giovedì 4 luglio 2013

Lo Stato emetta dei buoni-spesa

Lo Stato emetta dei buoni spesa per immettere liquidità nel sistema

di Fabrizio Tajè 02/07/2013
http://www.ioamolitalia.it/sovranita-monetaria/lo-stato-emetta-dei-buoni-spesa-per-immettere-liquidita-nel-sistema.html

Lo Stato emetta dei buoni spesa per immettere liquidità nel sistema
Lo Stato emette buoni spesa al portatore e trasferibili, nominalmente in euro, ma non convertibili in moneta. Infatti, il fine del buono è la sua conversione in beni e servizi, e deve essere sanzionata ogni conversione in moneta.
I buoni sono spendibili presso tutti gli esercizi commerciali e/o professionali e presso la grande distribuzione che li accettano.
Il buono può essere compensato, tranne che dal primo prenditore del buono stesso, con il debito fiscale di qualsiasi natura. Può essere portato in compensazione solo dai venditori di beni e servizi che lo accettano e non dal primo prenditore del buono, per meglio dire colui che riceve il buono direttamente dallo Stato.
Il buon circola, in ultima analisi, poiché è compensabile con il debito fiscale, è questo che lo rende appetibile. Il fine del buono è tuttavia la sua circolazione ad oltranza, nella speranza che anche il venditore di beni e servizi non lo compensi ma lo spenda a sua volta.
La facoltà di compensare il buono e la sua validità non ha scadenza.
A fronte di cosa lo Stato emette i buoni ? Lo Stato emette i buoni quale compenso a lavoro straordinario, lavori socialmente utili retribuiti in buoni, incremento di pensioni minime e provvidenze varie per ceti disagiati. Lo Stato può retribuire in buoni anche l’attività libero professionale e/o imprenditoriale prestata a favore dello stesso, se il fornitore lo accetta.
In sintesi: il buono circola perché è compensabile con il debito fiscale di qualsiasi natura e contribuisce a sostenere e rilanciare i consumi poiché non è utilizzabile sotto forma di risparmio, pertanto il suo effetto di incremento consumi e redditi è garantito.

Uscita dell’Italia dall’Euro: rischi limitati

I rischi di un’uscita dell’Italia dall’Euro sono limitati

di investireoggi .it
01/07/2013 13:01:51
I rischi di un’uscita dell’Italia dall’Euro sono limitati
(http://www.investireoggi.it) - Di George Dorgan, SNBCHF.com - I motivi principali di questo rischio limitato sono indicati sul Telegraph e nella teoria dei giochi di David Woo di BoA Merrill Lynch.

1. La Banca centrale d’Italia ha sufficienti riserve d’oro da poter evitare l’iperinflazione, in caso di uscita.
2. Al contrario della Spagna, la posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia è solo leggermente negativa, mentre quella della Spagna è negativa per il 92% del PIL.
3. Il debito pubblico e privato è al 260% del PIL, simile alla Germania e molto inferiore rispetto a Francia, Spagna o Regno Unito (debito totale UK). Con una ricchezza privata di € 8,6 trilioni di dollari, gli italiani hanno una ricchezza pro capite maggiore dei tedeschi
4. ”Il tasso di risparmio Italiano molto elevato e la ricchezza privata stanno a significare che qualsiasi shock sui tassi per lo più ritornerebbe indietro all’economia come maggiori pagamenti agli obbligazionisti italiani.”(Telegraph). Dopo i programmi LTRO e OMT di quest’anno, i principali detentori del debito pubblico italiano sono le banche italiane e i risparmiatori privati.
5. Nell’indicatore di sostenibilità del debito a lungo termine del FMI, l’Italia è al primo posto, a 4.1, davanti al 4,6 della Germania, 7,9 della Francia, 13,3 del Regno Unito, 14,3 del Giappone, e 17 degli Stati Uniti. Un approccio alternativo per la valutazione del debito a lungo termine, comprensiva del il debito implicito (come promesse pensionistiche, ecc), mostra un risultato italiano ancora migliore.
6. Un forte aumento dell’interesse nominale (se davvero accadesse) dopo l’uscita dell’euro dell’Italia causerebbe dei danniai mutuatari italiani molto inferiori che agli spagnoli, perché il livello dell’indebitamento privato in Spagna è più alto che in Italia.
7. Gli stati periferici con i loro 100 milioni di persone con basso PIL pro capite non sono abbastanza rilevanti da innescare un crollo dei grandi paesi in via di sviluppo come la Cina o l’India, con 2 miliardi di persone, o gli Stati Uniti, con i suoi 300 milioni di abitanti. Anche la crisi asiatica e il default russo nel 1998, che hanno colpito circa 2 miliardi di persone, non sono riusciti afar andare l’economia americana in recessione, al contrario, il prezzo del petrolio a buon mercato ha alimentato la fiducia dei consumatori degli Stati Uniti. Sei anni dopo la crisi finanziaria, i consumatori americani sono abbastanza forti da assorbire una crisi della periferia europea, in particolare quando i prezzi del petrolio rimangono relativamente a buon mercato. Certo, questo non significa che ci sarà una forte crescita, negli USA ci vuole ancora qualche anno per completare il de-leveraging (riduzione dell’indebitamento, ndt).
8. Il rischio principale è un deficit di capitale per le banche periferiche, ma a seguito delle osservazioni formulate all’inizio, il rischio sarà limitato, almeno in Italia. L’ESM potrà avere un ruolo temporaneo nel finanziamento a breve termine di alcune banche italiane, in cambio l’Italia prometterà di non dichiarare default sul suo debito. Il debito secondo la legge italiana dovrebbe essere ridenominato in Nuove Lire al cambio del 1.999, con un conseguente implicito haircut per i mutuatari stranieri. Il MES finalmente farà qualcosa di più utile che il finanziamento a lungo termine delle economie periferiche da parte del contribuente tedesco.
9. Wolfgang Münchau, dell’establishment pro Eurobond (FT ed Euro Intelligence) si è affrettato a rispondere ad una potenziale uscita italiana dall’Euro nell’edizione tedesca di Der Spiegel. Il suo primo argomento è che i contribuenti tedeschi dovrebbero ricapitalizzare le banche tedesche.
L’esposizione bancaria della Germania verso l’Italia era solo di 36 miliardi nel 2010, una piccola cifra rispetto ai rischi che la Germania di è assunta con l’ESM. Da allora, la Deutsche Bank ha coperto la propria esposizione dell’88%, e molte banche straniere hanno scaricato le obbligazioni italiane.
10. Come tutti sappiamo, le banche tedesche sono riuscite a scaricare il loro “rischi PIIGS” sui saldi Target2, sulla Bundesbank, cioè il contribuente tedesco. Pertanto, il rischio di una ricapitalizzazione delle banche tedesche è ormai trascurabile dal punto di vista dei contribuenti tedeschi. Dopo le operazioni LTRO del 2012, la maggior parte dei titoli di Stato italiani sono oggi detenuti dalle banche italiane o da famiglie italiane.
11. Secondo Münchau, se l’Italia fallisse, la Germania dovrebbe accollarsi miliardi di perdite dal sistema Target2. Il Target2 in precedenza era solo un meccanismo tecnico di compensazione (fonte Whelan BoE) tra gli Stati membri dell’area dell’euro. Grazie alla discussione, iniziata da Hans Werner Sinn, Münchau e il pensiero economico comune hanno accettato il fatto che quando un paese lascia l’euro, le passività Target2 del paese uscente giungono a scadenza. Al fine di spaventare i lettori tedeschi, Munchau segnala la peggiore delle ipotesi, e cioè che l’Italia non ripagherà affatto i suoi debiti Target2. Noi pensiamo che l’Italia vorrà rimanere un membro della comunità internazionale, anche nel caso di un’uscita italianadall’euro. Pertanto, un approccio più realistico sarebbe quello di pensare che l’Italia ripagherà le sue passività in euro nella nuova Lira italiana.
Sulla base dello scenario di Jens Nordvig di Nomura di una svalutazione della Nuova Lira del 27% in caso di un crollo dell’euro, noi stimiamo una svalutazione del 15-20% della Nuova Lira contro l’euro, nel caso di una uscita dell’euro dell’Italia. A luglio 2012, l’Italia ha delle passività Target2 per 274 miliardi di €. Se queste venissero ridenominate nella Nuova Lira, si avrebbe una perdita di 40-50 miliardi di € per la parte della Germania, corrispondente a solo il 2% del PIL tedesco.

