giovedì 30 ottobre 2014

Assemblea Mediobanca: Intervento di Marco Saba

Milano, 28 ottobre 2014 - Assemblea degli azionisti di Mediobanca
 
"Saluto innanzitutto i presenti che ringrazio per avermi dato l'opportunità di intervenire. Sono l'azionista Marco Saba, ricercatore del Centro Studi Monetari, ed intervengo per motivare la mia mancata approvazione del bilancio 2013-2014 così come presentato all'assemblea, facendo mie le dichiarazioni dell'On. Sibilia qui presente: manca nel bilancio la voce maggiore e più importante per stabilire la reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società MEDIOBANCA, ovvero la quantità di denaro creata durante l'esercizio. 
  Che il denaro creato da MEDIOBANCA sia denaro legale è evidente perché tale denaro viene correntemente accettato dallo Stato nella riscossione dei tributi. Nell'ipotesi contraria che tale denaro fosse da considerarsi denaro falso, e per questo non registrabile come valore positivo nel bilancio, allora avverrebbe un miracolo degno della Madonna dei Debitori: tutti i crediti oggi vantati dalla banca, a seguito di precedenti impieghi della medesima, sarebbero illegali, nulli e vuoti. E' da notare che tale situazione sarebbe identica anche per tutte le altre banche sul territorio, sicché la conseguenza della dichiarazione di falsità del denaro bancario sarebbe la remissione di tutti i debiti, almeno verso le banche. E' ovvio che tale denaro è vero e in quanto tale ne va dichiarata l'origine bancaria altrimenti il guadagno da reddito monetario verrebbe nascosto all'erario ed agli azionisti, oltreché al resto della società, come ora avviene. Questo problema è davvero cruciale per i  presenti, sia per gli amministratori che per gli azionisti. Continuare ad ignorarlo o cercare di nasconderlo sarebbe quantomai inutile: a soli 100 km da qui, in Svizzera, stanno già raccogliendo le firme per un referendum sull'iniziativa MONETA INTERA, di cui accenno solo i tre punti principali per capire la gravità della situazione che potrebbe poi venire a crearsi qui in Italia: 
"1-Solo la BNS (Banca Nazionale Svizzera) emette, in futuro, moneta bancaria quale mezzo di pagamento legale. 2 - Le banche non possono più creare moneta bancaria propria, ma solamente prestare i soldi che vengono messi a loro disposizione dai risparmiatori, dagli investitori e dalla BNS. 3 - Nuova moneta intera viene di norma messa in circolazione attraverso pagamenti senza debito della BNS allo stato, ai cantoni, o ai cittadini e le cittadine." 
Poiché hanno tempo fino a dicembre 2015 per raccogliere le firme necessarie, è possibile che l'argomento travalicando i confini elvetici diventi un tormentone a livello europeo. Prima che quindi la consapevolezza del fenomeno porti a cambiamenti operativi tali da svuotare completamente la fonte maggiore di reddito della banca, sarebbe il caso di valutare seriamente l'ipotesi di legalizzare di fatto questo guadagno dichiarandolo e pagandoci sopra le tasse. Si rischia altrimenti di fare la figura della famiglia fiorentina dei Bischeri che, nel Medioevo, di fronte alla congrua offerta d'indennizzo da parte del Comune di Firenze per acquistare il loro palazzo che andava demolito per costruire il Duomo, rifiutarono l'offerta e se lo videro espropriare in toto senza indennizzo alcuno.
Siccome credo di trovarmi di fronte all'intellighenzia non solo bancaria, ma anche industriale del paese, concentrata in questa banca, non mi soffermerò ad analizzare punto per punto, uno per uno, gli effetti negativi nefasti che potrebbero conseguire, civilmente e penalmente, dal continuare ad ignorare l'elefante nel salotto. Un antico proverbio indiano dice che, se vedi tutto grigio, forse è giunta l'ora di spostare l'elefante ! La dichiarazione del reddito reale nel bilancio della banca, attuabile rettificando il bilancio ora presentato, potrà scongiurare, se tempestivamente adottata, spiacevoli risvolti per l'attività bancaria futura in Italia. Il fatto che a promuoverla sia Mediobanca, come consigliamo, assumendosene quindi la primazia, non può che aumentare il prestigio nazionale ed internazionale dell'istituto, con ovvi vantaggi per tutti. Gli altri istituti cui abbiamo contestato la stessa perversione attuale dei principi contabili, laddove l'articolo 2423 del codice civile è preciso nel merito dove dice che: "Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato.", hanno finora ignorato la nostra raccomandazione in merito attaccandosi al fatto che avrebbero seguito scrupolosamente le regole contabili. Le hanno seguite sì, tutte, fuorché quella fondamentale che indicava di non seguirle se avessero prodotto risultati incongruenti. Mi aspetto da questo consesso che nasca un confronto positivo che porti al ristabilimento della legalità ed onorabilità dell'attività della banca in modo da non realizzare la funesta profezia di Cuccia che diceva che: "Se è caduto l'impero romano, non si vede perché non dovrebbe cadere Mediobanca". 
 
Grazie a tutti per la cortese attenzione.

mercoledì 29 ottobre 2014

Marco della Luna: il quadro dell’idiozia totale è perfetto

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CREAZIONE MONETARIA FUNZIONALE E INFLAZIONE
Una serenata a Leopolda
Sempre più spesso si parla della possibilità od opportunità di una monetazione funzionale, ossia che lo Stato si metta a creare direttamente, o a far creare dalla banca centrale di emissione (assumendone il governo) tutto il denaro necessario a fare gli investimenti pubblici diretti che producano/inducano occupazione, domanda interna, adeguamento infrastrutturale, innovazione scientifico-tecnologica, assicurando al contempo l’impossibilità del default – cioè per fare quelle cose che appaiono indispensabili per uscire dall’attuale recessione-deflazione, dopo il fallimento ormai visibile delle ricette dell’austerità e del quantitative easing, difese oramai soltanto da soggetti in mala fede e per interesse.
Quando si parla di questa possibilità od opportunità di ricorrere all’uso funzionale della creazione monetaria, vengono sollevate obiezioni aventi il seguente concetto-base: “Non si può immettere moneta a piacimento nell’economia, perché ci deve essere un rapporto tra quantità di moneta e quantità di beni, altrimenti la moneta si svaluta e/o si generano bolle speculative mobiliari e/o immobiliari, e si è visto che ciò effettivamente accade.”
Alcune repliche sono ovvie e le ho già più volte formulate: 1)Se la moneta aggiuntiva viene usata per aumentare la produzione, quindi l’offerta, di beni e servizi, allora non vi sarà, di principio, inflazione monetaria, ossia aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi, mentre vi sarà un aumento della ricchezza prodotta e del reddito oltreché dell’occupazione; certo bisogna spenderla bene, e una classe dirigente avida e idiota, come tale selezionata, non lo può fare. 2)Se la moneta aggiuntiva viene usata per comperare titoli finanziari e immobili, allora vi sarà una salita dei valori delle borse e degli immobili, e questo fa piacere a tutti gli investitori mobiliari e immobiliari. 3)Se anche, come conseguenza dell’immissione monetaria, vi fosse, magari solo inizialmente, una certa inflazione, questa aiuterebbe i debitori (cioè gli Stati, molte imprese, molti privati…) e danneggerebbe i creditori non indicizzati all’inflazione, mentre stimolerebbe le spese  che oggi vengono differite perché si prevede un calo o una costanza dei prezzi, il che alimenta la deflazione; quindi complessivamente, dopo la presente deflazione, una certa inflazione o reflazione sarebbe benefica.
Qui vorrei aggiungere, circa il rapporto tra offerta di moneta e quantità di beni disponibili: Bisogna distinguere tra generi di beni, tra due settori dell’economia. Il grosso dell’offerta monetaria è assorbito, oggi, dal settore finanziario-speculativo, ossia da “prodotti” finanziari non aventi correlato reale (cioè senza rapporto con la fruizione da parte degli umani) e producibili a go go, senza limiti o costi effettivi, se non il limite posto dalla saturazione del mercato, cioè dalla abilità di collocarli, di rifilarli o sbolognarli ai clienti ingenui allorquando si presente che una bolla sta per scoppiare. Se questo settore dell’economia col suo genere di “beni” assorbe, come assorbe, il grosso dell’offerta monetaria, lasciando a secco della fisiologica liquidità il mercato dei beni-servizi reali e degli investimenti per produrli, si ottiene la paradossale situazione che noi oggi viviamo, connotata, da un lato, da un’esorbitante creazione-offerta di moneta, che le banche centrali creano e mettono a disposizione, in quantità enormi, non dell’economia reale ma delle banche universali per le loro speculazioni finanziarie, improduttive anzi distruttive; e, dall’altro lato, da una carestia di moneta nell’economia reale, cui le medesime banche (in Italia) fanno sempre meno credito, con conseguente declino-insufficienza di domanda solvibile e di possibilità di investimento e occupazione – onde la deflazione.
In altre parole: l’offerta di moneta non si può dire che sia eccessiva o insufficiente, perché essa è eccessiva per il settore finanziario, a cui viene continuamente alimentata; mentre è gravemente insufficiente per quello reale, a cui viene continuamente ridotta. Quindi quando si parla di rapporto tra offerta monetaria (liquidità disponibile) e quantità di beni disponibili, bisogna introdurre la predetta distinzione dei due settori. E bisognerebbe al contempo introdurre il tema dell’opportunità non solo di separare le banche di credito e risparmio da quelle speculative, bensì anche di fare in modo che la liquidità del settore produttivo, dell’economia reale (quello da cui dipendono gli stipendi, il cibo, i servizi etc.), sia assicurata e protetta dalle interferenze e distrazioni del settore finanziario, molto più grosso e turbolento.
L’anemizzazione monetaria dell’economia reale, soprattutto in Italia, è oggi aggravata da ulteriori fattori strutturali, quali a)le rimesse verso l’estero degli emigrati; b)la preferenza dei detentori di liquidità per la tesaurizzazione e gli investimenti monetari o finanziari magari all’estero; c)i trasferimenti al finanziamento del Meccanismo Europeo di Stabilità di denaro tolto al Paese mediante le tasse; d)la realizzazione forzata di avanzi primari del bilancio pubblico e il pagamento di alti interessi a detentori esteri di titoli del debito pubblico.
In una situazione di recessione interna e fuga verso l’estero di imprenditori, lavoratori qualificati e capitali, che cosa potrebbe essere più demenziale che imporre tasse al Paese per sostenere il debito pubblico di paesi in crisi (Spagna, Grecia…) al fine puntellare una valuta, l’Euro, che ostacola le esportazioni e induce la deindustrializzazione del Paese? Eppure gli italiani hanno dato fiducia persino a chi ha fatto questo.
Si aggiunga, infine, a questo museo degli orrori dell’imbecillità politica, o dell’alto tradimento istituzionale – se preferite – il fatto che la deprivazione-anemizzazione monetaria del paese, di cui sopra, fa sì che gli assets produttivi migliori – industria, commercio, finanza, alberghi, terreni agricoli pregiati – si deprezzino e vengano massicciamente comperati da soggetti-capitali finanziari stranieri, e che quindi il reddito generato da questi assets esca dal reddito nazionale italiano divenendo reddito dei paesi che li comperano. Quindi magari il prodotto interno lordo, per effetto di questa campagna di acquisti (investimenti esteri), non cambia oppure aumenta, ma il reddito nazionale cala sensibilmente, cioè la nazione si impoverisce, anche se dal pil ciò non appare. Dal che si capisce che il pil è un indicatore molto parziale, quindi inidoneo per valutare l’andamento dell’economia.
Se pensiamo che la anemia, la auto-privazione monetaria che produce tutti questi mali, è semplicemente la auto-privazione di qualcosa, della moneta cioè, che è solo un simbolo e non ha costi o limiti di produzione intrinseci, e che i paesi stranieri che comperano i nostri assets migliori lo possono  fare appunto perché fanno la scelta opposta all’auto-privazione monetaria, ossia perché scelgono di produrre a costo zero grandi masse di moneta-simbolo, allora il quadro dell’idiozia totale è perfetto. Non resta che ringraziare i nostri governanti nazionali ed europei e le nostre banche centrali, e lusingarci per tutti i consensi, i voti, le tasse e gli onori, che continuiamo tributare loro. 24.10.14
24.10.14 Marco Della Luna

