Il signoraggio e la proprietà popolare della moneta sono ormai argomenti trattati in molti convegni, dove non può omettersi il rinvio all’opera e alla testimonianza dell’insegnamento auritiano, sviluppatesi in sede accademica e sul piano dell’esperienza vissuta con il famoso esperimento dei Simec, cui si coniuga il percorso repressivo subito dal prof. Auriti con la lotta al sistema bancario nel suo complesso.
Molti, da quel momento, si sono interessati alla materia ed hanno sviluppato iniziative e varianti applicative o meramente teoriche, più o meno conformi all’idea originaria, fornendo, in ogni caso, un contributo alla divulgazione della proprietà popolare della moneta e della persona del prof. Auriti. Da ultimo va ricordata l’apprezzabile – anche se, per vero, doverosa – intitolazione all’insigne giurista del largo antistante l’abitazione della Famiglia Auriti, in Guardiagrele (Ch).
Il tributo formale, tuttavia, deve coniugarsi a quello sostanziale, non basta la strada, occorre la scelta di campo: si è o non si è per la proprietà popolare della moneta? Altrimenti le iniziative diventano esperienze di facciata, come una casa che ha solo il muro frontale, ma non si sviluppa sui quattro lati e non erige alcun piano nella parte retrostante. La risultante è il mostrarsi fine a se stesso, senza riservare alcuna importanza al contenuto.
In altri termini, il rischio – da eliminare sin da subito – è quello di utilizzare la figura e le teorie del prof. Auriti per iniziative che nulla hanno a che fare con le sue idee e che addirittura si collocano in contrasto con la sua scuola giuridica.
A cinque anni dalla sua prematura scomparsa, pare di sentirlo come si sarebbe espresso oggi dinanzi al crack delle borse e alle paure dei governi: «Ma quale aumento delle tasse e riduzione delle spese. Qui ci vuole la proprietà popolare della moneta.»
In questo momento di crisi mondiale, l’unica possibilità per uscirne, evitando che il perverso meccanismo dell’emissione monetaria, della paura per l’aumento del debito pubblico (inesistente) e della sempre maggiore pressione fiscale (oggi riconducibile alla restituzione del debito contratto con le banche centrali) abbiano il sopravvento, comportando unicamente un esponenziale arricchimento del sistema delle banche centrali e della grande finanza, è, infatti, l’introduzione della proprietà popolare della moneta. Con l’applicazione del più semplice ed elementare principio di diritto, quello di riconoscere alla collettività la proprietà della moneta in circolazione, si eliminerebbero tutte le drammatiche problematiche che attanagliano gli stati di mezzo mondo e sconvolgono i governi asserviti al potere bancario e alla grande usura delle banche centrali.
Ed allora ben vangano convegni sul signoraggio, intitoliamo strade al prof. Auriti, ma non eludiamo il legame indissolubile e sacro che vi è tra l’Uomo Auriti e la proprietà popolare, non cerchiamo, in altri termini, di introdurre discorsi che addirittura lo contraddicono o si pongono in chiara contrapposizione con i suoi principi, unicamente per darsi lustro.
Il prof. Auriti è la proprietà popolare della moneta, con la conseguenza che non possono essere scissi l’uno dall’altra, per cui se si parla di lui deve parlarsi anche della sua teoria monetaria che ha collocato l’uomo al centro della vita e inibisce alle società strumentalizzanti di arricchirsi a danno della collettività.
L’unica alternativa accettabile – da sempre auspicata - è il dibattito tra chi la condivide e chi la disapprova, perché con la dialettica, civile ma ferma, si ottiene crescita e approfondimento, ma non si può accettare che la figura del prof. Auriti venga dissociata dalla sua idea per mere esigenze populistiche o di ritorno d’immagine Questo è quello che, nel V anniversario della sua scomparsa, sento il dovere di affermare. Manteniamo saldo il legame con l’idea auritiana, per l’introduzione della proprietà popolare della moneta, perché lì vi è l’Ideale che ha superato le ideologie e non può subire strumentalizzazioni di sorta.
Un atto d’amore che non ha chiesto alcuna contropartita e che, per ciò stesso, non può essere utilizzato per fini diversi da quello del raggiungimento bene comune.