Fuga dal cimitEuro
di Marco Della Luna - 10/10/2011Fonte: Marco della Luna blog
Riusciranno gli italiani a fuggire dal cimit€uro in cui li stanno deportando le illuminate Autorità Monetarie Europee? Questo scritto delinea un piano pro-popolo per il dopo-collasso, basato sull’auto-organizzazione dei cittadini e dei comuni. In questo si differenzia dai piani anticrisi correnti, che invece intendono prevenire il collasso e si basano sul presupposto che la classe politica abbia la volontà e la capacità di agire per l’interesse collettivo e non solo in una logica di casta. Se ciò non avverrà – e in Italia per ora non sta avvenendo e non è mai avvenuto, perché la casta ha interessi strutturalmente opposti alla collettività – la crisi si aggraverà e il paese andrà in default, uscirà dall’Euro, e collasserà disastrosamente. Finirà al cimit€uro e dovrà ricostruirsi, in un contesto globale di recessione. La gente dovrà lottare con condizioni esistenziali molto difficili. E in questa prospettiva di collasso praticamente inevitabile, è preferibile lasciare le risorse in mano ai cittadini, per fronteggiare l’emergenza, piuttosto che affidarne ancora di più alla gestione dei politici e delle banche. Quindi non stiamo a pensare ad ulteriori tasse e trasferimenti dalla popolazione civile a chi l’ha ridotta in questa sitazione. Ho abbozzato il piano qui esposto per la preparazione a una tale evenienza. Non che io mi opponga di principio ai piani di risanamento – anzi, ho avanzato anch’io diverse proposte, e sostengo quelle altrui che trovo sensate. Ma, realisticamente, non credo abbiano molte chances, amenoché si tolga di mezzo la casta. Infatti, anche il piano Monorchio-Salerno Aletta si è molto impegnato in tal senso, introducendo accorgimenti “tagliacasta”, per usare un loro neologismo. Un sistema-paese con un basso capitale organizzativo e una bassa produttività ha bisogno di ricorrere alla svalutazione competitiva per mantenersi economicamente vitale. Era così che il sistema-paese italiano funzionava. Si credeva o si dava da credere che, imponendole vincoli di bilancio e impedendole di fare svalutazione competitiva e di sussidiare le imprese pubbliche e private, la inetta e corrotta dirigenza italiana sarebbe forzatamente, e per mancanza di scappatoie, divenuta virtuosa e l’Italia si sarebbe europeizzata. Non è andata così. La spesa-furto e la spesa-spreco, che peraltro convergono, sono continuate e cresciute, perché sono quelle che mantengono e arricchiscono la partitocrazia anche se amministra male. La partitocrazia ha per contro tagliato le spese che le rendono meno, ossia quelle per infrastrutture, ricerca, capitale umano, e ha aumentato quelle che le rendono di più, accrescendo costantemente la pressione fiscale. Il paese ha così perso competitività, industrie, posti di lavoro, ed è in recessione strutturale. Sta meno in Europa oggi di quando ci entrò. Le prospettive sono di peggioramento. A restare nell’Euro non ce la si può fare. Il paese, col suo sottostante di casta o partitocrazia trasversalmente ladra e incapace, procede nello sfacelo verso il collasso. Non vi sono più iniziative e progetti costruttivi, ma solo azioni di tutela di posizioni partigiane. Nessuno più investe sul futuro. Nessuno ci crede, in fondo. Il recente, triplo downrating con outlook negativo riguarda il debito a medio e lungo termine. Ossia prevede – semplicemente – che continuerà a mancare ogni capacità di correzione, riforma e rilancio, come manca da vent’anni. E che di qui a tre o cinque anni le cose, dunque, saranno peggiorate, ammesso che il sistema non crolli prima. Crisi di governo o dimissioni di questo o di quello non varrebbero a niente perché non cambierebbero niente perché non è disponibile una dirigenza di qualità diversa da quelle che hanno già rubato e disastrato. Non si è mai potuta formare