Enrico Mattei: singolarità o esempio attuale?

Enrico Mattei: singolarità o esempio attuale?
di Antonino Galloni - 28/10/2014
Fonte: Conflitti e strategie 

In calce la relazione tenuta da Antonino Galloni in un convegno organizzato il 18/19 ottobre dall’Istituto Schiller a Francoforte



Al momento dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948, quindi a distanza di qualche anno dalla fine del secondo conflitto mondiale, la produzione industriale ed agricola dell’Italia non raggiungeva i livelli di dieci anni prima. Problema cruciale riguardava le fonti energetiche dopo che il fascismo aveva contenuto il problema con un sistema idroelettrico d’avanguardia, ma che mostrava – strategicamente parlando – notevoli limitazioni. D’altra parte, la fase del petrolio era iniziata da prima della guerra e, anzi, i Paesi non produttori di idrocarburi l’avevano persa anche per questo (come molti studiosi di quel conflitto hanno dimostrato); era anche iniziata la sfida atomica che, dopo esser risultata anch’essa determinante ai fini bellici, cominciava a promettere un’utilizzazione industriale e civile di grande interesse: non fu un caso, infatti, se gli accordi di Bretton Woods del 1944 precedettero la conferenza di Yalta (un anno prima di Hiroshima e Nagasaki, infatti, si sapeva già con certezza chi avrebbe vinto, possedendo, appunto, l’arma atomica).
Il fascismo, peraltro, aveva affrontato e, per certi versi, risolto i problemi della crisi finanziaria ed economica degli anni Trenta con un intervento pubblico d’avanguardia che spaziava dal credito (la legge di separazione bancaria – in USA fu la Glass Steagall – del 1936), alle infrastrutture (ponti, strade, ferrovie), alle industrie (l’IRI ed altre partecipate, gestite con logiche prettamente economiche, ma di proprietà dello Stato), all’agricoltura (le bonifiche e non solo), alla produzione di elettricità, come si è già accennato. Lo stesso fascismo aveva costituito l’AGIP, ma con scarse fortune e l’ex partigiano Mattei (a cui, peraltro, si rinfacciava anche una pregressa tessera del Littorio) fu incaricato, dopo il 1945, di liquidarla; incarico che svolse malissimo – secondo i politici di sinistra del tempo (che vedevano nell’AGIP un comico carrozzone autarchico e quelli di destra quando si accorsero dell’impostazione antiamericana del marchigiano – perché Mattei prima traccheggiò, poi delineò una strategia di allargamento della missione dell’Ente, infine riuscì ad impedire che il Parlamento italiano varasse una legge che consentiva agli USA di detenere una sorta di monopolio in materia.
Figuriamoci, dunque, l’entusiasmo che poté suscitare la scoperta di idrocarburi nella pianura padana e dintorni e la possibilità di rivisitare una piccola partecipata pubblica per farne, già sul finire degli anni ’40, qualcosa che potesse aiutare l’Italia ad uscire da una millenaria insufficienza energetica.
Mattei, dunque, si mise a capo di ciò, incontrando non poche resistenze, vinte grazie ai suoi appoggi politici, in parte democristiani, ma anche di altri partiti di sinistra (sfruttando l’aspetto antimperialistico della sua intrapresa), lui che poteva vantare un trascorso da partigiano di tutto rispetto.
Ma il progetto di Mattei fu ben più articolato ed ambizioso: partendo dall’occasione di un fatto che, tutto sommato, sarebbe stato marginale (il ben poco petrolio e gas della pianura padana e del mare adriatico) e, grazie ad uno spregiudicato utilizzo degli appoggi politici e delle influenti amicizie internazionali (soprattutto Unione Sovietica e Paesi Arabi), riuscì ad assicurare all’Italia un flusso di gas e di idrocarburi senza il quale nessun miracolo economico sarebbe stato possibile; Enrico Mattei cominciò con accordi in sordina presso lo Scià di Persia (dopo il fatale errore USA di eliminare l’intraprendente Mossadeq), ma è noto nel mondo per i rivoluzionari accordi con i Paesi Arabi (apprezzati dai Russi che vi vedevano una maggiore giustizia sociale e, soprattutto, un indebolimento degli interessi e dell’influenza angloamericana nell’area) e che prevedevano un’equa spartizione dei guadagni tra produttori e compratori. Fino a Mattei, infatti, i compratori erano più che altro le compagnie petrolifere occidentali – sinistramente note come le “7 sorelle” – che pagavano il greggio una miseria; Mattei offrì il 75% dei profitti in cambio delle licenze di estrazione, consentendo agli Arabi di guadagnare molto di più, di contenere i prezzi degli idrocarburi in Italia, di spiazzare l’agguerrita concorrenza americana, inglese, olandese ed anche francese. In effetti, si può dire – da una parte – che Mattei gettasse con dieci anni di anticipo le basi dell’OPEC e, tuttavia, l’operazione più molesta (secondo gli osservatori filocolonialisti) fu proprio quella in Algeria dove si rifiutò di sottoscrivere un allettante contratto con le 7 Sorelle schierandosi apertamente per il futuro Stato indipendente. In questo modo costrinse le 7 Sorelle o ad appoggiare la Francia andando da sole o a schierarsi con gli indipendentisti!
Fu minacciato dai servizi della legione straniera francese e di lì a poco il suo aereo venne sabotato, in Sicilia, da mafiosi amici degli amici d’oltre confine.
La sua morte, avvenuta in modo non molto misterioso nel 1962, fu subito ricondotta a tali circostanze (non meno promettente, peraltro, si rivelò la “pista interna”, riguardante il suo braccio destro Eugenio Cefis che lo stesso Mattei scoprì e denunciò quale collaboratore della CIA); e le prove dell’attentato al suo aereo tramite una bomba al tritolo, collegata all’accensione delle luci o all’attivazione del carrello di atterraggio, furono acclarate dalla magistratura…43 anni dopo!
Ma sarebbe riduttivo ricordare unicamente la sua grande figura per le circostanze sin qui descritte: Mattei fu e fece molto di più.
Non è difficile argomentare che l’ottenimento delle licenze richiedeva, a monte, la capacità di estrarre – in modo competitivo rispetto alle stesse 7 sorelle – il petrolio da giacimenti sempre più profondi; e, a valle, di disporre di impianti di raffinazione adeguati, per non parlare delle problematiche connesse al trasporto ed alla distribuzione.
Tutta la strategia di Mattei era basata sulle concessioni estrattive; ma Mattei volle un’ampia integrazione verticale di tutta la macchina che andava dalla ricerca di giacimenti fino alle pompe di benzina e oltre; così nacquero società di impiantistica ed un’industria petrolchimica che furono tra le migliori del mondo se non le migliori.
Grazie all’aumento delle economie di scala proprie delle industrie italiane – oramai lanciate nel contesto internazionale – Mattei siglò accordi con la Russia, con la Cina e con altri importanti Paesi di quasi tutti i continenti per la costruzione di importanti infrastrutture; ma ciò portava con sé la formazione, la cultura, l’ampliamento degli scambi internazionali.
Alla morte di Mattei e nel ventennio successivo, l’ENI non mancò di crescere per divenire uno dei più grandi, se non il più grande, colosso mondiale (se si considerano le complementarietà con gli altri enti italiani a partecipazione statale, in primis l’IRI) dell’energia, della petrolchimica e delle infrastrutture.
