LA CAMPAGNA DI LIBERO
Combattere l'euro non è populismo ma una battaglia di civiltà
I santoni della valuta unica liquidano così chi presenta i benefici dell’uscita. Ma i vincoli monetari rischiano di soffocare la persona umana
08/06/2013
E smettetela con questo ritornello del populismo. Uscire dall’euro è un’opzione che non può essere liquidata con la solita formula del mastrospazzolone lavatutto vileda, per cui si scarica via il pensiero come se fosse acqua sporca: "populista", e via, "populista" e tanto basta, "populista" e non se ne parla più. Puff, un lampo: basta una passata a suon di "populismo" e le idee svaporano come le macchie di sporco nelle pubblicità. Libero ha avuto il merito di aprire il dibattito su un tema molto sentito. Ha colto lo spirito del tempo e ha posto una domanda. Si può rispondere in un modo o nell’altro, si può essere pro o contro, si può avere qualsiasi opinione. Ma non si può liquidare tutto con la scorciatoia del "populismo". Prima di tutto perché questo è un dibattito che sta circolando in ogni parte Europa, e sarebbe una follia cercare di stare in Europa in tutto e farsi escludere proprio dalla discussione che riguarda il nostro futuro. E poi, in secondo luogo, perché l’opzione "via dall’euro" ha tutti i fondamenti economici ed etici per poter (oserei dire: per dover) essere presa sul serio.
Ragioni economiche - Cominciamo dai fondamenti economici. Come se non bastassero le numerose prese di posizione pubblicate in settimana da Libero, ieri contemporaneamente su due organi di informazione distanti l’uno dall’altro (Il Foglio e Linkiesta) sono apparse due interviste importanti con un premio Nobel e un quasi premio Nobel che ipotizzano proprio l’uscita dall’euro. "Uscire dall’euro è un’opzione reale, fattibile, non impossibile. L’Italia dovrebbe farlo", dice al Foglio Roger Bootle, fondatore e direttore di Capital Economics e vincitore del Wolfson Prize, considerato il secondo premio del mondo per gli economisti dopo il Nobel. E su Linkiesta il premio Nobel James Mirrlees gli fa eco: "Se la situazione continuasse così, con un quadro sociale esplosivo di disoccupazione e austerity, ai paesi mediterranei (fra cui ovviamente l’Italia, ndr) converrebbe uscire dall’euro".
Mi ha colpito molto, fra l’altro, la cruda semplicità dell’analisi del premio Nobel Mirrlees: "L’euro non ha funzionato come previsto", dice. "L’Italia non ne ha tratto nessun beneficio né per crescita né per riduzione del debito". E dunque: perché tenerselo? Un’analisi laica e schietta che stride con tanta fideistica venerazione che si osserva in giro. E che fa quasi far venire il dubbio che l’euro, più che uno strumento, sia diventato un totem: abbiamo paura ad abbatterlo, ma è una paura irrazionale, non basata su dati di fatto quanto su tabù. Anche il tentativo di evitare la discussione ricorrendo alle formule magiche ("Populisti! Populisti!") è sintomo dell’atteggiamento sacrale che si ha nei confronti della moneta: non si combatte con argomenti, ma al massimo facendo la danza dell’europioggia. Peccato però che, per quel finto totem sacrale, si sacrifichino reali vite umane, esistenze, attività, interi pezzi della nostra società. Ecco allora che la discussione sull’euro acquista, come dicevamo, anche una dimensione etica, oltre che economica. Non a caso è stato lo stesso cardinal Bertone ieri, davanti al Papa e a Napolitano, a sollevare il tema, sottolineando come «la salvaguardia dei comuni vincoli di natura finanziaria e monetaria» non deve essere «disgiunta da un profondo spirito di solidarietà tra le varie generazioni e i differenti popoli». Come a dire: attenti, amici, perché ci sono alcuni valori e beni che vengono prima anche dell’unità monetaria, per quanto difficile possa sembrare sotto il regno del Kaiser Merkel. E dunque: sarà mica diventato populista anche il cardinal Bertone?
