Chieti,
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Solfanelli
Ap
–In Memoria
11
agosto 2013 –
In
ricordo del prof. Auriti: la continuità del suo pensiero
e
l’attualità di una rivoluzione ormai innescata
di
Antonio Pimpini
Contro chi lottava il prof. Giacinto Auriti?
Contro chi strumentalizzava l’uomo, contro le strategie culturali
di dominazione e tutte le forme di società strumentalizzanti che,
in modo più o meno occulto, si nascondono dietro soggettività
artificiali al solo fine di sottomettere l’uomo. La sua battaglia
culturale tende ad emancipare la persona umana per farla veramente
libera e titolare esclusivo dei benefici che il vivere associato
crea. La fisiologia del diritto è, in buona sostanza, condizione per
l’attuazione della libertà, cioè quella conforme al diritto
naturale e che, per ciò stesso, riconosce i valori etici
fondamentali, dove la persona umana utilizza a suo beneficio tutti
gli strumenti che crea, tra i quali quello più importante è il
valore monetario. Il prof. Auriti amava dire che “ Lo spazio
coincide solo col presente, tutto il resto è tempo”! Da tale
premessa anche il senso dello stato e della cosa pubblica in generale
assumono un significato chiaro. Ma vediamo perché vi è
un’incompatibilità assoluta tra Lui (e noi che ne condividiamo il
pensiero) e i suoi detrattori.
Auriti afferma che la dimensione oggettiva del tempo è
solo il presente, con la conseguenza che solo in tal senso può
parlarsi di oggettivazione del tempo. Per giungere a tale
affermazione, occorre precisare che il punto di osservazione della
successiva analisi interpretativa è quello del soggetto pensante,
per cui si comprende che egli ha la capacità di ricordare e quella
di ipotizzare il futuro. Di conseguenza se è l’io pensante da cui
partire, lo spazio è unicamente il momento presente (che è momento
pensante), mentre il ricordo o la previsione del futuro sono al di
fuori dello spazio, cioè “sono tempi pensati e non pensanti”.
Conseguentemente, il valore è un rapporto tra fasi di
tempo, quello della previsione e quello previsto, da cui discende il
classico esempio della penna, che ha valore perché prevedo (momento
della previsione) lo scrivere e il momento della realizzazione della
previsione (tempo previsto), appunto lo scrivere. Dal ché il valore
è tempo, non è spazio, con il corollario che il giudizio di valore
può ritenersi fisiologico unicamente se si distingue il momento
strumentale (che attiene all’oggetto) dal momento previsto (che è
prerogativa esclusiva del soggetto). Solo il soggetto può godere
dello strumento, mai uno strumento può usare un soggetto! Al
contrario, quando si confonde la fase strumentale con quella
soggettiva, il giudizio di valore entra nella patologia e crea le
aberrazioni più grandi della storia, perché dietro lo strumento vi
è sempre l’uomo, per cui alla fisiologia, cioè al bene comune
della collettività, si sostituisce una soggettività
strumentalizzante che usa la società strumentale e, quindi, in
ultima analisi, una piccola cerchia di persone domina la
collettività.
Nell’emissione monetaria la patologia è evidente,
poiché la banca centrale, al più titolare dei simboli monetari, si
appropria addirittura del valore monetario creato dalla collettività,
sottomettendo la collettività stessa, privandola così di ogni
possibilità di sopravvivenza, (ab)usando, per giungere a tale
devastante risultato, la società strumentale Stato.
Ciò avviene perché – in chiara mala fede – la
Banca centrale ritiene che il valore costituisca una caratteristica
intrinseca al simbolo monetario, cioè sia coevo alla materia, mentre
è conseguenza della convenzione sociale. Inoltre, in tal modo, il
valore viene spacciato come una dimensione dello spazio, mentre esso
è una dimensione del tempo.
Il valore non può essere
cercato nello spazio, cioè nel presente, ma nel tempo.
Il momento strumentale è
presente, cioè è quello della previsione, l’unico che si oggetti
vizza nel tempo. Se, invece, si confonde il momento strumentale con
quello previsto, che riguarda e compete
unicamente al soggetto, si confonde l'oggetto col soggetto e quindi
il momento strumentale, oggettivo, con quello edonistico, soggettivo.
