giovedì 11 agosto 2011

Combattiamo l’interesse, cancro del mondo

“Fronte Unico” …programma?

Amputazione, non c’è tempo da perdere se no si va in cancrena!!!!

Combattiamo l’interesse, cancro del mondo

L’impero dell’interesse sta crollando poiché le sue fondamenta sono state fatte sulla sabbia (MT 7,21). Lo sanno tutti ma nessuno lo vuole ammettere, e nessuno vuole abbandonare la nave. C’è qualcuno che (mettendo le mani aventi) sta cominciando a dire qualcosa sulle “monete sovrane” e possibili soluzioni ….e la nostra osservazione è sempre la stessa: mentre a noi ci davano dei complottasti perché dicevamo che il sistema stava per saltare, voi dove eravate?

Mettiamo un po’ di ordine e diamo delle priorità cominciando da quelle di carattere intellettuale.

Se un po’ di giuristi si mettessero la coscienza a posto e comprendessero che l’interesse è un aborto, prima che economico (fa arricchire i banchieri e i già ricchi) ma soprattutto giuridico, si comincerebbe ad intraprendere l’era della trasformazione e della transizione epocale a cui ci stiamo per volgere, un futuro con regole completamente nuove e diverse che questa classe politica internazionale non riesce nemmeno ad immaginare tanto è piccola ed assimilata al sistema.

Il capitalismo selvaggio che si doveva autoregolamentare liberando i mercati ha fatto più disastri del comunismo, e molti di questi disastri li subiremo a breve.

L’era umana (antropocratica) sta per arrivare, ma non prima che si consumi una rivoluzione senza precedenti (molti sintomi son già percepibili in giro per il mondo e in l’europa);

E' l’era delle nuove idee, per esempio, ci sono due principi logici chiari ed evidenti:

1) chi chiede indietro qualcosa vuol dire che ne è proprietario; quindi se la BCE ci chiede i soldi indietro vuol dire che è proprietaria dell’euro, di conseguenza l’euro non è denaro dei cittadini europei e tanto meno italiani, (cosa vogliamo fare? la vogliamo comprendere una buona volta questa falsità?).

2) Non si può chiedere qualcosa che non esiste (anche un bambino lo capisce). L’interesse non esiste, poiché non viene stampato, non viene emesso (se non a fronte di altri prestiti ed ulteriore indebitamento)

Se non si scardinano questi due principi su cui si fonda l’economia attuale non si risolveranno mai i problemi. Oppure si risolveranno parzialmente, o per un breve periodo per poi cadere in una nuova crisi più severa e più devastante. La cosa interessante che ci inculcano l’idea dell’interesse come una cosa democratica, ma alla fine a noi (massa) riservano massimo il 3,5% lordo, quello che noi dobbiamo a loro praticamente è incalcolabile (anatocismo).

Continuando con i chiarimenti; un fondamento semplice e banale, ma incomprensibile per la massa è il seguente: quando io cedo il “mio” lavoro (manuale o intellettuale, non cambia) devo avere un corrispettivo “mio” (salario). Se questo punto è chiaro, passiamo a comprendere che siamo nella condizione (supinamente accettata da tutti anche da chi si sente super comunista e marxista) che invece gli viene dato in cambio un salario (euro) che soloall’apparenza sembra di proprietà per il singolo (la truffa), di fatti è un debito per la collettività Italia (che per usare quel denaro deve pagare interessi a dei banchieri privati). L’euro è una moneta (neanche euorpea, visto che ci sono molte nazioni che non lo hanno adottato, e hanno fatto bene, come la Svizzera, la Danimarca, la Finlandia, la Norvegia) che non è di proprietà degli europei ne tanto meno degli italiani (ricordiamo che Bankitalia SpA è privata al 93%), l’euro è un contenitore vuoto con l’aggravio degli interessi (chiamasi “moneta debito”) il quale più lo teniamo nelle mani più genera interessi per chi lo ha emesso.

Non basta, questi interessi si vanno letteralmente a mangiare la ricchezza prima generata dai lavoratori. Paradossalmente non conviene lavorare, se ci pagano con questa moneta, in questo sistema. Infatti chi ci guadagna è solo l’emettitore dell’euro BCE (senza contare gli speculatori, l’ingegneria finanziari, il Forex, i Derivati, che poi fanno il resto e velocizzano l’erosione del capitale fino all’esproprio dei beni pubblici e poi privati).

La spiegazione del crollo del sistema è molto più semplice di come la vogliono far apparire. Come già detto dagli addetti (non ufficiali) fino alla noia, infatti, il problema benché di ordine economico-matematico (non si possono chiedere interessi perche non esistono, danno 100 ma ne vogliono in dietro 102) è di ordine giuridico. La proprietà della moneta deve essere del popolo che la usa e gli induce il valore accettandola ed usandola. Se non si risolve una volta per tutte il fondamento giuridico, si perde tempo dietro fiumi di discussioni, che non porteranno assolutamente a nulla se non a far perdere altro tempo. (proprietà popolare della moneta: prof. G. Auriti)

Chiarito che il primo punto che è ritorno alla sovranità monetaria, (lo stato deve ritornare a battere la sua moneta) si può procedere con il resto.

