Un processo e domande scomode
Al
processo di Trani contro le agenzie di rating accusate di manipolazione
del mercato per i declassamenti del nostro debito pubblico avvenuti nel
2010 e nel 2011 il governo italiano non si è costituito parte civile,
sollevando pesanti critiche della destra. Critiche, riteniamo, non
proprio campate in aria.
In un suo recente parere
l’Avvocatura dello Stato ha affermato: «La costituzione di parte civile
risulta opportuna qualora vengano in rilievo interessi pubblici,
patrimoniali e non patrimoniali, di rilevanza talmente elevata da
postulare come necessario l’affiancamento del pubblico ministero nel
processo penale». E in questo caso gli interessi patrimoniali dello
Stato non si possono certo definire irrilevanti, a cominciare
dall’aggravio della spesa per interessi che quelle decisioni hanno
causato.
La pubblica accusa ha sottolineato
che dopo il declassamento da parte di Standard & Poor’s da A a BBB+
del debito italiano, il governo di Mario Monti dovette pagare in base a
una clausola del contratto di finanziamento ben 2,5 miliardi di euro
alla Morgan Stanley. Banca d’affari americana che è fra gli azionisti di
Mc Graw Hill, proprietario della medesima agenzia di rating.
Andrebbe però pure ricordato che
all’epoca dei fatti nessun leader politico di spicco prese la faccenda
sul serio: né a destra, né a sinistra. D avanti al fatto che a indagare
fosse un pubblico ministero, Michele Ruggiero, di una procura di
periferia come quella di Trani, facevano tutti spallucce. Tutti, tranne
il deputato del Pd Francesco Boccia, pugliese, che invocò invano la
costituzione di un’agenzia di rating europea per liberarsi dal giogo
delle società americane, e tranne il suo collega del Pdl Francesco Paolo
Sisto, pugliese anch’egli, che capitanò un manipolo di onorevoli del
centrodestra pronti a costituirsi loro parte civile.
Fecero spallucce anche uffici giudiziari
ben più blasonati. L’inchiesta, come spesso accade in Italia, partì da
un esposto presentato da alcune associazioni dei consumatori nel quale
si sosteneva che i declassamenti del debito italiano erano funzionali a
un’enorme speculazione ai nostri danni orchestrata dai colossi
finanziari in combutta con le agenzie di rating. La denuncia era stata
recapitata a una decina di procure della Repubblica, da Roma a Milano,
ma soltanto quella di Trani la prese in considerazione. Beccandosi anche
in seguito gli sfottò di influenti magistrati che l’accusavano neanche
troppo velatamente di protagonismo. Convinti com’erano, evidentemente,
che tutto sarebbe a finito in una bolla di sapone. Si sbagliavano di
grosso: l’inchiesta è sfociata nel rinvio a giudizio di due analisti di
Fitch e di sei esperti di Standard & Poor’s. Siamo dunque nuovamente
alla decisione del governo di non costituirsi parte civile. Su quella
storia si possono avere opinioni politiche diverse. Anche ritenere il
procedimento infondato. Magari tutto si concluderà con un’assoluzione e
gli imputati ne usciranno immacolati. Glielo auguriamo di cuore. Ma si
dà il caso che ci sia un processo in corso nel quale gli interessi dello
Stato non sono affatto trascurabili.
Indipendentemente dal dibattimento e
dai suoi esiti, qui si pone tuttavia un’altra serie di problemi. Che le
valutazioni delle agenzie di rating siano talvolta basate su stime così
datate nel tempo da risultare poco aderenti alla realtà del momento in
cui avviene il declassamento, è stato oggetto di ampia discussione. Come
è conclamato che in capo a quelle società s’intreccino conflitti
d’interessi mai risolti, capaci di gettare ombre sulle decisioni.
Basterebbe rammentare le figuracce rimediate nei casi Enron e Parmalat.
Elementi di cui tutti i governi sono sempre stati a conoscenza, e che
avrebbero dovuto consigliare in questo frangente maggiore prudenza e
minore indifferenza.
Il fatto è che l’inchiesta di Trani
dovrebbe spingere a fare finalmente luce su quelle vicende del
2010-2011 anche i loro protagonisti. Per sgombrare il campo, se non
altro, dai sospetti sorti in questi anni alimentando l’idea che la
finanza sia diventata soltanto un gioco di biechi complotti.
Alcuni sospetti certamente risibili, come il fatto che il declassamento fosse parte di un disegno planetario ordito per far cadere il governo di Silvio Berlusconi e sostituirlo con un esecutivo prono ai diktat di Berlino e agli interessi degli speculatori mondiali.
Alcuni sospetti certamente risibili, come il fatto che il declassamento fosse parte di un disegno planetario ordito per far cadere il governo di Silvio Berlusconi e sostituirlo con un esecutivo prono ai diktat di Berlino e agli interessi degli speculatori mondiali.