Assemblea degli azionisti CREDEM, 30 aprile 2015: contestazione contabile sulla creazione di denaro, da pag. 15 a pag.26 del verbale:
http://www.credem.it/Company_Profile/Corporate%20Governance/Verbale%20ottico%20Assemblea%20ordinaria%20e%20straordinaria.pdf
giovedì 15 ottobre 2015
Ci resta la disobbedienza civile
Ci resta la disobbedienza civile
Bruno Amoroso |
7 ottobre 2015
Un “nuovo” ordine mondiale produce, inventa e alimenta guerre ed esodi per dare spazio e proteggere i nuovi poteri finanziari. Opporsi sembra impossibile. “La governance dei nuovi poteri – spiega Bruno Amoroso – è assicurata da istituzioni militari come la Nato, dal business energetico industriale e tecnologico, e da pochi centri di potere della finanza internazionale. Impedire a questa governance di funzionare mettendo sabbia nei suoi meccanismi e distruggendo le sue istituzioni, è il passo necessario per ridare spazi di democrazia…”. La prima fortezza da espugnare è la Bce: per questo occorre intensificare “la denuncia del ruolo svolto dai sicari dell’economia, a iniziare da Mario Draghi” e sostenere campagne come la Dip (Dichiariamo Guerra alla Povertà). Sì, è tempo di resistenza e di organizzare un movimento di disobbedienza civile
.di Bruno Amoroso
Destabilizzazione politica, marginalizzazione economica: il risultato è un sistema di apartheid globale. Dal caos sapientemente prodotto e governato (guerre e migrazioni) si sta alimentando la domanda di un “nuovo” ordine mondiale, quello della globalizzazione. Questo viene oggi servito per garantire che tutto cambi per dare spazio e proteggere i nuovi poteri finanziari e militari.
Diritti, sindacati, partiti, democrazia, società civile, cosviluppo sono un ricordo del passato, il crollo di un’utopia. Il nuovo ordine si chiama Globalizzazione e le sue istituzioni governano il disordine mondiale. Opporsi sembra oggi impossibile perché dalla disperazione non nascono solidarietà e unità, ma solo divisioni e “guerre civili”. Infatti, i sistemi di welfare europeo sono stati travolti senza alcuna resistenza.
La loro forza consisteva anzitutto nella capacità di coniugare crescita economica, e diffusione del welfare dentro i valori comunitari dello Sato nazionale. La “governance” dei nuovi poteri è assicurata oggi dalle istituzioni militari (Nato), dal Big Business (energetico, industriale, tecnologico), e da pochi centri di potere della finanza internazionale. Impedire a questa “governance” di funzionare mettendo sabbia nei suoi meccanismi e distruggendo le sue istituzioni, è il passo necessario per ridare spazi di democrazia e ossigeno agli Stati nazionali, che oggi sono soffocati in Europa dentro la camicia di forza dell’Unione europea.
Le guerre e le migrazioni sono gli strumenti utilizzati dalla Troika per impedire ogni alternativa. Per impedire che le crisi si trasformassero in nuove solidarietà sono state introdotte misure che proibiscono la solidarietà tra i popoli come avviene oggi con l’occupazione della Banca Centrale Europea affidata alla guida gelida e sapiente di uno dei maggiori “sicari dell’economia”. Una Banca Centrale che finanzia guerre, rapine, garantisce con il ricatto la dipendenza dei governi dalla Troika. Da qui bisogna ripartire, non frammentando le lotte e le domande di nuova economica, ma unificandole per rovesciare questo che è il più grande ostacolo al cambiamento e per porre fine al massacro e impoverimento delle masse.
Le guerre e le migrazioni sono oggi un grande business che serve a dividere alternative e opposizioni: dividendo gli Stati europei nella camicia di forza delle norme dettate dai vincoli di bilancio sapientemente introdotte al momento giusto, dividendo la società civile (Ong ecc.) attratta da finanziamenti (gli “aiuti” che servono si a garantirgli la sopravvivenza ma di certo non a porre fine allo scempio), dividendo il mondo del lavoro offrendo privilegi a chi partecipa al dividendo della guerra.
