sabato 31 marzo 2018
Il caso di Equacoin, la maxi causa contro Carige e i legami con i 5S
Dal bitcoin allo schema Ponzi. Nuove monete e vecchie truffe
Il caso di Equacoin, la maxi causa contro Carige e i legami con i 5S
Negli anni scorsi è stato un
assiduo frequentatore di assemblee di banche sostenendo la «creazione di
moneta» da parte degli istituti di credito
Pubblicato il
31/03/2018
gianluca paolucci
Ci sono molti modi per fare soldi. Di questi tempi ci si può
provare inventando una criptomoneta. Oppure facendo causa a una banca,
chiedendo una quantità di soldi pari agli impieghi sostenendo che quei
soldi la banca non li ha prestati sulla base dei depositi dei clienti,
del mercato interbancario o delle linee di credito delle banche
centrali. No, li ha «creati». E dato che non si è accorta di averli
creati spettano a chi se ne accorge, o almeno gli spetta il 10% se la
banca li reclama.
C’è qualcuno che li ha provati tutti e due. Si chiama Marco Saba e dopo anni trascorsi a denunciare nelle assemblee di molti istituti di credito la «creazione di moneta» da parte delle banche, ha fatto causa a Carige chiedendo 25 miliardi di euro. Sì, miliardi.
Contemporaneamente, promuove una nuova criptomoneta «democratica». Si chiama Equacoin e promette di guadagnare e nel contempo di promuovere progetti di democrazia partecipativa. Secondo i suoi detrattori, il progetto non sta molto in piedi. Non c’è un algoritmo proprietario, c’è un meccanismo di stabilizzazione del prezzo che però non si capisce come funziona. Insomma il timore della comunità degli specialisti, quando alla fine dell’estate scorsa si inizia a parlare di Equacoin, è che anche questa possa rivelarsi una truffa vera e propria. I promotori si difendono: aspettate e vedrete, funzionerà.
Il fatto è che quello delle criptovalute è diventato in poco tempo la nuova frontiera della truffa finanziaria. Il meccanismo è più semplice di quanto si possa pensare. Un paio d’ore per creare una propria criptomoneta su una piattaforma specializzata. Un po’ di marketing «mirato» verso soggetti che potenzialmente potrebbero comprarla facendo leva su particolari temi. Venderne una piccola parte, avendo pazienza e maestria nel gestire il prezzo della vostra criptomoneta, usando i soldi incassati per far salire i prezzi e la truffa è fatta. Basta vendere tutto il resto e chiudere bottega in tempo.
Il fatto è che nella giungla delle criptovalute i casi di truffa sono ormai almeno una mezza dozzina. Centurion, OneCoin, CoinSpace sono alcune delle criptotruffe, veri e propri schemi Ponzi in versione blockchain che hanno già colpito risparmiatori poco avveduti o illusi dalla prospettiva di facili e rapidi guadagni. Per OneCoin è intervenuta anche l'Antitrust, che ha multato per 2,6 milioni di euro i promotori, accusati di aver messo in piedi un sistema piramidale sul modello di Ponzi. Su Coinspace è invece arrivato lo stop della Consob, che ne ha vietato l’attività sostenendo che si trattasse di una promozione di servizi finanziari non autorizzata. Consob che, secondo quanto ricostruito, starebbe svolgendo accertamenti anche sul caso Equacoin.
Intanto però lo scorso 28 febbraio si è chiusa la Ico (Initial coin offering, l’offerta iniziale di una nuova moneta che in questo caso però si chiamava Idco, dove la «d» sta per «democratic») di Equacoin. La valutazione è visibile su Coinranking, uno dei tanti siti che offre le quotazioni delle criptovalute. Singolarmente, mentre le più diffuse criptovalute come bitcoin hanno conosciuto nell'ultimo mese un andamento discendente, Equacoin è andata piuttosto bene. Nel frattempo però la società che ha promosso l’operazione, Equacoin Ag di Zug, in Svizzera, è finita in liquidazione. La società era stata creata da Paolo Fabrizio Biaggi - che poi ha lasciato l’incarico -, un consulente svizzero specializzato nella domiciliazione di società il cui nome era finito anche nelle carte dell’inchiesta Mps, filone «banda del 5%», per essere stato amministratore della Lutifin.
Mentre chiudeva l’offerta di Equacoin, Saba - in proprio e per conto della Mana Bond ltd, società londinese della quale detiene il 51% - però pensava anche ad altro. Il 12 febbraio scorso veniva depositata al tribunale di Genova la richiesta di pagamento di 25 miliardi, in virtù di quel principio del diritto secondo il quale la cosa ritrovata, se non reclamata, diventa proprietà di chi la trova. Avendo Saba «trovato» 25 miliardi nei bilanci di Carige, quei soldi gli spettano, o «in subordine» gliene spettano almeno il 10%. La teoria della creazione di moneta da parte delle banche non è una novità. Lo stesso Saba l’ha raccontata a più riprese negli anni scorsi nelle assemblee di Unicredit, Intesa, Mediobanca e della stessa Carige. Ad accompagnarlo, sostenendo nei suoi interventi la medesima teoria, un volto noto delle cronache politiche. Carlo Sibilia, parlamentare del Movimento 5 Stelle, promotore della Commissione d’inchiesta sulle banche ma noto per aver sostenuto che lo sbarco sulla luna non è mai avvenuto. Carige, intanto, ritiene «remota» la possibilità di essere condannata a pagare ma si riserva, nel bilancio appena pubblicato, di fornire aggiornamenti. Chissà mai saltasse fuori che ha davvero 25 miliardi in cassa. Farebbero comodo, di questi tempi.