ITALIA FUORI DALL’EURO – Noi pensiamo che l’Italia, a differenza dell’Argentina nel 2001 e della Spagna oggi, potrebbe sopravvivere a un euro exit senza grossi problemi. Data l’opinione pubblica e politica in Italia e in Germania questo scenario ha una elevata probabilità di accadere nei prossimi 2-3 anni. Un nuovo compito per l’ESM sarà quello di sostenere le possibili temporanee ricadute sulle banche periferiche. Dopo i problemi iniziali, l’euro si apprezzerà perché quando due dei membri più deboli, vale a dire la Grecia e l’Italia, saranno usciti dalla moneta comune, le economie italiana e europea si riprenderanno abbastanza rapidamente. Se l’Italia, tuttavia, non abbandonasse la zona euro, l’Italia e la Germania corrono il rischio di una recessione di lunga durata, in cui sia i consumatori che le imprese cercano di ridurre il debito e di consumare meno, i tedeschi, nel timore di futuri debiti via ESM, gli italiani in risposta alla sempre crescenti misure di austerità.
Quindi un’uscita italiana dall’Euro sarebbe davvero d’aiuto per la zona euro. Alla fine sarà la strada a decidere e non le istituzioni o gli strani economisti che contraddicono le loro stesse teorie economiche.
Post Scriptum: L’autore principale di questo blog parla italiano e ha vissuto in Italia per un lungo periodo di tempo. Gli Italiani fin dall’inizio non sono stati contentidell’euro, molti pensano che i prezzi sono aumentati notevolmente a causa dell’euro, ma gli stipendi reali, aggiustati all’inflazione, sono rimasti gli stessi. In Germania inizialmente l’atteggiamento anti-euro era lo stesso, ma è svanito con il tempo, quando i prezzi sono diventati relativamente più economici. In Italia l’opposizione contro l’euro non è mai sparita, dopo 12 anni di euro i prezzi al consumo sono spesso più elevati rispetto alla Germania, ma gli stipendi sono la metà o anche meno.

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Le Pen: "Se vinco distruggo l'euro"

Francia, Le Pen: "Se vinco distruggo l'euro"




Dopo il terremoto alle legislative, la "Giovanna d'Arco" francese Marine Le Pen, leader del Front National, promette di tornare al franco e dare uno scossone al sistema europeo.
Il malcontento in Francia deriva da un sentimento di sfiducia nei confronti delle autorita' politiche e della situazione economica precaria del paese.
Il malcontento in Francia deriva da un sentimento di sfiducia nei confronti delle autorita' politiche e della situazione economica precaria del paese.
NEW YORK (WSI) - Ora non e' piu' un miraggio. Il Front National ha le carte in regola e l'ambizione necessaria per lanciare l'assalto ai due partiti principali di Francia e puntare alla vittoria alle prossime presidenziali

Dopo il clamoroso risultato alle elezioni legislative di Villeneuve, dove un candidato di 23 anni, Étienne Bousquet-Cassagne, ha raggiunto il 46% dei consensi, contro il 53,76% del rivale dell'UMP (centro destra), Marine Le Pen crede nella possibilita' di governare il suo paese e tornare al franco. Distruggendo il castello di carta dell'area euro. 

"Non possiamo essere sedotti", ha detto con fiducia dopo il terremoto elettorale di Vileneuve-sur-Lot dove il suo candidato ha umiliato politicamente il sindaco Socialista uscente. "Il cosiddetto fronte repubblicano è morto. Cio' dimostra che i partiti di sinistra e i liberali non sono piu' in grado di smobilitare i loro elettori, per evitare al Front National di guadagnare popolarita' e voti".

"L'euro cessa di esistere nell'esatto momento in cui la Francia se ne va e questa e' la nostra forza incredibile. Cosa faranno a quel punto, manderanno i carrarmati?", si e' chiesta retoricamente in un'intervia concessa al Daily Mail dalla sede del partito, nella periferia profonda di Parigi, a Nanterre. 

"L'Europa e' un grande bluff. Da una parte c'e' la popolazione sovrana e dall'altra una manciata di tecnocrati", ha dichiarato al quotidiano inglese la leader dell'estrema destra, parlando dal suo ufficio piccolo, quasi austero. 

Per la prima volta, il Front National puo' veramente competere con i due partiti che hanno sempre governato la Francia dalla Seconda Guerra Mondiale in poi: i socialisti e i gaullisti. 

Entrambe le fazioni sono date in calo al 21% nei sondaggi, mentre il partito di Le Pen ha il vento in poppa. Grazie anche alle dichiarazioni populiste anti euro, che fanno grande presa in tempo di crisi.

La perdita di voti della sinistra nel dipartimento del Lot-et-Garonne, una regione tra­di­zio­nal­mente di sini­stra, sembra poi anche sorta di un resa dei conti nei confronti dell’ex mini­stro del bilan­cio Jérôme Cahu­zac, al centro dello scan­dalo relativo al conto offshore nascosto in Sviz­zera.

Come gli USurocrati scatenarono la guerra in Corea

www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 29-06-13 - n. 460

Perché gli Stati Uniti scatenarono la Guerra di Corea?

Organizzazione Kirov del RKRP-RPK | amistadhispanosovietica.blogspot.com.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

25/06/2013

60 anni fa, 25 giugno 1950, gli Stati Uniti istigarono l'esercito della Corea del Sud a compiere l'attacco armato totale contro la Corea del Nord (RPDC). La guerra che ne scoppiò (dal giugno 1950 al luglio 1953), è stata la più feroce dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Perché gli Stati Uniti volevano questa guerra?

In primo luogo, per attuare la loro strategia di dominazione del mondo.

Gli USA conoscevano l'importanza geopolitica della penisola coreana come base militare per la dominazione del continente asiatico, e, approfittando della Seconda Guerra Mondiale nel settembre del 1945 sbarcarono le loro truppe in Corea del Sud, dopo aver indossato i loro caschi da "liberatori". Gli Stati Uniti confezionarono in Corea del Sud un governo filo-americano asservito completamente alla loro politica, economia e controllo militare. Predicando che "la loro presenza mira a coprire l'intero territorio della Corea", non nascosero l'intenzione di attaccare la Corea del Nord. MacArthur, l'ex comandante delle forze statunitensi in Estremo Oriente, disse: "Ho sempre considerato la Corea una base militare infinitamente preziosa". Nella penisola coreana, gli Stati Uniti individuarono un importante punto strategico da cui lanciare un attacco militare su qualsiasi area dell'Estremo Oriente, "il ponte che ci porta alla terraferma" e la "spada" per tagliare "un pezzo di carne ", il cui nome è Asia.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti decisero che la Corea sarebbe stata la prima linea dello scontro tra capitalismo e socialismo e un'importante arena politica e militare tra Occidente e Oriente. Nel 1946, lo stesso presidente Truman definì la Corea come un "campo della battaglia ideologica", da cui poteva dipendere il successo degli Stati Uniti in Asia. Chiese "del tempo per preparare un numero adeguato di persone e finanziare con successo i loro compiti".

La politica degli Stati Uniti verso i coreani, aveva come obiettivo principale la dominazione su tutta la penisola coreana. Per raggiungere questo obiettivo iniziarono a utilizzare metodi politici e diplomatici, e infine, optarono per la guerra, attraverso un attacco militare.

