è inverso: l’ATS si limita a convertire una violazione del diritto internazionale in una violazione del diritto nazionale.[24]
E difatti, ad oggi nessuna richiesta di risarcimento danni nei confronti di una società è stata accolta in base all’ATS. Alcuni casi importanti sono stati risolti stragiudizialmente (Wiwa v. Royal Dutch Petroleum, Wiwa v. Anderson, Wiwa v. Shell Petroleum Development Company e Doe v. Unlocal [25]).[26]
Altri, come Kadic v. Karadzic[27] (in cui la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Secondo Circuito ha ammesso un’azione contro un individuo che agiva in funzione privata ma in complicità con uno stato), riguardavano circostanze diverse, come genocidio e delitti di guerra, fattispecie per le quali la responsabilità dell’individuo è ammessa nel diritto internazionale. E la distinzione tra responsabilità individuale e societaria o tra responsabilità penale e civile non è di poco conto.[28]
Comunque per avere l’orientamento della Corte Suprema sull’ATS occorre attendere il 2004, quando, in Sosa v. Alvarez-Machain 542 U.S. 692 (2004) (ove un cittadino messicano citava un altro cittadino messicano, che agiva sotto la direzione della Drug Enforcement Administration (DEA), per la sua arbitraria detenzione in Messico e per la deportazione negli Stati Uniti) respinge questa interpretazione estensiva.[29]
La Corte, tuttavia, si pronunciava solo sulla questione preliminare di cui poc’anzi si parlava, confermando le argomentazioni svolte. Tralasciando di esprimersi sulla responsabilità societaria, evidenziava che l’ATS non conferisce ai privati un titolo su cui fondare l’azione, ma si limita a stabilire un criterio di giurisdizione a favore delle corti federali. Ciò significa, in sintesi, che la causa petendi non può rinvenirsi nell’ATS, ma deve essere reperita in una norma di carattere sostanziale idonea a fondare l’azione proposta nel giudizio.[30]
Nel caso in esame, trattandosi di violazione dei diritti umani, l’azione andava fondata sul diritto internazionale. Ma l’arbitraria detenzione non costituisce una fattispecie idonea a rappresentare una norma di diritto internazionale ‘specifica, universale e obbligatoria’ tale da ammettere un rimedio federale.[31]
La Corte, dunque, pur respingendo l’azione, non affronta né la questione della responsabilità societaria, né quella dell’applicazione extraterritoriale, che rimangono aperte per Kiobel.[32]
5. Kiobel e i diritti umani: responsabilità societaria si o no?
Kiobel è una causa civile per risarcimento danni intentata da 12 nigeriani che accusavano società petrolifere olandesi, britanniche e nigeriane di complicità con il governo nigeriano, che, nel tentativo di reprimere le proteste contro le perforazioni nella regione Ogoni del delta del Niger, si era reso responsabile dei crimini più efferati come tortura e omicidio.[33]
La Corte del Secondo Circuito, la prima a essere investita della questione, escluse che l’ATS potesse fondare la responsabilità societaria.[34] Il giudice Cabranes ritenne, richiamandosi a Sosa, che per individuare il legittimato passivo occorresse far riferimento al diritto internazionale, e che in quest’ultimo la responsabilità societaria non fosse un principio universalmente riconosciuto.[35]
L’inaspettata decisione ha generato un’ondata di critiche.  La questione della responsabilità societaria nel diritto internazionale è una delle più controverse.[36] Tra le opinioni discordanti ricordiamo, all’interno dello stessa corte, quella del giudice Leval, che trovò ampio supporto nel diritto internazionale alla responsabilità societaria, spiegando che la mancanza di un consenso condiviso è coerente con la struttura del sistema giudiziario internazionale: ‘Il diritto internazionale prescrive norme di condotta, identifica atti vietati. La questione della responsabilità civile e le modalità di tutela sono determinate da ciascuno stato.’[37]