Il secondo punto urgente è parallelo è proteggere la sovranità monetaria da ogni possibile attacco

politico, economico è speculativo (nazionale e soprattutto internazionale). Sotto il profilo politico per esempio (sarò duro, ma giusto per esser chiari). Ecco una ipotesi di legge: Articolo 1“Allo stato italiano e a lui solo appartiene la “sovranità monetaria”. La moneta rappresenta il valore del frutto dei lavoratori e dei cittadini. Lo stato italiano dovrà coniarsi la propria moneta, ed il proprietario di questa moneta all’atto della emissione è solo il popolo sovrano; chiunque cambi questo articolo, chiunque faccia speculazione sulla moneta dello stato italiano, sarà processato per direttissima per alto tradimento verso lo stato, i cittadini e la patria.”

Articolo 2 Le azioni della (BSCI) Banca di Stato dei Cittadini Italiani (sono di proprietà di ogni singolo cittadino nella forma seguente:ad ogni cittadino viene assegnata una azione alla nascita, e viene distrutta alla morte. Le azioni non sono cedibili, non sono cumulabili, non sono divisibili per nessuna ragione, chiunque cambi questo articolo, sarà processato per direttissima per alto tradimento verso lo stato, i cittadini e la patria.”

Ora ditemi, quale politico di quelli che conoscete, abbia un minimo di coraggio per promuovere una legge di questo tipo (neanche la riesce a pensare altro che sovranità del popolo).

Si badi bene che l’euro cosi come è concepito, può continuare il suo corso ed essere usato (per tutte le speculazioni che i lor signori vogliono fare, ma non andrà più ad intaccare l’economia umana (antropocrazia, G. Bellia) che sarà concepita con l’uomo al centro (sovranità umana) e non più con al centro il “libero mercato” (liberismo e capitalismo) almeno nel periodo di transizione. La “moneta sovrana” non essendo gravata da interesse sarà a favore della dignità umana, per l’economia sostenibile, per l’economia di tutti, per l’economia reale, per l’economia locale, l’economia del Km 0, l’economia vocazionale, l’economia dell’arte, l’economia della cultura, l’economia della istruzione e ricerca, l’economia del consumo intelligente, l’economia della riduzione del consumo (decrescita), l’economia dell’ idrogeno verde, l’economia dell’energia ecologica, l’economia del consumo critico ed intelligente, ecc. Tutte queste economie prevedono, una “progettualità”, una “strategia” e una “cultura” con al centro l’uomo (sovranità umana) che non ha niente a che vedere con la follia della rincorsa al PIL e il “neoliberismo” ( di cui si riempiono la bocca quei geronto-dinosauri sotto il profilo ideologico dei politici di destra di sinistra di centro di sopra e di sotto, di sindacati di sistema e Confindustria ecc). Ripetiamo che se non c’è un salto culturale serio ed impegnativo, sarà sempre e solo un cerotto contro il cancro.

Non basta fare questo per proteggere la sovranità monetaria bisogna subito agire sui meccanismoi di mercato che si occupano di moneta (borsa consob), con la moneta sovrana ( dei cittadini italiani) non si potrà più fare Forex, assolutamente vietato: "chiunque farà attività speculativa sul cambio con la moneta del popolo, sarà processato per direttissima per alto tradimento verso lo stato, i cittadini e la patria.” (basta con i Soros ed i Paulson)

Il cambio sarà concesso sotto stretto controllo statale per gli acquisti internazionali e su specifico acquisto di beni reali. Chiunque compri denaro solo per sottrarre liquidità nel tempo ai mercati, sarà processato per direttissima per alto tradimento verso lo stato, i cittadini e la patria.”

Il cambio avrà una tassa crescente in maniera logaritmica in base alla quantità al fine di scoraggiare la compera di grandi quantità di valuta, e comunque quantità di un certo valore saranno valutate dallo stato.

Già solo questo che ho scritto fin qui basta ed avanza per farmi dare del “completamente pazzo”, per uno che è cresciuto, si è istruito e si è laureato in economia e commercio in questo sistema. Ma questo non mi importa, mi interessa piuttosto far notare alle persone che mi seguono, che se si vuole, alla fine del tunnel c’è una luce, ma si dovrà avere il coraggio e soprattutto la perseveranza, senza farsi incantare da soluzioni palliative, di perseguirla senza voltarsi indietro mai per nessuna ragione.

Nono basta terzo punto congelamento, per un periodo di transizione, di tutti i debiti, pignoramenti, scoperti, fidi, derivati, prestiti, cessioni di credito (e schifezze simili di questo tipo) fatti con la moneta euro. Istituzione di una commissione di esperti, mista (dove ci sia anche il popolo) che ri-parametrizzi tutto a “livelli umani”, calcolo dell’anatocismo, verifica delle commissioni fuori costo, pareggio dei tassi di interesse attivi con il passivi (G. Marra) orientativamente al 2% (solo sull’euro perché la moneta sovrana “neolira” non avrà interessi) possibilità di rinegoziazione con la nuova moneta, restituzione solo del capitale senza interessi (giudici) ecc. Istituzione del reddito minimo universale di dignità.

Non basta quarto punto riqualificazione della legislazione (riduzione e semplificazione vera dell’impalco normativo a cominciare dalla legge elettorale (oltre a quelle qui accennate) per arrivare alla democrazia diretta (non rappresentativa) modello svizzero e della magistratura per renderla un sistema al servizio dell’uomo.

Subito una legge che metta al primo posto la dignità dell’uomo (sovranità umana) per esempio:

Articolo 1) In una controversia di carattere economico di qualunque natura, dove gli attori sono una o più persone umane in carne ed ossa ed un ente o persona giuridica, ed anche lo Stato stesso, la persona umana ha sempre e comunque la priorità sulla questione per diritto di valore della vita e dignità; chiunque cambi questo articolo, sarà processato per direttissima per alto tradimento verso lo stato, i cittadini e la patria.”