Il successo di Mattei e dell’ENI fu reso possibile da una cultura capitalistica che vedeva nella crescita delle vendite il suo principale riferimento: la massimizzazione del profitto non si riferiva alla sua incidenza sul capitale o investimento, ma alla massima crescita di quest’ultimo a condizioni del mercato, vale a dire di espansione sostenuta dalla domanda (pubblica o privata che fosse). Fiore all’occhiello di questa impostazione fu il salvataggio di un’industria meccanica fiorentina – il Pignone – fortemente caldeggiata dall’allora sindaco di Firenze, Giorgio La Pira (quello un santo), salvataggio che si rivelò un successo industriale, consentendo il lancio di un’azienda leader a livello mondiale nel comparto delle turbine (per la cronaca, l’azienda fu poi svenduta, alla fine degli anni ’90, dai governi con partecipazione comunista – si fa per dire – alla General Electric che provvide a indebolirla ed a farla a pezzi).
Quella di Mattei (considerato un grande peccatore ed un grande corruttore, infatti soleva giustificarsi quando gli si obiettava che destinava fondi neri un po’ a tutti i partiti che questi ultimi venivano utilizzati “come taxi, salgo, li utilizzo, pago, scendo”) e di La Pira (il santo, un vero santo) è una cultura che caratterizza tutta la storia dell’economia dagli accordi di Bretton Woods fino alle svolte reazionarie alla fine degli anni ’70. Queste ultime, infatti, hanno posto ad obiettivo cruciale delle attività produttive la massimizzazione del rendimento dell’investimento o saggio di profitto: un indicatore di natura finanziaria, comune alle obbligazioni (imperanti, con alti tassi di interesse, durante gli anni ’80) ed alle azioni. Dopo la fine degli anni ’70, dunque, l’economia reale viene sacrificata – come è noto – sull’altare della finanza e delle sue irrealizzabili promesse che aprono al baratro degli impegni non sostenibili, dei debiti a go go e della bancarotta generale in un quadro di crescente disoccupazione e desolante regresso sociale.
Tutto il contrario avveniva ai tempi di Mattei ed anche per un quindicennio a seguire: l’espansione costituiva il fondamento dello sviluppo economico sia per quanto riguardava le imprese capitalistiche, sia per quanto riguardava gli investimenti pubblici. La formula italiana, peraltro, si era rivelata particolarmente efficiente soprattutto a proposito delle imprese – di cui l’ENI, assieme all’IRI, rappresentava il massimo – di proprietà dello Stato, ma gestite con criteri di economicità. In realtà, il tasso di rendimento, dell’ultimo investimento puntava a zero, ma siccome si massimizzavano l’occupazione ed il reddito totale, si minimizzavano le spese di assistenza ai disoccupati: non si dimentichi mai che il fenomeno migratorio degli Italiani all’estero si riduce con la crescita delle industrie a partecipazione statale.
La crescita degli investimenti fisici, a prescindere dal reddito da essi direttamente ed immediatamente generato, costituisce la chiave di volta dello sviluppo economico e sociale; esso, tuttavia, portava alla tendenza a ridursi del saggio del profitto con la duplice conseguenza di emarginare il ruolo della proprietà nell’azienda e nella società e di far crescere le aspettative democratiche della classe media e dei lavoratori.
Contro tale prospettiva, un quindicennio dopo la morte di Mattei, si scatenò la reazione antidemocratica dei ceti possidenti che, in nome del rendimento finanziario della proprietà, dei limiti nello sfruttamento delle risorse del pianeta, del contenimento delle tasse e della spesa pubblica, cominciarono ad ottenere un capovolgimento culturale e di prospettive economiche.
Mattei aveva intuito l’importanza dell’ambiente e del nucleare (non si dimentichi che l’Italia era all’avanguardia in quest’ultimo settore fino all’inizio degli anni ’60 ed aveva raggiunto la prima centrale che non utilizzava uranio arricchito o militare e, si osservava, anche questo aveva dato fastidio a livello internazionale: infatti dagli USA e dalla Francia provenivano veti e limitazioni di sovranità verso il Belpaese.
All’ENI ed all’IRI sapevano – contrariamente alle errate farneticazioni malthusiane del club di Roma e dintorni – che, al crescere dell’innovazione tecnologica, la quantità di agenti inquinanti e di risorse scarse o pregiate per unità di prodotto tendeva a ridursi. Viceversa, la artificiosa limitazione dello sviluppo (e, in seguito, le caratteristiche della globalizzazione non basata su innovazione e qualità, ma solo sul taglio selvaggio dei costi), contenendo l’avanzamento delle tecniche – che è un portato dello sviluppo e della esigenza di ridurre le risorse per unità di prodotto al crescere di esso – determina l’aumento di inquinamento e cattivo utilizzo delle risorse stesse proprio a causa dello scarso avanzamento dell’intensità energetica.
Nessuno può dire cosa avrebbe fatto Mattei in Italia e nel mondo dopo il 1962, ma certamente possiamo ipotizzare che, oggi, la sua massima attenzione sarebbe per i BRICS e che avrebbe appoggiato, in tutti i modi, le forze politiche che avessero aperto un dialogo ed una collaborazione con Russia, Cina e India finalizzato a definire un sistema mondiale idoneo a proseguire un percorso accettabile di civiltà e di benessere generalizzato; comunque, sappiamo che i suoi successori non fecero crescere la diversificazione produttiva dell’ENI neanche durante il ventennio compreso tra la fine violenta del grande imprenditore e l’inizio di una politica economica fortemente penalizzante per la sovranità del Paese.
Le stesse industrie a partecipazione statale – che tutto il mondo ci invidiava – venivano derise da giornalisti ed osservatori di scarso spessore che le additavano ad imprese inutili, in perdita e mera fonte di corruzione. La Storia ci ha spiegato quanto esse siano state fondamentali per l’eccezionale sviluppo del Paese tra la fine degli anni cinquanta ed i ’70; analisi di studiosi seri hanno indicato come le industrie a partecipazione statale facessero investimenti più elevati delle private, sicchè, sommando profitti ed ammortamenti, si ottenevano saggi di redditività lordi non diversi; la corruzione, invece, rappresentava un problema serio, ma la fine del modello a partecipazione statale e degli elevati investimenti pubblici ha provocato, in Italia, la fine dello sviluppo pur senza evidenziare alcuna riduzione, ad oggi, dei fenomeni di corruzione: i quali, evidentemente, devono e possono essere affrontati a prescindere dall’aver condannato alla disoccupazione a vita milioni di giovani Italiani quale conseguenze delle politiche restrittive volute da circa trent’anni per “moralizzare” il Paese (come si è già detto, con risultati ben scarsi nella lotta alla corruzione e, invece, particolarmente rilevanti nella perdita di sovranità, nel crollo degli investimenti, nel ritardo scolastico, scientifico, sanitario, infrastrutturale).

L’attualità di Mattei richiede, quindi, il ritorno ad un’economia sostenibile in termini sociali, con investimenti pubblici, ricerca, scuola, formazione, infrastrutture adeguate, soddisfacente cura delle persone: obiettivi non conseguibili senza un ritorno alla sovranità monetaria, il ripristino della netta separazione tra banche di credito e finanza speculativa, una pubblica amministrazione che si faccia direttamente carico di collaborare con i cittadini per realizzare gli adempimenti previsti da leggi e regolamenti. Tutto ciò in un contesto di cooperazione tra Stati sovrani che, nello spirito del Trattato di Westfalia, si rispettino, nel comune interesse a crescere e scambiarsi esperienze e capacità. Era questo, infatti, il metodo di Mattei e di tanti altri grandi statisti italiani oggi scomparsi, ma non per questo meno attuali: dialogare tra popoli e culture diverse mettendo a disposizione risorse e capacità con l’unico obiettivo di vedere una crescita economica sostenibile perché adeguata alle esigenze di benessere e di libertà delle popolazioni.