La confusione nasce dal fatto che Sosa, nel limitare l’applicazione dell’ATS alle violazioni del diritto internazionale consuetudinario, non ha specificato come questo test andasse applicato. Non è chiaro, ad esempio, se solo la violazione o anche il titolo dovesse fondarsi sul diritto internazionale consuetudinario. Quest’ultima opzione presenterebbe dei problemi di non facile soluzione per un tribunale, in quanto il diritto internazionale non determina chi debba essere perseguito né le modalità.[38]
Lo stesso giudice Cabranes in Flores v. Southern Peru Copper Corp. 253 F. Supp. 2d 510, 512-13 (E.D.N.Y.. 2002) sosteneva che le fonti di diritto internazionale rilevanti per gli scopi dell’ATS erano costituite da: ‘i trattati che stabiliscono una serie di norme espressamente riconosciute dagli stati in lite’, ‘le consuetudini internazionali come  prova di una pratica generalmente accettata dalle nazioni come diritto’, e ‘i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili’. Se pensiamo che un’indagine dei trattati internazionali fornisce ampia evidenza che le società sono considerate responsabili per le violazioni del diritto internazionale, una completa preclusione della responsabilità societaria rimane difficilmente prefigurabile.[39]
Il tema è stato oggetto di oscillanti pronunce da parte della giurisprudenza degli Stati Uniti:[40] successivamente a Kiobel, infatti, altre 3 corti, il Settimo, il Nono e il Circuito di Washington D.C. hanno ritenuto, al contrario, di affermare la responsabilità delle società in base alla legge statunitense, creando una spaccatura.[41]
Per comporre il contrasto, la Corte Suprema ha ammesso il writ of certiorari sull’Alien Tort Statute, con l’intento di stabilire: se l’ATS fosse idoneo a fondare la responsabilità societaria; se la questione della responsabilità in base all’ATS fosse una questione di merito o di giurisdizione.[42]
6. ATS e extraterritorialità: il no della Corte Suprema
Alla luce di quanto detto, era prevedibile che la Corte avrebbe limitato il ricorso all’ATS nelle controversie puramente extraterritoriali. E lo ha fatto servendosi di un criterio interpretativo noto come ‘presunzione di esclusione dell’extraterritorialità’, in base alla quale se una legge nulla dispone sulla sua applicazione extraterritoriale, questa deve ritenersi esclusa. La Corte non ravvisando alcuna indicazione nel testo dell’ATS, ritiene la presunzione pienamente operante e esclude l’applicazione della legge quando la condotta rilevante ha avuto luogo sul territorio estero.
La Corte ribadisce che la questione dell’applicazione extraterritoriale è una questione di merito e non di giurisdizione e che l’ATS è una legge ‘strettamente giurisdizionale’, che non regola direttamente condotte o accorda tutela ma concede alle corti federali di riconoscere validità a titoli giuridici basati su norme internazionali sufficientemente definite.
Nello stabilire quali fattispecie dovranno essere ricondotte all’ATS, le corti federali dovranno tener in debito conto i rischi di ripercussioni in politica estera e la necessità di non interferire con la discrezionalità degli altri poteri dello stato.