Ricordiamoci che il primo patrimonio dell’umanità è l’uomo stesso (come dice il mio caro amico prof Aleandro Volpi) e che paradossalmente ancora non è stato dichiarato tale.

Non basta quinto punto, piano di informazione, comunicazione e formazione (questa volta finanziato con la moneta sovrana) di una nuova cultura economica-umana (antropocrazia), di una psicologia del denaro che non sia più di denaro-dipendenza, una nuova “sociologia economica” che si trasformi in “fruizione” e non consumo, nuovi piani di ricerca, riforma dell’istruzione di ogni ordine e grado senza il vincolo del taglio. Piani di investimento per le arti di ogni cenere per l’elevazione dello spirito. Piani di finanziamento di ricerca intensiva per ogni settore soprattutto, nel risparmio energetico, nel consumo intelligente e nelle energie alternative e su come rendere indipendente energeticamente l’Italia. La conoscenza è l’unica arma che ci aiuta ad affrontare il futuro.

Non basta sesto punto progettazione di piani industriale per l’accorciamento delle filiere, per la riqualificazione del know How artigianale in Italia valorizzando se rimanete i distretti, per la riorganizzazione delle infrastrutture, per l’adeguamento o adattamento dei trasporti di ogni genere, riqualificazione delle reti di comunicazione che sono al collasso, riqualificazione geologica di tutto il territorio nazionale, ecc.

Ci vuole una nuova cultura economica per esempio:

Articolo1 I lavori dovranno essere commissionati solo a credito (con anticipo) e saldati il giorno della consegna. Il concetto del pagamento a 30/60/90/120/180 giorni deve sparire dal lessico comune e chiunque lo applichi o lo promuova sarà processato per direttissima per alto tradimento verso lo stato, i cittadini e la patria.”

Non basta settimo punto Tirare fuori le palle e cominciare a parlare alla (finta) Europa (leggasi: Germania Francia ed Inghilterra) , e all’America, che a Noi non ci interessa più giocare alla roulette del casinà BCE ossia al massacro degli interessi, quindi finche non si faranno le cose serie (per i cittadini europei sovrani) si ritengono sospesi i trattati di Maastricht di Lisbona, si esce dalla Nato ecc.

Non basta ottavo punto istituzione internazionale insieme a tutti gli altri stati che hanno scelto il ritorno alla sovranità monetaria (Islanda) di un tribunale speciale per alto tradimento al fine di processare….(questo ve lo risparmio e ve lo lascio solo immaginare)

Potrei aggiungere delle cose straovvie, che dicono sempre anche gli altri come: riduzione dei senatori, riduzione degli stipendi dei parlamentari, abolizione del finanziamento ai partiti ed ai giornale ecc ed invece vado giù duro; dico scioglimento della triplice sindacale, (per quello ch serve). Una rete nazionale della TV gestita interamente dai cittadini.

Questo solo per incominciare… in ogni caso…

epilogo

Fiumi di parole a cercare il senso del vero, ma ancora dentro un vecchia regia di ideali ormai incancreniti e fallimentari. Quando per dividere i popoli, si sono aumentate le sovrastrutture ideologiche ed intellettuali di fatto si sono abbandonati i principi di diritto fondamentale, quindi potrebbe risultare naturale disperdersi in variopinte e variegate interpretazioni di soluzione.

Le civiltà serene e normali si basano su poche regole chiare e semplici, più si aumentano le regole più si vuole dividere e soprattutto si cerca la classifica per realizzare indirettamente le odiose scale sociali (caste). La differenza in parole povere tra: “questo si può fare e questo non si può fare” valido per tutti, con: “questo tu non lo puoi fare” (ma lui si). Nell’ottica della rarefazione monetaria voluta dal meccanismo degli interessi ( che permette l’accesso al benessere) c’è tutta la strategia (miope) della gestione del potere di questi tempi.

Bisogna sotterrare l’ascia di guerra, incenerire ogni retaggio e retroterra culturale di colore politico e firmare con il sangue di non farne mai riferimento e ripartire a fondare una nuova politica che parta da tre fondamenti. 1) sovranità umana 2) sovranità popolare/politica 3) sovranità monetaria.

Il futuro c’è solo se lo vogliamo

Giuseppe Turrisi

albamediterranea

ABOLIRE IL DEBITO PUBBLICO VERSO LE BANCHE

BANCAROTTA DEGLI STATI O BANCAROTTA DEI LAVORATORI?
ABOLIRE IL DEBITO PUBBLICO VERSO LE BANCHE

Documento di Marco Ferrando, Partito Comunista dei Lavoratori
(8 Agosto 2011)


La questione del “debito pubblico” domina lo scenario internazionale ed europeo. Il clamoroso declassamento del debito americano, in queste ore, ne è una riprova.
I circoli dominanti e i loro partiti presentano il nodo del debito come “questione tecnica” inerente alla oggettività “naturale” delle “leggi economiche”. In realtà si tratta di una grande questione sociale e di classe che svela la totale irrazionalità del capitalismo e le dinamiche della sua crisi.
Vediamo meglio.