La Campagna Dip (Dichiariamo Guerra alla Povertà) è nata su questa analisi e su queste premesse, cercando di contribuire alla creazione di una nuova resistenza, che travolga le divisioni e gli interessi particolari e organizzi un movimento di disobbedienza civile e di solidarietà attiva che contrasti le soluzioni criminali e illusorie che si cerca di contrabbandare tramite i mass media. La prima fortezza da espugnare è la Banca Centrale Europea, di cui va abolita a furore di popolo l’autonomia dalla politica e dalle istituzioni nazionali, e le cui funzioni devono avere come obiettivo il divieto di finanziare guerre, di favorire speculazioni finanziarie, di agire in modo autonomo sulle scelte politiche dell’Ue e dei singoli Stati.
Nel contempo va intensificata la denuncia del ruolo svolto dai sicari dell’economia, a iniziare da Mario Draghi, richiedendo e attuando la costituzione di un tribunale popolare che raccolga i documenti necessari per l’esproprio di tutti i beni accumulati e il risarcimento dei danni prodotti con la speculazione finanziaria ai danni dei cittadini, le guerre e la migrazioni.
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*Bruno Amoroso, presidente del Centro Studi Federico Caffè e collaboratore di Comune, è stato uno degli allievi e collaboratori del noto economista Federico Caffè (nel libro «La stanza rossa», per Città aperta, traccia il significato dell’avventura intellettuale e umana dell’amico e maestro). Docente presso l’università di Roskilde (Danimarca) e quella di Hanoi (Vietnam), Amoroso è tra i promotori dell’Università del Bene Comune ed è autore di numerosi articoli e libri (tra cui «Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro» per Dedalo edizioni; l’ultima pubblicazione è «L’Europa oltre l’Euro», edita da Castelvecchi).
POPOLARE DI VICENZA / ECCO CHI HA SCAVATO IL BUCO
POPOLARE DI VICENZA / ECCO CHI HA SCAVATO IL BUCO. E 8 ANNI FA MAGISTRATURA E BANKITALIA CHIUSERO GLI OCCHI
14 ottobre 2015 autore: Andrea Cinquegrani
http://www.lavocedellevoci.it/?p=3420Siamo alle solite, come del resto ha abbondantemente documentato nel volume “Bankster – Molto peggio di Al Capone i vampiri di Wall street e piazza Affari”, uscito a giugno 2010 (scaricabile gratuitamente dalla home page del sito della Voce), Elio Lannutti, storico e battagliero animatore della sigla che tutela i risparmiatori e utenti dei servizi bancari. Gli organi di repressione, vigilanza e controllo (lo stesso accade con Consob e le società quotate in borsa) intervengono “regolarmente” dopo che i buoi sono usciti dalle stalle, e quando le casse sono state svaligiate al punto giusto. Mai un “prima” o “durante” i furti: sempre dopo, a cose fatte, a bottino ampiamente trafugato, reinvestito o inviato con un bel fiocco in uno dei tanti, ospitali paradisi fiscali.
E così è successo, in modo clamoroso, con la Popolare di Vicenza e le indagini su un “insospettabile”, il padre-padrone della Banca Giovanni Zonin, il re del vino. Che già incarna un’anomalia: come è possibile immaginare a capo di un istituto di credito un pezzo da novanta del mondo imprenditoriale, che caso mai deve deliberare su un fido ad una sua azienda, oppure di un socio, di un parente o un amico? Come si diceva una volta: quando si verifica un caso del genere, mi alzo e lascio decidere in tutta libertà gli altri membri del consiglio d’amministrazione. Succedeva ai tempi di re Ferdinando Ventriglia e i fidi allegri al Banco di Napoli o all’istituto di credito agevolato per il mezzogiorno, l’Isveimer negli anni ’70 di vacche grasse. Ma ora? Nessuno se ne era accorto di una simile anomalia “genetica” alla Popolare di Vicenza?
C’è chi racconta a piazza Affari: “purtroppo episodi del genere ce se sono, soprattutto in un mondo variegato come quello delle Popolari e delle banche cooperative. Conflitti d’interesse dietro ogni angolo. Un po’ come succede adesso, in modo lampante, con Mario Mantovani in Lombardia: lo scandalo non è di oggi, che lo hanno beccato, ma viene da molto prima. Come è stato mai possibile nominare assessore alla sanità pubblica e anche vicepresidente della Regione il ras della sanità privata? Quelli che oggi cadono dal pero, cosa facevano ieri? E come mai, anche in questo caso, finora la magistratura ha chiuso gli occhi?”.
