sabato 26 marzo 2016

La banca al centro del villaggio

Economia News
Risolte le principali questioni bancarie

La banca al centro del villaggio

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Alleggerite le sofferenze, torna l'anatocismo
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Le banche sono da sempre interlocutori di pregio per ogni governo. In Italia, con il massiccio acquisto di titoli del debito pubblico, ne sono divenute l’azionista di maggioranza. Leggere di fila l’elenco che ha recentemente pubblicato l’Adusbef sui provvedimenti emessi a loro favore negli ultimi due anni, non dà adito a una reale comprensione. Lascia semplicemente di stucco. I diciotto anni previsti per la defiscalizzazione delle perdite erano troppi? Sono stati ridotti a un anno. I crediti deteriorati presenti nei loro bilanci erano difficili da smaltire senza il ricorso a una bad bank? Viene concordata con Bruxelles un’assicurazione di Stato per dare ‘il calcio d’inizio’ al mercato delle cartolarizzazioni. I tempi delle esecuzioni immobiliari sono troppo lunghi? Ancora pochi giorni e ci sarà il via libera al patto marciano, per vendere il bene posto in garanzia di un credito senza passare dal tribunale. Per non parlare della rivoluzione sui salvataggi delle banche in difficoltà a carico di obbligazionisti e correntisti, giunta dall’Europa sotto forma di fulmine a ciel sereno, dopo che per mesi gli italiani invece di cercare nei motori di ricerca, lumi sulle imminenti procedure di ‘bail-in’, hanno continuato a baloccarsi con ‘la farfallina di Belen’. Del bisticcio linguistico se ne ha contezza solo quando, in un weekend dello scorso autunno inoltrato, circa 130.000 risparmiatori di quattro banche medio-piccole dell’Italia centrale, vengono espropriati di oltre 800 milioni di euro, con un blitz del governo, che dà il via libera all’azione di ‘burden sharing’, prevista già un anno prima dell’entrata in vigore della direttiva europea di risoluzione bancaria il 1° gennaio 2016. In realtà è proprio questa direttiva approvata a Bruxelles due anni fa da tutti i capi di governo -per l’Italia era in carica Renzi già da tre mesi- a scatenare la ricerca di ogni misura possibile per scongiurare l’impatto più disastroso sul sistema bancario italiano, gravato nel frattempo da circa 350 miliardi di crediti incagliati, pari a un quarto degli impieghi totali. Al simpatico senatore Elio Lannutti, da anni in prima linea con l’Adusbef in difesa dei consumatori dagli abusi dei soggetti finanziari, ci permettiamo di segnalare a tal proposito anche un altro provvedimento di favore, sfuggitogli nel computo del decalogo. Il 10 agosto 2015 una circolare di Banca d’Italia, nelle more delle procedure concorsuali, ha autorizzato le banche ad accantonare una parte dei prestiti in difficoltà col rimborso, nella categoria delle ‘inadempienze probabili’, invece di quella più penalizzante delle ‘sofferenze’. Un cuscinetto extra che mette al riparo da altre dolorose raccolte di capitale, che ormai si susseguono senza sosta da qualche anno, gettando nello sconforto gli azionisti e deprimendo i corsi azionari dei titoli bancari. Raggiunto al telefono dall’Indro, il senatore Lannutti fa subito faville: “Se mettono la fiducia al decreto banche, daremo battaglia con l’avvocato Tanza in tutti i tribunali d’Italia. Altro che fine del contenzioso bancario”. Il senatore ce l’ha con l’ultimo assist appena fornito ai banchieri, mediante il ddl n. 3606, che convertirà in legge entro metà aprile il decreto governativo n.18 del 14 febbraio 2016. Nel cosiddetto ‘decreto banche’, messo a punto con urgenza un mese fa dal Governo, per dare il via alle garanzia di Stato sul mercato dei crediti incagliati e per riorganizzare le oltre 350 banche del Credito Cooperativo in un’unica holding, la norma per definire la questione dell’anatocismo non c’era. Con l’emendamento 17 bis, inizialmente firmato dall’onorevole Sergio Boccadutri, ex di Sel passato al Pd e poi riformulato dall’onorevole Giovanni Sanga del Pd, si riapre la partita molto combattuta sulla modalità di calcolo degli interessi bancari. “Questo è più di un regalo alle banche, è una vera truffa” si scalda Lannutti, al quale va senz’altro dato il merito di aver sempre mantenuto alta l’attenzione sulle magagne bancarie e in special modo sulla questione dell’anatocismo, appena riproposta. Una pratica oscura e nemmeno troppo semplice da spiegare, che però è oggetto di un’accanita disputa giudiziaria da oltre 16 anni. Ne forniamo uno specchietto con tutte le principali sentenze e gli interventi legislativi, favorevoli e di segno opposto, giusto per dare l’idea di quanto scompiglio abbia potuto creare semplicemente una modalità di calcolo.