LE ORIGINI DEL DEBITO PUBBLICO NEGLI ANNI 80

L'esplosione del debito pubblico ha come sfondo l'esaurimento del boom economico postbellico. Lo sviluppo economico del dopoguerra, trascinato prima dalla ricostruzione , poi dalle spese militari della guerra fredda, aveva consentito- sia negli Usa ,sia in Europa- una progressiva riduzione del debito pubblico accumulatosi durante la guerra. L'esaurimento del boom all'inizio degli anni 70 ( con la crisi recessiva internazionale del 74-75) mutò radicalmente il quadro. Per contrastare la caduta del saggio di profitto, il governo americano e i governi europei inaugurarono una politica economica di riduzione progressiva delle tasse sulle voci del capitale: rendite, profitti, patrimoni. Fu l'epoca del Reaganismo e del Teacherismo. Ovunque le classi dirigenti furono alleviate degli oneri di “responsabilità sociale”. Ovunque le classi subalterne pagarono di tasca propria il beneficio dei possidenti, con una prima compressione delle protezioni sociali acquisite, in varie forme, nel ciclo precedente. Queste politiche capitaliste furono del tutto incapaci di rilanciare una vera crescita economica capitalista. Ma furono capaci di concorrere al dissesto dei bilanci pubblici, che non a caso videro dagli anni 80 una diffusa impennata del debito.

LE BANCHE INVESTONO NEL DEBITO PUBBLICO

Come finanziare l'erario pubblico, nel momento in cui si dispensavano sempre più i capitalisti dallo spiacevole onere di pagare le tasse? In parte, come s'è detto, aggravando la pressione( anche fiscale) sul lavoro dipendente. In parte- ecco il punto- indebitandosi sul mercato finanziario. Cioè mettendo in vendita titoli di Stato a un determinato tasso di interesse e relativamente appetibili ( anche per i benefici fiscali spesso concessi ai compratori). Chi erano i compratori dei titoli di Stato? Certo anche piccolo borghesi, pensionati, fasce di lavoratori, che ancora disponevano negli anni 80 e nei primissimi anni 90 di un qualche risparmio da investire. Ma i maggiori compratori divennero sempre più, a partire dalla metà degli anni 90, i cosiddetti “investitori istituzionali”: grandi banche ( private e pubbliche), compagnie di assicurazione, imprese industriali, cordate finanziarie. Dentro un mercato finanziario sempre più allargato su scala planetaria dal crollo del Muro di Berlino, dinamicizzato dalle nuove tecnologie informatiche, sospinto dal quadro di perdurante stagnazione economica produttiva. Proprio così: contrariamente al diffuso luogo comune riformista che dipinge il liberismo e la finanziarizzazione come progressiva emarginazione dello Stato dall'economia, fu proprio il mercato dei titoli di Stato a contribuire significativamente alla espansione del capitale finanziario negli ultimi 20 anni. E con esso del debito pubblico.

LO STATO PAGA I BANCHIERI

Debito di chi verso chi? Questo è il punto rimosso ( significativamente ) dal dibattito pubblico. Eppure è il punto decisivo. Se è vero come è vero che gli acquirenti dei titoli di Stato sono sempre più i grandi potentati industriali e finanziari, il pagamento del debito pubblico si riduce al pagamento degli interessi alle banche, alle assicurazioni, ai capitalisti. La crescita del debito pubblico è solo la crescita del versamento di denaro pubblico nelle tasche delle classi sociali dominanti. Che per di più sono quelle già sgravate progressivamente dal pagamento delle tasse e dunque responsabili del dissesto dei bilanci statali. E chi paga dunque il pagamento del debito pubblico? Naturalmente le classi subalterne, quelle già gravate dal grosso del carico fiscale, con un nuovo carico di sacrifici.

CRISI CAPITALISTICA E DEBITO SOVRANO. CRESCE LA RAPINA AL SERVIZIO DELLE BANCHE

Questo meccanismo infernale ha ricevuto una spinta ulteriore e abnorme proprio dalla grande crisi capitalistica internazionale iniziata nel 2007.
Cos'è successo? E' successo che la crisi di sovraproduzione mondiale e il crollo della piramide finanziaria hanno scosso alle fondamenta il sistema bancario internazionale, a partire dagli USA. Gli stessi Stati e governi che per anni avevano cantato ( ipocritamente) le lodi del liberismo quando dovevano giustificare tagli sociali alla povera gente, sono accorsi precipitosamente al capezzale delle banche versando loro una massa gigantesca di risorse pubbliche: pagate da un nuovo e più pesante attacco a sanità, pensioni, istruzione, lavoro, ma anche da una crescita enorme del debito pubblico. Cioè da un nuovo massiccio indebitamento dello Stato presso banchieri e capitalisti. E qui viene il bello: larga parte dei soldi regalati dallo Stato a capitalisti e banchieri sono stati da questi investiti non in produzione e lavoro ( data anche la crisi di sovraproduzione), ma nell'ennesimo acquisto di Titoli di Stato, cioè nel debito pubblico.
Ecco allora la contraddizione esplosiva: da un lato i bilanci pubblici sono sempre più dissestati dall'aiuto statale ai banchieri; dall'altro i banchieri, acquirenti dei titoli di Stato ( coi soldi regalati dallo Stato) pretendono da quest'ultimo assoluta certezza di pagamento degli interessi pattuiti. E dunque una politica di maggiore“rigore” della finanza pubblica. Ecco ciò che si chiama “ solvibilità dello stato”: l'affidabilità dello Stato nel pagamento dei banchieri. E come fa lo Stato a conquistarsi tale affidabilità? Approfondendo sempre più la rapina sociale commissionata dalle banche contro i lavoratori e la maggioranza della società. Una rapina che oggi conosce, in America come in Europa, una drammatica intensificazione. Sotto i governi di ogni colore. E con un'ampia corresponsabilità bipartisan.