Ma torniamo alla Popolare vicentina e alle denunce dell’Adusbef. Primo atto. 18 marzo 2008. Lannutti firma un esposto-denuncia indirizzato al procuratore capo di Vicenza Nelson Salvarani, e per conoscenza anche alle procure di Milano e Roma. Eccone alcuni stralci. “Si è appreso che il Cda della Banca Popolare di Vicenza avrebbe dato il via libera ad un rafforzamento patrimoniale di complessivi 950 milioni di euro, di cui 480 milioni mediante aumento di capitale a pagamento, di euro 220 milioni mediante prestito obbligazionario subordinato ed euro 250 milioni mediante l’emissione di strumenti innovati di capitale”. Tutto ciò, veniva precisato, anche per sostenere l’onere di alcune operazioni, come l’acquisizione di 61 sportelli di Ubi banca, addirittura il 2 per cento di Mediobanca, una parte dei 186 sportelli messi in vendita da Unicredit e il 76 per cento del capitale del Mediocredito siciliano Irfis.
Adusbef, in particolare, puntava i riflettori “sull’illiceità di talune condotte societarie, del presidente Zonin e del cda, in merito alla delibera dello stesso cda di aumento della quotazione azionaria a 58 euro”, con un valore giudicato del tutto “inverosimile” e tale da richiedere un grosso “sacrificio finanziario a tutti i soci”. Per gli stessi motivi Adusbef chiedeva “l’apertura di un procedimento penale a carico degli esponenti aziendali della banca”.
Ma ecco, in rapida carrellata, le tappe successive. 2 gennaio 2009. Il pm Angela Barbaglio chiede al gip di poter proseguire nelle indagini, ma tre mesi dopo ha già le idee chiare e fa istanza di archiviazione, ratificata dal gip Eloisa Pesenti il 21 aprile che fa calare il sipario sull’inchiesta. Il decreto di archiviazione non viene neanche comunicato, come di prassi, al denunciante, in questo caso Adusbef. In tempo reale, il 23 aprile l’ufficio stampa della Popolare suona le trombe e annuncia il grande evento: tutto archiviato. E poi, altre 48 ore dopo, ecco il brindisi: quando l’assemblea dei soci, il 25 aprile, reincorona Zonin al vertice dell’istituto. “La consecutio delle date – denuncia Lannutti – e di tutto quanto è successo dal 15 al 25 aprile, sono elementi così importanti e decisivi da far sospettare un’attenta regia tra i vertici della Popolare e quello della procura, che si arrogava il diritto di archiviare per consentire all’assemblea dei soci di celebrare il trionfo senza ombre della gestione Zonin”.
Ma ecco che il 28 settembre 2010 la Cassazione “annulla lo scandaloso provvedimento di archiviazione del tribunale di Vicenza sui valori gonfiati dei titoli della Popolare”. Tutto è stato reinviato all’ufficio gip del tribunale del capoluogo veneto. Ma da allora le nebbie padane sono calate più fitte che mai.
E Bankitalia? Nel frattempo ha partorito il classico topolino. Una serie di schede, di cifre, di considerazioni dalle quali si comprende – in controluce – la preoccupante situazione della Popolare vicentina, ma senza prendere alcun provvedimento di sostanza. Ecco un paio di passaggi, a proposito di quella “acrobatica” quotazione azionaria a 58 euro e dei possibili scenari a seguire. “Emerge un quadro del patrimonio di vigilanza che, nonostante il rafforzamento patrimoniale deliberato e che s’ipotizza possa trovare esecuzione nel corso dell’anno, richiede attenzione da parte dei vertici della Banca e da parte dei suoi Soci. Se si venissero a concretizzare – veniva precisato – le operazioni strategiche perseguite, in mancanza di ulteriori manovre di bilancio di carattere straordinario, potrebbe essere infatti necessario ricorrere, forse già nel corso del 2009, ad ulteriori operazioni di rafforzamento patrimoniale per mantenere un adeguato coefficiente dei livelli di vigilanza”. Un palese sos, quindi, con il giusto “silenziatore”….
Ma dove sono finiti i milioni di euro delle allegre casse targata Popolare di Vicenza? Quali i beneficiari dei rubinetti aperti con gran generosità da zar Zonin? In cima alle preferenze un tris d’assi, che da soli rastrellano – con operazioni spesso incrociate e finanziariamente complesse – oltre 100 milioni di euro. La hit è composta dai gruppi Fusillo, Marchini e Degennaro, in ordine strettamente “creditizio”.