L’esigenza di evitare conflitti internazionali è, del resto, la finalità ultima dell’ATS, concepita in un’epoca ove gli stati erano in dovere di perseguire i crimini perpetrati dai loro cittadini nei confronti di soggetti o del patrimonio appartenenti ad altri stati, rischiando, in caso contrario, pesanti rappresaglie e persino la guerra. Gli Stati Uniti, una nazione debole nel 1789, per segnalare agli altri membri della comunità internazionale l’impegno alla repressione di tali crimini, si premunirono di emanare leggi sia in materia penale che civile.[43] L’ATS fu una di queste. Tra le violazioni al diritto internazionale che la determinarono, la Corte ne ricorda due piuttosto note, che riguardavano i diritti di ambasciatori, avvenute sul territorio statunitense e una terza, un atto di pirateria avvenuto, invece, al di fuori del mare territoriale. Dunque, neanche l’analisi del contesto storico sarebbe in grado di capovolgere la menzionata presunzione.
La Corte respinge anche l’opinione che l’utilizzo del termine ‘tort’ nel testo della legge sia idoneo a configurarne l’applicabilità nei casi di ‘transitory tort’. Secondo tale dottrina, l’unica ragione per consentire un’azione il cui titolo è sorto in un’altra giurisdizione è il fatto che tale titolo sia ivi riconosciuto.
Insomma, niente lascia presumere che l’ATS sia stata emanata per far sì che gli Stati Uniti dessero ospitalità all’esecuzione del diritto internazionale. Per dirla come il giudice Story: ‘Nessuna nazione ha mai preteso di essere il guardiano della moralità dell’intero mondo…’.
Una cosa è certa: dopo Kiobel molte delle cause pendenti in attesa dell’opinione della Corte saranno respinte, mentre la tendenza a ricorrere al foro statunitense subirà un ridimensionamento. La formulazione scelta dalla Corte Suprema, infatti, lascia aperti dei margini all’applicazione extraterritoriale dell’ATS, che sarebbe ammessa nei casi in cui parte ‘rilevante’ della condotta avvenisse negli Stati Uniti. Il problema è stabilire come identificarla.
La mera presenza negli Stati Uniti non sarebbe un criterio sufficiente a fondare la giurisdizione, ma è possibile che gli avvocati ravviseranno, nella esistenza di un ufficio direzionale sul territorio, un criterio di collegamento sufficiente.[44]
Inoltre, ricordiamo che l’ATS offre giurisdizione presso le corti federali, ma gli stati federali hanno piena competenza in materia civile, e questo vuol dire che ben si potrebbero presentare domande per violazione della common law nelle corti dei singoli stati. [45]
Sicuramente la pronuncia renderà la vita difficile agli attivisti dei diritti umani, ma è lecito aspettarsi che non si arrenderanno.
 7. Conclusioni
La globalizzazione, con l’emergere di entità commerciali private di rilevante potere economico, ha reso l’attuale paradigma del diritto internazionale inadeguato a predisporre meccanismi di tutela dei diritti umani. In queste condizioni molti hanno fatto ricorso a sistemi giuridici nazionali, in particolare quello statunitense.
L’ATS è una legge che consente ad attori stranieri di proporre cause di risarcimento danni nelle corti federali distrettuali per violazioni delle norme previste dal diritto internazionale e dai trattati sottoscritti dagli USA. Dagli anni ’80 cominciò a essere applicata nelle cause relative alle violazioni dei diritti umani, suscitando reazioni contrastanti: entusiasmo da una parte, appelli alla cautela dall’altra.
Per evitare effetti destabilizzanti, la Corte Suprema degli Stati Uniti, in Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co, ha negato l’applicabilità dell’Alien Tort Statute (ATS) a controversie tra stranieri per condotte avvenute al di fuori del territorio degli Stati Uniti. L’argomento principale consiste nel criterio interpretativo noto come ‘presunzione contro l’extraterritorialità’, secondo il quale quando una legge non dà indicazioni chiare sulla sua applicazione extraterritoriale, questa deve intendersi esclusa.