Mediobanca: deputato M5S interviene e scoppia il caos

Mediobanca: deputato M5S interviene in assemblea e scoppia il caos 

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Mediobanca-deputato-M5S-interviene-assemblea-scoppia-caos/28-10-2014/1-A_015048788.shtml

15:02  MILANO (MF-DJ)--Ci pensa Carlo Sibilla, parlamentare grillino, a rompere la quiete dell'assemblea annuale di Mediobanca. Prendendo parola nel termine dell'assise, il deputato dell'M5S ha sostenuto, tra le altre cose, che nella gestione del circolante "Mediobanca ha creato denaro virtuale, non inserito nell'attivo, generando entrate invisibili", il tutto facendo riprendere il proprio intervento da un collega munito di telecamera. Ed e' stato proprio quest'ultimo dettaglio ad accendere gli animi dei tanti piccoli azionisti, poco meno di un centinaio in tutto, presenti nella sala assemblee di piazzetta Cuccia. Al punto che il Presidente dell'assise, Renato Pagliaro, ha piu' volte pregato gli uscieri di accompagnare fuori dalla stanza due soci particolarmente accalorati. " È stato un discorso interessantissimo quello sul denaro creato fatto da Sibilia", ha risposto poi l'a.d. Alberto Nagel durante le repliche agli azionisti. "Pero' non l'ho capito e non capisco come si possa sposare con i principi contabili internazionali con i quali facciamo i conti quando scriviamo il bilancio. Sono comunque disposto a discuterne in separata sede". ofb/fch (fine) MF-DJ NEWS 2815:01 ott 2014

lunedì 27 ottobre 2014

La finanziaria di Renzi serve per aumentare il debito sovrano

La finanziaria di Renzi? Serve per allargare il terzo mercato obbligazionario al mondo. Quello del debito italiano

di Redazione

renzi euro vespaCercare una logica nella bozza, anzi nelle bozze, di finanziaria del governo Renzi significa sicuramente uscire dal surreale politicismo italiano. Di un tipo di surreale per cui si pensa che ogni mossa del governo viene fatta per rispondere alla Camusso, a Bersani, a Berlusconi e ora magari anche a Luxuria nuova re-entry nel set della politica istituzionale. Anche le metafore antropromorfiche abbondantemente usate pure per la politica europea –la Merkel, Juncker, Draghi- ci spiegano poco. La finanziaria è ragion di stato, anzi di governance europea e di mercati globali, e quindi solo gli esempi che vanno ben al di là della metafora dei rapporti tra persone ci fanno effettivamente capire quale posta in gioco ci sia nelle mosse del governo.

domenica 26 ottobre 2014

70 Magistrati a Scuola dai Banchieri

03/08/2014 19.28.09

70 Magistrati a Scuola dai Banchieri

70 MAGISTRATI a SCUOLA di ANTI-USURA dai Banchieri USURAI. 
Tra i “Docenti” l’Avvocato dei Banchieri indagati per Usura. Questi magistrati potranno garantire imparzialità e certezza del diritto?
  - Corsi Anti-Usura per PM : in cattedra le Banche (clicca qui);
C’era anche il Procuratore capo di Ascoli Piceno, avocato dalla P.G. per aver archiviato de plano denunce contro le Banche(clicca qui);
I Dirigenti di Bankitalia e del Ministero hanno fornito un “contributo morale premeditato” per favorire alle Banche l’applicazione di tassi usurari (clicca qui);
Da “L’Espresso” : la corruzione passa per il Tribunale, tra mazzette, favori e regali(clicca qui);

Tribunale: la società Edilparise va tolta dalla Centrale Rischi

25.10.2014

Società va tolta 
dalla Centrale Rischi

La clamorosa decisione perché lo sconfinamento non era corretto e l'azienda era a credito di 10 mila euro e non a debito di 144 mila

L'avvocato Renato Bertelle, che tutela Edilparise
L'avvocato Renato Bertelle, che tutela Edilparise

La società Edilparise di Arzignano è stata segnalata scorrettamente alla Centrale Rischi della Banca d'Italia dalla Banca Popolare di Verona perché anziché essere a debito di 144 mila euro era a credito di 10 mila euro. Come ha verificato contabilmente il perito del tribunale penale Peruffo. Sul caso il pm Paolo Pecori ha avviato un'inchiesta per usura, estorsione e truffa a carico dei vertici della primaria banca nazionale (Carlo Fratta Pasini, Pier Francesco Saviotti e Massimiliano Avanzi) e dei due funzionari di Arzignano (Adelino Zanderigo e Cristiano Roviaro): quest'ultimi due hanno materialmente gestito il rapporto con l'imprenditrice Nadia Parise.
È stato il giudice Massimo Morandini a firmare ieri il clamoroso provvedimento di natura civile con il quale si ordina alla Banca Popolare di Verona ed a Bpl Mortages srl di cancellare lo sconfinamento segnalato alla Centrale Rischi della Banca d'Italia; è clamoroso perché non avrebbe precedenti nella storia giudiziaria di Vicenza. E non molti, peraltro, sarebbero anche i casi in Italia. (...)
Leggi l'articolo integrale sul Giornale in edicola.

venerdì 24 ottobre 2014

Contestazione alla premiazione di Barroso, Losanna, 17 ottobre 2014 (VIDEO)


Losanna - 17/10/2014
Premiazione di Barroso, Van Rompuy e Schultz, organizzata dalla Fondazione Jean Monnet.

TESTO IN ITALIANO

Per cosa sono queste medaglie d'oro?
L' Unione Europea non è altro che un pezzo del piano del Nuovo ordine Mondiale, il cui obiettivo è la schiavitù monetaria, politica e culturale, così come la depopolazione attraverso differenti mezzi tecnologici e pseudomedici come quelli correlati alla nutrizione; l'uccisione degli animali e la distruzione dell'intero pianeta Terra.

come abitante dell'Unione Europea posso certamente affermare che questo non è quel tipo di Europa in cui la maggior parte dei cittadini europei vogliono vivere, perché l'attuale Europa sembra essere sempre più una dittatura finanziaria ed un mucchio di bugie.

L' Unione Europea sta adorando un falso dio attraverso la massoneria che sta privando le persone e gli animali del loro diritto di vivere serenamente.

Questa non è unione europea, dal momento in cui la democrazia è stata rimpiazzata dalla dittatura.

Chi ti ha dato il diritto di prendere decisioni su più di 500 milioni di europei, dal momento in cui nessuno di loro ti ha mai eletto direttamente, né nemmeno ti conoscono?

Rivogliamo indietro la nostra sovranità monetaria, politica e culturale.

Questa non è democrazia!

MARIA CRISTINA SPANO

La nuova Commissione UE esce a pezzi dalle audizioni

La nuova Commissione UE esce a pezzi dalle audizioni al Parlamento Europeo


15 ottobre 2014 (MoviSol) - L'esame dei commissari designati da Jean-Claude Juncker ha letteralmente sbrindellato la nuova Commissione sul nascere e ne ha fatto emergere la corruzione morale e i conflitti d'interesse. Notevole è stata la graticola a cui è stato sottoposto il britannico Jonathan Hill, che dovrebbe occuparsi di regole finanziarie, e del lettone Valdis Dombrovskis, vicepresidente designato per l'Euro e il dialogo sociale. Hill è stato respinto alla prima audizione e ha dovuto ripresentarsi una seconda volta. Dombrovskis ha superato l'esame solo perché ha promesso di adoperarsi perché sia superato il vuoto legislativo che non prevede nei trattati regole per l'uscita dall'Euro, per ritrattare le sue affermazioni il giorno dopo.
In entrambi i casi è stato l'Europarlamentare Marco Zanni a guidare la carica. Zanni ha definito la lista delle nomine “un esercizio di satira politica” e la nomina di Hill in particolare “la scelta più controversa e perversa. Affidare ad un conservatore britannico amico delle lobbies finanziare il portafoglio sulla stabilità e i servizi finanziari è un affronto”, ha dichiarato Zanni durante l'audizione del commissario designato.
“La sua storia evidenzia come lei sia in enorme conflitto d'interesse e – ha dichiarato Zanni – quanto sia inadatto per il ruolo assegnatole. Proviene da un paese dominato dal settore finanziario. Vanta una lunga carriera da lobbista di primo piano, a libro paga di tutti quegli interessi finanziari che adesso sarà chiamato a regolamentare.”
Nell'audizione di Dombrovskis, Zanni l'ha attirato in una trappola. Gli ha chiesto se intenda risolvere il vuoto legislativo causato dall'assenza, nei trattati europei, di regole e procedure per paesi che volessero uscire dall'Euro. Dombrovskis ha affermato che nessuno può impedire ad un paese membro di farlo e che la Commissione fornirebbe l'assistenza “tecnica” per chi ne manifestasse la volontà.
Il giorno dopo, evidentemente avendo subito una lavata di capo da Juncker, Dombrovskis ha emesso una dichiarazione firmata, in cui si legge: “Comprendo che le mie risposte nell'audizione di ieri sul tema della possibilità che uno stato membro esca dall'area dell'Euro possano aver dato luogo a fraintendimenti. La partecipazione all'Euro è irreversibile, come chiariscono i trattati”. Questa posizione, puramente ideologica, non è nuova in quanto è il mantra ripetuto ossessivamente dal Partito Unico dell'Euro. Ovviamente non riflette la realtà, in quanto se un governo sovrano decide di uscire dall'Euro, nessuno può impedirglielo. Ma intanto il commissario designato si è coperto di ridicolo.
Altri, come la slovena Alenka Bratusek, non si sono salvati. Il francese Moscovici ha trovato la strada in salita per aver violato le regole di bilancio da ministro del Tesoro francese, mentre lo spagnolo Miguel Arias Canete, designato all'energia e al clima, ha dovuto difendersi dalle accuse di conflitto d'interesse a causa dei suoi legami con l'industria petrolifera.
Se la Commissione Europea abbia mai avuto un cencio di credibilità, questa si rivela forse la più corrotta e screditata di tutte.

