lunedì 12 agosto 2013

CAFFÈ: Lezioni di politica economica

MORO: BLOCCATO ACCOUNT IMPOSIMATO

BLOCCATO ACCOUNT IMPOSIMATO, NON SMETTERO' DI COMUNICARE

Scritto da  ugi
    BLOCCATO ACCOUNT IMPOSIMATO, NON SMETTERO' DI COMUNICARE
(AGENPARL) - Roma, 07 ago - Riceviamo e pubblichiamo la lettera del giudice Fernando Imposimato nella quale denuncia alla nostra agenzia il blocco del suo account Facebook definendolo un "sabotaggio" da parte di chi vorrebbe che tacesse.
Il Magistrato si è occupato nel corso della sua carriera della lotta alla mafia, alla camorra e al terrorismo: è stato il giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro del 1978, l'attentato al papa Giovanni Paolo II del 1981, l'omicidio del vicepresidente delConsiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet e dei giudici Riccardo Palmae Girolamo Tartaglione. Attualmente si occupa della difesa dei diritti umani. 
[LETTERA]
Gentile Direttore, 
La informo che  "ignoti" hanno da tre giorni, bloccato il mio account Facebook e quello dell'ingegnere Niccolò Disperati , mio amministratore su facebook . Credo si tratti di un attacco doloso  da parte  di chi vuole  farmi tacere.  Ma io continuerò a  parlare  e a  dialogare  con i giovani e i lavoratori, ai quali va il mio pensiero solidale e amichevole.
Per questo mi scuso  con i miei amici di facebook - oltre 22.000,- poichè  sono nella impossibilità  di comunicare con  loro,    e di formulare le mie valutazioni sull'azione del Governo , sulle priorità  da rispettare e sul pericolo gravissimo di stravolgimento della Costituzione, che sta avvenendo nella  indifferenza  generale, come oggi ha ricordato il costituzionalista Alessandro Pace . Ricordo che Aristotele  scrisse, nel 450 AC,   che "occorre difendere la Costituzione, standole vicino".  E   aggiunse "quelli che si danno pensiero della Costituzione  devono procurare motivi di timore in modo che i cittadini siano in guardia e non allentino la  vigilanza  intorno alla Costituzione". Questo pensiero è di una attualità impressinante. Avevo cominciato a creare allarme, ma è quello che mi è stato impedito di fare.
Avrei anche voluto esprimere il mio consenso alla iniziativa di istituire  una commissione di inchiesta sul caso Moro , che ha come primi firmatari gli onorevoli Giuseppe Fioroni e Gero Grassi, e porta anche la firma dei capigruppo del Pd Speranza, Pdl Brunetta, Sel Migliore, Scelta Civica Dellai, Fratelli d'Italia Meloni, Centro Democratico Pisicchio, del vicecapogruppo della Lega nord Pini, e poi di Bersani, Bindi, Fitto, Cesa, Tabacci, Cecconi e da altri novanta deputati in rappresentanza di tutti i gruppi.. Si tratta di indagare sulle gravi omissioni denunziate  da parte di militari  che avrebbero dovuto partecipare all'intervento in via Montalcini previsto per il giorno 8 maggio 1978, alla  presenza nell'appartamento sovrastante la prigione di uomini di Gladio e dei servizi segreti inglesi (SAS) e tedeschi. sull'ordine che sarebbe stato dato per annulare il blitz, fortemente voluto dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sul comitato di crisi di cui faceva parte anche un uomo del dipartimento di Stato USA, Steve Pieczenik , sul ruolo della P2  e dei generali Santovito, Maletti e Musumeci che ne facevano parte, tutte circostanze tenute nascoste ai magistrati che indagavano sulla strage di via Fani , che vide il sacrificio dei Carabinieri  Oreste Leonardi e Domenico Ricci e degli agenti Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino, sulla scoperta, da parte di agenti dell'UCIGOS, della prigione di Moro in via Montalcini, tenuta segreta ai magistrati che indagavano, come vennero tenuto nascosti anche i documenti dei commponenti del comitato di crisi.
Grazie per la ospitalità 
Ferdinando Imposimato

Euro, un’opera di sterminio economico

LA CAMPAGNA DI LIBERO

Combattere l'euro non è populismo ma una battaglia di civiltà

I santoni della valuta unica liquidano così chi presenta i benefici dell’uscita. Ma i vincoli monetari rischiano di soffocare la persona umana

