L’ABI E LE RISORSE NASCOSTE DEL BANKING:
Dedicato ai bancari e ai loro sindacalisti, che lottano contro il degrado del contratto di lavoro
Si
è aperta una non rosea stagione di trattative sindacali. ABI ha
disdetto il contratto nazionale di lavoro dei bancari adducendo esigenze
di innovazione nei servizi e risparmio sul personale, a seguito di un
calo degli utili in uno scenario generalmente depresso e di
deterioramento dei crediti. Quindi, o meno salario, o meno occupazione.
Ma questo principio si può e si deve concretamente rovesciare, perché la
torta è… più larga di quanto si è abituati a pensare, e di quanto
vorrebbe far intendere il documento denominato Posizione ABI sui temi principali del rinnovo contrattuale, “Perimetro contrattuale” e trattamento economico.
Col
presente articolo intendo fornire conoscenze che cambiano
strutturalmente e in positivo le premesse delle trattative, rivelando
risorse scientificamente accertate e insite nel banking, da diffondere
tra i colleghi bancari e adoperare energicamente nel negoziato, siccome
esse sono utili per ripensare tutta la situazione, e la loro attuale
propagazione fa prevedere l’imminente richiesta di una profonda
rettifica del modo di redigere il bilancio bancario, particolarmente in
fatto di utili.
Non
bisogna lasciarsi ingabbiare nella vulgata ABI della realtà aziendale
(e con “vulgata” non mi riferisco al solo documento succitato, ma al
complesso della dottrina economico-finanziaria che essa ha sposato), dal
suo piano di psicologia aziendale applicato… a voi, lavoratori
dipendenti.
Questa
vulgata è formulata per impedire di parlare e persino di pensare su
molti aspetti della realtà e per imporre una formulazione dei problemi
in una chiave tale da pre-determinare, come esito, lo schiacciamento dei
diritti e delle prospettive professionali, che è l’obiettivo datoriale.
Un obiettivo che può essere raggiunto combinando due cose che gli
ultimi governi (non eletti) hanno donato ai datori di lavoro: il diritto
di cambiare le mansioni ai dipendenti (fungibilità) e il diritto di
licenziare (quindi di porre i dipendenti sotto la minaccia di
demansionamento e licenziamento). E’ prevedibile – proprio perché la
controparte datoriale già si è preparata nel 2014 sia con una massiccia
campagna di schede di valutazione negative, sia lamentando un problema
di professionalità del personale bancario – che fra qualche tempo
partirà un’ondata strumentale di spostamenti mansionali arbitrari,
diretta a far apparire professionalmente inidonei anche coloro
che sono invece idonei alle mansioni in cui sono stati formati e
collocati, ma non nelle nuove mansioni (ad esempio, il funzionario
addetto alla qualità del credito che viene ri-mansionato agestore
affluent, o viceversa), allo scopo di creare il presupposto per
licenziare. Sarà così possibile sbarazzarsi del personale ritenuto in
eccesso o troppo costoso, e passare a una massiccia esternalizzazione
attraverso società controllate che riservano al personale un trattamento
di stretto risparmio – perché questo è il modello generale: comprimere i
diritti salariali, previdenziali etc. dei dipendenti per migliorare i
bilanci in funzione del mercato finanziario, ignorando quello
macroeconomico, nel quale già si vede che questa politica del lavoro
produce collasso dei redditi, della domanda aggregata, quindi dei ricavi
e della solvibilità: una spirale recessiva.
Questo
dovrebbe essere sempre tenuto e fatto presente: soprattutto se
applicata per singole aziende, senza una visione aggregata, la logica
del libero mercato finanziario produce disastri sul piano economico,
cioè della produzione, dell’occupazione, dei redditi, perché è una
logica di breve termine, di bilancio, che persegue ciecamente la
compressione dei costi e trascura gli effetti distruttivi di lungo
termine, sull’economia reale (tanto più che la finanza speculativa
guadagna proprio sulle oscillazioni, sugli shock, non sulla stabilità,
quindi non è da seguire). ABI non ha il diritto di agire con questa
logica, siccome è un’associazione di imprese che esistono perché lo
Stato ha dato loro la licenza bancaria ed esercitano in via esclusiva
una funzione eminentemente pubblica, in virtù di una pubblica licenza
bancaria, cioè la creazione e regolazione del credito l’economia
nazionale, per la quale la finanza è un mezzo, non il fine; quindi ABI
ha il dovere di agire con un’ottica nazionale, di lungo termine, con
riguardo all’economia reale. Che non è quella del bilancio e della
finanza.