Questa è un’operazione che raccoglie molto del dibattito di questi anni e interviene concretamente sul problema. E’ stato fatto un grosso passo avanti” canta vittoria l’onorevole Sanga, ultimo relatore dell’emendamento, “abbiamo fatto l’interesse non delle banche, ma del contribuente”. Su quest’ultima dichiarazione, crediamo che l’onorevole alludesse all’interesse del ‘correntista’, ma parlare di interesse del ‘contribuente’ rimane comunque un bel lapsus, che svela quanto la questione bancaria e quella del debito pubblico, siano profondamente legate. L’impianto dell’articolo 17 bis in questione è molto simile a quello comparso a fine agosto scorso in una bozza di delibera del CICR, messa dalla Banca d’Italia in consultazione pubblica fino al 23 ottobre, di cui poi si sono perse le tracce. Tale delibera era attesa da più di un anno e mezzo, quando il governo Letta a fine 2013 aveva demandato proprio al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio di fissare le modalità di calcolo degli interessi nei rapporti finanziari, ferme restando due condizioni: a) un’identica periodicità di conteggio tra interessi a debito e quelli a credito b) il divieto del ricorso alla capitalizzazione composta, cioè una modalità di calcolo che consente di applicare interessi anche sull’eventuale quota di vecchi interessi non ancora corrisposti. Insomma un addio definitivo all’anatocismo, che lasciava comunque aperta la questione di come procedere al computo degli interessi. Intanto il 2015, secondo quanto ha riportato un articolo di Sandra Riccio su ‘La Stampa’, no agli interessi sugli interessi, si rivela un altro anno nero per le banche in tribunale, in cui fioccano parecchie condanne, per la prassi di applicare i nuovi interessi non solo sui capitali impiegati ma anche sugli interessi scaduti, sebbene una legge dello Stato (dl 147/2013) l’avesse espressamente vietata e nonostante il CICR non si fosse ancora pronunciato. Il colpevole ritardo del Comitato composto dai ministri di Economia, Sviluppo economico, Affari europei e Agricoltura finisce per far ottenere anche qualche sentenza favorevole alle banche, come quelle di Torino e di Parma, ricordate l’altro giorno dall’onorevole Boccadutri su ‘l’Unità‘, ma senza una parola chiara, si rischia comunque una china molto scivolosa per gli istituti, simile a quella del 1999, che portò l’allora governo D’Alema a modificare il Testo Unico Bancario del 1993, per consentire, attraverso una circolare del CICR del febbraio successivo, una pattuizione tra le parti della periodicità di capitalizzazione degli interessi a condizione, anche in quel caso, che fosse garantita una reciprocità tra interessi attivi e passivi. Un’approccio contrattualistico che lascerà molte falle aperte al contenzioso bancario degli anni successivi e che certamente non poteva sanare tutte le vicende aperte prima dell’entrata in vigore della delibera, come ebbe modo di specificare solo qualche mese dopo la Corte Costituzionale con la sentenza n. 425. Già allora, insomma, l’intervento del Governo apriva una finestra di opportunità per impostare i nuovi rapporti bancari in concomitanza alla nascita dell’Euro, ma non poteva mettere al riparo le banche che negli anni precedenti avevano adottato una capitalizzazione composta trimestrale a tutto spiano, senza un’autorizzazione scritta di ambo le parti. Proseguendo il filone avviato nel 1999, ci pensa infatti la Corte di Cassazione, prima nel 2002 con la sentenza n.14091 e poi nel 2004 con la sentenza n.21095 a ribadire la linea di condanna della capitalizzazione trimestrale degli interessi, in violazione dell’articolo 1283 del codice civile e a rendere nulla la clausola della delibera del CICR, che la sosteneva in via pattizia. E nel 2010 la Suprema Corte stabilisce anche un altro principio, fissando i tempi di decorrenza della prescrizione dal giorno della chiusura del