Il populismo è democratico
Machiavelli e gli appetiti delle élite
di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli
L’anti-populismo può facilmente diventare un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a rischio la stessa convivenza democratica. Questo ci può insegnare Machiavelli attraverso un dibattito anglosassone sui rapporti tra i Discorsi e il neo-repubblicanesimo contemporaneo
L’accusa di populismoricorre spesso nel lessico pubblico italiano. Interi movimenti politici sono spesso ricondotti a questa categoria. È il caso per esempio del Movimento 5 Stelle e, per alcuni aspetti, del cosiddettoberlusconismo, oltre che di vari soggetti dediti alla contestazione politica, inclusi i vari Occupy e le loro declinazioni locali.[1]A detta di quelli che lo criticano, il populismo consiste nella semplificazione eccessiva di questioni pubbliche complicate, ridotte a caricature adatte a soddisfare gli appetiti dei più e a suscitare in essi irrazionali e controproducenti istinti contestatori. Tale semplificazione agitatoria danneggerebbe non solo il perseguimento del bene collettivo ma anche quello degli interessi di coloro che si fanno attrarre da tale semplificazione. È implicita in questa concezione del populismo un’immagine negativa delle moltitudini: il “popolo” è spesso disinformato, distratto, disinteressato al bene comune, volatile nelle preferenze e nel giudizio politico, attratto dalle semplificazioni concettuali, estraneo alla razionalità e al senso civico richiesto dall’analisi dei problemi sociali ed economici più urgenti e complessi. Non solo: in tale accusa è implicita una valorizzazione paternalistica del ruolo delle élite tecnocratiche, considerate le più adatte a identificare e interpretare le vere esigenze e i veri interessi delle persone comuni. La maggioranza dei cittadini vivrebbe, secondo gli anti-populisti, in una sorta di falsa coscienza indotta da mancanza di competenze, da pigrizia cognitiva, e da un uso smodato della TV o dei social media, che non permetterebbero alle persone comuni di giudicare da sé del proprio destino politico.
Questa interpretazione anti-populista del significato politico dei populismi, ancorché egemone, è inadeguata. Per chi ritiene che gli appetiti delle oligarchie – per usare i termini di Machiavelli – costituiscano un elemento di rischio importante per quanto riguarda il perseguimento del bene comune, non è difficile vedere come l’accusa di populismo possa diventare facilmente uno strumento per mantenere ed estendere il potere di quelle stesse oligarchie, oltre che la loro influenza sulla vita e le decisioni pubbliche, riducendo così ogni tentativo di contestazione che viene dal basso a irrazionalità o pigrizia intellettuale o morale. L’anti-populismo può dunque diventare un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a rischio la stessa convivenza democratica. E il populismo, se propriamente articolato, può invece essere utile alla vita democratica. Questo ci insegna Machiavelli attraverso un recente dibattito anglosassone sulle tesi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio.
L’anti-populismo e il dibattito neo-repubblicano su Machiavelli
In questo breve scritto, vogliamo spiegare la potenzialità contestatoria e anti-elitista del populismo, esplorandone le potenzialità democratiche. Il nostro punto di partenza è la lettura che il politologo John McCormick ha dato di ciò Machiavelli dice nei Discorsi a proposito delle istituzioni della Repubblica romana, lettura contrapposta a quella cosiddetta neo-repubblicana, e ormai divenuta ortodossa, di autori come lo storico Quentin Skinner e il filosofo Philip Pettit.[2] McCormick pone in risalto quegli aspetti che possono essere legittimamente – anche se anacronisticamente e provocatoriamente – chiamati populisti delle teorie di Machiavelli. Per Machiavelli la Repubblica romana offre un esempio, per quanto imperfetto, di un sistema istituzionale all’interno del quale anche coloro che non appartengono alle élite possono contestare efficacemente, e per di più per via istituzionale, il potere e le ambizioni delle oligarchie, la cui azione sarebbe altrimenti priva di limiti e dannosa per gli interessi delle persone comuni, oltre che per la sopravvivenza stessa della Repubblica, e quindi nel lungo termine per gli interessi di tutti, incluse le oligarchie stesse. Questo aspetto contestatorio si riscontra nelle magistrature plebee della costituzione mista della Repubblica romana, che garantiva ai semplici cittadini ampi poteri reattivi e propositivi tramite assemblee dedicate e potenti ruoli politici, in primo luogo il tribunato, a cui le élite non avevano accesso.