08/06/2013
Combattere l'euro non è populismo
ma una battaglia di civiltà
Qual è il tuo stato d'animo?
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E smettetela con questo ritornello del populismo. Uscire dall’euro è un’opzione che non può essere liquidata con la solita formula del mastrospazzolone lavatutto  vileda, per cui si scarica via il pensiero come se fosse acqua sporca: "populista", e via, "populista" e tanto basta, "populista" e non se ne parla più. Puff, un lampo: basta una passata a suon di "populismo" e le idee svaporano come le macchie di sporco nelle pubblicità. Libero ha avuto il merito di  aprire il dibattito su un tema molto sentito. Ha colto lo spirito del tempo e ha posto una domanda. Si può rispondere in un modo o nell’altro, si può essere pro o contro, si può avere qualsiasi opinione. Ma non si può liquidare tutto con la scorciatoia del "populismo".  Prima di tutto perché questo è un dibattito che sta circolando in ogni parte Europa, e sarebbe una follia cercare di stare in Europa in tutto e farsi escludere proprio dalla discussione che riguarda il nostro futuro. E poi, in secondo luogo, perché l’opzione "via dall’euro" ha tutti i fondamenti economici ed etici per poter (oserei dire: per dover) essere presa sul serio.
Ragioni economiche - Cominciamo dai fondamenti economici. Come se non bastassero le numerose prese di posizione pubblicate in settimana da Libero, ieri contemporaneamente su due organi di informazione distanti l’uno dall’altro (Il Foglio e Linkiesta)  sono apparse due interviste importanti con un premio Nobel e un quasi premio Nobel che ipotizzano proprio l’uscita dall’euro. "Uscire dall’euro è un’opzione reale, fattibile, non impossibile. L’Italia dovrebbe farlo", dice al Foglio Roger Bootle,  fondatore e direttore di Capital Economics e vincitore del Wolfson Prize, considerato il secondo premio del mondo per gli economisti dopo il Nobel. E su Linkiesta il premio Nobel James Mirrlees gli fa eco: "Se la situazione continuasse così, con un quadro sociale esplosivo di disoccupazione e austerity, ai paesi mediterranei  (fra cui ovviamente l’Italia, ndr) converrebbe uscire dall’euro".
Mi ha colpito molto, fra l’altro, la cruda semplicità dell’analisi del premio Nobel Mirrlees: "L’euro non ha funzionato come previsto", dice. "L’Italia non ne ha tratto nessun beneficio né per crescita né per riduzione del debito". E dunque: perché tenerselo? Un’analisi laica e schietta che stride con tanta fideistica venerazione  che si osserva in giro.  E che fa quasi far venire il dubbio che l’euro, più che uno strumento, sia diventato un totem: abbiamo paura ad abbatterlo, ma è una paura irrazionale, non basata su dati di fatto quanto su tabù. Anche il tentativo di evitare la discussione ricorrendo alle formule magiche ("Populisti! Populisti!") è sintomo  dell’atteggiamento sacrale che si ha nei confronti della moneta: non si combatte con argomenti, ma  al massimo facendo la danza dell’europioggia. Peccato però che, per quel finto totem sacrale, si sacrifichino reali vite umane, esistenze, attività, interi pezzi della nostra società.  Ecco allora che la discussione sull’euro acquista, come dicevamo, anche una dimensione etica, oltre che economica. Non a caso è stato lo stesso cardinal Bertone ieri, davanti al Papa e a Napolitano,  a sollevare il tema, sottolineando come  «la salvaguardia dei comuni vincoli di natura finanziaria e monetaria» non deve essere «disgiunta da un profondo spirito di solidarietà tra le varie generazioni e i differenti popoli». Come a dire: attenti, amici, perché ci sono alcuni valori e beni che vengono prima anche dell’unità monetaria, per quanto  difficile possa sembrare sotto il regno del Kaiser Merkel.  E dunque: sarà mica diventato populista anche il cardinal Bertone?
La gente lo chiede - No, non è populista lui e non sono populisti i premi Nobel.  Stanno, semplicemente, cogliendo un tema d’attualità, che per altro è molto popolare. Ecco, forse bisognerebbe spiegare a chi è troppo impegnato nella torre Bce per ascoltare quel che si dice sul tram, la differenza che passa tra ciò che è popolare e ciò che è populista. Bisognerebbe spiegargli che se la gente sta peggio, se si accorge alla bancarella del mercato ancor prima che nei convegni  teorici  che quest’euro senza Europa non funziona,  se  la gente non vede sbocco di uscita da una situazione di austerità che sta diventando un’opera di sterminio economico, ebbene forse sarebbe il caso di ascoltare quella voce popolare senza liquidarla in fretta come "populista". Del resto da sempre hanno bollato come "populista" anche  la richiesta di tagliare i costi della politica. Ricordate? Abolire il finanziamento pubblico dei partiti? "Populismo".  Risparmiare su voli di Stato e auto blu? "Populismo". Eliminare vitalizi e doppi stipendi dei ministri? "Populismo". Ora si sono forse resi conto dell’errore e cercando affannosamente (e con qualche inganno) di fare in modo che l’ex populismo si trasformi in programma di governo. Forse è tardi, però. Si potrebbe, per favore,  evitare di ripetere lo stesso errore con l’euro?