In secondo luogo, lo scoppio della Guerra di Corea è associato a una catastrofica crisi economica che attraversava in quel momento gli Stati Uniti.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti entrarono in una situazione di stasi economica. Riducendosi la produzione militare si ebbe un aumento della disoccupazione, causando un ciclo depressivo dell'economia nel suo complesso.

La crisi economica negli Stati Uniti, ebbe inizio con la crisi economica del 1948, e l'anno successivo si fece più profonda. La produzione industriale scese del 15% rispetto all'anno precedente, improvvisamente caddero i prezzi dei beni, il costo del capitale investito in macchinari e attrezzature si ridusse notevolmente. Solo nei primi mesi circa 4.600 imprese presentarono istanza di fallimento, il numero dei disoccupati aumentò a 6 milioni di persone. Si ipotizzava che nel 1950 il numero totale dei disoccupati sarebbe aumentato a 13 milioni di persone.

Il profitto dei monopoli degli USA nel settembre 1948 fu di 36,6 miliardi di dollari, e nel marzo 1949 scese drasticamente a 28,4 miliardi. I monopoli nordamericani chiesero quindi al governo di "preparare una nuova grossa siringa per iniettare nuova linfa all'economia".

Queste richieste furono esaudite con la militarizzazione dell'economia degli Stati Uniti e la diffusione delle armi, infine, incitando una nuova guerra. La rivista britannica "The Economist", scriveva: "Gli Stati Uniti hanno bisogno di un modo per superare la crisi. Si vedono costretti a provocare un conflitto".

In terzo luogo, gli USA entrarono nella guerra di Corea e salvarono l'indebitato Syngman Rhee e le autorità della Corea del Sud.

La crisi che colpiva gli Stati Uniti determinò nella Corea del Sud l'aumento dell'ingovernabilità, del cattivo stato dell'economia, del clima antigovernativo nella popolazione, del desiderio di una riunificazione pacifica del paese, il pericolo della distruzione del regime imposto, ecc.

La crisi politica ed economica in Corea del Sud continuò a peggiorare dal 1949, e nel maggio dell'anno successivo raggiunse l'apice.

Cinque anni di politica protezionista coloniale da parte degli Stati Uniti, prepararono la guerra in Corea del Sud nella prima metà del 1949, quando il numero delle imprese diminuì del 36% rispetto al 1939. Intanto l'agricoltura rovinanva, in quanto i rendimenti del grano diminuirono di 5 milioni dollari durante quel periodo, prima della liberazione del paese [dal Giappone]. A causa della eccessiva emissione di carta moneta, si ebbe una inflazione che raggiunse il limite. I prezzi dei beni aumentarono, peggiorando le condizioni di vita della popolazione.

Con il forte aumento delle persone che volevano la riunificazione pacifica della patria, anche in parlamento cominciarono ad aumentare le forze integrazioniste che indicavano la necessità di negoziati con il Nord, compresa la formazione "Insistenza",  che faceva parte dell'ala destra del Parlamento. In sintesi, il governo di Syngman Rhee affrontava una crisi totale.

Nel libro americano "Storia della guerra di Corea", si dice: "E' logico supporre che la guerra era l'ultima risorsa del fanatico Syngman Rhee. L'economia stava affrontando il collasso, nella società regnava un atmosfera inquietante. Soprattutto dopo la sua sconfitta a maggio (nelle elezioni del Parlamento del 10 maggio 1950, i sostenitori di Syngman Rhee ottennero solo 48 posti su 210), le tempeste continuarono con un parlamento ostile. E la gente era disposta ad accettare l'unità pacifica con la Corea del Nord. E davanti a questo pericolo Syngman Rhee, continuò a giocare con il fuoco, gettando il paese in una guerra fratricida ... "

La conclusione è che, con la Guerra di Corea, gli Stati Uniti hanno voluto creare una base militare strategica per l'attuazione del loro dominio del mondo, da un lato, e dall'altro, salvare il destino dei propri vassalli rimasti intrappolati in un vicolo cieco. Si tratta di un fatto storico innegabile.

Come avvenne?

La guerra di Corea scoppiò il 25 giugno 1950, ma era già iniziata quando le truppe degli Stati Uniti invasero la Corea del Sud.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando la sconfitta del Giappone era vicina, gli Stati Uniti ritennero che era giunto il momento per la realizzazione della vecchia strategia di dominazione sulla Corea, e iniziarono un piano di cospirazione per impossessarsi della Corea del Sud. A sostegno di questa ipotesi possiamo avvalerci delle memorie dell'ex presidente degli Stati Uniti Truman: "il progetto della divisione della Corea lungo il 38° parallelo è stato proposto da parte americana".

Il 13 agosto 1945 lo Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, impartì al comandante delle forze USA nell'Estremo Oriente MacArthur, l'ordine di disarmare l'esercito giapponese nelle zone che si trovano sotto gli "accordi" sovietico-nordamericani, inclusa la Corea del Sud che era sotto la responsabilità degli Stati Uniti. MacArthur, a sua volta, ordinò al comandante degli Stati Uniti della 24° Divisione di Fanteria Hodge di accettare la resa dell'esercito giapponese, rappresentando gli Stati Uniti, e di occupare, e controllare la Corea del Sud. Pertanto, gli Stati Uniti presero senza combattere la Corea a sud del 38° parallelo. Questa fu la premessa logica della guerra di aggressione in Corea e il preludio del suo inizio.

Dopo l'acquisizione della Corea del Sud, gli Stati Uniti prepararono la provocazione di guerra contro la Corea del Nord.

Una delle loro tattiche era di formare un esercito fantoccio. Nel novembre 1945, venne istituito "il comando della difesa nazionale". Le truppe della Corea del Sud si formarono e si ampliarono per fasi, per garantire la loro "superiorità di 10 volte" rispetto alle forze armate della Corea del Nord. L'istruzione e la formazione militare ebbe luogo in un ambiente filo-americano. Venne approvato il diritto delle forze statunitensi al comando dell'esercito della Corea del Sud.

Nel 1949, i militari degli Stati Uniti consegnarono alla Corea del Sud l'equipaggiamento sufficiente per armare 50.000 soldati, e in seguito diedero appoggio militare addizionale per un valore di oltre 87 milioni di dollari. Nel gennaio del 1950, la guerra di Corea era preparata e il piano fu approvato all'unanimità dal Comitato dei Capi di Stato Maggiore degli Stati Uniti. Nello stesso mese, il capo della missione militare statunitense, Roberts comunicò a Syngman Rhee, che all'epoca era il presidente della Corea del Sud, il seguente ordine: il piano d'attacco alla Corea del Nord è definito, nel suo studio e realizzazione. Ma l'attacco non poteva avviarsi, senza un pretesto per giustificare le azioni.

MacArthur in una conversazione segreta con Syngman Rhee gli ordinò di lanciare un attacco contro la Corea del Nord non oltre la fine di luglio.

Da aprile a giugno 1950, gli Stati Uniti dispiegarono lungo il parallelo le truppe sudcoreane.

Il 17 giugno 1950 in Corea del Sud arrivò, appositamente inviato dal presidente Truman, Dulles, che giunse alle trincee del 38° parallelo per approvare finalmente il piano di guerra. Dopo aver controllato il piano nuovamente, assegnò ai capi della Corea del Sud la tattica di "propagandare una falsa aggressione da parte della Nord Corea, prima di attaccare il nord" e assicurò: "Rimanete due settimane senza avanzare, sarà allora il momento degli Stati Uniti di sollecitare l'Onu sul presunto attacco della Corea del Nord contro la Corea del Sud, e in suo nome mobiliteremo esercito, marina e aviazione, e così tutto andrà secondo i piani".