venerdì 17 ottobre 2014

Ezra Pound: prima (e meglio) di Piketty

Ezra Pound prima (e meglio) di Piketty

di Mario Bozzi Sentieri - 14/10/2014





Difficile dire quanti “quarti” di neo-marxismo possegga Thomas Piketty, autore del gettonatissimo Il Capitale nel XXI secolo, ora in visita nel nostro Paese, ospite, a Milano,  della Bocconi e , a Roma, della Camera dei Deputati. Non è sufficiente denunciare la progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani o auspicare tagli alle rendite per sentirsi l’erede del barbuto filosofo di Treviri.   
Per i “tagli” alle rendite basta ed avanza  la fame di denari del bilancio pubblico  italiano. E poi Piketty non vuole fare la Rivoluzione. Si accontenta di molto meno, premettendo “di credere profondamente nella proprietà privata e nelle forze del mercato come fattori non solo di efficacia economica, ma anche di libertà” ed auspicando   “istituzioni democratiche fiscali, educative molto forti per assicurarsi che queste forze capitalistiche vadano nella direzione giusta dell’interesse generale”.
Molto meglio – a cercare “inusuali” visite bocconiane – ricordare quando nel “tempio” milanese delle scienze economiche e sociali approdò un intellettuale autenticamente “fuori dal coro”,  poeta ed insieme economista eccentrico, inventore di una moderna epica sociale e, proprio per questo, perseguitato politico. Parliamo di Ezra Pound, il padre dei Cantos e del suo impegno antiusuraio.
Anche  Pound ebbe, nel marzo 1933, il suo bravo spazio all’Università Bocconi, dove tenne un ciclo di conferenze sull’economia. Per dire che cosa ?  Cuore delle “lezioni” poundiane è “l’economia nuova in Inghilterra”, con un richiamo alle tesi di  Clifford Hugh Douglas, teorico del “credito sociale” e critico radicale del potere finanziario (molto opportuna la recente pubblicazione, curata da  Luca Gallesi,  di Come le banche soffocano l’economia – Monopolio finanziario e impoverimento dei popoli, Mimesis Edizioni, 2014).
Il nocciolo dell’ analisi di Douglas, condiviso da Pound, è che alla base di ogni problema economico ci sia un contrasto tra credito reale e credito finanziario: il credito reale nasce dalla produzione e dai consumi, e si basa sulla comunità di cittadini che lavorano e vivono insieme; il credito finanziario, ossia la disponibilità di potere d’acquisto fornito dalle banche, è nato in ausilio del credito reale ma è diventato il vero protagonista della scena economica mondiale. Monopolizza la distribuzione delle ricchezze reali e non serve più a ripartire il benessere fra tutta la popolazione, bensì ad arricchire smisuratamente una piccola minoranza di sfruttatori.
Nel comunicato-stampa della Bocconi, diffuso all’epoca (ora riprodotto in Giano Accame, Ezra Pound economista – Contro l’usura, Settimo Sigillo, 1995) si può leggere, tra l’altro “Nello svolgimento del suo ciclo di conferenze in inglese Ezra Pound, riprendendo il concetto che la conoscenza dell’economia è essenziale per la comprensione della vita, ha messo in evidenza come la sovraproduzione esisteva già nella natura e non ha mai cagionato crisi. Ha quindi affermato come quattro siano gli elementi necessari alla vita civile odierna – moneta – lavoro compiuto (o complesso della eredità culturale) – modo in cui ognuno può avere moneta (distribuzione della potenza d’acquisito) – giustizia nella emissione dei certificati di valore (credito, moneta, ecc.)”.
Pound mostra di andare al cuore dei problemi economici e finanziari, mettendo in risalto la storica distinzione tra economia reale ed economia di carta, accesso al credito ed usura.

Lo confermerà lucidamente, dieci anni dopo il suo passaggio alla Bocconi, quando, in Lavoro e usura, denuncerà l’errore della danarolatria, “cioè il fare della moneta un Dio”. Da lì, in fondo, passano ancora le grandi discriminanti sulle questioni dell’economia e della società, discriminanti rispetto alle quali le analisi alla Piketty, più attente ai sintomi che non alle cause di fondo della crisi attuale e al suo superamento, hanno molto da imparare.

giovedì 16 ottobre 2014

Travaglio: “Autoriciclaggio: aglio per vampiri”


Editoriale di Marco Travaglio, che menziona alcuni stralci della lettera che Renziscrisse a Saviano il 2 marzo scorso: “Caro Roberto, quello che va aggredito, hai ragione, è la MafiaSpa, presente in ogni comparto economico e finanziario. Il fenomeno è favorito dalla consapevolezza dei mafiosi di non rischiare molto sul piano penale, anche perché nel nostro codice manca il reato di autoriciclaggio.(...) Aggredire i patrimoni mafiosi può essere una delle grandi risposte del governo alla crisi”. Il condirettore del Fatto Quotidiano si sofferma quindi sull’assenza del reato di autoriciclaggio nella legge anticorruzione: “Immaginate un bel sacco pieno di miliardi. E’ lì, basta allungare la mano, prenderli e metterli nelle casse dello Stato. Li hanno nascosti in Svizzera tanti criminali per non pagare le tasse su ricchezze guadagnate lecitamente, ma anche per nascondere il bottino di delitti. La Svizzera non può più nasconderli nei caveau delle banche: ha firmato accordi internazionali sulla trasparenza per uscire dalla black list dei paradisi fiscali. Ora” – continua – “chiede ai correntisti delle banche di mettersi in regola con i loro stati, se no chiude i conti. E gli stati han subito fatto accordi con la Svizzera per far rientrare quei capitali: “voluntary disclosure”, svelamento volontario. Tutta Europa ha quel reato. Tranne l’Italia“. Travaglio prosegue: “Un mese fa, dopo un anno di discussioni alla Camera, sembrava fatta. La legge era pronta. Ci aveva lavorato anche il pm Francesco Greco. E Padoan aveva l’acquolina in bocca. Ma Ncd, FI e mezzo Pd si sono spaventati, e gli avvocati pure: per loro la parola autoriciclaggio è come l’aglio per i vampiri. Niente paura, è intervenuto Renzi: la legge non va bene, la riscriviamo da zero. E da chi l’ha fatta riscrivere? Dalla Boschi e dal suo nuovo tutor: Ghedini (forse Verdini era impegnato nei suoi vari processi). E’ il patto del Nazareno: le riforme si scrivono con Berlusconi. E quando una riesce bene, il governo ci fa subito un bel buco per sgonfiarla“. E spiega i limiti della nuova norma: “Non c’è autoriciclaggio se i soldi li hai fatti con un reato punito sotto i 5 anni. Così restano fuori truffa, appropriazione indebita, evasione fiscale: quelli tipici dei colletti bianchi. Ma così la legge è inutile. Preso col sorcio in bocca, il governo ha cambiato il testo: non importa il reato di partenza, se ricicli il bottino è sempre autoriciclaggio. Ma sulla toppa han subito praticato un altro bel forellino: se i soldi vengono da reati finanziari, la pena dell’autoriciclaggio è più bassa,la prescrizione più corta, e niente manette né intercettazioni. Così è difficilissimo scoprirlo e punirlo”. E aggiunge: “Han fatto un buco più grosso: l’autoriciclaggio non è punibile quando il denaro, i beni o altre utilità – udite udite – vengono destinati all’utilizzazione o al godimento personale. Di fronte al godimento, lo Stato si arrende. Chi siamo noi per impedire ai ladri di godere? Godete pure come ricci. Purché lo facciate personalmente. E’ un inno all’onanismo: nasce la pippa finanziaria

10 ottobre 2014

Avv. Mori: "Inutile votare in una nazione non più sovrana"

L’illegittimità costituzionale della cessione di sovranità monetaria alle banche private