Per
rompere lo schema e uscire da questa gabbia concettuale, da questa
prospettiva falsata ad hoc dalla controparte, non è necessario ricorrere
allo sciopero. Vi sono altri mezzi, molto meno conflittuali e molto più
adeguati ai tempi e al progresso dell’informazione. Mezzi che, a
differenza dello sciopero, non comportano costi e sacrifici per i
lavoratori, ma piuttosto a un lavoro di networking, di p.r. e, prima
ancora, di apertura dei propri orizzonti culturali.
Innanzitutto,
visto che la controparte ABI lamenta scarsa professionalità, bisogna
replicarle che “certe” banche da tempo non erogano più corsi e
richiederle l’organizzazione di opportuni corsi, corsi certificati onde
il datore di lavoro non possa disconoscerli, ricordandole che per questo
la banca riceve fondi europei. Se non lo farà, smentirà se stessa. E
sarà più facile per i licenziati impugnare vittoriosamente il
licenziamento davanti ai giudici del lavoro. Anzi, si può studiare la
possibilità di una class action per ottenere dal giudice l’ordine di
provvedere alla formazione, o in subordine risarcire i danni conseguenti
alla mancata formazione. Insomma, c’è spazio per mettere le mani
avanti. Già una simile class action è stata avviata contro la Regione
Sicilia.
Ma in questo articolo vi voglio indicare e documentare anche un altro mezzo, credo ancora più potente.
Un
responsabile dell’ufficio fidi e mutui di una nota banca, nel 2007,
dopo aver letto la prima edizione del mio saggio Euroschiavi, mi
scrisse: «… un giorno, aprendo un fido su un c/c, mi sono chiesto: Ma ‘sti soldi, da dove cavolo vengono? È possibile che vengano creati solo battendo una serie di tasti sul PC?” Poi hanno cominciato ad arrivare le informazioni, quasi mi stessero aspettando…».
Già, da dove provengono i soldi che la banca presta?
In proposito vi sono da tempo tre teorie:
La teoria ufficiale, recepita dal linguaggio delle leggi: la banca è un’intermediaria finanziaria,
cioè presta i soldi della raccolta: tanto raccoglie, tanto può
prestare. Da un lato riceve depositi, e dall’altro lato li presta,
applicando una forbice di interessi, e guadagnando su questa e sulle
commissioni; quindi, se presta 100, in bilancio deve registrare un calo
di cassa di 100, e un incremento di 100 dei crediti. Ovviamente, ogni
mancato rimborso dei prestiti concessi è una pari perdita. La quantità
di liquidità, il money supply, è generata interamente dalla banca
centrale di emissione e non dipende dalla quantità di credito erogato
dalle banche.
La teoria per gli “istruiti”, insegnata a ragioneria e all’università, è quella della riserva frazionale:
la singola banca può prestare un multiplo delle sue riserve, cioè può
creare moneta creditizia o scritturale o contabile per un multiplo delle
sue riserve – diciamo dieci volte – emettendo bonifici, lettere di
credito, assegni etc. E siccome questi mezzi di pagamento possono essere
depositati in altre banche (o su altro conto della medesima banca),
andando così ad aumentare le loro riserve, essi mettono queste altre
banche in condizioni di emettere ulteriore moneta contabile. L’effetto
complessivo è di una moltiplicazione reciproca da parte del sistema
bancario, in virtù della quale, se la banca centrale opera un incremento
iniziale di 100 di moneta legale, con un moltiplicatore di 10 abbiamo
un aumento di liquidità totale, nel sistema, di 9.900. La banca, quindi,
non è un semplice intermediario finanziario, e l’uso
di questa definizione, anche da parte dei testi di legge, è
ingannevole. L’attività creditizia delle banche, comportando la
creazione di mezzi monetari privati accettati anche dal settore pubblico
(con l’assegno circolare della banca voi potete pagare le tasse o il
prezzo di un terreno all’asta del tribunale), è in contrasto con la
legge, ossia col Testo Unico Bancario, che concede alle banche licenza di intermediare (raccogliere e prestare)
il risparmio ma non di creare moneta, e col Trattato di Maastricht,
che, all’art. 105, riserva la creazione monetaria, sotto forma di
banconote, al Sistema Europeo delle Banche Centrali. In ogni caso,
poiché la banca, secondo questa teoria, intacca frazionalmente le sue riserve
per erogare il prestito, necessariamente ad ogni erogazione le sue
riserve in bilancio devono ridursi in proporzione al rapporto
frazionario.