Alla vigilia della guerra, gli Stati Uniti non si dimenticarono di usare ingannevoli trucchi per nascondere la loro natura aggressiva. Prima della guerra gli Stati Uniti segretamente effettuarono l'operazione di evacuare le famiglie statunitensi in Corea del Sud, circa 2.000 cittadini statunitensi, tra cui i membri delle famiglie dei soldati e di civili. I familiari dei dipendenti dell'ambasciata USA furono evacuati in Giappone con aerei da trasporto col pretesto della minaccia della guerra, così il resto delle famiglie, su aerei e navi da carico.

Per nascondere le reali intenzioni mentre provocavano la guerra, i funzionari di alto rango degli Stati Uniti attuarono azioni diversive, come gite, viaggi, ricevimenti fino alla mattina del 24 giugno: "Truman lasciò Washington su un jet privato per trascorrere tranquillamente il fine settimana con la moglie e la figlia, nello stato del Missouri". Dulles fece sapere che "il turismo è interessato al Giappone". Alla vigilia della guerra, il governo Syngman Rhee proclamò l'abolizione dell'ordine dello stato di emergenza, la liberazione degli oppositori e la revoca dei mandati d'arresto per i disertori dell'esercito della Corea del Sud, ma era tutto un trucco.

Ovunque era inganno e dissimulazione.

Un ex ufficiale di stato maggiore del 17° Reggimento dell'esercito sudcoreano ha ammesso che, "il 24 giugno 1950 era sabato, ma gli ufficiali proibirono i permessi, venne ordinato di attendere la fine della guerra. La notte del 24 giugno si ricevette un ordine segreto, la mattina del 25 giugno si superò il 38° parallelo e si intrapresero azioni militari contro la Corea del Nord".

John Osbon, che all'epoca era un inviato speciale per la rivista nordamericana "Life" in Corea del Sud, ha scritto: "Nella nostra storia, non c'è nessun precedente in cui una guerra sia stata preparata così a fondo".

Il 25 Giugno 1950, alle 4.00 della mattina, per volere degli Stati Uniti, l'esercito sudcoreano lanciò un attacco militare a sorpresa contro la Corea del Nord attraverso la linea del 38° parallelo.

La guerra di Corea (1950 - 1953), è la guerra più crudele dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Portogallo: tutti contro la TROIKA

www.resistenze.org - popoli resistenti - portogallo - 30-06-13 - n. 460

Grande successo dello Sciopero Generale in Portogallo

Toussaint Louventure | lamanchaobrera.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

27/06/2013

Il 27 Giugno 2013, ha avuto luogo la convocazione del quarto sciopero generale in due anni contro la politica dei tagli del governo neoliberista di Passos Coello. Nel mirino misure come la riduzione del salario minimo, il licenziamento dei dipendenti pubblici, la privatizzazione dei servizi pubblici, lo smantellamento della contrattazione collettiva e la dilapidazione dei diritti sociali, tutte misure effettuate sotto il diktat della troika (FMI, BCE e Commissione europea) che intendono far pagare il prezzo del "salvataggio" alla classe operaia portoghese.

La convocazione dello sciopero generale è partita dal principale sindacato portoghese, Confederazione Generale dei Lavoratori Portoghesi (CGTP), storicamente legato al PCP, che all'inizio di questo mese ha proclamato lo sciopero con lo slogan "Basta sfruttamento e impoverimento". All'ultimo minuto ha aderito anche l'Unione Generale dei Lavoratori legata al Partito Socialista Portoghese, nonostante non abbia appoggiato le due precedenti convocazioni di sciopero realizzate dalla CGTP. Lo sciopero ha avuto un ampio seguito in tutto il paese, soprattutto nel trasporto pubblico (metropolitana, autobus, treni...) paralizzati dalle prime ore del mattino. Hanno supportato ampiamente lo sciopero anche i lavoratori della pubblica amministrazione, in particolare i vigili del fuoco, i lavoratori della raccolta immondizia e i lavoratori della pubblica istruzione che già hanno tenuto uno sciopero nel settore qualche mese fa lottando contro i tagli all'istruzione. Per tutto il Portogallo si sono succeduti picchetti, manifestazioni e raduni in tutti i centri industriali e lungo le vie principali del paese.

Il messaggio del principale sindacato organizzatore, la CGTP, è chiaro: "Non sono i lavoratori portoghesi la causa della crisi, lo sono coloro che hanno evaso capitali e hanno chiuso le imprese. La Troika e i mezzi di comunicazione diffondono la menzogna che i portoghesi hanno troppo, quando il loro salario è tra i più bassi dell'Unione Europea, mentre nel paese i dirigenti delle imprese hanno le remunerazioni più alte della zona euro". E ha aggiunto, "si tratta di far pagare il prezzo della crisi ai soliti, alla classe operaia, tagliando i salari, smantellando la contrattazione collettiva e i diritti sociali e lavorativi, ma i lavoratori portoghesi sono coscienti che i loro diritti non sono caduti dal cielo, tutti sono stati conquistati grazie ad una lotta costante della classe operaia e l'unica soluzione che vediamo è quella sulla via della lotta".

Centinaia di migliaia di portoghesi hanno partecipato alle manifestazioni convocate dai sindacati. Tra le altre organizzazioni che hanno dato il loro sostegno allo sciopero c'è il Partito Comunista Portoghese, PCP. Il suo segretario generale Jerome De Sousa, ha dichiarato: "Siamo testimoni dell'ipocrisia di un governo che oggi sostiene che il Portogallo necessita di più lavoro e meno scioperi, quando con la sua linea politica ha distrutto 
300.000 posti di lavoro negli ultimi anni, portando il tasso di disoccupazione in Portogallo al 18%". Il Segretario Generale del Partito Comunista ha sottolineato che "l'ampio seguito allo sciopero generale contro le politiche anti-sociali è la grande risposta a questo governo" e che "questo sciopero rappresenta una dichiarazione di guerra da parte della classe operaia portoghese contro il governo, i partiti politici complici, i padroni e la UE".

Spionaggio alieno: la reticenza del governo e degli apparati di stato

www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 02-07-13 - n. 460

L'Italia? Si spia da sola!

Alessandro Avvisato | contropiano.org

02/07/2013

Sullo spionaggio statunitense contro gli "alleati" la reticenza del governo e degli apparati di stato è decisamente vergognosa.

Il presidente del Parlamento Europeo ha protestato, la Germania e la Francia hanno protestato. E' evidente, anche a occhio nudo, l'assordante silenzio delle autorità italiane sulla vicenda dello spionaggio statunitense ai danni degli "alleati", incluse le ambasciate italiane a Washington e alle Nazioni Unite. Se Napolitano si è limitato a chiedere "risposte soddisfacenti ad una questione spinosa", la timidissima dichiarazione del ministro Mauro e quella assai compiacente del ministro Bonino, confermano la totale subalternità – anzi servilismo – degli apparati dello Stato e del ceto politico trasversale di governo – agli apparati degli Stati Uniti.

Emblematico il commento del ministro degli esteri Bonino, secondo cui "L'importante è che gli Usa forniscano tutte le spiegazioni per evitare il blocco delle trattative sull'area di libero scambio tra le due sponde". Dunque mentre la Germania sottolinea piuttosto chiaramente come la crisi diplomatica non possa non avere ripercussioni sul trattato di libero scambio transatlantico, il governo italiano diventa il paladino più zelante di un trattato che, anche a occhio nudo, favorisce gli Stati Uniti che possono ricorrere – e sono già ricorsi – alla stampa di nuove banconote mentre la Bce continua a negarsi l'opzione del quantitative easing. Parlare di "libero scambio" con questa asimmetria è qualcosa che somiglia al suicidio.

Ma la vicenda è inquietante e grottesca non solo sul piano economico. Per l'Italia è l'ulteriore conferma di un servilismo storico verso gli Usa che diventa però inaccettabile e insostenibile nel XXI° secolo, all'interno di una competizione globale ormai conformatasi intorno ad "aree monetarie" che vanno sostituendo i "blocchi geopolitici" della guerra fredda.