In seguito all’orientamento espresso in Kiobel, si assisterà ad un ridimensionamento della pletora di cause prodotta dall’applicazione extraterritoriale dell’ATS. Ma è prevedibile che gli Stati Uniti continueranno ad essere un foro privilegiato per i risarcimenti relativi a violazioni dei diritti umani.
[1] Shapiro D., Kiobel and Corporate Immunity Under the Alien Tort Statute: The struggle for Clarity Post-Sosa, in Harvard International Law Journal, n. 52, 2011
[2] Brandabere E., Non-State Actors and Human Rights Corporate Responsibility and the Attemps to Formalize the Role of Corporations as Participants in the International Legal System in Jean D’Aspremont (Ed.), Participants in the International Legal System Multiple Perspectives on Non-State Actors in International Law (Abdingdon: Routledge, 2011), pp. 268 – 283
[3] Milliet P., Droits de l’homme et responsabilité des entreprises, in Covalence Intern Analyst Paper, 30.07.2009, disponibile a http://www.ethicalquote.com/docs/Droitsdelhommeetresponsabilitedesentreprises.pdf
[4] Idem
[5] Brandabere E., cit.
[6] Milliet P., cit.
[7] Clapham A., Human Rights Obligations of Non-State Actors (Oxford: Oxford University Press, 2006), pp. 3-4.
[8] Idem
[9] Brandabere E., cit.
[10] Idem
[11] Idem
[12] Idem
[13] Idem
[14] Winkler M., Le imprese multinazionali e l’oscillante giurisprudenza dell’Alien Tort Statute, in Int’l lis, 2012, fasc. 1, p. 40 ss., disponibile ahttp://www.academia.edu/1530428/Le_imprese_multinazionali_e_loscillante_giurisprudenza_dellAlien_Tort_Statute_Multinational_Enterprises_and_the_Swinging_Jurisprudence_of_the_Alien_Tort_Statute_
[15] Idem
[16] Shapiro D., cit.
[17] Idem
[18] Idem
[19] Idem
[20] Cassese A., L’esercizio di giurisdizione universale nel campo civile da parte di giudici statunitensi, disponibile a http://dirittiumani.utet.it/dirittiumani/breviario_diritti_umani.jsp?v=giustizia_penale_internazionale&cap=2
[21] Bellia A. J. Jr., Clark B.R., Kiobel, subject matter jurisdiction, and the Alien Tort Statue, in University of Notre Dame The Law School,  George Washington University Law School Public Law and Legal Theory Working Paper Series No. 2012-27, Legal Studies Research Paper No. 12-52, Electronic copy available at: http://ssrn.com/abstract=2008254
[22] Shapiro D., cit.
[23] Clifford C., cit.
[24] De Brandabere E., cit
[25] Doe v. Unlocal Corporations, 395 F. 3rd (9th Circuit 2002)
[26] De Brandabere E., cit
[27] Kazic v. Karadzic, 70 F.3rd 232 (2nd Cir. 1995)
[28] De Brandabere E., cit
[29] Bellia A. J. Jr., Clark B.R., Kiobel, subject matter jurisdiction, and the Alien Tort Statute, in University of Notre Dame The Law School,  George Washington University Law School
Public Law and Legal Theory Working Paper Series No. 2012-27, Legal Studies Research Paper No. 12-52, Electronic copy available at: http://ssrn.com/abstract=2008254
[30] Winkler M., cit.
[31] Clifford C., cit.
[32] Idem
[33] Idem
[34] Idem
[35] Shapiro D., cit.
[36] Idem
[37] Idem
[38] Idem
[39] Idem
[40] Winkler M.,  cit.
[41] Clifford C., cit.
[42] Idem
[43] Bellia A. J. Jr., Clark B.R., cit.
[44] Samp R., Supreme Court Observations: Kiobel v. Royal Dutch Petroleum & the Future of Alien Tort Litigation, disponibile ahttp://www.forbes.com/sites/wlf/2013/04/18/supreme-court-observations-kiobel-v-royal-dutch-petroleum-the-future-of-alien-tort-litigation/
[45] Idem