DEBITO PUBBLICO E UNIONE EUROPEA

La crisi del debito sovrano investe in particolare l' Unione Europea. Perchè qui la crisi economica si somma con la crisi politica dell'Unione.

E' vero: il debito pubblico europeo è mediamente minore, non maggiore, di quello americano o giapponese. Ma a differenza degli Usa o del Giappone, che dispongono di un unità statale e di una Banca centrale di garanzia, la U.E. versa in una situazione esattamente opposta. E la contraddizione tra una “moneta unica” e l'assenza di un unico Stato genera un quadro caotico proprio sul terreno finanziario. Tanto più sullo sfondo di una divaricazione strutturale progressiva tra gli Stati capitalistici centrali dell'Unione ( in particolare la Germania) e gli Stati periferici mediterranei.

Il caso Grecia ha semplicemente fatto da detonatore di questa contraddizione esplosiva. Non solo ( e non tanto) per l'insolvibilità di fatto del debito greco presso le banche francesi e tedesche, grandi acquirenti dei titoli ellenici. Ma per l'assenza ,che quel caso ha evocato, di un meccanismo generale di garanzia dei titoli di Stato in Europa e dunque per le banche che li possiedono.

Il cosiddetto “ Fondo europeo salva stati” ( cioè salva banche) che formalmente è stato predisposto( dopo un estenuante contenzioso interno), non solo non ha risolto il problema, ma l'ha riproposto al massimo grado. Sia per i tempi lunghi della sua operatività, sia per l'esiguità dei fondi a disposizione, sia per la discrezionalità dell'eventuale intervento ( chi decide?), sia per il (parziale) coinvolgimento nel salvataggio delle stesse banche private acquirenti dei titoli. Ciò ha spinto e spinge una parte consistente di istituti finanziari internazionali ( anche europei) a disfarsi dei titoli di Stato europei, per ripiegare altrove. E questo fatto genera due fenomeni complementari. Da un lato un calo di valore dei titoli statali, e quindi del patrimonio delle banche che li possiedono, con una ricaduta restrittiva sul credito alla produzione; dall'altro una crescita dei loro “rendimenti”, cioè dei tassi d'interesse a cui sono venduti: perchè aumentando il rischio dell'insolvibilità del venditore ( lo Stato), il compratore ( la banca) pretende un maggiore guadagno.

CRESCITA DEI “RENDIMENTI” E PRATICA LEGALE DELL'USURA

Come si vede la pratica criminale dell'usura è moneta corrente delle relazioni economiche capitaliste. Non solo non è condannata dalla morale dominante, men che meno dalla legge, ma viene addirittura elevata a legge naturale dell'economia e dunque a ragione della rapina antipopolare. Quante volte sentiamo ripetere in Italia che il rialzo dei rendimenti dei “nostri” titoli di Stato costringe a un più virtuoso “rigore” ( contro i lavoratori)? Il fatto che magari il rialzo dei rendimenti sia dovuto a vendite massicce dei titoli italiani da parte della Deutsche Bank viene accuratamente rimosso. Meglio accusare ignoti e fantomatici “speculatori”, o l'impersonalità dei “mercati”, piuttosto che il cuore di quella fraterna Unione per cui si chiedono tanti sacrifici agli operai. Resta il fatto che in tutta Europa, il pagamento del debito alle banche strozzine è diventata la bandiera di una nuova mostruosa rapina. L'unica Unione che i capitalisti europei e i loro Stati hanno saputo realizzare è quella contro il proletariato continentale al servizio delle proprie banche.


DEBITO PUBBLICO E CAPITALISMO ITALIANO

La crisi finanziaria in Italia è figlia della crisi europea.

Certo, la questione del debito pubblico in Italia ha radici specifiche e lontane, connesse con la storia dell'unificazione nazionale, col particolare retaggio del parassitismo clientelar/burocratico della prima Repubblica, con i privilegi secolari del Vaticano in Italia (anche in fatto di esenzione fiscale), col carattere patologico dell'evasione fiscale delle classi proprietarie . Ma queste antiche radici - anch'esse peraltro legate alle caratteristiche strutturali del regime borghese, e alla sua particolare conformazione nazionale - non possono cancellare l'attuale natura prevalente del debito pubblico italiano: un debito sospinto e riprodotto negli ultimi 20 anni dalla dipendenza crescente dello Stato verso il capitale finanziario, interno e internazionale. Un debito dominato dalle banche.

La propaganda dominante che attribuisce il debito pubblico all'eccesso di concessioni ai lavoratori e agli strati popolari ( “siete vissuti al di sopra delle vostre possibilità”) non solo è totalmente falso ma capovolge esattamente i termini della questione. E' stata proprio la progressiva defiscalizzazione delle classi proprietarie, pagata dal peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, ad accompagnare strutturalmente la crescita del debito pubblico. Basta guardare l'evoluzione del regime fiscale in Italia negli ultimi 20 anni e la parallela redistribuzione della ricchezza a vantaggio di rendite, profitti, patrimoni. Detassazione delle classi proprietarie, aumento del prelievo fiscale sul lavoro dipendente, espansione della grande ricchezza immobiliare e finanziaria e sua concentrazione in poche mani: questi sono i dati che hanno accompagnato la crescita del debito pubblico. Perchè? Perchè il vuoto dei conti pubblici( nazionali e locali) aperto dalla detassazione del capitale è stato compensato dal ricorso sempre più largo dello Stato all'indebitamento verso le banche. Le quali, prima beneficiate dai tagli fiscali, poi beneficiate dal pagamento degli interessi sui titoli, hanno anche per questo allargato la propria presa sul grosso della società italiana e dei suoi gangli vitali, allargando il processo di accumulazione di ricchezza. La struttura “bancocentrica” del capitalismo italiano è oggi riconosciuta dalla stessa stampa borghese.