In questi giorni abbiamo letto di come la Gran Bretagna, ad esempio, sia parte del problema per la sua complicità storica con gli apparati di intelligence e militari statunitensi. Nel 2001 una risoluzione del Parlamento Europeo (osteggiata da Londra) condannava il sistema di spionaggio anglo-statunitense che si reggeva sul sistema Echelon. Ma quel sistema aveva uno dei suoi perni più importanti proprio in Gran Bretagna.

Lo spionaggio si è poi evoluto fino al nuovo sistema Prism, attraverso cui gli USA spiano tutti e tutto quello che possono per poi passarlo al setaccio, alleati inclusi. Qualcuno rammenta il lavoro di spionaggio sistematico sulla fiera aerospaziale francese di Le Bourget? Oppure quello finalizzato alla guerra delle commesse tra Airbus e Boeing? In molti cercano di minimizzare: "tra amici ci si spia un po', lo sanno tutti, lo fanno tutti".

Ma nell'epoca della guerra fredda contro l'Urss i paesi della Nato erano schierati tutti dalla stessa parte. Gli Usa hanno provato a replicare lo scenario e la gerarchia di alleanza alimentando la "guerra contro il terrorismo". Ma i tempi sono cambiati e l'asimmetria della crisi e delle soluzioni, tra l'area del dollaro e quella dell'euro, lo rivelano piuttosto brutalmente. Stati Uniti ed Eurozona hanno oggi interessi diverse e soluzioni diverse, le camere di compensazione del passato stentano a funzionare.

E l'Italia in tutto questo? La piccineria e il servilismo del ceto politico – di destra o di centrosinistra - e degli apparati dello Stato verso gli Usa è vergognoso in misura impressionante. Ne abbiamo la conferma in questi giorni sulla vicenda dello spionaggio, ma anche in Sicilia sull'installazione del Muos a Niscemi. Gli Usa vogliono installare un sistema di spionaggio e intercettazione e il governo Letta vuole facilitargli la strada. La stessa cosa fecero Berlusconi e Prodi a Vicenza con la base militare al Dal Molin (oggi Del Din). C'è poi la vicenda dello spionaggio sui colloqui per il gasdotto South Stream siglato tra Italia, Russia e Turchia (allargatosi a Francia e Germania) che gli USA non gradiscono perchè bypassa il loro Nabucco.

In molti di questi casi si ha addirittura l'impressione che l'Italia si sia spiata da sola e poi abbia passato le informazioni all'intelligence statunitense. La reticenza e la riluttanza dei ministri italiani ci sta dicendo questo. Il governo e le forze che lo sostengono meritano di essere spazzati via della storia e dal futuro di questo paese, senza se e senza ma. Presto.

Brasile: il ruolo del FMI nella crisi

www.resistenze.org - popoli resistenti - brasile - 29-06-13 - n. 460

Radici storiche della crisi sociale in Brasile – Il ruolo del FMI

Michel Chossudovsky | globalresearch.ca pcb.org.br
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

21/06/2013

Milioni di persone in tutto il Brasile si sono unite in uno dei più grandi movimenti di protesta nella storia del paese. Ironia della sorte, la rivolta sociale si dirige contro le politiche economiche di una sedicente e autoproclamata alternativa "socialista" al neoliberismo guidata dal governo del Partito dei Lavoratori (PT) del presidente Dilma Rousseff.

La "forte cura economica" del FMI che include misure di austerità e privatizzazione dei programmi sociali, è stata realizzata sotto la bandiera "progressista" e "populista" del PT, in accordo con le potenti élite economiche del Brasile e in stretto legame con la Banca Mondiale, il FMI e Wall Street.

Nonostante il governo del PT si presenti come una "alternativa" al neoliberismo, impegnato nella riduzione della povertà e la redistribuzione della ricchezza, la sua politica monetaria e fiscale è nelle mani dei suoi creditori di Wall Street.

Ironicamente, il governo PT di Dilma Rousseff e del suo predecessore Luis Ignacio da Silva è stato lodato dal FMI per:
"Una notevole trasformazione sociale in Brasile, supportata dalla stabilità macroeconomica e della qualità della vita".

Le realtà sociali sottostanti sono tutt'altre. Le "statistiche" della Banca Mondiale sulla povertà sono grossolanamente manipolate. Solo l'11 per cento della popolazione, secondo la Banca Mondiale si trova al di sotto della soglia di povertà. Il 2,2 % della popolazione vive in condizioni di estrema povertà.

Le condizioni di vita in Brasile sono crollate dopo l'ascesa del PT nel 2003. Milioni di persone sono state emarginate e impoverite tra cui una significativa parte della classe media urbana.

Nonostante il PT presenti un immagine "progressista" orientata al popolo, ufficialmente contraria alla "globalizzazione delle corporation", l'agenda macroeconomica è stata rafforzata. Il governo del PT ha sistematicamente manipolato le sue basi, al fine di imporre ciò che il "Congresso di Washington " descrive come "una struttura politica forte".

Gli investimenti infrastrutturali di miliardi di dollari orientati al profitto sulla Coppa del Mondo nel 2014 e le Olimpiadi nel 2016, foraggiati dalla corruzione corporativa, hanno contribuito a un significativo aumento del debito estero del Brasile, che a sua volta ha rafforzato il controllo della politica economica da parte dei suoi creditori di Wall Street.

Il movimento di protesta è in gran parte composto da persone che hanno votato per il PT.
Il consenso di base del governo del PT si è rotto. La base del PT si è rivolta contro il governo.

Storia: il tradimento del Partito dei Lavoratori

Il Partito dei Lavoratori (Partido dos Trabalhadores) è ormai al potere da oltre dieci anni.

La crisi sociale in Brasile è la conseguenza dell'agenda macroeconomica lanciata all'inizio dell'ascesa di Luis Ignacio da Silva alla presidenza, nel 2003.

L'elezione di Lula nel 2002, incarnò la speranza di un intero popolo. Rappresentava uno schiacciante voto contro la globalizzazione e il modello neoliberista, che ha portato in tutta l'America Latina povertà di massa e disoccupazione.

L'elezione di Lula nell'autunno del 2002, fu percepita come un importante punto di rottura, un mezzo per abrogare il quadro politico del suo predecessore Fernando Henrique Cardoso.

Mentre era osannata in coro dai movimenti progressisti di tutto il mondo, l'amministrazione di Lula veniva allo stesso tempo applaudita dai principali protagonisti del modello neoliberista. Nelle parole del Direttore Amministrativo del FMI, Horst Kohler:
"Sono entusiasta [per il governo Lula]; ma è meglio dire che sono profondamente colpito dal Presidente Lula ... il FMI ascolta il Presidente Lula e la squdra di economisti, è nella nostra filosofia".

Nessuna meraviglia che il FMI fosse "entusiasta". Le principali istituzioni della gestione economica e finanziaria sono state consegnate su un piatto d'argento a Wall Street e a Washington.

Il FMI e la Banca Mondiale hanno lodato il governo del PT per il suo impegno per "solide fondamenta macroeconomice". Anche il Fondo Monetario Internazionale è interessato, il Brasile "è sulla buona strada", in conformità con i parametri del FMI.
La Banca Mondiale ha elogiato sia il governo Lula che quello di Dilma: "Il Brasile sta portando avanti un programma sociale audace con responsabilità fiscale".