e non si formerà in un anno e nemmeno in cinque. Salvo miracoli, il paese andrà presto in default o direttamente fuori dall’Euro o in un Euro “b” con altri Pigs (Pigs, non Piigs, perché l’Irlanda si salva con un suo piano sottaciuto dai mass media). Ciò è inevitabile. Non può essere cambiato. Ciò che può essere cambiato, invece, è come il paese e la gente arriveranno a quel passaggio e come lo attraverseranno, con che risorse e che attrezzatura. E se saranno organizzati per affrontarlo, oppure no. Col pretesto di prevenire il collasso, i progetti pro-casta vorrebbero raschiare il raschiabile con le tasse, patrimoniali e non, come se coloro che hanno creato un buco di 1.900 miliardi nonostante le tasse al 49% lo ridurrebbero se gli dessimo altre tasse. Mentre è chiaro che quanto peggio vanno le cose, tanto meno dei soldi che paghiamo in tasse viene usato per l’interesse collettivo. Altri vorrebbero cedere il cedibile al capitale tedesco in cambio di restare nell’Euro e godere ancora dei “benefici” di tale posizione, seppur pagandoli a caro prezzo, ossia con ciò che ci resta, e che verrebbe comprato con denaro contabile prodotto a costo zero da finanzieri privati, soci dei soci della BCE. Tali proposte pseudo-ingenue evitano di considerare le cause dell’enorme debito pubblico e del pari deficit infrastrutturale, ossia che la partitocrazia, tutta, è ladra e incompetente, e che, ciononostante, la popolazione la conferma al potere: è questa la radice del male italiano. Se teniamo conto delle cause, riscontrabili nell’evidenza empirica di come potere e risorse pubbliche sono stati gestiti, è ovvio che non faremo progetti presupponenti una dirigenza nazionale onesta e capace. Se l’azienda cooperativa sta per fallire perché i gestori l’hanno derubata e sgovernata, non penseremo certo di salvarla costringendo i soci ad affidare a quei medesimi gestori i loro risparmi per risanarla. Fossimo matti! Per il caso che non si riesca presto a istituire un tagliacasta reale e realmente efficace, dovremo al contrario fare progetti che considerino che alla società civile dalla politica, dallo stato, non verrà aiuto o buona amministrazione, ma sforzo per sottrarre al paese, alla società civile, ciò che al paese può ancora essere tolto. Dovremo progettare di difenderci dalla partitocrazia e dai suoi strumenti, le istituzioni che essa controlla, consapevoli che quanto più grave si fa la situazione, tanto più irresponsabile, distruttiva, stile mordi-e-fuggi, sarà la sua gestione del potere. E dovremo accettare la probabilità che la gente, le persone concrete, presto dovranno affrontare prove durissime. Quindi ci impegneremo affinché la partitocrazia non metta le mani su altri beni e soldi pubblici o privati, e affinché non li possa vendere, impoverendo il paese nel mangiarci sopra. Ci chiederemo inoltre come e chi possa aiutare la gente ad attrezzarsi per tali prove La pubblica amministrazione, in frangenti come l’attuale, dovrebbe innanzitutto elaborare ed attuare piani per garantire alla gente il necessario per sopravvivere a livello familiare e di comunità locali, prevenendo lo sviluppo di un mercato nero. Bisogna, e si può, prevedere quali beni essenziali scarseggerebbero per primi. E’ folle e scellerato che non si facciano queste semplici cose. Che si vada versa l’emergenza senza un piano per sopravvivere ad essa. Attrezzarsi significa assicurarsi, o dotarsi dell’indispensabile: cibo, acqua, vestiario, energia riscaldamento, medicine, trasporti, poste, scuola, sicurezza dai malfattori. Significa organizzarsi per l’eventualità che vengano meno le importazioni e la distribuzione dei beni primari. Significa farsi autosufficienti localmente nell’essenziale, compresa la sicurezza. Non è ovviamente certo che tali scenari di emergenza si avverino, ma è ragionevolmente probabile; sicché è