Camera e Senato discuteranno la richiesta che viene
dalle opposizioni (M5s a Palazzo Madama e Forza Italia a Montecitorio)
di accelerare sull'istituzione di una commissione d'inchiesta che faccia
chiarezza sulle crisi bancarie e sulle vicende che hanno portato al
salvataggio pubblico di Mps mentre la stessa banca si dice pronta, se le
norme lo permettono, a pubblicare la lista dei suoi principali debitori
insolventi. Al momento ci sarebbero infatti ostacoli normativi che
riguardano tutti gli istituti di credito a dare seguito al suggerimento
arrivato dal presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, che già aveva
scatenato ampio dibattito. Intanto la direzione risorse umane di Mps,
proprio mentre aumenta il pressing per avere la lista dei debitori, ha
ricordato ai dipendenti gli obblighi di condotta, legati anche a
normative, per garantire uniformità e correttezza nella diffusione di
informazioni.
I nomi degli insolventi e le cifre
Se l’istituto di credito e una parte del nostro mondo politico
tentenna, la stampa italiana è da tempo alla ricerca di nomi e cifre.
Libero e La Verità sono in prima linea in questa caccia all’uomo. E
proprio queste testate hanno cominciato a fare i primi nomi eccellenti e
le cifre che costoro non avrebbero ai restituito non solo a Mps, ma
anche a Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare Etruria, Banca delle
Marche e Unicredit. I primi nomi li aveva fatti Libero il 28 dicembre
scorso in un articolo firmato Giuliano Zulin. Stando ai dati diffusi dal
giornale diretto da Vittorio Feltri, il 70% dei cattivi debitori di Mps
non sarebbero commercianti o artigiani, ma grandi gruppi industriali.
Tra questi si distinguono la Sorgenia della famiglia De Benedetti e i
Marcegaglia. La “prima tessera del Pd” ha chiesto e ottenuto senza mai
restituirli 650 milioni di euro. I secondi, lo scorso marzo hanno
beneficiato di un nuovo finanziamento da circa 500 milioni nonostante
abbiano già debiti per 1,5 miliardi di euro. Nella stessa situazione si
trovano altri importanti gruppi industriali del nostro Paese.
Il soldi prestati e mai restituiti
Uno dei casi più
significativi si insolvenza è stato quello del gruppo Sansedoni Siena
spa, cui Mps, spiega Libero, che proprio grazie ai soldi non restituiti è
divenuto “parte correlata” della Mps. La banca ha infatti trasformato
il credito vantato, 25.9 milioni, nei confronti della capogruppo nel
21.75 del capitale. La stessa cosa, ha spiegato il giornalista Franco
Bechis, è accaduto per le società controllate a valle: Marinella Spa che
non ha mai restituito 26,9 milioni. Lo stesso è accaduto con le
controllate della Sansedoni: alla Sviluppo e Interventi è stata
congelata la cifra di 48.4 milioni di euro. Lo stesso trattamento era
stato riservato alle Robinie Spa, diventata proprio per questo proprietà
Mps. Altre risorse, 20 milioni di euro, sono state inghiottite dalla
fallita NewColle srl. Così è andata anche con gli 11,3 milioni prestati
al gruppo Fenice della famiglia Fusi e alle relative controllate come
Una spa, quella degli hotel, Euro srl e Il Forte spa. Non si sa neppure
che fine faranno i soldi prestati a Menarini, per il quale è in corso
un'inchiesta.
Il settore pubblico non è da meno di quello privato
Il settore pubblico non è da meno di quello privato. A non restituire
il maltolto, fra le insolventi ci sono infatti le municipalizzate e
società regionali toscane: la Fidi Toscana spa, che lo scorso agosto ha
ricevuto un altro prestito da 98 milioni di euro, con Mps già al 27,46%
del capitale. Nella lista le Terme di Chianciano, esposte per 10
milioni, e i 4,8 dell'Interporto Toscano A. Vespucci spa. Negli elenchi
spuntano anche i nomi delle romane Atac e Metro C. Nei confronti della
società di trasporto locale il Montepaschi, che nel 2013 aveva
partecipato ad un pool di banche che concessero un finanziamento per
oltre 200 milioni, poi rischedulato a 163 milioni, rischia circa 30
milioni. Altri nomi eccellenti li ha fatti La Verità. Colpiscono in
particolare i nomi della Tassara di Romain Zalenski (un buco di 200
milioni), il Sole 24 Ore, i costruttori romani Toto, Luigi Zunino.
Ecco le altre banche frodate
La Verità ha anche fatto i nomi degli insolventi delle altre banche
in crisi. La Popolare di Vicenza, che ha bruciato dall’oggi al domani
ben 6 miliardi e mezzo, si era fidata delle imprese di Alfio Marchini
che ai vicentini aveva chiesto 76 milioni di euro. Cinquanta non li ha
invece restituiti il gruppo pugliese Fusillo, che ha anche un debito di
120 milioni con la Popolare di Bari. La Degennaro costruttori avrebbe
dovuto restituire 27.5 milioni. La Veneto Banca ha, d’altro canto,
sbagliato a fidarsi di Antonio Casale, l’immobiliarista bolognese ha
incassato 78 milioni. Altri 50 milioni li ha introitati Francesco
Bellavista Caltagirone. Somme importanti sono finite nelle tasche dei
cementifici Federici e nelle finanziarie dei fratelli Landi (crac
Eutelia). La Banca delle Marche piange i soldi versati a Davide De
Gennaro (70 milioni), il gruppo costruzioni Lanari (110 milioni),
Minardi (130), Ciccolella (80). Il capitolo Unicredit si apre con i nomi
di Rcs (54.4 milioni), Alitalia (20), Tassara (119), i costruttori
Parnasi (650 milioni di debiti). Il governo Gentiloni ha una bella gatta
da pelare.