Tratto dall’intervento sul tema tenuto a Teramo in data 11.10.2014 -

L’Italia non è più un paese sovrano. Avrete certamente avuto modo di ascoltare dichiarazioni di membri del Governo e delle Istituzioni con le quali addirittura si è invocata la cessione di ulteriori fette di sovranità.
Abbiamo visto esprimersi in tal senso Mario Monti, Mario Draghi, Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi ed incredibilmente lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, anch’esso in prima linea per chiedere lo smantellamento della nazione. Fatto di inaudita gravità.
Tra le tante dichiarazioni intendo rammentare in particolare quella di Mario Monti il quale disse qualcosa di davvero sconcertante: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione CESSIONI di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. costrizione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale”.
Ora, fermo lo sconcerto che si prova nel sentir affermare che una grave crisi e’ lo strumento per convincere i popoli a cedere la sovranità, occorre domandarsi se le predette cessioni siano atto legittimo oppure no. Nessun vero dibattito è mai sorto sul punto, come se la risposta affermativa fosse talmente scontata da non meritare che su di essa possa essere speso tempo o energia. Oggi finalmente qualche voce di dissenso si è alzata e la prova è la sempre maggiore frequenza di eventi come quello di Teramo dove il problema si affronta di petto. Vediamo dunque cosa dice la Costituzione.

lunedì 6 ottobre 2014

Moneta di stato per crescita e domanda interna

Come uscire dalla crisi senza uscire dall’euro

di Enrico Grazzini

In-fuga-dall-Euro.-O-No"Per rilanciare l’economia lo Stato deve creare nuova moneta – in forma di Certificati di Credito Fiscale – senza passare per le banche e la BCE". La proposta avanzata nel libro “Soluzione per l'euro. 200 Miliardi per rimettere in moto l'economia Italiana” di Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi (Hoepli) è forse la più convincente e praticabile finora suggerita. Vediamo perché.

Come raccogliere l'appello di Luciano Gallino contro la dittatura dell'Unione Europea?1 Come uscire dalla crisi sfuggendo ai diktat della UE e della BCE che controllano la moneta unica e che soffocano la nostra economia? Non vi è alcun dubbio che la dittatura della UE si esprima soprattutto a livello economico nella forma di dittatura dell'euro. La moneta unica infatti impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni della moneta di quelli forti) e quindi provoca crescenti squilibri commerciali e debiti con l'estero. A causa dell'euro i paesi creditori, come la Germania e i paesi dell'area del marco (Olanda, Austria, Finlandia, ecc), possono dettare legge e strangolare economicamente i paesi debitori, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a cui bisogna aggiungere la Francia.
Il drammatico problema politico della dittatura della UE nasce quindi soprattutto (diciamo per l'80%?) dal colossale problema dell'euro che genera squilibri delle bilance dei pagamenti e debiti crescenti. Con l'euro il sogno europeo è diventato un incubo. L'Unione Europea sembra essersi trasformata in un esattore di debiti che opera per conto di un gigantesco usuraio formato dal blocco delle maggiori banche tedesche, francesi e angloamericane. La UE ha anche costruito una Triplice Alleanza con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale per riscuotere i debiti, imponendo ai paesi europei più deboli una cieca austerità, tagli selvaggi al costo del lavoro e al welfare. Le politiche della UE e della Troika distruggono occupazione e risorse produttive, e svuotano, come sottolinea Gallino, la democrazia e le sovranità nazionali.
La UE, in quanto istituzione intergovernativa, è sempre stata in “deficit di democrazia”. Ma oggi è diventata una sorta di dittatura a causa dell'euro, del debito e dell'austerità. Per uscire dalla crisi Joseph Stiglitz e molti altri economisti suggeriscono di rinsaldare l'unità europea mutualizzando almeno parzialmente i debiti, creando gli eurobond, sviluppando un fondo comune per i fallimenti bancari, rilanciando gli investimenti, ecc, ecc.2Tutte ricette in teoria giuste ... che però sembrano concretamente impraticabili! Purtroppo è ormai assodato che queste misure di rilancio dell'economia europea (del resto già proposte da anni, dall'inizio della crisi) sono impossibili da realizzare per l'opposizione intransigente della Germania e degli altri paesi del nord Europa che non pagheranno mai un solo euro di debito degli altri paesi europei, a costo di uscire dalla UE e di farla fallire. I trattati che fondano la UE e l'euro (e che possono essere modificati solo all'unanimità dai 28 paesi, o 18 per l'euro, che li hanno sottoscritti) sono vincolanti e obbligano i governi nazionali a soffocare la loro economia. Da qui anche la politica di tagli e di distruzione dello Statuto dei Lavoratori da parte del segretario del PD e capo del governo Matteo Renzi.
Come si fa dunque a uscire dalla trappola del debito se l'Europa è bloccata e se i paesi deboli non hanno più sovranità monetaria e il debito nazionale è espresso in quella valuta straniera chiamata euro? Bisogna ripartire dal livello nazionale e ripristinare un minimo di sovranità. Le analisi e le proposte avanzate nel libro “Soluzione per l'euro. 200 Miliardi per rimettere in moto l'economia Italiana – Creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” scritto da Marco Cattaneo e da Giovanni Zibordi sono probabilmente le più approfondite ed efficaci finora suggerite per rimettere in moto la disastrata economia italiana3. Cattaneo e Zibordi suggeriscono una politica monetaria che è ad un tempo rivoluzionaria e praticabile, originale ma anche relativamente facile da realizzare, perfino da parte del governo Renzi! Propongono una salutare scossa monetaria che però non provocherebbe shock politici internazionali – come l'uscita dall'euro – ma che potrebbe risanare l'economia nazionale dei paesi deboli dell'Europa che stanno precipitando nel sottosviluppo.

La proposta dei Certificati di Credito Fiscale

In tutta Europa, e in particolare nei paesi del sud Europa, c'è crisi di domanda e di liquidità. Per uscire dalla trappola della liquidità è necessario creare nuova moneta che arrivi all'economia reale, al mondo del lavoro e delle imprese. Secondo Cattaneo e Zibordi, lo Stato italiano dovrebbe riprendere almeno parte della sua sovranità monetaria confiscata dall'euro grazie ai poteri che gli rimangono nel campo della fiscalità: dovrebbe quindi emettere miliardi di Certificati di Credito Fiscale da far valere dopo un certo periodo di tempo ma con valore immediato come moneta (cioè come mezzo di pagamento). L'iniezione di liquidità servirebbe a contrastare l'austerità imposta dalla UE e dal sistema bancario. Infatti le banche – che creano il 95% della moneta in circolazione – hanno smesso di fornire liquidità. Solo la BCE cerca di dare ossigeno alla moribonda economia europea per salvare l'euro e sé stessa: ma la BCE distribuisce soldi solo alle banche. Il problema è che le banche trattengono i denari e li investono in titoli finanziari. In questo contesto è lo stato nazionale che nei paesi più deboli, come l'Italia, dovrebbe intervenire emettendo i CCF, cioè una sorta di buoni sconto fiscali ad uso differito. La nuova moneta creata dallo stato per alleviare il peso fiscale dovrebbe arrivare direttamente e gratuitamente al lavoro e alle aziende senza passare dalle banche. Lo shock monetario creerebbe immediatamente nuova domanda senza provocare nuovi debiti e iper-inflazione perché rilancerebbe la produzione e l'occupazione sfruttando tutte le risorse che sono gravemente sottoutilizzate a causa della politica deflattiva dell'euro; e alla fine anche il debito pubblico diventerebbe sostenibile. Per l'Italia in particolare Cattaneo e Zibordi propongono una terapia d'urto, ovvero di rilanciare la domanda grazie all'emissione di CCF per 200 miliardi all'anno nel 2015 e nel 2016 in modo che l'economia possa riprendersi dalla crisi verticale in cui è precipitata, pur rimanendo vincolata da un sistema rigido ed iniquo come quello dell'euro. Infatti l'euro è strutturalmente inefficiente e genera inevitabilmente crisi e deflazione: secondo gli autori (e anche per chi scrive) la crisi dell'euro, partita nel 2010, ci sarebbe stata comunque, anche senza l'innesco della crisi dei subprime scoppiata negli USA nel 2008.
Cattaneo e Zibordi, che si ispirano a J. M. Keynes e ai più avanzati studiosi della moneta e della finanza, hanno bene in mente che la moneta unica tra 18 paesi molto diversi tra loro genera intrinsecamente disastri, e che è la causa di gran lunga prevalente del disastro europeo. L'Italia – come gli altri paesi mediterranei – è tragicamente regredita a causa dell'ingresso nell'eurozona, e la crisi rischia di diventare irreversibile. Purtroppo i problemi monetari e finanziari sono spesso stati sottovalutati dalla sinistra, per scarsa competenza specifica o per le illusioni europeiste. L'euro non è – come ha affermato perfino uno dei più autorevoli maître à penser della sinistra, Fausto Bertinotti – solamente la “cornice” di una politica europea liberista e reazionaria. L'euro è invece la causa primaria della crisi europea e italiana ed è lo strumento di gran lunga principale della dominazione dei paesi forti verso i paesi deboli, del capitale finanziario sul lavoro. La moneta e la finanza non sono sovrastrutture dell'economia reale ma costituiscono il cuore del capitalismo speculativo odierno e della dominazione capitalista sull'economia e la società. La sinistra (ma anche la destra) ha molto da imparare dalle proposte di Cattaneo e Zibordi. L'euro è il problema: l'attuale crisi monetaria, la crisi dell'euro, va quindi curata come tale, cioè con nuova moneta. Quando la febbre raggiunge i 42 gradi occorre diminuire subito la temperatura senza aspettare di risolvere i malanni che l'hanno provocata. Solo dopo avere abbassato la febbre è possibile cercare di risolvere i “problemi reali”. Attualmente però occorre trovare soluzioni meno dirompenti dell'uscita unilaterale dall'euro. Infatti non è possibile rompere facilmente la gabbia della moneta unica per i duri contraccolpi economici e politici internazionali che la rottura di questa valuta internazionale provocherebbe, e perché l'uscita dall'euro provocherebbe disorientamento e contrasti nell'opinione pubblica. Molti hanno timore di vedere svalutati i loro risparmi ritornando alla lira. Uscire unilateralmente dall'euro non avrebbe comunque automaticamente le stesse conseguenze positive che ebbe nel 1992 l'uscita dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo4. La soluzione dei CCF progettata da Cattaneo e Zibordi si presenta più morbida ma nello stesso tempo efficace. E sarebbe facilmente accettata dall'opinione pubblica e dalle imprese. Anzi, le imprese e i lavoratori sarebbero molto felici di avere più reddito grazie a strumenti monetari gratuiti di credito fiscale (meno tasse).
Così come per Keynes la crisi decennale nata nel 1929 era soprattutto una crisi monetaria e il meccanismo poteva ripartire se lo stato si faceva carico dell'espansione monetaria grazie agli investimenti pubblici, anche per Cattaneo e Zibordi la crisi va affrontata innanzitutto a partire dalla (mancanza di) moneta, dalla trappola della liquidità, dalla carenza di domanda e di credito per le imprese. Per rilanciare l'Europa e i paesi del sud, occorre innanzitutto creare nuova moneta e rilanciare la domanda, cioè aumentare innanzitutto i redditi da lavoro. Tutto il contrario di quello che propongono Germania, UE, BCE e Matteo Renzi.