C’è qualcuno che li ha provati tutti e due. Si chiama Marco Saba e dopo anni trascorsi a denunciare nelle assemblee di molti istituti di credito la «creazione di moneta» da parte delle banche, ha fatto causa a Carige chiedendo 25 miliardi di euro. Sì, miliardi.
Contemporaneamente, promuove una nuova criptomoneta «democratica». Si chiama Equacoin e promette di guadagnare e nel contempo di promuovere progetti di democrazia partecipativa. Secondo i suoi detrattori, il progetto non sta molto in piedi. Non c’è un algoritmo proprietario, c’è un meccanismo di stabilizzazione del prezzo che però non si capisce come funziona. Insomma il timore della comunità degli specialisti, quando alla fine dell’estate scorsa si inizia a parlare di Equacoin, è che anche questa possa rivelarsi una truffa vera e propria. I promotori si difendono: aspettate e vedrete, funzionerà.
Il fatto è che quello delle criptovalute è diventato in poco tempo la nuova frontiera della truffa finanziaria. Il meccanismo è più semplice di quanto si possa pensare. Un paio d’ore per creare una propria criptomoneta su una piattaforma specializzata. Un po’ di marketing «mirato» verso soggetti che potenzialmente potrebbero comprarla facendo leva su particolari temi. Venderne una piccola parte, avendo pazienza e maestria nel gestire il prezzo della vostra criptomoneta, usando i soldi incassati per far salire i prezzi e la truffa è fatta. Basta vendere tutto il resto e chiudere bottega in tempo.
Il fatto è che nella giungla delle criptovalute i casi di truffa sono ormai almeno una mezza dozzina. Centurion, OneCoin, CoinSpace sono alcune delle criptotruffe, veri e propri schemi Ponzi in versione blockchain che hanno già colpito risparmiatori poco avveduti o illusi dalla prospettiva di facili e rapidi guadagni. Per OneCoin è intervenuta anche l'Antitrust, che ha multato per 2,6 milioni di euro i promotori, accusati di aver messo in piedi un sistema piramidale sul modello di Ponzi. Su Coinspace è invece arrivato lo stop della Consob, che ne ha vietato l’attività sostenendo che si trattasse di una promozione di servizi finanziari non autorizzata. Consob che, secondo quanto ricostruito, starebbe svolgendo accertamenti anche sul caso Equacoin.
Intanto però lo scorso 28 febbraio si è chiusa la Ico (Initial coin offering, l’offerta iniziale di una nuova moneta che in questo caso però si chiamava Idco, dove la «d» sta per «democratic») di Equacoin. La valutazione è visibile su Coinranking, uno dei tanti siti che offre le quotazioni delle criptovalute. Singolarmente, mentre le più diffuse criptovalute come bitcoin hanno conosciuto nell'ultimo mese un andamento discendente, Equacoin è andata piuttosto bene. Nel frattempo però la società che ha promosso l’operazione, Equacoin Ag di Zug, in Svizzera, è finita in liquidazione. La società era stata creata da Paolo Fabrizio Biaggi - che poi ha lasciato l’incarico -, un consulente svizzero specializzato nella domiciliazione di società il cui nome era finito anche nelle carte dell’inchiesta Mps, filone «banda del 5%», per essere stato amministratore della Lutifin.
Mentre chiudeva l’offerta di Equacoin, Saba - in proprio e per conto della Mana Bond ltd, società londinese della quale detiene il 51% - però pensava anche ad altro. Il 12 febbraio scorso veniva depositata al tribunale di Genova la richiesta di pagamento di 25 miliardi, in virtù di quel principio del diritto secondo il quale la cosa ritrovata, se non reclamata, diventa proprietà di chi la trova. Avendo Saba «trovato» 25 miliardi nei bilanci di Carige, quei soldi gli spettano, o «in subordine» gliene spettano almeno il 10%. La teoria della creazione di moneta da parte delle banche non è una novità. Lo stesso Saba l’ha raccontata a più riprese negli anni scorsi nelle assemblee di Unicredit, Intesa, Mediobanca e della stessa Carige. Ad accompagnarlo, sostenendo nei suoi interventi la medesima teoria, un volto noto delle cronache politiche. Carlo Sibilia, parlamentare del Movimento 5 Stelle, promotore della Commissione d’inchiesta sulle banche ma noto per aver sostenuto che lo sbarco sulla luna non è mai avvenuto. Carige, intanto, ritiene «remota» la possibilità di essere condannata a pagare ma si riserva, nel bilancio appena pubblicato, di fornire aggiornamenti. Chissà mai saltasse fuori che ha davvero 25 miliardi in cassa. Farebbero comodo, di questi tempi.