L’essenza strutturale della riforma Renzi-Boschi è
l’abolizione del principio della separazione dei tre poteri dello Stato
-legislativo, esecutivo, giudiziario-, che vengono ampiamente
concentrati nelle mani del premier. Essa abolisce
quella separazione, che distingue gli Stati di diritto moderni da quelli
assolutistici. Questo punto essenziale sta sfuggendo al dibattito in
corso: non si tratta semplicemente di una radicale riforma della
Costituzione – che già come tale non sarebbe ammessa dalla Costituzione
stessa, perché questa prevede solo la revisione (ossia l’aggiornamento,
il ritocco) e non la ristrutturazione (art. 138), per la quale sarebbe
necessaria la convocazione di un’assemblea costituente. Si tratta di
molto più: si tratta dell’abolizione dello stesso principio fondante del
costituzionalismo e dello Stato di diritto, garantista e
rappresentativo. Un’abolizione che hanno realizzato tutti i dittatori,
per divenire tali, iniziando – in epoca moderna – con Napoleone. Non
puoi fare il dittatore se c’è un potere indipendente da te, che
controlla la legittimità del tuo agire.
La riforma Renzi-Boschi, inoltre, vanifica l’altro pilastro
dello Stato moderno, ossia la rappresentanza del popolo, in quanto il
Senato non è più elettivo, e 2/3 dei membri della Camera sono decisi dai
segretari dei partiti mediante le liste bloccate, mentre il terzo
residuo degli eletti è in parte determinato dal caso.
Infine, in un siffatto parlamento, a liste bloccate e con
forte premio di maggioranza, controllato dal premier, non può più
concretarsi l’opposizione al premier stesso e all’esecutivo; e con tanto
è completamente eliminata la struttura giuridico-costituzionale dello
Stato moderno, di diritto, rappresentativo, democratico. La Camera
diventa un organo ripetitivo del governo, senza autonomia, quindi
praticamente inutile ai fini democratici. Così come il Senato.
Quindi non siamo nemmeno nell’ambito del concetto di riforma o
anche di rovesciamento della Costituzione, siamo a un’operazione di abolizione funzionale
della Costituzione del 1948, anzi della stessa costituzionalità come
modernamente intesa. La costituzione Renzi-Boschi è una
pseudo-costituzione.
Aggiungiamo che il premier di questo nuovo Stato,
controllando il potere legislativo, quello esecutivo e molti organi di
controllo, sostanzialmente ha in mano tutti i principali centri di spesa
pubblica, di finanziamento pubblico, di informazione pubblica, oltre
alla grande stampa amica, ossia ha in mano le fonti di consenso, di
clientela, di sponsorizzazione. Dato che diviene l’unico soggetto che
può comperare tutto il consenso che gli serve per
annullare l’opposizione politica nel Paese, la sua posizione di
potere diventa inattaccabile dal basso, democraticamente, e potrà essere
scalzato solo da eventi tanto catastrofici per la nazione, da
vanificare quegli strumenti di raccolta di consenso.
CONTROPROPOSTA: UNA RIFORMA PER L’EFFICIENZA NELLA RAPPRESENTATIVITA’
L’esigenza di abbreviare l’iter legislativo e di assicurare
stabilità alle maggioranze, tagliando inciuci e ricatti partitici nonché
spese eccessive, può essere soddisfatta senza sacrificare rappresentatività popolare e garanzie,riformando la Costituzione come segue:
-una Camera dei Deputati, di 300 membri, eletta ogni 4 anni
(salvo scioglimento anticipato) con sistema “stabilizzante”
(maggioritario o meglio con voto trasferibile, secondo il modello
australiano), la quale vota la fiducia, le leggi di bilancio, le leggi
ordinarie; il premier nomina e revoca i ministri;
-un Senato della Rappresentanza e delle Garanzie, di 300
membri, eletto con sistema proporzionale puro su base regionale per metà
dei suoi membri ogni 3 anni, non soggetto a scioglimento anticipato,
competente in via esclusiva per le revisioni della Costituzione, le
leggi costituzionali, le leggi in materia di cittadinanza, elezioni,
giustizia, limitazione di sovranità, nonché per le commissioni
d’inchiesta, l’impeachment, la revoca delle leggi ordinarie (ovviamente
con opportune maggioranze qualificate); elegge il Presidente della
Repubblica, un terzo della Consulta e del CSM, gli organi di garanzia e
controllo, i vertici della Rai.