Secondo il professor James Petras:
"La maggior parte dei responsabili politici di Wall Street e Washington, sorpresi dalla scelta di Lula di una squadra di economisti ortodossa liberale, erano letteralmente in estasi quando esso iniziò a promuovere con forza un radicale programma neoliberista, tra cui la privatizzazione della sicurezza sociale, la notevole riduzione delle pensioni per i dipendenti pubblici e la riduzione dei costi, facilitando le esigenze dei capitalisti per colpire i lavoratori". (Global Research, 2003)

Secondo Marcos Arruda, del PACS, un centro di ricerca non governativo a Rio de Janeiro:
"La squadra economica di Lula perseguendo le politiche imposte dal FMI sta sfasciando le prestazioni sociali non solo per i pensionati, ma anche per i disabili e le famiglie più povere". Il perseguimento di politiche economiche ortodosse ha anche portato il tasso di disoccupazione ufficiale al 12 per cento, mentre i tassi di interesse interni si attestano al 26,5 per cento, tra i più alti tassi al mondo. A San Paolo, la città più grande del Brasile, la disoccupazione ha raggiunto il 20 per cento". (Vedere Roger Burbach, Global Research, giugno 2003)

Il Brasile sotto il governo del PT non solo ha portato avanti un neoliberismo "dal volto umano", ma ha anche sostenuto la militarizzazione dell'America Latina e dei Caraibi condotta dagli USA.

Lula aveva stabilito un rapporto personale con George W. Bush. Sebbene fosse un convito critico della guerra in Iraq guidata dagli Usa e un sostenitore di Hugo Chavez, tacitamente sosteneva anche gli interessi strategici degli Stati Uniti in America Latina.

Sulla scia del colpo di stato ad Haiti patrocinato dagli USA-Francia-Canada, nel febbraio 2004, contro il governo regolarmente eletto di Jean Bertrand Aristide, il presidente Luis Ignacio da Silva approvò l'occupazione militare di Haiti e inviò truppe brasiliane a Port au Prince, sotto gli auspici della Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite (MINUSTAH).

Questo articolo pubblicato da Global Research e resistir.info nell'Aprile 2003, all'inizio del governo del PT di Luis Ignacio da Silva, descrive come, fin dall'inizio, la guida del PT ha tradito un'intera nazione.

Nessun cambiamento significativo può derivare da un dibattito su "un'alternativa al neoliberismo", la quale in superficie sembra essere "progressista", ma che di fatto accetta tacitamente come legittimo diritto dei "globalizzatori" di dominare e depredare il mondo in via di sviluppo.

Il movimento di protesta sociale che ha travolto il Brasile è il risultato di 10 anni di repressione economica di "libero mercato" sotto la maschera di una "agenda progressista".

Il moltiplicatore monetario ed altri miti

RISERVA FRAZIONARIA E MOLTIPLICATORE MONETARIO:
COSA SONO E COME FUNZIONANO

Uno degli elementi basilari della teoria macroeconomica mainstream, che entra nelle menti degli studenti sin dai primi momenti di studio (spesso a loro eterno svantaggio) è il concetto di moltiplicatore monetario. È un concettoaltamente dannoso, perché resta per sempre impresso nella memoria degli studenti, e descrive in maniera molto inesatta il modo in cui le banche operano in un’economia monetaria moderna, caratterizzata da una moneta fiat e da un regime di cambi flessibili. Vediamo perché.
Anzitutto un po' di terminologia di base:

MB = base monetaria (la somma delle riserve bancarie e della moneta circolante)
M = moneta circolante (offerta di moneta)
m = moltiplicatore monetario
RRR = tasso di riserva frazionaria (percentuale di depositi che la banca è tenuta a detenere in contanti).

A scuola si studia che il moltiplicatore monetario è  il rapporto tra l'offerta di moneta e la base monetariaesistenti in un determinato momento nel sistema economico: m = M/MB; in altre parole m trasmette le variazioni della cosiddetta base monetaria MB (la somma delle riserve bancarie e della moneta circolante) alle variazioni dell’offerta di moneta M:
M = m x MB
Per calcolare m basta un po' di algebra elementare: m è semplicemente il reciproco del tasso di riserva frazionaria, cioè delle riserve necessarie al funzionamento del sistema.
Esempio:
se la Banca Centrale ordina alle banche private di tenere il 10% del totale dei depositi come riserva, allora:
- il tasso di riserva frazionaria (RRR) è 0.10
- m è uguale a 1/0.10 = 10.
Ne derivano anche formule più complesse, se si considera che le persone vorranno anche detenere una parte dei propri depositi come contante: ma queste complicazioni non aggiungono niente di importante al discorso generale.
Perciò, in base alla formula riportata sopra (M = m x MB), se viene depositato 1 $ in una banca, l'offerta di moneta crescerà (sarà “moltiplicata”) di 10 $ (se RRR = 0.10).
Il modo in cui dovrebbe operare questo moltiplicatore è spiegato come segue (sempre assumendo per ipotesi che la banca debba trattenere il 10% dei depositi totali come riserve):
1. Una persona deposita, ad esempio, 100 $ in una banca.
2. Per fare profitti, la banca presta allora i restanti 90 $ ad un cliente.
3. Quest'ultimo spende il denaro, e chi riceve quel denaro lo deposita anch'egli in banca.
4. Quella banca, poi, presta 90 $ moltiplicati per 0.9 (ovvero tenendone 0.10 a riserva, come richiesto).
E così via, finché i prestiti si riducono a tal punto da dissolversi fino allo zero.
La tabella e il grafico sottostanti mostrano il modello considerato. In questo caso particolare viene illustrata la dinamica fino a 20 iterazioni; questo esempio si risolverebbe intorno alle 94 iterazioni, come si può evincere dai grafici, in cui i successivi prestiti, e poi i depositi frazionari, divengono sempre minori fino a giungere a zero:
Tabella 1: vengono mostrate le prime 20 iterazioni successive al deposito iniziale di 100 $.
Figura 1: Il deposito iniziale di 100 $ viene nuovamente depositato e prestato successivamente,
finché i requisiti di riserva frazionaria lo riducono a zero.
Figura 2: il deposito iniziale di 100 $ viene così moltiplicato, dopo i depositi e prestiti successivi,
fino a tendere ad un aumento dell'offerta di moneta di 1000 $.

Il concetto di moltiplicatore monetario è tutto qui. Tuttavia, benché così semplice, è totalmente sbagliato.
Esso implica che le banche debbano prima ottenere i depositi, per disporre di fondi da prestare in seguito, sennonché i regolamenti prudenziali richiedono loro di tenerne un po' come riserva: perciò avremmo questo processo di creazione del credito che esplode a causa dei requisiti di riserva frazionaria.
Bene, questo non ha nulla a che vedere con il mondo reale. È un modello stilizzato, da libro di testo, che non si avvicina nemmeno lontanamente a come stanno operativamente le cose.
Il modus operandi delle banche, in realtà, è quello di attrarre consumatori meritevoli di credito a cui prestare fondi, e trarre profitto da ciò. Questi prestiti vengono elargiti indipendentemente dalle posizioni in riserve detenute dalle banche.
Esse possono indebitarsi a vicenda nel mercato interbancario, ma se il sistema nel complesso è a corto di riserve, queste transazioni “orizzontali” non incrementeranno il monte di riserve richieste. In questi casi, le banche rivenderanno dei titoli alla Banca Centrale, o s'indebiteranno con essa tramite un meccanismo chiamato discount window: solitamente viene applicata una penalità quando si utilizza questa fonte di finanziamento.
Finché il margine tra il guadagno sul prestito erogato e il tasso d'interesse a cui la banca dovrà indebitarsi con la Banca Centrale tramite la discount window è positivo, la banca erogherà prestiti.
Ne consegue che l'idea secondo cui i bilanci delle riserve siano inizialmente necessari per “finanziare” l'espansione degli stati patrimoniali delle banche, tramite le riserve in eccesso, è falsa. La capacità della banca di espandere il proprio stato patrimoniale non è vincolata dalla quantità di riserve che essa detiene, né da qualunque requisito di riserva frazionaria. La banca espande il proprio stato patrimoniale semplicemente prestando. I prestiti creano i depositi, che vengono poi coperti da riserve, in seguito. Il processo di estensione dei prestiti (credito), che crea nuove passività bancarie, non è legato alla posizione della banca in riserve.
Riassumendo:
  • il moltiplicatore monetario è una descrizione fallace di come funzionano le cose;
  • la base monetaria non determina l'offerta di moneta: è vero il contrario;
  • le riserve correnti sono determinate dai prestiti erogati dalle banche, indipendentemente dalle loro precedenti posizioni in riserve.
Quando si considera questo fatto alla luce del dibattito politico attuale, si resta sbalorditi dal pressappochismo dimostrato dagli opinionisti economici: ad esempio, non ha senso dire che il credit crunch (stretta creditizia) avviene perché le banche non hanno più denaro da prestare, e che il Quantitative Easing (creazione di moneta da parte della Banca Centrale e sua immissione, con operazioni di mercato, nel sistema finanziario ed economico) fornirà loro il denaro “stampato” da poter poi prestare. Le banche prestano sempre denaro, quando si presenta un cliente affidabile dal punto di vista creditizio e i termini dell'accordo sono accettati dalla banca.