conto corrente e stabilendo l’irrilevanza dell’intervenuta nuova configurazione dei rapporti deliberata dal CICR nel 2000. Per il contenzioso bancario, quell’anno, si apre un’autostrada. Perfino gli imprenditori falliti molti anni prima si fanno coraggio e danno mandato ai propri curatori di avviare azioni contro le banche, pretendendo la restituzione di interessi non dovuti. Stavolta tocca a Giulio Tremonti, ministro dell’economia del IV governo Berlusconi, correre ai ripari, infilando nel Milleproroghe di quello stesso anno il comma 61 dell’articolo 2, che impone il calcolo della prescrizione a partire dal giorno di annotazione degli interessi illegittimi. Un freno a mano che la Corte Costituzionale toglie nel 2012, consentendo alla ‘formula uno’ del credito di salutare la bandiera a scacchi sventolata dal Governo Letta a fine 2013. Negli anni successivi come abbiamo visto si tergiversa parecchio. Per gli imprenditori che hanno saputo sfruttare l’empasse è possibile chiudere ottime mediazioni, poiché le banche ormai cominciano ad accordarsi in via extragiudiziale, pur di salvare il salvabile. Dall’Europa arriva un misto di curiosità e disappunto per l’anomalia italiana. La Corte di Giustizia rilascia due importanti decisioni. La prima di luglio 2015 stabilisce (art. 21) che spetti al legislatore nazionale decidere come regolarsi sulla modalità di calcolo degli interessi, non ravvisando alcuna disposizione vigente a livello comunitario, che obblighi al ricorso alla capitalizzazione composta. La seconda di settembre 2015 respinge il ricorso di una municipalizzata lombarda, condannandola a pagare gli interessi capitalizzati su una cartella esattoriale inevasa da sei anni, poiché al momento della sanzione amministrativa, nel 2009, il divieto anatocistico non era stato ancora legiferato. E torniamo dopo questo breve excursus all’ultimo autunno. La Banca d’Italia mette in consultazione pubblica la bozza di delibera del CICR, per decidere come si debbano calcolare questi benedetti interessi bancari. L’articolato riprende la solita impostazione della reciprocità di calcolo, introducendo la possibilità dopo un anno e due mesi, di autorizzare l’addebito degli interessi passivi non corrisposti, nella sorte di capitale da restituire. In pratica una riproposizione dell’anatocismo, stavolta su base annuale. Gli osservatori più acuti subito sottolineano, che come già accaduto nel 2000, la delibera certo non potrebbe sanare i contenziosi antecedenti, aperti a partire dal 1° gennaio 2014 e suggeriscono, talora sommessamente, al Governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che la soluzione lascerebbe aperte parecchie falle anche a futuri ricorsi. C’è anche chi, come l’onorevole Francesco Boccia, autore del famoso articolo 629 del dl 147/2013, sempre costruttivo, suggerisce in una lettera pubblica, che gli interessi maturati dopo un anno vengano contabilizzati su un conto separato, in modo da non produrre ulteriori interessi. Ma della bozza si perdono le tracce. Fino a qualche giorno fa, quando improvvisamente giunge l’annuncio trionfale del Pd, «Abbiamo risolto il problema dell’anatocismo», inizialmente salutato persino con favore da tutte le associazioni di consumatori. Nell’articolo infilato in fase di conversione del decreto banche, presentato un mese fa dal Governo, ricompare però, proprio l’impianto della bozza del CICR di cui abbiamo appena parlato. La sensazione, ci riporta una fonte che si occupa di questa materia sul campo, è che si cominci un altro giro di giostra. Il contenzioso certamente non sparirà dalle aule di tribunale, come è stato auspicato, ma la nuova regolamentazione comunque difettosa, consentirà di gestire ‘statisticamente’ i ricorsi, di una materia molto complessa, sulla quale almeno per il momento, limitandosi a una capitalizzazione annuale, si è deciso se non altro di allentare la stretta.