CHI POSSIEDE OGGI IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO? LE BANCHE

Chi possiede oggi il debito pubblico italiano? Per il 50% banche, imprese, e istituti finanziari stranieri. Per l'altra parte banche, imprese, e assicurazioni italiane. Fuori da questi pacchetti proprietari restano davvero pochi spiccioli. Basta questo dato, pubblicamente riconosciuto, per capire chi intasca ogni anno gli 80 miliardi di interessi versati dallo Stato italiano sui propri titoli. Anche in questo caso è la detassazione del capitale ad aver finanziato il debito pubblico persino in forma diretta: i guadagni ricavati dal capitale grazie alle mille regalie fiscali dei governi di centrosinistra e centrodestra ( basti pensare all'enorme riduzione della tassa sui profitti industriali e bancari- dal 34% al 27%- realizzata dall'ultimo governo Prodi) sono finiti in parte nell'acquisto di nuovi titoli statali, e dunque nell'accaparramento di nuove risorse pubbliche. Il beneficio di classe ha finanziato la rapina di classe.

E lo stesso è avvenuto a livello di amministrazioni locali. Dove il taglio massiccio di trasferimenti pubblici dello Stato, (connessi al processo del cosiddetto “federalismo”), e l'esenzione fiscale delle classi proprietarie ( v. per ultima l'esenzione dell'ICI per le stesse abitazioni di lusso da parte del governo Berlusconi), hanno spinto i governi locali all'indebitamento sul mercato finanziario: sino a determinare la somma complessiva di circa 70 miliardi di interessi annuali da versare alle banche. Una somma quasi pari a quella versata dallo Stato centrale. E pagata com'è noto, anche qui, dal taglio sistematico dei servizi ( scuola, asili, trasporti locali..) oltre che dall'aumento di rette,tasse, tariffe.

LE RAGIONI DELLA CRISI ATTUALE DEL DEBITO ITALIANO

Perchè oggi il debito sovrano italiano è entrato in crisi? Perchè i “nostri” titoli di Stato sono investiti dalla bufera finanziaria internazionale? Per un insieme di ragioni di fondo. Tutte riconducibili, in ultima analisi, alla presenza del terzo debito pubblico del mondo ( 120% del PIL). Ma non riducibili a questo solo dato.

Il nuovo patto di stabilità europeo concordato nel marzo 2011 prescrive per l'Italia non solo il pareggio di bilancio entro il 2014 ( oggi anticipato), ma l'abbattimento di 900 ( novecento) miliardi di debito pubblico nei prossimi 20 anni ai fini del raggiungimento del 60% del PIL: significa ogni anno un'operazione finanziaria di 50 miliardi al netto del pagamento degli interessi sul debito. Questa operazione enorme di macelleria è già di per un'impresa titanica. Ma tanto più lo è in un quadro di particolare stagnazione produttiva ( l'economia capitalistica italiana è la più stagnante delle grandi economie europee), e alla vigilia di un possibile terremoto politico istituzionale interno ( connesso alla crisi della seconda Repubblica).

A ciò si aggiunge un particolare decisivo: a differenza della Grecia, del Portogallo o dell'Irlanda, che contano dopo tutto una massa debitoria relativamente modesta, e sono quindi passibili di “aiuto”, l'Italia registra un debito pubblico enorme in cifra assoluta ( 1800 miliardi a fronte dei 350 della Grecia) e un suo salvataggio sarebbe economicamente improponibile. Ma al tempo stesso un default dell'Italia- cioè della settima economia capitalistica mondiale- trascinerebbe con sé il crollo dell'Unione e dell'Euro, con un effetto domino sul sistema bancario internazionale.
Tutto questo eleva enormemente il “rischio” dei titoli italiani sul mercato finanziario. E dunque la pretesa di un rendimento più alto da parte delle banche strozzine creditrici. Ciò che determina a sua volta un ulteriore aumento del debito e del relativo “rischio”. Questa è la spirale che sta avvolgendo l'economia italiana.

CRISI DEL DEBITO PUBBLICO E CRISI DEI TITOLI BANCARI

C'è di più. E' vero che le banche italiane sono state meno esposte di altre sul mercato mondiale dei titoli tossici, e non sono coinvolte direttamente in bolle immobiliari esplosive come quelle spagnole. Ma è vero anche che sono molto esposte sul versante dei titoli di Stato di cui sono grandi acquirenti. Questo significa che un calo di valore dei titoli italiani si traduce direttamente in un calo patrimoniale delle banche. Mentre la crescita dei rendimenti dei titoli di Stato costringe le banche, per ragioni di concorrenza, ad alzare i rendimenti delle proprie obbligazioni, fonte primaria del loro autofinanziamento: il che significa una loro maggiore spesa di interessi proprio nel momento del loro indebolimento patrimoniale. La conseguenza di tutto questo è molto semplice: la crisi del debito sovrano trascina con sé la crisi dei titoli bancari italiani ( non a caso i più penalizzati dalle Borse). E la crisi dei titoli bancari si traduce a sua volta in un indebolimento del capitalismo italiano e della credibilità finanziaria dei suoi titoli di Stato sul mercato internazionale.