Si è ormai capito, infatti, che leggi come quelle elettorali e
quelle che, ratificando trattati internazionali, limitano o
trasferiscono la sovranità, sono vere e proprie parti della costituzione
di uno Stato.
Insomma, il Senato, rappresentando fedelmente il corpo
elettorale, è giustamente competente per i controlli, le garanzie e le
regole del gioco; non essendo soggetto a scioglimento anticipato, non è
ricattabile dal premier. Per le altre materie è competente, in via
esclusiva, la Camera. Il premier, disponendo di una maggioranza
ragionevolmente stabile e certa, e potendo nominare e revocare i
ministri, è più libero e meno frenabile nella sua azione.
Ritorniamo alla riforma Renzi-Boschi.
Lo spiega bene il giudice Luciano Barra Caracciolo nel suo recente saggio
Euro e (o?) democrazia costituzionale: La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei
– Dike Giuridica ed.: già nei decenni scorsi, in nome dell’Europa e dei
mercati, profonde trasformazioni costituzionali erano state introdotte
surrettiziamente, soprattutto in materia di politica economico-sociale,
di moneta, di banche. Tali riforme sono consistite nel togliere
gradualmente quote di reddito, diritti e potere da cittadini,
lavoratori, utenti, onde trasferirli al capitale finanziario e ad
organismi non eletti e non responsabili verso la gente, verso gli
elettori: UE, BCE, FMI, WTO. Sono così stati praticamente svuotati,
con leggi ordinarie di ratifica dei trattati (europei ma non solo), gli articoli 1, 2, 3 c.2, 36, 38 c. 2, 41 c. 2, 47 e altri della Costituzione attraverso il sistematico
abuso dell’art.
11 Cost., che consente solo limitazioni della sovranità, e non
cessioni; e le consente solo per scopi di pace e di giustizia, e solo a
condizioni di parità. L’art. 11 è stato sistematicamente applicato in
modo illegittimo per cedere sovranità anziché limitarla, e al di fuori
dei casi predetti.
Queste riforme non hanno affatto apportato i miglioramenti di pil e
occupazione che promettevano, nei molti paesi in cui sono state attuate.
Il loro scopo era un altro, e riguardava non l’economia, ma il modo di
inquadrare e gestire i popoli. La riforma costituzionale Renzi-Boschi è
soltanto una tappa, per quanto cruciale, di un lungo percorso di
sovvertimento della Costituzione del 1948 e dei suoi principi, verso la
realizzazione di un tipo di costituzione, di società e di persona
radicalmente diversi. Una nuova concezione del diritto e del potere
politico, che si viene realizzando su scala globale, e che comporta il
livellamento al basso delle classi intermedie, la precarizzazione delle
classi popolari, l’esclusione della sua partecipazione alle scelte
politiche, la concentrazione del potere, del reddito, della tecnologia
di punta in una classe elitaria globale.
Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato
abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze
sfavorevoli soprattutto perché la produttività (efficienza) arretra
rispetto ai paesi competitori mentre il debito pubblico cresce.
Dall’altro lato, abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed
elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri –
legislativo, esecutivo (spesa pubblica) e di controllo, cioè di garanzia
– nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa.
Questi, prendendo anche solo in teoria il 22% dei suffragi, può ottenere
il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di
garanzia, delle authorities, dei vertici della Rai. Nomina il presidente
della Repubblica, di giudici costituzionali e di componenti del CSM (le
quote c.d. “laiche”). Cioè il premier nomina gli organi che lo
dovrebbero controllare e bilanciare.
In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali
bloccate del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali
chances. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato (cosa
vietata dalla Costituzione), ma non nei confronti degli elettori, bensì
del segretario del partito.