Fonte: Il moltiplicatore monetario ed altri miti di William F. Mitchell, Dipartimento di Economia, University of Newcastle Center of Full Employment and Equity (CofFEE);

Grecia, democrazia borghese = dittatura dei monopoli che dominano l'economia

www.resistenze.org - popoli resistenti - grecia - 29-06-13 - n. 460

Assenza di democrazia o rivelazione della sua natura di classe?

Partito Comunista di Grecia | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

20/06/2013

Nota della Sezione Relazioni Internazionali del CC del KKE su temi di attualità

La chiusura di ERT, con l'emanazione dell'atto legislativo e la sospensione del suo segnale nell'arco di poche ore, costituisce una escalation dell'autoritarismo del governo. Più dure sono le misure che il governo adotta per conto del capitale, più aumenta l'autoritarismo da parte dello Stato, con il fine di intimidire il popolo, manipolarlo e reprimere la protesta.

Questa decisione, che ha anche suscitato reazioni all'interno della coalizione di governo, non tanto per il suo contenuto quanto per il modo in cui la decisione è stata presa, ha creato una corrente di solidarietà e di sostegno ai 2.500 lavoratori licenziati, con manifestazioni di massa. Il KKE ha messo a disposizione la sua frequenza radio e la stazione TV (902) per consentire ai lavoratori di trasmettere il loro programma di sciopero, dimostrando in questo modo che i comunisti "sostengono quelli che si levano" nella lotta. Ci si domanda cosa provino i giornalisti della ERT in proposito dato che un anno fa, nel periodo delle elezioni dello scorso anno, erano particolarmente aggressivi con i rappresentanti del KKE mentre ora i loro programmi sono trasmessi grazie al KKE.

Tuttavia, questa corrente di solidarietà non è affatto omogenea. Le forze politiche borghesi e piccolo borghesi, che hanno reagito alla decisione del governo, fin dall'inizio si sono concentrate sul tema della "democrazia", trascurando il fatto che il governo sta cercando per conto dei capitalisti di adattare lo Stato borghese alle loro esigenze con un insieme di misure che assicureranno un costo delle forza del lavoro più conveniente, presupposto per la ripresa dell'economia capitalista. Per questo motivo, l'atto legislativo non è legato solo alla ERT, ma anche alle imprese aventi rilevanza strategica, come EAS (sistemi d'armamento), ELBO (industria automobilistica) e altre, oggetto dell'attenzione dei gruppi monopolisti locali e stranieri. Lo stesso atto legislativo è legato anche a organizzazioni pubbliche attive nel campo della ricerca, del welfare e di altri servizi sociali. La loro chiusura, fusione e sottoutilizzazione spianano la strada al profitto del capitale sui bisogni delle persone.

All'interno di questo quadro, il governo sta tentando di "ristrutturare" ERT, al fine di controllare in modo più efficace le notizie, di consegnare la proprietà e una parte delle sue infrastrutture al settore privato, riorganizzando più facilmente il sistema delle frequenze televisive a favore degli imprenditori. Questo il contenuto di classe reale del conflitto oggi in corso, e non l'"abolizione della democrazia" di cui SYRIZA e gli altri stanno parlando. Quando SYRIZA parla di democrazia, nasconde che si tratta della democrazia borghese, ossia della dittatura dei monopoli che domina l'economia.

La decisione della magistratura borghese (il Consiglio di Stato) emessa questa settimana, che da un lato chiede al governo di riaprire il sistema radio-televisivo pubblico, ma dall'altra approva lo scioglimento della società e il licenziamento di migliaia dei lavoratori, da evidenza del quadro reale di questa "democrazia", in cui il personale politico della borghesia agisce per i suoi interessi, a volte con decreti legislativi - decine negli ultimi 4 anni - altre volte sotto il mantello dei rapporti di forza in parlamento o con decisioni giudiziarie o intimidazione e repressione violenta. Il problema non è la "democrazia" in generale, ma quali interessi di classe serve e, in fin dei conti, quale classe è al potere. La discussione che deve essere avviata tra la gente è quale lotta risponde ai suoi interessi, contro chi e con quale prospettiva. Per quanto riguarda il KKE, la risposta è chiara ed è posta ogni giorno attraverso la sua attività: c'è bisogno di un'alleanza popolare, di una lotta di classe, orientata al conflitto con il potere borghese e il suo stato, che ostacoli la gestione antipopolare e spiani la strada al rovesciamento del potere capitalistico e per l'organizzazione dell'economia in base ai bisogni contemporanei del popolo e non ai profitti della plutocrazia.

Bagnai: Quelli che ‘in Brasile l’inflazione è al 90%’

Quelli che ‘in Brasile l’inflazione è al 90%’