L'UNITA' NAZIONALE A SOSTEGNO DELLE BANCHE E DELLA LORO RAPINA

Ecco dunque la risultante d'insieme: i titoli di Stato italiani tendono a valere sempre meno e dunque a costare sempre di più alle banche acquirenti. E le banche, interne ed estere, pretendono come garanzia del loro “rischio”, cioè della solvibilità dell'Italia, una politica di massacro sociale ancor più severa e convincente. Tutta la drammatica stretta sociale e finanziaria di queste settimane, ( prima una finanziaria di 40 miliardi, poi il suo raddoppio di fatto in 10 giorni, poi l'anticipo del pareggio di bilancio deciso su pressione della BCE in 24 ore, poi ancora l'annuncio di nuove misure di rapina contro lavoro e pensioni..) sono solo l'affannosa rincorsa del ricatto usuraio delle banche e dei loro portavoce istituzionali. Oltrechè un cedimento alle pressioni dirette della BCE e dei governi francese tedesco, le cui banche sono molto esposte sui titoli italiani.

Il fatto che su questo signorsì ai banchieri sia scattata una grande unità nazionale tra governo e opposizioni liberali, e persino tra industriali e burocrazia CGIL ( sino alla scena umiliante di una Camusso rappresentata dalla Marcegaglia al tavolo col governo), misura solamente la comune subordinazione di tutti gli attori in commedia allo spartito del capitalismo italiano ed europeo. Il che non elimina contraddizioni interne e neppure possibili rotture tattiche ( anche per via del nodo politico irrisolto di Berlusconi). Ma chiarisce in modo definitivo che il pagamento del debito pubblico ai banchieri è la bussola attorno a cui ruota tutto l'universo politico dominante. Al di là di ogni confine di schieramento.

ABOLIRE IL DEBITO VERSO LE BANCHE: L'UNICA ALTERNATIVA REALE

Proprio per questo è necessario e urgente contrapporre alla bussola dominante un'altra bussola. Quella di un piano anticapitalista per uscire dalla crisi, che risponda unicamente alle esigenze del lavoro, contro gli interessi di Confindustria e banche. Un piano che chiami alla mobilitazione di massa straordinaria la classe operaia, la giovane generazione, tutti i movimenti di lotta. Un piano che abbia una radicalità uguale e contraria a quella dei piani padronali. Un piano che proprio per questo parta dalla rivendicazione elementare e unificante imposta dalla crisi: l'abolizione del debito pubblico verso le banche, interne e internazionali, sia a livello statale, sia a livello delle amministrazioni locali. In altri termini, il rifiuto di pagare gli interessi sul debito agli strozzini.

Non c'è altra soluzione. I capitalisti, i loro partiti, i loro governi, vogliono costringere alla bancarotta i lavoratori e i servizi sociali, per cercare di evitare la bancarotta del proprio sistema di sfruttamento. I lavoratori possono e debbono rivendicare la bancarotta dello Stato ( cioè il rifiuto di pagare gli usurai), per tutelare la propria condizione sociale e i propri diritti più elementari. Nessuna difesa del lavoro, della sanità della scuola pubblica, della previdenza; a maggior ragione nessuna rinascita sociale dell'Italia saranno realisticamente possibili, senza troncare il nodo scorsoio del debito pubblico. Cioè la dipendenza dalle banche. Solo questa misura potrà liberare una massa enorme di risorse pubbliche da investire nei beni comuni e in un grande piano del lavoro.

“Ma come faranno le banche a sopravvivere sul mercato” di fronte all'insolvenza dello Stato? Risposta: le banche dovranno essere nazionalizzate, senza indennizzo, e sotto controllo dei lavoratori, proprio per sottrarle alla logica del mercato, per unificarle in un unica banca pubblica sotto controllo sociale, che provveda al sostegno dei lavoratori secondo l'interesse pubblico, non alla loro rapina secondo l'interesse privato.

Ma cosa ne sarebbe dei “piccoli risparmiatori”? I piccoli risparmiatori sarebbero integralmente salvaguardati dalla banca pubblica, proprio all'opposto di quanto avviene oggi: dove la speculazione dei banchieri spesso travolge in primo luogo proprio i piccoli risparmiatori, più volte oggetto di truffe criminali ( Parmalat, Cirio, bond argentini..) da parte dei grandi azionisti delle banche private.

“Ma l'annullamento del debito pubblico e la nazionalizzazione delle banche non sono possibili nell'Unione Europea”. Se è per questo nell'Unione Europea dei capitalisti e dei banchieri non è “possibile” nemmeno tutelare il lavoro, la previdenza pubblica, i diritti sociali, come mostra l'esperienza pratica di ogni Paese. La verità è che solo il rifiuto dell'Unione delle banche e delle sue leggi può liberare le classi lavoratrici dalla dittatura del capitale finanziario e aprire una prospettiva nuova. Il rifiuto del debito pubblico e la nazionalizzazione delle banche vanno esattamente in questa direzione: quella di un Europa dei lavoratori. Del resto: è un caso che questa rivendicazione cominci ad affiorare in settori d'avanguardia del movimento operaio europeo o nel movimento degli indignati spagnoli?