Multe cancellate: solo ai ricchi


L'INCHIESTA

Multe cancellate: dopo Cassano
e l'attrice, indaga la Corte dei Conti

Solo ai fratelli Bernabei annullati verbali per oltre 120 mila euro

Qualcuno rischia di saldare di tasca propria il conto delle multe mai pagate da una categoria di cittadini privilegiati. A tremare sono i funzionari dell'Ufficio contravvenzioni. Qualora dovessero essere ritenuti responsabili dalla Corte dei Conti, che indaga un anno sulla mancata riscossione delle multe, saranno i dipendenti del Dipartimento ad aprire il portafoglio per risarcire il danno provocato all'Erario dal mancato incasso delle contravvenzioni stracciate a calciatori, politici e loro parenti, personaggi del mondo dello spettacolo, facoltosi imprenditori.
L'istruttoria dei giudici contabili, guidati dal Procuratore Raffaele De Dominicis, corre in parallelo all'indagine dei magistrati penali, il procuratore aggiunto Francesco Caporale e il pm Laura Condemi: il fascicolo è stato aperto dopo la denuncia del capo del Dipartimento Pasquale Pelusi, il dirigente che ha segnalato l'anomala sparizione di oltre mille verbali di contravvenzione dei fratelli Bernabei. E fin da adesso si può avanzare qualche ipotesi sulla cifra che rischiano di sborsare gli eventuali responsabili delle distruzione dei verbali. Secondo una stima della polizia giudiziaria, i fratelli Bernabei hanno risparmiato circa 120mila euro soltanto per quello che concerne le multe non pagate grazie alla sparizione delle relate di notifica. Una somma mai sborsata, come scrivono gli inquirenti, grazie al lavoro di qualcuno che ha «agito per conto dei due imprenditori».
I funzionari, a cui sarà attribuita la responsabilità della scomparsa della documentazione, saranno condannati a pagare - oltre ai 120mila euro - anche i danni di immagine provocati allo Stato e gli interessi maturati sulla cifra mai riscossa. Ma a questa somma dovrà essere aggiunta il danno dovuto al mancato introito per tutte le altre migliaia di multe finite nel nulla e riconducibili ai cittadini «graziati». Roba da far tremare i polsi, considerando che l'elenco dei beneficiati è composto da poco più di 1200 persone.
Al momento gli inquirenti di piazzale Clodio puntano il dito contro Angelo Vitali e Tiziana Diamanti, arrestati il mese scorso con l'accusa di falso ideologico mediante soppressione di atti pubblici. «La mia assistita ha solo eseguito degli ordini», osserva il difensore della funzionaria dei vigili urbani, Claudio De Amicis. «L'inchiesta è di una gravità spaventosa - sottolinea Antonio Paparo, avvocato di Enrico Riccardi, uno dei cinque indagati -. E il mio assistito, pur avendo un ruolo marginale nell'Ufficio, è pronto a dare alla magistratura un contributo per accertare la verità».

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Noam Chomsky, “ecco 10 modi per capire tutte le menzogne che ci dicono”

Dino Nicolia
La necessaria premessa è che i più grandi mezzi di comunicazione sono nelle mani dei grandi potentati economico-finanziari, interessati a filtrare solo determinati messaggi.
1) La strategia della distrazione, fondamentale, per le grandi lobby di potere, al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. Per esempio, l’esasperata concentrazione su alcuni fatti di cronaca (Bruno Vespa é un maestro).
2) Il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Un esempio? Mettere in ansia la popolazione dando risalto all’esistenza di epidemie, come la febbre aviaria creando ingiustificato allarmismo, con l’obiettivo di vendere farmaci che altrimenti resterebbero inutilizzati.
3) La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4) La strategia del differimento. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, al momento, per un’applicazione futura. Parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità come se non esistesse una politica economica diversa.
5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Per esempio, diversi programmi delle trasmissioni generaliste. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni, in base alla suggestionabilità, lei tenderà ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 12 anni appunto.
6) Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile.
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Pochi, per esempio, conoscono cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo, a meno che non si rivolgano direttamente ad Internet.
8) Imporre modelli di comportamento. Controllare individui omologati é molto più facile che gestire individui pensanti. I modelli imposti dalla pubblicità sono funzionali a questo progetto.
9) L’autocolpevolizzazione. Si tende, in pratica, a far credere all’individuo che egli stesso sia l’unica causa dei propri insuccessi e della propria disgrazia. Così invece di suscitare la ribellione contro un sistema economico che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta e addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, che non trovano lavoro sono stati definiti di volta in volta, “sfigati”, choosy”, bamboccioni”. In pratica, é colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.
10) I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feed back scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla) più di quanto essi stessi si conoscano, e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso cittadino esercita su sé stesso.
Si tratta di un decalogo molto utile. Io suggerirei di tenerlo bene a mente, soprattutto in periodi difficili come questi.