La crisi attuale è soprattutto crisi monetaria: la trappola della liquidità

E' dai tempi di Bismarck che l'Italia ha un gap di competitività verso la Germania e tuttavia la crisi verticale dell'Italia è scoppiata solo a partire dalla crisi dell'euro. In effetti da quando è stato creato l'euro la Germania ha potuto accumulare surplus enormi a spese dei paesi del sud Europa e della stessa Italia. Precedentemente la situazione era molto diversa: la Germania era il malato d'Europa, e l'Italia aveva invece buone eccedenze commerciali. La situazione europea era relativamente equilibrata. Intendiamoci: è chiaro che la radice dei problemi monetari affonda sempre nell'economia reale, nella distribuzione ineguale dei redditi, nell'insufficienza dei salari e nei gap di produttività e competitività. La crisi dell'euro nasce innanzitutto a causa degli squilibri delle bilance commerciali tra i paesi forti e deboli. I problemi di finanza pubblica sono invece molto minori se non inesistenti. Ma la moneta unica approfondisce ed estende gli squilibri non permettendo aggiustamenti. Una volta il meccanismo che riequilibrava almeno temporaneamente i differenziali di competitività era quello automatico della svalutazione/rivalutazione monetaria. Ma da quando esiste l'euro per i paesi deboli è possibile una sola strada: la svalutazione da esterna è diventata interna, cioè non è più svalutazione della moneta nazionale verso quella estera, ma svalutazione del lavoro, del patrimonio pubblico e anche del capitale privato nazionale. A causa della moneta unica, non potendo più svalutare la valuta nazionale, e non potendo (per fortuna) svalutare rapidamente il lavoro – per le ovvie resistenze sindacali, sociali e politiche –, i paesi deboli diventano sempre meno competitivi, aumentano i deficit commerciali e si indebitano sempre di più verso l'estero. Il meccanismo dell'euro è tanto assurdo quanto infernale. La moneta e il credito defluiscono dai paesi meno competitivi caratterizzati da costanti deficit commerciali e affluiscono nell'altra area forte. Si crea un circolo vizioso, un meccanismo asimmetrico e perverso che spinge verso la meridionalizzazione dei paesi periferici (come denunciano Emiliano Brancaccio, Riccardo Realfonzo e altri valenti economisti5), che non raggiunge mai stabili punti di equilibrio ma punta decisamente verso la depressione e infine il probabile baratro. L'intera eurozona soffre per una domanda depressa che implica alti livelli di disoccupazione: ma la depressione della domanda è fortissima nella periferia mentre al centro, in Germania e negli altri paesi dell'ex area marco, la situazione è relativamente migliore. I paesi deboli non dispongono più di liquidità perché l'emissione di moneta è monopolio della BCE. Le banche nazionali che hanno in pancia titoli di stato dal valore incerto, rischiano anch'esse il default e sono molto caute a prestare denaro all'economia. E la spesa pubblica è bloccata perché gli avanzi di bilancio pubblico servono a pagare gli interessi sul debito.

Creare nuova moneta senza passare per le banche e la BCE

 E' necessario quindi emettere nuova moneta, soprattutto nei paesi deboli: il problema però è che la moneta ufficiale, l'euro, può ovviamente essere emessa solo dalla BCE. Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi propongono una soluzione originale ma apparentemente semplice. La nuova moneta deve essere creata “dal nulla” direttamente dallo stato senza passare per le banche, e dovrebbe venire distribuita direttamente e gratis all'economia reale dei paesi che sono soffocati dalla crisi di liquidità, che mancano di salari e di credito, e che soffrono quindi di sottoutilizzazione delle risorse produttive. Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi suggeriscono che lo Stato nazionale emetta dei Certificati di Credito Fiscale, i CCF, riprendendosi almeno una parte del suo potere monetario. I CCF sarebbero utilizzabili dopo un certo periodo di tempo (due anni) per pagare ogni tipo di tassa e servizio alla pubblica amministrazione sia nazionale che locale: per esempio, Irpef, Irap, ticket sanitari, contributi pensionistici, multe eccetera. I CCF non sono però titoli di Stato che devono essere venduti al pubblico, non sono obbligazioni che offrono dei rendimenti e che generano debito pubblico: al contrario sono assegnati dallo stato gratuitamente in primo luogo ai lavoratori e alle imprese. Sono nuova moneta creata dalla stato per aumentare la domanda e per ridurre i costi del lavoro e quindi ridare competitività alle aziende. Nel caso italiano gli autori propongono che lo stato distribuisca 200 miliardi di CCF all'anno per due anni, nel 2015-16, da utilizzare per pagare il fisco dopo due anni dalla loro emissione: quindi per esempio, se emessi nel gennaio 2015, i CCF potrebbero essere usati come buono-sconto fiscale solo a partire dal gennaio 2017. In pratica i CCF servono per pagare meno tasse ma possono circolare immediatamente come mezzo di pagamento. I CCF sarebbero moneta a tutti gli effetti anche se alla luce dei trattati europei non possono essere emessi sotto forma di moneta di conio o di banconota; possono però legittimamente essere emessi come titoli pubblici e scambiati sul mercato finanziario ed essere utilizzati per i pagamenti elettronici, per esempio mediante carta di credito. La loro emissione è legale e, non essendo titoli di debito ma titoli di sconto fiscale, non sono soggetti a fallimento o a brusche svalutazioni, come i titoli di debito pubblico. I CCF potrebbero finanziare lo sviluppo e allentare la morsa del debito e dei prelievi forzati dalle tasche dei cittadini italiani a favore delle grandi banche e dei fondi speculativi esteri. I CCF possono inoltre essere usati per cominciare a riequilibrare la competitività tra i paesi forti e quelli deboli. Solo creando nuova moneta si potranno rilanciare investimenti pubblici e privati, e con questi nuova occupazione e benessere. Le riforme strutturali proposte dalla Troika (per esempio recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha proposto di ridurre le pensioni italiane per superare la crisi!!!) sono invece, secondo gli autori del libro (e secondo chi scrive) assolutamente controproducenti perché deprimono il costo del lavoro e le spese pubbliche, e quindi deprimono la domanda interna. Austerità significa prolungare, estendere e approfondire la crisi. Le riforme strutturali sono solo fumo negli occhi e ideologia reazionaria, e provocano ancora più disastri e conflitti sociali. Senza domanda interna niente investimenti; e senza investimenti né ripresa né occupazione. Ma senza crescita è anche difficile ripagare i debiti alle grandi banche estere e ai fondi speculativi. Il default e l'uscita dall'euro diventano sempre più probabili.