ragionevole prepararsi. Province, regioni, e soprattutto i comuni, i quali sono in diretto rapporto con la gente e sono più dissociabili dalla politica nazionale, dovrebbero studiare piani per assicurare queste cose fondamentali ai loro cittadini, e ancor prima dovrebbero preavvisarli. Dovrebbero fare scorte e collocarle in depositi comunali. Dovrebbero distribuire pannelli solari e altri dispositivi per generare elettricità localmente. Dovrebbero promuovere consorzi di produzione e consumo locali utilizzanti monete alternative locali (come già da secoli ne esistono nel mondo), e fare in modo che queste abbiano una filiera completa in cui circolare. Dovrebbero massimizzare il potenziale produttivo agroalimentare del territorio, sospendere per stato di necessità le quote latte, agrumi etc., convertire colture foraggere ad alimentazione umana, e riaprire i depositi annonari. E istituire depositi di combustibili e carburanti. E di pezzi di ricambio, senza di cui l’agricoltura si ferma. E guardie popolari per proteggerli. Per far tutto ciò, i comuni si coordinino a livello di ANCI. Le monete alternative di emergenza, o Notgelder, si sono dimostrate utilissime per superare tempi di rarefazione monetaria come i presenti e come, ancor più, i tempi prevedibili. Pensiamo a una fase di passaggio in cui non ci sia più disponibilità di Euro e non ci sia ancora una nuova, credibile vecchia lira o altra valuta funzionante. O in cui il sistema bancario collassi e non ci sia più credito o pagamento. O in cui lo stato unitario si sciolga in unità nazionali più omogenee e funzionali, in un Nord, un Sud, e forse anche un Centro. O in una rivoluzione combattuta, con uno o più fronti interni. O in cui il peggio sia evitato da un duro commissariamento-protettorato UE-BCE-FMI, con depressione di imprevedibile durata (e quest’ultimo è lo scenario più probabile, perché la crescente percezione dello strutturale conflitto di interesse tra partiti e popolazione, e dell’assenza di una rappresentanza democratica, ha oramai creato un’instabilità colmabile o da una presa in carico europea dello stato italiano, se si esclude una improbabile rivoluzione, con o senza secessione). La moneta alternativa locale sostiene l’economia locale e gli investimenti delle comunità. Inoltre rende le comunità locali ampiamente autosufficienti, non ricattabili e depredabili, con mezzi finanziari, del loro lavoro, del loro prodotto, dei loro cespiti. Per tali ragioni, essa è stata storicamente avversata dal sistema bancario-creditizio, che tende a rendere la società dipendente da se stesso. Esempio di tali monete è lo svizzero Wir, che ha persino un sistema bancario proprio. In Italia già abbiamo, in fase embrionale, alcune monete complementari, come lo Scec, il Toc, i Dané; però ancora non c’è la spinta ad usarle, che può venire solo dall’emergenza. Inoltre, per sopperire al degrado e definanziamento del servizio sanitario nazionale, e alla necessità di pagare sempre più tickets e prestazioni in privato, è opportuno attivare l’istituto giuridico delle Società di Mutuo Soccorso, introdotto con una legge del 1886, e che consente di fornire il massimo delle prestazioni col minimo dei costi, nonché di scegliere dove curarsi. Almeno una società di tale tipo è già stata costituita e opera con grande successo; infatti offre assistenza diretta, con diaria e pensioni di invalidità, per somme pari a una frazione delle corrispondenti polizze assicurative. Inoltre copre fino a 75 anni e chi aderisce, divenendo socio, non può essere escluso in caso di sinistro. Considerato che la sanità è l’80% della spesa pubblica regionale, le società di mutuo soccorso sono una possibile via di salvezza per mantenere o recuperare un discreto livello di assistenza nonostante il dissesto delle finanze pubbliche. Ognuno vada quindi alla sua amministrazione