La terza teoria è che la banca – ogni banca, individualmente – crei direttamente i mezzi monetari che presta,
semplicemente aprendo un conto di disponibilità intestato al cliente e
scrivendoci sopra l’importo che intende prestare, senza attingere dalla
cassa e senza usare o intaccare le riserve. Quindi crea moneta
creditizia al 100% ex nihilo e la presta. O più esattamente la crea con
l’atto del metterla a disposizione o prestarla. Il prestato (il messo a
disposizione) non preesiste al prestare (al mettere a disposizione).
L’incompatibilità col Tub (che consente alle banche solo
l’intermediazione) e con Maastricht (che riserva la monetazione alla BCE
sotto forma di banconote) è totale. Questa è la teoria che esponevo in Euroschiavi e che indusse il vostro collega del settore fidi e mutui a scrivermi quelle poche ma significative righe di commento e conferma.
Leggendo il mio libro, aveva capito che cosa realmente faceva quando
erogava, ossia aveva capito che creava liquidità, e che questa capacità
di creare mezzi monetari è la vera peculiarità della banca, conferita di fatto (anche se non di diritto) dalla
licenza bancaria, e che rende il prestare della banca qualitativamente
diverso dal prestare di qualsiasi altro soggetto, perché qualsiasi altro
soggetto presta solo denaro che si è procurato in precedenza in cambio
di qualcosa (oppure con una rapina, un furto, una frode…); sicché, se
non recupera quanto ha prestato, soffre una perdita vera e propria,
mentre la banca no, quindi può
sopportare molto bene le perdite sui crediti e non ha bisogno di
scaricarle sul trattamento salariale dei dipendenti o sui livelli
occupazionali, né sui depositi dei clienti (bail in). Questo privilegio
ha, come presto vedremo, ulteriori conseguenze su come dovrebbero essere
formulati i bilanci in fatto di ricavi e sull’imponibile fiscale
effettivo. Ma in generale tutta la faccenda delle della sorveglianza,
crisi bancarie e dei rimedi ad esse, va riconsiderata.
Orbene, che le cose
stiano come spiega questa terza teoria è stato dimostrato
scientificamente dal prof. Richard Werner dell’Università di Southampton
mediante un esperimento, che è stato filmato da una troupe televisiva.
Su International Review of Financial Analysis – 36 (2014), Werner ha
pubblicato un paper su questo esperimento1, col titolo Can
banks individually create money out of nothing? – The theories and the
empirical evidence (Possono le banche creare denaro dal nulla? Teorie e
prove empiriche).
L’esperimento è stato
molto semplice: previo accordo con la Raiffeisenbank Wildenberg, una
banca cooperativa della Bassa Baviera inserita in una rete di molte
banche cooperative servite da un unico sistema contabile elettronico, il
07/08/13 Werner personalmente si fece erogare un mutuo di 200.000 Euro.
Prima e dopo l’erogazione, e di nuovo il giorno dopo, egli si fece
stampare il bilancio (balance sheet, situazione contabile) della banca
per confrontare il suo stato (le singole voci contabili) prima e dopo
l’erogazione del mutuo. Dal confronto tra le due situazioni, risultò che
la banca aveva aumentato i propri crediti di 200.000 (a fronte della
registrazione di una pari uscita), mentre non vi era stata alcuna
variazione in meno vuoi delle riserve, come avverrebbe se fosse
corrispondente alla realtà la teoria della riserva frazionaria, vuoi di
alcun altro conto o fondo, e specificamente della voce “cassa”, come
avverrebbe se fosse corrispondente alla realtà la teoria della banca
come intermediaria. La banca aveva movimentato solo il nuovo conto.