Contro chi lottava il prof. Giacinto Auriti?

Chieti, 10 Agosto ‘13 – Sab<to, S. Lorenzo , Anno XXXIV n. 191 - www.abruzzopress.infoabruzzopress@yahoo.it – Ch 1/81
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Ap –In Memoria
11 agosto 2013 –
In ricordo del prof. Auriti: la continuità del suo pensiero
e l’attualità di una rivoluzione ormai innescata
di Antonio Pimpini

Contro chi lottava il prof. Giacinto Auriti? Contro chi strumentalizzava l’uomo, contro le strategie culturali di dominazione e tutte le forme di società strumentalizzanti che, in modo più o meno occulto, si nascondono dietro soggettività artificiali al solo fine di sottomettere l’uomo. La sua battaglia culturale tende ad emancipare la persona umana per farla veramente libera e titolare esclusivo dei benefici che il vivere associato crea. La fisiologia del diritto è, in buona sostanza, condizione per l’attuazione della libertà, cioè quella conforme al diritto naturale e che, per ciò stesso, riconosce i valori etici fondamentali, dove la persona umana utilizza a suo beneficio tutti gli strumenti che crea, tra i quali quello più importante è il valore monetario. Il prof. Auriti amava dire che “ Lo spazio coincide solo col presente, tutto il resto è tempo”! Da tale premessa anche il senso dello stato e della cosa pubblica in generale assumono un significato chiaro. Ma vediamo perché vi è un’incompatibilità assoluta tra Lui (e noi che ne condividiamo il pensiero) e i suoi detrattori.
Auriti afferma che la dimensione oggettiva del tempo è solo il presente, con la conseguenza che solo in tal senso può parlarsi di oggettivazione del tempo. Per giungere a tale affermazione, occorre precisare che il punto di osservazione della successiva analisi interpretativa è quello del soggetto pensante, per cui si comprende che egli ha la capacità di ricordare e quella di ipotizzare il futuro. Di conseguenza se è l’io pensante da cui partire, lo spazio è unicamente il momento presente (che è momento pensante), mentre il ricordo o la previsione del futuro sono al di fuori dello spazio, cioè “sono tempi pensati e non pensanti”.
Conseguentemente, il valore è un rapporto tra fasi di tempo, quello della previsione e quello previsto, da cui discende il classico esempio della penna, che ha valore perché prevedo (momento della previsione) lo scrivere e il momento della realizzazione della previsione (tempo previsto), appunto lo scrivere. Dal ché il valore è tempo, non è spazio, con il corollario che il giudizio di valore può ritenersi fisiologico unicamente se si distingue il momento strumentale (che attiene all’oggetto) dal momento previsto (che è prerogativa esclusiva del soggetto). Solo il soggetto può godere dello strumento, mai uno strumento può usare un soggetto! Al contrario, quando si confonde la fase strumentale con quella soggettiva, il giudizio di valore entra nella patologia e crea le aberrazioni più grandi della storia, perché dietro lo strumento vi è sempre l’uomo, per cui alla fisiologia, cioè al bene comune della collettività, si sostituisce una soggettività strumentalizzante che usa la società strumentale e, quindi, in ultima analisi, una piccola cerchia di persone domina la collettività.
Nell’emissione monetaria la patologia è evidente, poiché la banca centrale, al più titolare dei simboli monetari, si appropria addirittura del valore monetario creato dalla collettività, sottomettendo la collettività stessa, privandola così di ogni possibilità di sopravvivenza, (ab)usando, per giungere a tale devastante risultato, la società strumentale Stato.
Ciò avviene perché – in chiara mala fede – la Banca centrale ritiene che il valore costituisca una caratteristica intrinseca al simbolo monetario, cioè sia coevo alla materia, mentre è conseguenza della convenzione sociale. Inoltre, in tal modo, il valore viene spacciato come una dimensione dello spazio, mentre esso è una dimensione del tempo.
Il valore non può essere cercato nello spazio, cioè nel presente, ma nel tempo.