comunale e scriva all’ANCI, e le solleciti a preparare piani pratici per gli scenari post-collasso, di sopravvivenza e ordine pubblico, autodifesa, inclusa la partecipazione a monete locali popolari e a società di mutuo soccorso. L’autodifesa locale non va tralasciata, perché non si può escludere che, in uno scenario di scarsità di beni e di latitanza delle forze dell’ordine, soprattutto in certe aree del paese si costituiscano bande di razziatori, di sciacallaggio, di pretese esattoriali da parte di frazioni della partitocrazia esasperata, data l’alta presenza di criminalità organizzata, legata alla politica, e di gruppi criminali di determinate etnie di immigrati, che approfitterebbero dello scompiglio generale. Non sappiamo come si comporteranno i vari reparti dei corpi armati dello stato, né quelli delle 136 basi USA e NATO, ma è da attendersi che il potere costituito cercherà di assicurarsi introiti con ogni mezzo e senza alcun riguardo per la popolazione. L’aspettativa buona, in questo scenario, è che il sistema di potere attuale crolli per mancanza dei suoi mezzi di auto-perpetuazione mediante acquisizione del consenso clientelare, e che si possa costruire un ordinamento diverso, più razionale e lungimirante, più vitale. Perché un sistema paese efficiente potrà sorgere solo da un crollo abbastanza radicale da porre veramente fine al meccanismo sociologico per il quale la partitocrazia incapace e ladra viene confermata e obbedita dalla popolazione nonostante che questa da anni veda che essa la sta portando al disastro. Il crollo deve riuscire, quindi, ad azzerare le strutture mediante cui quella partitocrazia governa e si procura consenso e compliance sociale, e insieme a disciogliere la inveterata mentalità e gli schemi finora vigenti degli italiani in materia di rapporto con la politica. Ancora non siamo a questo punto, e molti validi esperti, assai più fiduciosi di me, si stanno spendendo per portare avanti piani miranti ad uscire dalla crisi senza sbattere contro il fondo, ma il processo di sfaldamento delle istituzioni e di collasso funzionale della pubblica amministrazione, di crescita dei disservizi nonché di delegittimazione radicale della classe politica, sta accelerando in tutti i comparti, dalla sanità alla scuola, dalla polizia alla tutela del territorio, per non parlare dei lavori pubblici. In questa accelerazione è sospinto dagli eventi internazionali e aiutato dai colpi di gnocca al cervello di qualcuno, e dai colpi di coca al cervello di molti altri. Se i progetti di risanamento non partono e non hanno successo entro l’inverno prossimo, allora nel 2012 secondo me, ed entro il 2014 secondo altri, il quadro dovrebbe saltare. Nel frattempo, sarebbe bene impedire che la partitocrazia si prenda sia le risorse pubbliche che quelle private, perché le userebbe solo per protrarre di qualche altro mese il suo dominio, ai danni della gente e trasferirne quanto possibile in paradisi fiscali. Meno soldi avrà da spendere, prima dovrà cedere, e più ne rimarranno nelle tasche dei cittadini per affrontare l’emergenza. Occorre quindi lanciare raccolte di firme tra i cittadini, per dichiarare che il popolo sovrano non riconosce e non riconoscerà mai le cessioni, avvenute o a venire, agli stranieri di assets strategici italiani, includendo banche, energia, informazioni, alimentazione, trasporti, sanità, acqua e materie prime. E che riterrà personalmente e illimitatamente responsabili tutti coloro che vi parteciperanno. Parallelamente, gruppi di imprenditori, tecnici, professionisti, investitori si potranno organizzare per trattare con le autorità centrali e locali di paesi più efficienti e con un migliore trend allo scopo di ottenere condizioni favorevoli, in termini di sgravi, di sovvenzioni, di servizi, per trasferirsi e impiantarsi colà, aprendosi a una nuova vita.. |