Il progetto italiano dei CCF

I due autori suggeriscono di assegnare a partire dal primo gennaio 2015 circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori dipendenti e autonomi; di dare gratuitamente ai datori di lavoro del settore privato 83 miliardi; infine di emettere 47 miliardi di CCF per altre forme di sostegno alla domanda, per esempio per favorire le aree del Sud Italia e i settori industriali con maggiore potenzialità. Il complesso dei CCF ammonterebbe a un totale di 200 miliardi nel 2015 e ad altri 200 miliardi nel 2016 su un totale di prelievo fiscale pari a circa 800 miliardi all'anno. Lo shock sarebbe quindi potente. La proposta prevede di assegnare i CCF sulla base di un meccanismo proporzionalmente più favorevole ai livelli di reddito inferiori: per fare un esempio un lavoratore dipendente con un reddito netto di 20.000 euro riceverebbe un'integrazione pari al 20% della sua retribuzione. Per quanto riguarda le imprese, gli 83 miliardi verrebbero assegnati in maniera proporzionale al numero dei dipendenti e ai costi retributivi sopportati dalle aziende, e si confrontano con 466 miliardi di euro del monte totale delle retribuzioni in Italia. Gli 83 miliardi abbatterebbero quindi il costo del lavoro del 18% circa: questa percentuale è all'incirca equivalente al maggiore costo del lavoro che l'economia italiana ha accumulato nei confronti della Germania dall'introduzione dell'euro ad oggi. Gli scenari – costruite sulla base delle previsioni governative per il 2014 (che si sono però rivelate sbagliate) e sul moltiplicatore keynesiano rielaborato recentemente da Olivier Blanchard, pari a 1,3 – indicano una forte crescita del Pil, pari a oltre il 7% nel periodo 2015-2017. L'economia potrebbe finalmente tornare a correre: si raggiungerebbe un PIL di 2080 miliardi nel 2017. Grazie all'aumento del PIL, il rapporto deficit pubblico/PIL sarebbe positivo fino al 2016, per poi tornare di nuovo a crescere del 3,2% nel 2017, quando lo Stato dovrà accettare anche i CCF e non più solo gli euro come forma di pagamento fiscale. Nonostante i 200 miliardi di euro di sconto fiscale, il deficit pubblico sarebbe contenuto grazie al forte sviluppo del PIL derivato dallo stimolo monetario dei CCF. Il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale verrebbe compensato dall'aumento dei ricavi derivato dalla crescita del PIL. La disoccupazione crollerebbe a poco più del 5% rispetto al 12% attuale. L'inflazione crescerebbe intorno all'1,9% all'anno (quindi sotto il 2%). Infatti l'aumento dei prezzi legato alla forte crescita dell'economia sarebbe contenuto grazie al maggiore utilizzo delle risorse produttive oggi sottoutilizzate. Il commercio estero sarebbe in sostanziale equilibrio grazie all'aumento di competitività da parte delle imprese italiane, e anzi potrebbe segnare un leggero attivo. È certo che le previsioni formulate dagli autori siano da rivedere, anche perché si basano, come abbiamo visto, su quelle formulate dal governo nel settembre 2013, le quali si sono rivelate, come tutte le previsioni governative, troppo ottimistiche. Tuttavia è possibile affermare che i CCF potrebbero davvero risollevare l'economia italiana e portarci ad un calo molto significativo della disoccupazione. E potrebbero ridare competitività alla nostra economia. Il progetto dei CCF non può però essere scambiato per una bacchetta magica; non fa infatti ripartire lo sviluppo sempre e comunque. È utile solo quando le risorse produttive sono sottoutilizzate, il livello di pressione fiscale è eccessivo ed è necessario espandere la domanda. La proposta dei CCF non può neppure essere confusa con una pura e semplice riduzione delle tasse, come propongono Berlusconi e soci, i quali ormai hanno come unico slogan politico ed elettorale l'eliminazione del peso fiscale (che peraltro è effettivamente troppo elevato e strozza l'economia). Infatti lo sconto fiscale proposto dagli autori non ha effetti immediati ma può essere riscosso solo in tempi posticipati (due anni); inoltre è concesso in forma di moneta e in dosi massicce; e non ha come necessaria contropartita economica, a differenza delle proposte berlusconiane, la riduzione della spesa pubblica, ovvero lo slogan gridato dai conservatori di tutto il mondo. In effetti il progetto dei CCF consente di stabilizzare la spesa pubblica e di riqualificarla nel senso della maggiore efficienza ed equità, senza però tagliare quelle spese che rappresentano conquiste sociali irrinunciabili.

Moneta come bene comune

La proposta dei CCF ha un merito eccezionale: quello di prospettarci la possibilità di non rimanere soffocati da una montagna di debiti e da una forzata e suicida politica di austerità come quella prevista dal fiscal compact per ripagare le banche straniere. Se il governo Renzi avesse un po' più di coraggio e di indipendenza dai poteri forti europei e nazionali, e se fosse meno occupato ad attaccare i diritti dei lavoratori, dovrebbe esaminare attentamente il progetto di emettere CCF. Ne trarrebbe merito e vantaggi. I governi di destra, quelli tecnici e quelli di centrosinistra, cioè quelli di Monti, Letta e Renzi, hanno finora aumentato le tasse e tagliato le spese per tentare di ripagare il debito pubblico: si tratta di una politica controproducente, iniqua e insostenibile che ci porterà alla rovina. E' una menzogna che gli italiani abbiano vissuto e vivano al di sopra delle loro possibilità a causa di una spesa pubblica impazzita da tagliare a tutti i costi. Dai primi anni '90 lo stato italiano ha quasi sempre incassato più tasse di quanto ha speso per i servizi pubblici, e usa l'avanzo di bilancio per pagare gli interessi sul debito. Viviamo quindi ben al di sotto delle nostre possibilità. Dal 1992 fino ad oggi abbiamo pagato 1400 miliardi di interessi sul debito pubblico, di cui circa 600-700 agli investitori esteri: e questo debito continua a crescere. Di questo passo siamo destinati a fallire. La soluzione è una sola: gli Stati, ovviamente sotto il controllo democratico dei parlamenti e della società civile, devono riprendersi almeno parte della la loro sovranità monetaria senza cederla completamente alle banche o ad organismi sovranazionali come la UE e la BCE. La moneta deve ritornare a essere un bene pubblico, un bene comune governato democraticamente. Attualmente quasi tutta la moneta è creata dalle banche private. Il 95% della moneta utilizzata consiste infatti di depositi bancari. Solo il 5% della moneta circola come banconote o monete di conio emesse dalla banca centrale o dagli stati. Al tempo presente non sono quindi né gli stati né le banche centrali a creare moneta, come comunemente si pensa: sono invece le banche private che creano “moneta dal nulla”. Infatti le banche non sono dei puri intermediari finanziari; le banche non prestano i soldi già ricevuti sotto forma di depositi, come viene fatto credere dalla maggioranza dei testi accademici. Come spiegava Augusto Graziani6, e come ha affermato recentemente la Banca d'Inghilterra7, sono le banche a creare i depositi sotto forma di scrittura elettronica. Sono le banche ad avere l'enorme privilegio di creare denaro dal nulla sotto forma di credito per il loro profitto privato. Nel capitalismo attuale la moneta è quindi essenzialmente debito verso le banche private. Più moneta circola più le economie sono indebitate. Per questo motivo le economie sono piene di debiti. Ma anche le dinamiche dell'indebitamento sono squilibrate. Quando c'è il boom economico le banche si spingono a concedere troppi prestiti, producono troppa moneta – come la moneta falsa dei derivati – e alimentano euforia, inflazione e bolle; quando c'è la crisi economica, come quella che stiamo vivendo oggi in Europa, le banche ritirano credito e moneta e creano deflazione e recessione. E allora deve intervenire lo stato per “creare dal nulla” la sua moneta. La sovranità monetaria è indispensabile per uscire dalla crisi economica. Ricordiamoci che senza sovranità monetaria non c'è sovranità nazionale, e senza sovranità nazionale non c'è sovranità democratica. Senza moneta comune sono le grandi banche d'affari internazionali e i paesi più forti a dirigere il gioco.
NOTE
1 Luciano Gallino, “Se la Ue diventa una dittatura” Micromegaonline, da Repubblica, 23 settembre 2014
2 Joseph Stiglitz, “La crisi dell’euro: cause e rimedi” Micromegaonline, da il Manifesto, 26 settembre 2014
3 Cattaneo Marco, Zibordi Giovanni “Soluzione per l'euro. 200 miliardi per rimettere in moto l'economia italiana - creare moneta, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” con prefazione di Warren Mosler e introduzione di Biagio Bossone, Hoepli, marzo 2014
4 Enrico Grazzini “L’Italia può uscire dall’euro? Problemi e difficili soluzioni” Micromegaonline, 17 settembre 2014
5 Vedi per esempio “Lettera aperta degli economisti” 15 giugno 2010
6 Graziani Augusto “Teoria del circuito monetario” Editore Jaca Book 1996
7 Bank of England “Money creation in the modern economy”, di M. McLeay, A. Radia e R. Thomas, Quarterly Bulletin 2014 Q1. Vedi anche: Positive Money: http://www.positivemoney.org; vedi anche Andrea Baranes “Le banche e il potere di creare moneta”, Sbilanciamoci.info, maggio 2014