In questo modo, l’oggetto utilizza il soggetto, ma siccome
un’affermazione di tal fatta è assolutamente impossibile, perché
dietro ogni strumento (società strumentale) vi è sempre la persona
umana che lo usa e ne gode, possiamo finalmente comprendere la
ragione della nascita delle varie forme di società
strumentalizzanti: la mafia, la massoneria, l’abuso del sindacato
di voto e via dicendo, cioè la personificazione dello strumento. La
banca centrale opera in questo modo poiché emette dei meri simboli,
che assumono valore di moneta perché la collettività li accetta
come valore della misura e misura del valore e li utilizza per le
transazioni economiche. Solo grazie alla convenzione sociale la
moneta ha valore e solo in virtù della presenza di una collettività
la moneta ha ragion d’essere, altrimenti il governatore della banca
centrale, nel classico esempio dell’isola deserta, se stampa moneta
e non vi è la base umana che l’accetta e la utilizza, potrebbe
fare un uso assai limitato dei simboli così creati, certamente non
quello di moneta.
Cosa argomenta invece la banca
di emissione, cioè il nemico principale del prof. Auriti (ed anche
nostro)? Afferma che i simboli stampati su carta acquisterebbero la
funzione e il valore di moneta allorché l’istituto li immette nel
mercato e ne trasferisce la proprietà ai percettori. Cioè con una
sola affermazione si dicono due grandi fandonie. La prima è che il
simbolo cartaceo avrebbe valore intrinseco, sarebbe cioè dotato di
valore monetario ex ante, quando è ancora nelle fauci della bce. Di
conseguenza, ed è la seconda bestialità, la banca d’emissione
trasferisce la proprietà alla collettività, cioè ai cittadini e
per essi allo Stato.
Le affermazioni confermano
quanto detto in precedenza, cioè che vi è deformazione del giudizio
di valore e si tende ad attuare una strategia culturale di
dominazione, perché, da un verso, l’istituto di emissione pretende
di definire il valore come prerogativa della materia e, nel contempo,
incorre nel gravissimo (e voluto) errore di considerare il valore
nella dimensione dello spazio, mentre è caratteristica esclusiva del
tempo. Infine, afferma che il valore monetario risiede nella materia,
mentre è conseguenza esclusiva della presenza di una collettività
umana che l’accetta come tale.
Dire cioè che la moneta è già
tale al momento dell’emissione ed è di proprietà della banca di
emissione, è falso ed è un’affermazione gravissima e devastante
per tutte le collettività nazionali perché vuol dire espropriare la
collettività del 100% del valore monetario. Ma non è tutto. Se
l’asserito trasferimento alla collettività avviene a titolo di
prestito, come in effetti oggi è, la conseguenza è l’obbligo di
restituzione, da cui discende un ulteriore indebitamento ancora del
100%. Il famoso 200% che indusse il prof. Auriti a denunciare
l’allora governatore della banca d’Italia per usura, associazione
a delinquere, truffa, falso in bilancio, istigazione al suicidio.
Oggi continuiamo ad assistere
inermi all’indebitamento dei singoli stati con la BCE, attraverso
l’emissione di titoli di debito pubblico per ottenere moneta,
quando invece la moneta dovrebbe essere semplicemente accreditata, a
titolo originario, alle collettività nazionali. Non solo, le banche
secondarie non finanziano, recte non erogano, ma investono sui titoli
di debito pubblico, ritenendoli più remunerativi rispetto
all’utilizzo che del denaro farebbero i cittadini e le imprese,
togliendo così il sangue all’organismo sociale che, in assenza del
sangue - denaro, non può sopravvivere. E ciò sempre senza
considerare che, in ogni caso, la moneta è della collettività e,
quindi, la oggettiva funzione pubblica del denaro dovrebbe imporre il
divieto alle banche di svolgere attività di lucro e di investimento
in strumenti di debito pubblico (anch’essi comunque da abolire per
cessazione di ragion d’essere). Quindi, a sette anni dalla
prematura scomparsa del prof. Giacinto Auriti, il suo messaggio
profetico si fa rivoluzione: riconsegnare alla banca di emissione
unicamente la funzione tipografica, attribuendo la proprietà della
moneta ai cittadini e conseguentemente dichiarare l’obbligo a
carico delle banche di raccolta del risparmio e di finanziamento di
erogare denaro ai cittadini e alle imprese.
Una rivoluzione da portare a
termine ad ogni costo, come ci insegnò.
Moneta di popolo contro moneta
di banca. Il bene contro il male.
A.P.
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