di Alberto Bagnai

Incalzate dalla violenza dei fatti, dalle analisi dei massimi economisti, dalle ammissioni dei loro leader, dalla crescente consapevolezza dei cittadini, le milizie del PUDE (Partito Unico Dell’Euro) sono allo sbando. I peones, privi dei propri generali (che da tempo si sono messi al vento, sapendo benissimo come sarebbe andata a finire), tentano disperate sortite dalle casematte dell’informazione di regime, per azioni di terrorismo i cui esiti sarebbero tragici, se non fossero ridicoli.
L’arma “fine di mondo” dei bislacchi Stranamore dell’informazione nostrana è sempre quella: l’inflazione! Abbiamo già commentato in questo blog un tentativo non del tutto riuscito di usarla per terrorizzare gli spettatori televisivi. Ma si sa, in televisione puoi dire quello che vuoi, il mezzo non sempre consente di tornare sulle lievi imprecisioni profferite. Nei social media, invece, le cose stanno in modo diverso, e bisogna fare un po’ più attenzione, anche se non tutti l’hanno capito. Un esempio? Gustatevi questo breve riepilogodi una conversazione su Twitter, che credo vi offrirà un sorriso: Vittorio Zucconi, direttore dell’edizione web di uno dei più autorevoli quotidiani nazionali, dimostra di non sapere cosa sia quel tasso di inflazione che però usa come spauracchio per sostenere “la causa dell’Euro”.
Il ragionamento di Zucconi sembra essere questo: “Vedete? In Brasile l’inflazione è al 90% e hanno un sacco di problemi.
Ma in Brasile non hanno l’euro: ergo, l’euro non causa problemi, ergo li risolve, visto che da noi l’inflazione non è al 90%, ma ci andrebbe se uscissimo dall’euro”. Una logica non esattamente aristotelica: un po’ come dire che se Tizio ha il cancro ma non fuma, fumare non causa il cancro. Ci vuole un po’ d’indulgenza: il nostro è modenese, non stagirita. Del resto, per capire che non abbiamo a che fare con un sillogismo, ma con un delirio, ci vuol poco. Basta rilevare la pacchiana imprecisione della premessa, dove all’inflazione brasiliana si attribuisce un valore assurdo (90%). Imprecisione che evidentemente deriva da una scarsa consapevolezza di come l’inflazione venga calcolata.
Allora, dopo esserci divertiti (amaramente), facciamo un lavoro socialmente utile: informiamo l’informatore.
Le ricordo, dottor Zucconi, che l’inflazione è la variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo, calcolato con cadenza mensile. Il dato “nasce” mensile e quello annuale si ricava come opportuna media. Attenzione, però. Ogni mese di dati ne vengono diffusi due: la variazione rispetto almese precedente (inflazione “congiunturale”), e quella rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (inflazione “tendenziale”). Il tasso “congiunturale” è essenziale per guidare la politica nel breve periodo, mentre il tasso “tendenziale”, che incorpora un anno di storia (da mese a pari mese dell’anno precedente, ripeto) ci informa sulle tendenze di medio periodo. Informazioni entrambe utili ma ben diverse l’una dall’altra.
Ora che si diletta di economia, voglia guardare, per esempio la tabella seguente, estratta dall’ultimocomunicato stampa dell’Istat:
inflazione
In alto troverà facilmente il dato annuale. Ad esempio, nel 2012 l’inflazione annuale in Italia è stata del 3% (ultima colonna, seconda riga): è la variazione percentuale degli indici annuali: (105.9-102.8)/102.8=0.03=3%. A loro volta, gli indici annuali sono la media degli indici mensili: ad esempio, il dato annuale 105.9 è la media dei valori assunti nei dodici mesi del 2012.
Venendo al dato mensile, nell’ottobre del 2012 l’indice mensile era pari a 106.5, invariato rispetto a settembre: in quel mese quindi l’inflazione congiunturale è stata nulla. Inflazione zero, il sogno dei banchieri centrali e dei dilettanti di economia!
l’inflazione tendenziale? Nell’ottobre 2011 l’indice dei prezzi era stato pari a 103.8, quindi un anno dopo l’inflazione tendenziale era del 2.6%, perché (106.5-103.8)/103.8=0.026=2.6%. Un dato non lontano dal valore medio annuo del 2012 (3%), appunto perché incorpora un anno di storia (e il tasso annuo d’inflazione è appunto la media dei tassi tendenziali).
Forse ora comincia, gentile dottore (in lettere e filosofia), a intuire quale sia la lieve imprecisione da lei commessa. Semplicemente, lei ha scambiato il dato tendenziale per quello congiunturale. Certo,entrambi sono pubblicati mensilmente, quindi sono “mensili”, il che però non significa che siano entrambi “al mese”: solo il dato congiunturale (mese rispetto a mese precedente) ci informa su cosa sia successo nel mese di riferimento. Il suo errore è palese nella sua sbrigativa risposta a matteo rumi su Twitter: “Inflazione generale al 4.5%. AL MESE”.
twitter_zucconi
No, Zucconi, no, la prego, si tranquillizzi!
Il 4.5% del quale lei straparla non è un tasso congiunturale (mese su mese precedente), ma tendenziale. Non significa che i prezzi aumentano del 4.5% al mese (e quindi, a spanna, del 70% all’anno, che comunque non sarebbe il 90% di cui parla lei)! Significa che sono aumentati del 4.5%rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In un’economia che, le ricordo, dallo scoppio della crisi è cresciuta di 4.5 punti percentuali all’anno più della nostra (loro al 3.2%, noi al -1.3% di media). Ovviamente i tassi congiunturali (cioè quelli che descrivono effettivamente la crescita dei prezzi al mese) sono molto inferiori, sotto lo 0.5%. Voglia consultarli qui.
Be’, caro Zucconi, come dire… Se l’inflazione si calcolasse come pensa lei, l’euro non ci avrebbe veramente salvato, perché nel 2012, “ragionando” come lei, avremmo avuto più del 40% d’inflazione media annua.
Peccato che un’inflazione simile in Italia non si veda da quando lei aveva due anni!
Ora, che un dilettante di economia possa commettere una svista simile, è cosa che non deve stupire né scandalizzare. Povertà non è vergogna. Certo, ci vorrebbe un po’ di umiltà e meno strafottenza verso gli insegnanti e i loro meschini stipendi. Ma questi sono autogol dei quali sarebbe sleale approfittare. Quello che invece veramente non va è il tentativo, al quale la sua testata ci ha abituati, di fare terrorismo economico sull’inflazione.
Perché lo fate? Perché siete l’organo di riferimento del PUDE, di quel partito trasversale che ha sposato la filosofia politica paternalistica secondo la quale, siccome gli italiani non sanno governarsi da soli, devono essere governati dal manganello dello spread. Sì, insomma, la filosofia del “vincolismo”, che in Italia ha lunga tradizione (Carli, Giavazzi, Scalfari, ecc.). Ora, perché gli elettori accettino di farsi governare dai mercati finanziari anziché da organi democraticamente eletti, occorre nutrano un sacro terrore dell’inflazione, e si convincano che l’euro, se pure crea problemi, almeno li protegge da essa e dai disordini che essa porta con sé. Ma a questo, appunto, ci pensate voi.
In effetti, parlando del Brasile lei cerca appunto di suggerire un simile nesso causale (niente euro uguale inflazione uguale scontri di piazza), ma così facendo commette un falso storico che i dati facilmente smascherano.

weo_dati
Ecco, lo vede il grafico? (Dati tratti dal WEO di aprile, fonte che lei, come me, compulsa avidamente nei momenti di tempo libero). Negli ultimi dodici anni in Brasile si è avuta inflazione a due cifre solo nel 2003. L’inflazione annua è sui valori attuali (fra il 4% e il 6%) più o meno dal 2004, e non ricordo si sia parlato di scontri di piazza. Che cosa sta succedendo adesso? Sta succedendo che la crescita ha bruscamente rallentato, e non per un solo anno, come nel 2009, ma per due anni consecutivi (2011 e 2012). Non è l’inflazione a portare la gente per strada, ma la stagnazione o recessione prolungata, caro dottor Zucconi (e in un paese emergente una crescita sotto il 2% può tranquillamente essere assimilata a stagnazione).
La sua scelta di starsene negli Stati Uniti è saggia e del tutto condivisibile, perché vedrà, prima o poi, continuando così, col Pil italiano in caduta libera, la gente andrà in strada anche nell’Italietta protetta dall’eurone. Non escludo che quel giorno qualcuno si ricordi di chi insisteva sul fatto che, al nobile scopo di difendersi dall’inflazione, sia doveroso tagliare i salari reali. Sarebbe una reazione esecrabile, ma la Storia, quella vera, non quella raccontata da certi giornali, è purtroppo fatta di risposte simili.
Un’informazione corretta è presidio di democrazia e di pace. Un concetto non popolare in questo paese. Ma vale la pena di insistere.
(Ehi, dottor Zucconi? Sì, lei! È ancora qui? No, aspetti, si lasci dire una cosa: ho controllato la mia busta paga. Il mese scorso ho guadagnato 2582 euro (netti). E non sa a quante consulenze ho rinunciato da quando ho cominciato a far divulgazione! Ma anche con quelle non avrei raggiunto, suppongo, se non un’esigua frazione dei suoi cospicui e ben meritati emolumenti. Se lo lasci dire, però: ci son due cose che non hanno prezzo. La prima è la soddisfazione di smascherare la crassa ignoranza dei tronfi Soloni. La seconda è quella di poter lasciare ai propri figli un esempio. Cosa che, in un certo senso, ha fatto anche lei…)
(Ah, dottore, scusi, un’ultima cosa, visto che ha deciso in tarda età di cambiare mestiere: in effetti c’è stato un anno nel quale l’inflazione media annua brasiliana è stata al 90%. Il 1980. Bei tempi quelli per voi, eh!? Potevate dire la qualunque sui vostri giornali, e nessuno se ne accorgeva. Mi sa che è finita…)