Quindi la banca aveva
effettivamente aumentato il proprio attivo patrimoniale a costo zero
proprio con l’atto del prestare. In effetti, aveva creato un conto di
disponibilità in favore del mutuatario Werner e vi aveva digitato dentro
un importo, accreditandosi al contempo la medesima somma. Sarebbe
interessante controllare se, quando il prestito viene rimborsato, le
varie banche cancellano o non cancellano questa posta attiva.
La scritturazione contabile operata nell’erogazione da parte dei funzionari della banca registra :
EUR CREDIT LIABILITIES BALANCE
Current account 200,000
Loan 200,000 -200,000
Bank Sum Total 200,000 200,000 0,00
Cioè i mezzi monetari, l’oggetto del prestito, sono creati semplicemente registrando ex nihilo un debito contro un credito, con un’operazione contabile esclusiva e peculiare delle banche, che nessun altro operatore economico potrebbe compiere, e che nondimeno fa quadrare il bilancio. Ma – osservo io – a quanto ammontano i mezzi monetari così creati? A 200.000, cioè la “somma” prestata, o a 400.000, ossia a quelli prestati al cliente più il credito che la banca ha registrato a proprio avere? Se questo credito è in qualche modo utilizzabile dalla banca come (se fosse) moneta, allora la creazione monetaria totale che si fa nell’erogare un prestito di 200.000 è di 400.000.
Questo esperimento
(il quale ha ulteriori aspetti e corollari, che per brevità qui
tralascio) conferma la terza teoria sulla origine dei depositi bancari
(della liquidità bancaria) confutando le altre due, cioè quella della
banca come intermediaria finanziaria, e quella della riserva
frazionaria, dato che ambedue ritengono che un prestito possa essere
erogato soltanto usando denaro preesistente. D’altronde, per non citare
me stesso2, già la Fed e la Bank of England, recentemente, avevano pubblicato papers3
da cui appare che il grosso, circa il 97% della liquidità (M1),
consiste in denaro bancario privato (contabile, scritturale,
creditizio), e solo il resto in legal tender, ossia moneta legale creata
dalle banche centrali di emissione: euro-note. E molti l’avevano capito
in occasione della crisi finanziaria del 2008, in quanto si spiegava
che la causa del liquidity crunch (restrizione della liquidità) era… il
credit crunch (restrizione del credito bancario). Quindi il money supply
è creato dal prestito bancario e, dopotutto, Werner ha confermato, col
suo esperimento, ciò che già si sapeva e vedeva. I tempi erano maturi.
Ancora prima, l’economista Antonino (Nino) Galloni aveva formulato, in
termini vicini a questi, un disegno complessivo di come la banca
“produce” il credito-liquidità nel saggio Il futuro della banca – Lineamenti di teoria bancaria e finanziaria (Eurilink Roma 2014 – pp.11-26).
Del resto, il funzionamento e la stessa
esistenza di Target2, la piattaforma per pagamenti interbancari
nell’Eurozona (e non solo), dimostrano che il denaro sui conti correnti
bancari, anche se denominato “euro”, non è l’euro, e non è creato dalla
BCE ma dalle banche dei singoli paesi aderenti. Infatti, se fosse l’euro
“vero”, l’euro-valuta legale della BCE, per fare un bonifico di 1.000
euro dal mio conto corrente italiano a quello del mio fornitore in
Germania, la mia banca opererebbe quando fa un bonifico a un altro conto
corrente italiano, a un altro conto corrente ABI, anziché passare per
Target2, cioè chiedere alla Banca d’Italia di prestarle 1.000 euro della
BCE (e la Banca d’Italia lo fa indebitandosi verso la BCE), con cui
viene eseguito l’accredito sul conto corrente tedesco. Infatti, l’euro
vero disponibile al privato, ossia la banconota e il conio, è egualmente
spendibile e accreditabile sui conti correnti direttamente (senza cioè
passare per le banche centrali) in qualsiasi paese dell’Eurozona. Il che
dimostra in modo diretto e compiuto, che gli “euro” segnati sui conti
correnti italiani non sono veri euro (la valuta legale), non sono emessi
dalla BCE, sono diversi anche dagli “euro” segnati sui conti correnti
tedeschi (greci, spagnoli, finlandesi…), e non sono l’Euro, la valuta
legale del SEBC, di Maastricht, l’unica ammessa e lecita. Sono una
moneta privata, creata internamente a ciascun sistema bancario
nazionale, e diversa per ogni sistema bancario (cioè per ogni paese). In
Italia, sono la moneta dell’ABI. Contabilizzarla al medesimo modo e con
la medesima denominazione dell’Euro vero, è scorretto, ingannevole,
illecito. E’ un’elusione del Trattato di Maastricht.