Tutto ciò costituisce un ritorno massiccio e deciso a prima della
separazione dei poteri statuali, cioè a un modello di Stato di tipo
assolutistico di oltre due secoli fa. Probabilmente ce lo chiedono i
mercati, l’Europa, gli investitori.
Già ora il presidente della Repubblica Mattarella è un nominato. Un
nominato del Primo Ministro, ratificato da un parlamento di nominati, un
parlamento eletto con una legge elettorale già dichiarata
incostituzionale una Corte di cui era membro lo stesso Mattarella! Renzi
lo ha scelto unilateralmente e ha comunicato il nome della sua scelta
all’ultimo momento persino al suo partito. Ovviamente non è possibile
che svolga una funzione di controllo e contrappeso rispetto al capo del
governo. Il suo unico intervento significativo è stato
contro l’istituzione di una commissione di inchiesta a seguito
di omissioni di sorveglianza e intervento della Banca d’Italia sulle
operazioni fraudolente che hanno mandato in dissesto diverse banche,
iniziando da MPS.
Fino a ieri, la divisione dei poteri dello Stato sembrava un
principio cardine, scontato oramai e indiscutibile, indispensabile ai
fini della legittimità dello Stato, un’acquisizione definitiva e
irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era
così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge
elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di
Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della
rivoluzione francese. La tesi fondamentale esposta nel suo celebre
trattato
Lo spirito delle leggi,pubblicato nel 1748, è che può
dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa
abusare del potere a lui affidato. Per prevenire tale abuso, occorrono
contrappesi e controlli, occorre che “il potere arresti il potere”, cioè
che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi
differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di
esorbitare dai suoi limiti e debordare in tirannia. La riunione di
questi poteri nelle medesime mani, siano esse quelle del popolo o del
despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella “bilancia
dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia”
costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. “Il
potere corrompe,
il potere assoluto corrompe assolutamente”: è partendo da questa
considerazione, che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei
poteri.
Tecnicamente, perciò, Renzi sta ripristinando lo schema ordinamentale
dell’ancien régime. Si è fatto controllore di sè stesso. Ricordiamo che
l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla
presenza del re a capo dello Stato, il quale non era scelto,
ovviamente, dal Duce ed era al di sopra del suo raggio d’azione, tanto è
vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Il premier che esce dalla
riforma renziana non avrà tale limitazione, perché nominerà egli stesso
il Capo dello Stato.
Ma dove sono, oggi, i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i
filosofi, i politici, gli intellettuali, quelli che hanno ampio accesso
ai mass media e che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo,
costituzione, resistenza, garanzie? Dove sono i fieri magistrati che
dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato? Perché
tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un’unica persona,
di fronte all’abolizione dei controlli e dei bilanciamenti? Perché non
insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora,
quando, vostro Onore? O sono cambiati gli ordini di scuderia?
Ciò che sta avvenendo, e a cui tanti si sono già allineati, è che, in
previsione di una situazione economica e sociale sempre peggiore e tale
da generare forti tensioni e forse rotture, viene costituito, con la
massima precedenza, un apparato statuale autocratico e bloccato, per
garantire alla buro-partitocrazia parassitaria e corrotta le sue
rendite, le sue poltrone, le sue impunità anche nel disastro nazionale; e
insieme per garantire il dominio sul Paese ai grandi interessi
finanziari stranieri, con la possibilità di completare l’estrazione o
l’acquisizione degli asset nazionali e dei mercati nazionali ancora
appetibili attraverso il controllo del suo governo e del suo capo di
Stato. In Italia e in altri paesi deboli e arretrati, il capitalismo
finanziario globale sta instaurando regimi autocratici, non condizionati
dal basso, al fine di usarli per imporre, rapidamente e senza
possibilità di opposizione, leggi e riforme strumentali ai suoi
interessi e al suo potere, come il famigerato TTIP, oggi in gestazione. I
poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili
organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche
italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e
l’efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Si sono convinti
che per governare e spremere questo paese ci vuole invece proprio il suo
autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri
collegati. E lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato,
ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore
di sè stesso internamente, ma controllato da loro esternamente.
2 Giugno 2016 Marco Della Luna