argomenti: letteratura / internet / libri


Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/cavoletti-di-bruxelles/noam-chomsky-e-il-decalogo-sulla-mistificazione-della-realta#ixzz2VpUEZGqE

Suicidio carpiato fiammeggiante


Ercolano: fioraio Antonio Formicola si dà fuoco in comune. Rivolta commercianti

Pubblicato il 10 giugno 2013 11.38 | Ultimo aggiornamento: 10 giugno 2013 16.00
ERCOLANO (NAPOLI) – Antonio Formicola, fioraio di circa 60 anni, vedovo, si è dato fuoco nell’ufficio del sindaco, poi si è lanciato in fiamme dalla finestra ed è morto. Tutto per protestare contro un permesso di sosta rifiutato davanti al suo negozio di fiori, pare che fossero due anni che lo aspettava. Subito dopo la sua morte, c’è stata una vera e propria rivolta di commercianti a Ercolano, con tanto di striscioni contro il sindaco.
Formicola, conosciuto da tutti nella cittadina vesuviana come lo stilista dei fiori, si era recato stamattina nell’ufficio del sindaco Vincenzo Strazzullo per chiedergli conto del rifiuto di quel permesso di sosta per il suo furgone davanti al suo negozio.  Il sindaco non l’avrebbe ricevuto, quindi il fioraio, dopo aver fatto uscire i presenti minacciandoli con un coltello, si è cosparso di liquido infiammabile e si è legato a una corda. Uscito sul balcone si è messo a cavalcioni sulla ringhiera. Con un accendino, infine, si è dato fuoco. La corda alla quale era legato si e’ spezzata, probabilmente a causa del fuoco, e l’uomo è caduto.
Non è morto subito. Antonio Formicola è giunto nel reparto grandi ustionati dell’ospedale Cardarelli in condizioni disperate ed è stato subito classificato in ‘codice rosso’ dai sanitari. Mentre i medici stavano praticando le prime cure l’uomo è andato in arresto cardiaco ed è deceduto.
Non appena l’uomo è caduto di sotto qualcuno ha gettato dalla finestra un estintore per far spegnere le fiamme. Ma l’estintore ha colpito un ragazzo di 36 anni che era accorso in aiuto, ferendolo alla testa.
Dopo il suo gesto, altri 400 commercianti di Ercolano hanno tentato di entrare nella sede del Comune per manifestare contro il provvedimento, ma l’intervento delle forze dell’ordine lo ha impedito. La protesta è comunque continuata. Qualcuno ha affisso uno striscione sul muro esterno del palazzo comunale rivolto al primo cittadino: ”Se non vuoi che capita pure a noi, partecipa anche tu. Firmato i cittadini di Ercolano, la città morta”. Altri tre striscioni – ”Giunta comunale: assassini”, ”sindaco assassino” e ”noi lottiamo e voi ammazzate: vergogna” – sono stati affissi di fronte al palazzo Comunale.
”Zio Antonio era esasperato, erano due anni che chiedeva quel permesso, gli dicevano sempre di aspettare”. Così il nipote di Antonio Formicola. ”Vedeva che tutti gli altri esercenti parcheggiavano con i loro camion e si sentiva danneggiato – ha aggiunto il figlio della sorella -. Per questo aveva chiesto di pagare per avere la disponibilità di quel suolo necessario ad esporre la propria merce”. Tanta la rabbia a vico Sacramento, dove risiedeva la vittima: le grida di una donna rompono il silenzio mentre del vicolo, con i familiari di Formicola rimasti a casa e si tengono in contatto per telefono con quelli che stanno all’ospedale Cardarelli di Napoli dove il fioraio è deceduto. Alcuni amici hanno affisso uno striscione all’esterno dell”’Antica Violetta” il negozio di fiori della vittima. C’è scritto ”Non resterai mai solo, Antonio siamo tutti con te”. Mentre un altro striscione esposto davanti alla sede del Comune, recita ”Noi lottiamo, voi ammazzate: vergogna”.
(Foto Ansa)