Il bilancino del farmacista
http://goofynomics.blogspot.it/2013/08/il-bilancino-del-farmacista.html
Oh! Ora sì che possiamo tirare un sospiro di sollievo! Siamo finalmente arrivati alla fine della recessione. Chi ce lo dice? Saccomanni. Chi era costui? Un funzionario della Banca centrale indipendente prestato al Tesoro. Come dire che se la Banca è indipendente dal Tesoro, il Tesoro non lo è dalla Banca.
Ma non entriamo in questa dolorosa diatriba.
Perché, a volerla dire tutta, il problema più evidente è un altro: Saccomanni sta alla ripresa come l'oste sta al vino, e ci siamo capiti. Cosa volete che dica un povero governante!? Lui deve infondere ottimismo. Anche voi, ne sono sicuro, al posto suo mentireste. Magari, dopo due anni in mia compagnia, sapreste trovare motivazioni meno ridicole. Perché quelle del ministro lo sono abbastanza: la sua fiducia sarebbe alimentata dal fatto che nel secondo trimestre la decrescita dell'Italia è stata solo del -0.2%, anziché del -0.4% previsto "dagli economisti".
Accipicchia! Che risultatone!
Io veramente avevo letto nei flashfile dell'OCSE pubblicati ad aprile che nel secondo trimestre la decrescita sarebbe stata del -0.26%, non del -0.4%, il che significa che le previsioni dell'OCSE non erano (ad aprile) poi così distanti dalle stime preliminari dell'ISTAT (a luglio). Diciamo anzi che queste stime sostanziamente confermano il dato OCSE, e questa non è una bellissima notizia, perché in effetti ad aprile l'OCSE annunciava (ritualmente) la ripresa per l'anno prossimo.
Ma anche questa diatriba credo che possiamo abbandonarla, non in quanto dolorosa, ma in quanto futile.
Perché, vedete, io a voi non devo spiegarlo, e nemmeno a Saccomanni. Sia voi che lui lo sapete benissimo. Qui il problema è un altro, è completamente un altro, e lo abbiamo già visto. Le rigidità dell'euro, con la connessa austerità (chi non capisse perché l'euro impone l'austerità può rileggere questo), hanno trasformato uno shock esterno indubbiamente rilevante in una catastrofe di proporzioni inaudite, che si sarebbe potuto e dovuto gestire diversamente, e che ci ha riportato ai livelli di reddito di più di 15 anni or sono. Cerchiamo allora di capirci su quale sia il problema. Ve lo illustro con un disegnino a colori, volete?
Allora: la variabile rappresentata è il reddito pro capite in termini reali (cioè in effettivo potere d'acquisto). La linea blu continua riporta quello che è successo finora (vedete i due balzi versi il basso), quella tratteggiata riporta le previsioni del Fondo Monetario Internazionale emesse ad aprile (ripresina nel 2014).
Poi ci sono altre due linee.
Quella verde fa vedere dove saremmo oggi se a partire dal 2007 avessimo continuato a crescere al tasso medio registrato fra il 1999 e il 2007 stesso, cioè nell'età dell'euro, tasso pari all'1.1%. Se la crescita fosse rimasta su questo standard (un tasso non sfolgorante, pari a quasi la metà di quanto si era avuto dal 1980 al 1998, per capirci), oggi avremmo comunque un reddito pro capite di quasi 27000 euro, anziché di 22450 (come nel 1998).
Non male, eh? Perché se si parla di quello che si è perso, forse bisogna anche contare quello che si sarebbe potuto guadagnare non abbandonando la vecchia strada per la nuova (e fatemi fare un po' di moralismo pure a me, dai!...).
E la linea rossa? Be', quella, è evidente, esprime uno scenario ipotetico nel quale noi riusciamo nei cinque anni dal 2013 al 2018 a recuperare tutto il tempo perduto, riportandoci sul sentiero tendenziale pre-crisi (cioè sulla retta verde). E sapete a quale tasso dovrebbe crescere l'economia italiana per realizzare questo risultato? Ve lo dico io: al 3.6%. Come dire: è impossibile. Un altro dato: se cominciassimo a crescere al 2% fisso in termini reali dall'anno prossimo, ci vorrebbero diciassette anni per recuperare i diciotto anni buttati (cioè a ritornare sulla linea verde). Ma anche una crescita simile, dentro l'euro, è impossibile.
Questi sono gli ordini di grandezza che sarebbero risolutivi: il 4%, il 2%. Questo, almeno, se per "fine della recessione" intendiamo il recupero, sia pure graduale, sia pure in tempi lunghi, del nostro tenore di vita relativo.
Ma Saccomanni gioca con lo 0.2%, e ci parla di una fine della recessione che nelle sue parole sembra una marcia trionfale, ma che in realtà è lo smarrito girovagare di superstiti fra le macerie di un bombardamento.
Così è se vi pare, e, naturalmente, anche se non vi pare.