GOVERNINO I LAVORATORI, NON I BANCHIERI: IN ITALIA,IN EUROPA,NEL MONDO

Il punto decisivo è un altro. L' abolizione del debito pubblico verso le banche e la loro nazionalizzazione sono incompatibili con la struttura capitalistica della società , con la natura dei governi borghesi di ogni colore, con le loro istituzioni internazionali, con la stessa natura attuale dello Stato. Non possono essere realizzate per via di una semplice pressione di movimento sui partiti dominanti, tutti legati a doppio filo al mondo degli industriali e delle banche ( e spesso presenti non a caso sui loro libri paga). Possono essere realizzate sino in fondo solo da un governo dei lavoratori, che ponga i lavoratori al posto di comando: da un governo che rovesci l'attuale dittatura degli industriali e dei banchieri per rivoltare da cima a fondo l'intero ordine della società capitalista, e costruire una società socialista. Una società che possa realmente decidere il proprio destino, senza dipendere dal gioco d'azzardo delle Borse, dall'anarchia del mercato, dalla legge del profitto.

Il nuovo acutizzarsi della crisi capitalistica, nel mondo, in Europa, in Italia, ripropone questa prospettiva rivoluzionaria come unica possibile via d'uscita.

Costruire in ogni lotta parziale il senso di questa prospettiva generale è il lavoro del Partito Comunista dei Lavoratori.

MARCO FERRANDO

Cossiga: i politici sono marionette dei banchieri

I politici sono marionette nelle mani dei banchieri
da: Fotti il potere, di Andrea Cangini con Francesco Cossiga, Aliberti, 2010

Nella cosiddetta Prima repubblica, comunque, la politica non aveva ancora smarrito la propria autorità e il fatto che il motore dell'economia fosse l'industria, e che l'industria fosse in buona parte pubblica o comunque finanziata dallo Stato, consentiva un certo margine di autonomia rispetto a quelli che abitualmente vengono chiamati "poteri forti". Quella stagione è però terminata con le privatizzazioni e con le privatizzazioni è, guarda caso, terminata anche la Prima repubblica.
"Oggi" dice Cossiga, "l'industria è completamente nelle mani dellle banche e nonostante la recente crisi finanziaria globale le banche sono e resteranno i nuovi poteri forti. Ma la forza dell'economia è oggi enormemente superiore a prima. Per capirci, il rapporto tra l'allora presidente di Confindustria Angelo Costa e il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi non era un rappporto tra pari: Costa faceva anticamera come gli altri. Mentre oggi le anticamere più ambite sono quelle dei banchieri e i politici ne rappresentano i più assidui frequentatori. Questo accade per tante e piuttosto evidenti ragioni, non ultima il fatto che le banche controllano indirettamente anche tutti i principali giornali italiani, e i politici sono notoriamente attenti a quel che i giornali scrivono di loro... Detto questo, tra i leader politici di oggi c'è anche chi riesce a mantenere col potere finanziario un rapporto paritario fondato su reciproci favori".
E' qui che per la prima volta Cossiga finge un certo pudore. Si fa portare un bicchiere d'acqua, mi offre un caffè, sposta l'attenzione altrove. Poi, come nulla fosse, riprende il discorso esattamente da dove l'aveva lasciato.
"L'argomento un po' mi imbarazza" dice "perché il caso vuole che ai vertici di due dei tre più grandi gruppi bancari italiani siedano dei miei amici".
I tre più grandi gruppi bancari, ovvero : "Intesa-San Paolo, Unicredito e, anche se con loro non ho rapporti diretti, il Monte dei Paschi di Siena dopo che ha acquisito Antonveneta".
Anche Cossiga, dunque, frequenta i banchieri. Così fan tutti, tutti quelli che possono. E' pertanto difficile immaginare che un presidente del Consiglio italiano possa governare senza tener conto degli interessi delle banche, ancor più difficile, per non dire impossibile, che governi effettivamente contro di essi. La formula più ricercata è quella della tacita alleanza. Funziona piuttosto bene anche quella del finto conflitto.
"Comunque" riflette Cossiga, "certi rapporti per così dire privilegiati con i padroni del vapore esistevano anche in passato. Per esempio, è poco noto il fatto che nella Prima repubblica la Fiat godesse della protezione non solo della Democrazia cristiana, dunque del governo, ma anche del Partito comunista, che è stato sempre assai benevolo e comprensivo rispetto agli interessi della famiglia Agnelli".
Si immagina, per trarne un quache utile...
"Be', credo proprio che si sia trattato di un rapporto di interesse più che di una consonanza ideale... E l'interesse, come sempre, era reciproco. Non dimentichiamo che la Fiat poté aprire i propri stabilimenti in Unione Sovietica costruendo una vera e propria città e che quella città fu non a caso battezzata Togliattigrad: un gesto di pubblica riconoscennza per l'intercessione del Pci. E ci sarebbe anche da chiedersi se sia stato in virtù di questo storico rapporto che nessun magistrato della procura della repubblica di Torino si sia sentito in dovere di andare a vedere quale somma la Fiat avesse versato al Partito comunista per concludere quell'operazione...".
Lei ha mica idea dell'entità di quella somma ?
"Scherza ? Non s'è mai saputo: in questo i comunisti erano decisamente più accorti di noi democristiani...".

La più importante caratteristica delle banche: la creazione del credito

La più grande caratteristica delle banche: la creazione del credito
(Tratto da: New Paradigm in Macroeconomics, di Richard Werner*, edizioni PalgraveMacmillan, 2005; pp. 174-180)
http://www.scribd.com/doc/56112013/La-piu-grande-caratteristica-delle-banche-la-creazione-del-credito