Dal punto di vista
del bilancio, dei ricavi e dell’imponibile, le conseguenze sono
facilmente immaginabili: l’importo prestato comporta automaticamente un
ricavo di pari importo, quindi, se il bilancio un domani verrà fatto
fedelmente, risulteranno maggiori gli utili e maggiore reddito. Sarebbe
interessante controllare se, quando il prestito viene rimborsato, le
varie banche cancellano o non cancellano questa posta attiva.
E’
significativo che le tre teorie siano esistite fianco a fianco per
molti decenni senza mai essere verificate sperimentalmente per accertare
quale fosse quella vera. Evidentemente, è un tema molto delicato, sul
quale si è preferito mantenere l’oscurità e la disinformazione, senza le
quali non si potrebbe continuare a parlare, anche da parte del
legislatore, delle banche come “intermediarie finanziarie” senza che la
gente anche solo un poco esperta del settore si accorgesse dalla falsità
di questa definizione, del contrasto tra le leggi in materia bancaria e
ciò che le banche realmente fanno, e degli erronei presupposti tecnici
degli interventi sulle crisi bancarie, i cui costi sono stati, nel
mondo, scaricati principalmente sui conti pubblici (quindi sui
contribuenti) e sui risparmiatori (bail-in), con effetti molto negativi
sull’economia reale.
Insomma,
gli impatti di quanto sopra sulla macroeconomia sono notevoli, ma a
voi, impiegati e funzionari di banca, oggi impegnati in una critica fase
di ristrutturazione aziendale e di sfida ai vostri diritti di
lavoratori da parte dell’ABI, non sarà certamente sfuggito che il
conoscere questi dati di fatto è una potente arma di negoziato, per
imporre nelle trattative che si parta da un piano di verità e che si
rinunci, da parte datoriale, a presupposti fasulli, di falsa debolezza e
di falsa impostazione contabile di comodo, oramai confutati sia dalla
ricerca scientifica che da due primarie banche centrali. Oggi potete
sbattere la prova della verità sul tavolo delle trattative, ma insieme
dovete diffondere la conoscenza di questa verità, per far partire da
essa un movimento di opinione e dibattito tra le categorie produttive,
trai mezzi di informazione, tra gli economisti e i politici, così da
renderla più forte e più efficace nelle vostre mani a tutela della
vostra dignità e del vostro futuro. E diffonderla è facile e non
costoso: internet, la rete delle conoscenze personali, i sindacalisti, i
convegni e le conferenze stampa, Passaparola. Già oggi, attraverso i blog collegati, questo articolo raggiunge decine di migliaia di persone.
08.02.15 Marco Della Luna
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3 Trattasi Money creation in the modern economy, di Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate (www.bankofengland.co.uk/…/2014/qb14q1prereleasemoneycreation.pdf ):c.els-cdn.com/S1057521914001070/1-s2.0-S1057521914001070-main.pdf?_tid=077966da-9662-11e4-b087-00000aacb360&acdnat=1420631030_d75cc632b899eb31c147ff9a866e34b2,
“La creazione monetaria in pratica differisce da alcune concezioni diffuse: le banche non agiscono semplicemente come intermedizri, prestando i depositi affidati loro dai risparmiatori, ne moltiplicano la moneta della banca centrale per creare nuovi prestiti e depositi… … nella realtà, le banche sono le creatrici della moneta costituente i depositi… … l’atto di prestare crea i depositi – l’inverso della sequenza ticipamente descritta nei libri di testo.