(scusate, lavoro come una bestia, non vi sentiate trascurati: sto facendo quello che c'è da fare per togliersi di torno queste persone che pesano i decimali sul bilancino del farmacista mentre la gente si annienta dalla disperazione. Ne parleremo presto. Non siamo i soli a desiderare che le cose cambino. E cambieranno.)
Ma non entriamo in questa dolorosa diatriba.
Perché, a volerla dire tutta, il problema più evidente è un altro: Saccomanni sta alla ripresa come l'oste sta al vino, e ci siamo capiti. Cosa volete che dica un povero governante!? Lui deve infondere ottimismo. Anche voi, ne sono sicuro, al posto suo mentireste. Magari, dopo due anni in mia compagnia, sapreste trovare motivazioni meno ridicole. Perché quelle del ministro lo sono abbastanza: la sua fiducia sarebbe alimentata dal fatto che nel secondo trimestre la decrescita dell'Italia è stata solo del -0.2%, anziché del -0.4% previsto "dagli economisti".
Accipicchia! Che risultatone!
Io veramente avevo letto nei flashfile dell'OCSE pubblicati ad aprile che nel secondo trimestre la decrescita sarebbe stata del -0.26%, non del -0.4%, il che significa che le previsioni dell'OCSE non erano (ad aprile) poi così distanti dalle stime preliminari dell'ISTAT (a luglio). Diciamo anzi che queste stime sostanziamente confermano il dato OCSE, e questa non è una bellissima notizia, perché in effetti ad aprile l'OCSE annunciava (ritualmente) la ripresa per l'anno prossimo.
Ma anche questa diatriba credo che possiamo abbandonarla, non in quanto dolorosa, ma in quanto futile.
Perché, vedete, io a voi non devo spiegarlo, e nemmeno a Saccomanni. Sia voi che lui lo sapete benissimo. Qui il problema è un altro, è completamente un altro, e lo abbiamo già visto. Le rigidità dell'euro, con la connessa austerità (chi non capisse perché l'euro impone l'austerità può rileggere questo), hanno trasformato uno shock esterno indubbiamente rilevante in una catastrofe di proporzioni inaudite, che si sarebbe potuto e dovuto gestire diversamente, e che ci ha riportato ai livelli di reddito di più di 15 anni or sono. Cerchiamo allora di capirci su quale sia il problema. Ve lo illustro con un disegnino a colori, volete?
Allora: la variabile rappresentata è il reddito pro capite in termini reali (cioè in effettivo potere d'acquisto). La linea blu continua riporta quello che è successo finora (vedete i due balzi versi il basso), quella tratteggiata riporta le previsioni del Fondo Monetario Internazionale emesse ad aprile (ripresina nel 2014).
Poi ci sono altre due linee.
Quella verde fa vedere dove saremmo oggi se a partire dal 2007 avessimo continuato a crescere al tasso medio registrato fra il 1999 e il 2007 stesso, cioè nell'età dell'euro, tasso pari all'1.1%. Se la crescita fosse rimasta su questo standard (un tasso non sfolgorante, pari a quasi la metà di quanto si era avuto dal 1980 al 1998, per capirci), oggi avremmo comunque un reddito pro capite di quasi 27000 euro, anziché di 22450 (come nel 1998).
Non male, eh? Perché se si parla di quello che si è perso, forse bisogna anche contare quello che si sarebbe potuto guadagnare non abbandonando la vecchia strada per la nuova (e fatemi fare un po' di moralismo pure a me, dai!...).
E la linea rossa? Be', quella, è evidente, esprime uno scenario ipotetico nel quale noi riusciamo nei cinque anni dal 2013 al 2018 a recuperare tutto il tempo perduto, riportandoci sul sentiero tendenziale pre-crisi (cioè sulla retta verde). E sapete a quale tasso dovrebbe crescere l'economia italiana per realizzare questo risultato? Ve lo dico io: al 3.6%. Come dire: è impossibile. Un altro dato: se cominciassimo a crescere al 2% fisso in termini reali dall'anno prossimo, ci vorrebbero diciassette anni per recuperare i diciotto anni buttati (cioè a ritornare sulla linea verde). Ma anche una crescita simile, dentro l'euro, è impossibile.
Questi sono gli ordini di grandezza che sarebbero risolutivi: il 4%, il 2%. Questo, almeno, se per "fine della recessione" intendiamo il recupero, sia pure graduale, sia pure in tempi lunghi, del nostro tenore di vita relativo.
Ma Saccomanni gioca con lo 0.2%, e ci parla di una fine della recessione che nelle sue parole sembra una marcia trionfale, ma che in realtà è lo smarrito girovagare di superstiti fra le macerie di un bombardamento.
Così è se vi pare, e, naturalmente, anche se non vi pare.
(scusate, lavoro come una bestia, non vi sentiate trascurati: sto facendo quello che c'è da fare per togliersi di torno queste persone che pesano i decimali sul bilancino del farmacista mentre la gente si annienta dalla disperazione. Ne parleremo presto. Non siamo i soli a desiderare che le cose cambino. E cambieranno.)