In pole position, infatti, i pugliesi “Fusillo”, con 50 milioni erogati dalla banca vicentina a favore delle controllate “Fimco” e “Maiora”. Ecco come vengono descritti in zona i Fusillo: “una famiglia che si è trasformata nel corso degli anni in un vero e proprio impero, dai mattoni fino all’alberghiero e all’editoria. Un impero gestito dai due fratelli: il cinquantanovenne Vito è amministratore delegato proprio di Fimco e Maiora, che hanno l’epicentro dei loro affari, mezzo miliardo e passa di euro, in Sud Africa, Congo e Libia, dove stanno mettendo su 500 appartamenti a Bengasi; poi c’è Nicola, che fino al 2003 è stato in parlamento e ora è alla guida della Fusillo Costruzioni. Hanno fatto grossi affari soprattutto realizzando i centri commerciali Ipercoop a Bari, Barletta e Andria, Auchan a Casamassima. Ci sono poi gli alberghi che diventano residence: come l’ex Ambasciatori di Bari, un’operazione da 45 milioni di euro, con un ultimo passaggio da Fimit ai Fusillo”.
Ma eccoci al secondo baciato dalla bea bendata, al Bingo-Zonin. Si tratta del supermattonaro romano Alfio Marchini, conteso da renziani e berlusconiani (sic) per la poltrona di sindaco nel dopo Marino. La Voce ne ha ampiamente documentato le ultime performance economico-finanziarie qualche settimana fa (in basso il link dell’inchiesta), anche sul fronte degli “scambi” con la Popolare di Vicenza, un fido da 30 milioni di euro erogato alla Imvest e un bel po’ di azioni comprate: un “mutuo” soccorso a botte azionarie e milionarie, passando spesso e volentieri per paradisi fiscali e maxi fondi, come l’ottimo “Optimum”. Ma c’è un’altra chicca, da pochi ricordata: il vice di Zonin nella Popolare vicentina è Andrea Monorchio, l’una volta inflessibile Ragioniere generale dello Stato al cui cospetto tutte le autorità si genuflettevano. Una sbirciatina ai conti, Monorchio, non poteva caso mai darla? E non poteva dire una parolina a suo figlio Giandomenico, che proprio alle ultime amministrative a Roma si era candidato nella lista Marchini, tanto per evitare spiacevoli conflitti “creditizi”?
Siamo ai terza della list, i Degennaro. Che sono riusciti ad ottenere una emissione di bond vicentini & popolari da ben 22 milioni di euro. Tra le società di punta targate Degennaro la Power Center, la Partecipazioni Investimenti Real Estate e la Sudcommerci. Quest’ultima, tanto per ricambiare i favori, ha comprato azioni della Popolare per 3 milioni di euro. Ma ecco le ultime sul versante giudiziario, come riportate dal “Quotidiano Italiano” edizione di Bari dello scorso 30 giugno: “sono stati rinviati a giudizio Savino Parisi, boss mafioso del quartiere Japigia, Emanuele Degennaro, rettore dell’università Lum e l’avvocato Vincenzo Lagioia, con l’accusa di riciclaggio con l’aggravante di favoreggiamento di associazione mafiosa. La cifra, enorme, sei miliardi di lire; il metodo, un’operazione immobiliare attraverso una società riconducibile a Degennaro, che ha dichiarato la propria estraneità alle accuse mossegli. L’udienza dinanzi al gip Francesco Agnino è stata rinviata al 4 novembre prossimo. Secondo le ricostruzioni della Dda, nel 2002 il gruppo Degennaro è in forti difficoltà economiche così da accettare i sei miliardi di lire in contanti da Michele Labellarte, imprenditore scomparso nel 2009, ritenuto dalle Fiamme Gialle il cassiere degli Stramaglia. Labellarte avrebbe dovuto “lavare” i proventi del clan Parisi-Stramaglia”.
Ma forse c’è una lavatrice che lava più bianco di tutte, e si trova nelle bianche terre vicentine…
Nella foto di apertura, la sede della Popolare di Vicenza, Alfio Marchini e, a destra, Giovanni Zonin.
Per approfondire:
IL PROSSIMO RE DI ROMA ALFIO MARCHINI / TRA MATTONI, PARADISI FISCALI E ACROBAZIE PERICOLOSE
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