La gente lo chiede - No, non è populista lui e non sono populisti i premi Nobel. Stanno, semplicemente, cogliendo un tema d’attualità, che per altro è molto popolare. Ecco, forse bisognerebbe spiegare a chi è troppo impegnato nella torre Bce per ascoltare quel che si dice sul tram, la differenza che passa tra ciò che è popolare e ciò che è populista. Bisognerebbe spiegargli che se la gente sta peggio, se si accorge alla bancarella del mercato ancor prima che nei convegni teorici che quest’euro senza Europa non funziona, se la gente non vede sbocco di uscita da una situazione di austerità che sta diventando un’opera di sterminio economico, ebbene forse sarebbe il caso di ascoltare quella voce popolare senza liquidarla in fretta come "populista". Del resto da sempre hanno bollato come "populista" anche la richiesta di tagliare i costi della politica. Ricordate? Abolire il finanziamento pubblico dei partiti? "Populismo". Risparmiare su voli di Stato e auto blu? "Populismo". Eliminare vitalizi e doppi stipendi dei ministri? "Populismo". Ora si sono forse resi conto dell’errore e cercando affannosamente (e con qualche inganno) di fare in modo che l’ex populismo si trasformi in programma di governo. Forse è tardi, però. Si potrebbe, per favore, evitare di ripetere lo stesso errore con l’euro?
Ragioni economiche - Cominciamo dai fondamenti economici. Come se non bastassero le numerose prese di posizione pubblicate in settimana da Libero, ieri contemporaneamente su due organi di informazione distanti l’uno dall’altro (Il Foglio e Linkiesta) sono apparse due interviste importanti con un premio Nobel e un quasi premio Nobel che ipotizzano proprio l’uscita dall’euro. "Uscire dall’euro è un’opzione reale, fattibile, non impossibile. L’Italia dovrebbe farlo", dice al Foglio Roger Bootle, fondatore e direttore di Capital Economics e vincitore del Wolfson Prize, considerato il secondo premio del mondo per gli economisti dopo il Nobel. E su Linkiesta il premio Nobel James Mirrlees gli fa eco: "Se la situazione continuasse così, con un quadro sociale esplosivo di disoccupazione e austerity, ai paesi mediterranei (fra cui ovviamente l’Italia, ndr) converrebbe uscire dall’euro".
Mi ha colpito molto, fra l’altro, la cruda semplicità dell’analisi del premio Nobel Mirrlees: "L’euro non ha funzionato come previsto", dice. "L’Italia non ne ha tratto nessun beneficio né per crescita né per riduzione del debito". E dunque: perché tenerselo? Un’analisi laica e schietta che stride con tanta fideistica venerazione che si osserva in giro. E che fa quasi far venire il dubbio che l’euro, più che uno strumento, sia diventato un totem: abbiamo paura ad abbatterlo, ma è una paura irrazionale, non basata su dati di fatto quanto su tabù. Anche il tentativo di evitare la discussione ricorrendo alle formule magiche ("Populisti! Populisti!") è sintomo dell’atteggiamento sacrale che si ha nei confronti della moneta: non si combatte con argomenti, ma al massimo facendo la danza dell’europioggia. Peccato però che, per quel finto totem sacrale, si sacrifichino reali vite umane, esistenze, attività, interi pezzi della nostra società. Ecco allora che la discussione sull’euro acquista, come dicevamo, anche una dimensione etica, oltre che economica. Non a caso è stato lo stesso cardinal Bertone ieri, davanti al Papa e a Napolitano, a sollevare il tema, sottolineando come «la salvaguardia dei comuni vincoli di natura finanziaria e monetaria» non deve essere «disgiunta da un profondo spirito di solidarietà tra le varie generazioni e i differenti popoli». Come a dire: attenti, amici, perché ci sono alcuni valori e beni che vengono prima anche dell’unità monetaria, per quanto difficile possa sembrare sotto il regno del Kaiser Merkel. E dunque: sarà mica diventato populista anche il cardinal Bertone?
La gente lo chiede - No, non è populista lui e non sono populisti i premi Nobel. Stanno, semplicemente, cogliendo un tema d’attualità, che per altro è molto popolare. Ecco, forse bisognerebbe spiegare a chi è troppo impegnato nella torre Bce per ascoltare quel che si dice sul tram, la differenza che passa tra ciò che è popolare e ciò che è populista. Bisognerebbe spiegargli che se la gente sta peggio, se si accorge alla bancarella del mercato ancor prima che nei convegni teorici che quest’euro senza Europa non funziona, se la gente non vede sbocco di uscita da una situazione di austerità che sta diventando un’opera di sterminio economico, ebbene forse sarebbe il caso di ascoltare quella voce popolare senza liquidarla in fretta come "populista". Del resto da sempre hanno bollato come "populista" anche la richiesta di tagliare i costi della politica. Ricordate? Abolire il finanziamento pubblico dei partiti? "Populismo". Risparmiare su voli di Stato e auto blu? "Populismo". Eliminare vitalizi e doppi stipendi dei ministri? "Populismo". Ora si sono forse resi conto dell’errore e cercando affannosamente (e con qualche inganno) di fare in modo che l’ex populismo si trasformi in programma di governo. Forse è tardi, però. Si potrebbe, per favore, evitare di ripetere lo stesso errore con l’euro?
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