Il momento strumentale è presente, cioè è quello della previsione, l’unico che si oggetti vizza nel tempo. Se, invece, si confonde il momento strumentale con quello previsto, che riguarda e compete unicamente al soggetto, si confonde l'oggetto col soggetto e quindi il momento strumentale, oggettivo, con quello edonistico, soggettivo. In questo modo, l’oggetto utilizza il soggetto, ma siccome un’affermazione di tal fatta è assolutamente impossibile, perché dietro ogni strumento (società strumentale) vi è sempre la persona umana che lo usa e ne gode, possiamo finalmente comprendere la ragione della nascita delle varie forme di società strumentalizzanti: la mafia, la massoneria, l’abuso del sindacato di voto e via dicendo, cioè la personificazione dello strumento. La banca centrale opera in questo modo poiché emette dei meri simboli, che assumono valore di moneta perché la collettività li accetta come valore della misura e misura del valore e li utilizza per le transazioni economiche. Solo grazie alla convenzione sociale la moneta ha valore e solo in virtù della presenza di una collettività la moneta ha ragion d’essere, altrimenti il governatore della banca centrale, nel classico esempio dell’isola deserta, se stampa moneta e non vi è la base umana che l’accetta e la utilizza, potrebbe fare un uso assai limitato dei simboli così creati, certamente non quello di moneta.
Cosa argomenta invece la banca di emissione, cioè il nemico principale del prof. Auriti (ed anche nostro)? Afferma che i simboli stampati su carta acquisterebbero la funzione e il valore di moneta allorché l’istituto li immette nel mercato e ne trasferisce la proprietà ai percettori. Cioè con una sola affermazione si dicono due grandi fandonie. La prima è che il simbolo cartaceo avrebbe valore intrinseco, sarebbe cioè dotato di valore monetario ex ante, quando è ancora nelle fauci della bce. Di conseguenza, ed è la seconda bestialità, la banca d’emissione trasferisce la proprietà alla collettività, cioè ai cittadini e per essi allo Stato.
Le affermazioni confermano quanto detto in precedenza, cioè che vi è deformazione del giudizio di valore e si tende ad attuare una strategia culturale di dominazione, perché, da un verso, l’istituto di emissione pretende di definire il valore come prerogativa della materia e, nel contempo, incorre nel gravissimo (e voluto) errore di considerare il valore nella dimensione dello spazio, mentre è caratteristica esclusiva del tempo. Infine, afferma che il valore monetario risiede nella materia, mentre è conseguenza esclusiva della presenza di una collettività umana che l’accetta come tale.
Dire cioè che la moneta è già tale al momento dell’emissione ed è di proprietà della banca di emissione, è falso ed è un’affermazione gravissima e devastante per tutte le collettività nazionali perché vuol dire espropriare la collettività del 100% del valore monetario. Ma non è tutto. Se l’asserito trasferimento alla collettività avviene a titolo di prestito, come in effetti oggi è, la conseguenza è l’obbligo di restituzione, da cui discende un ulteriore indebitamento ancora del 100%. Il famoso 200% che indusse il prof. Auriti a denunciare l’allora governatore della banca d’Italia per usura, associazione a delinquere, truffa, falso in bilancio, istigazione al suicidio.
Oggi continuiamo ad assistere inermi all’indebitamento dei singoli stati con la BCE, attraverso l’emissione di titoli di debito pubblico per ottenere moneta, quando invece la moneta dovrebbe essere semplicemente accreditata, a titolo originario, alle collettività nazionali. Non solo, le banche secondarie non finanziano, recte non erogano, ma investono sui titoli di debito pubblico, ritenendoli più remunerativi rispetto all’utilizzo che del denaro farebbero i cittadini e le imprese, togliendo così il sangue all’organismo sociale che, in assenza del sangue - denaro, non può sopravvivere. E ciò sempre senza considerare che, in ogni caso, la moneta è della collettività e, quindi, la oggettiva funzione pubblica del denaro dovrebbe imporre il divieto alle banche di svolgere attività di lucro e di investimento in strumenti di debito pubblico (anch’essi comunque da abolire per cessazione di ragion d’essere). Quindi, a sette anni dalla prematura scomparsa del prof. Giacinto Auriti, il suo messaggio profetico si fa rivoluzione: riconsegnare alla banca di emissione unicamente la funzione tipografica, attribuendo la proprietà della moneta ai cittadini e conseguentemente dichiarare l’obbligo a carico delle banche di raccolta del risparmio e di finanziamento di erogare denaro ai cittadini e alle imprese.
Una rivoluzione da portare a termine ad ogni costo, come ci insegnò.
Moneta di popolo contro moneta di banca. Il bene contro il male.

A.P.