mercoledì 4 maggio 2016
martedì 3 maggio 2016
Gallino: La banca presta la moneta che non ha (contabilizzato !)
La banca presta la moneta che non ha
Enrico Grazzini
http://www.sinistrainrete.info/index.php?option=com_content&view=article&id=7107:enrico-grazzini-la-banca-presta-la-moneta-che-non-ha
L’insegnamento
di Luciano Gallino sulla moneta: «Lo Stato si decida a fare in piccolo
quello che le banche private fanno in grande: creare denaro dal nulla»
La moneta bancaria aumenta i debiti e sottrae ricchezza all’economia reale. La moneta dovrebbe invece diventare un bene pubblico, una risorsa messa a disposizione dallo Stato per produrre ricchezza e benessere grazie alla piena occupazione e alla svolta ecologica dell’economia. E’ l’unica via d’uscita dalla crisi.
In continuità con gli studi e le lezioni sulla “moneta endogena” di economisti insigni, come John M. Keynes e Hyman Minsky e, in Italia, Augusto Graziani, Gallino spiega il malefico ingranaggio: «Una banca moderna crea denaro quando concede un credito. La credenza popolare per cui la banca presterebbe ad altri il denaro già depositato da un altro correntista è infondata».
A sostegno della sua tesi, lo studioso cita la Banca d’Inghilterra: «Generalmente si ritiene che le banche agiscano come intermediari dando prestiti in base ai depositi dei risparmiatori. Ma è falso. Nella realtà dell’economia moderna le banche commerciali sono le vere creatrici del denaro depositato. E’ l’atto di prestare che crea i depositi.
Questo processo è il contrario della sequenza tipicamente descritta nei manuali». Il potere della democrazia e della politica ne è soverchiato. E ricorda già ai primi dell’Ottocento il presidente degli Stati uniti Thomas Jefferson affermava che «le istituzioni bancarie sono più pericolose per le nostre libertà di un esercito in armi. Il potere di emettere denaro dovrebbe essere tolto alle banche e restituito al popolo al quale propriamente appartiene».
La moneta legale, ovvero le banconote stampate dalla banca centrale, sono solo una parte minoritaria del denaro che effettivamente circola nell’economia.
Le banconote con valore legale che ritiriamo dai bancomat, valgono solo per il 5% del denaro che utilizziamo: il 95% del denaro che usiamo per le transazioni (stipendi, investimenti, acquisto casa, auto,ecc) è moneta digitale creata dalle banche.
Le banche hanno in teoria dei vincoli all’offerta di moneta/prestiti (come per esempio la riserva obbligatoria): ma in pratica creano moneta a loro piacimento grazie alla leva monetaria. Per un euro di capitale proprio hanno attività fino a 30-50 euro.
Neppure le banche centrali controllano la massa monetaria circolante: tentano di manovrare il credito grazie al tasso principale di interesse, senza riuscirci. Quando c’è il boom economico e la domanda di denaro è forte, le banche private fanno prestiti, creano denaro in eccesso; quando scoppia la bolla finanziaria, allora ritirano il denaro dall’economia e creano recessione (come avviene nell’eurozona).
La moneta bancaria è pro-ciclica e genera crisi.
Gallino ci spiega che le grandi banche, dagli anni ’80 in poi, hanno creato nuova “falsa moneta” con la loro attività finanziaria. Si sono trasformate in trader e scommettono (mettendo a rischio i soldi dei risparmiatori) in ardite operazioni speculative per ottenere profitti immediati e enormi. Grazie a società-veicolo fuori bilancio le banche internazionali organizzano un immenso sistema bancario-ombra che, a sua volta, crea un gigantesco mercato opaco di titoli finanziari esotici cosiddetti derivati, fuori dai mercati ufficiali e da ogni regola pubblica.
Il peggio è che i derivati – come i futures, le opzioni, i credit default swap – sono diventati “nudi”, ovvero sono delle pure scommesse nelle quali il valore sottostante della merce su cui poggia il valore del derivato non ha alcuna importanza per chi effettua le compravendite.
Il mercato dei derivati scambiati in questo capitalismo casinò è immenso: circa 700 triliardi (cioè migliaia di miliardi) di dollari, ovvero circa dieci volte il Pil mondiale. La moneta privata e sfuggita ad ogni controllo pubblico.
Ma l’alternativa esiste: le banche devono ritornare a rispettare vincoli precisi, i movimenti di capitale e il mercato dei derivati devono essere strettamente disciplinati. La politica deve ritrovare la sovranità sulla finanza. Nella prospettiva indicata da Gallino (e da Positivemoney.org, che Gallino richiama nel suo libro) la moneta dovrebbe essere emessa esclusivamente dallo stato e distribuita ai cittadini e alle imprese in base a decisioni di politica economica prese democraticamente da organi pubblici.
Gallino è stato l’unico grande intellettuale italiano che ha avuto il coraggio di promuovere un progetto innovativo come il fiscal money. La moneta fiscale non è che un titolo pubblico emesso dallo stato, convertibile in euro – come i Bot e i Btp -, valido per “pagare le tasse” dopo due anni, da distribuire gratuitamente (sottolineo: gratuitamente) a cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche. La moneta fiscale emessa dallo stato diventerebbe moneta a tutti gli effetti, con valore riconosciuto: infatti il fisco costituisce larga parte (40% circa) dell’economia e un titolo con valore di sconto fiscale è accettato da tutti.
Nella sua prefazione all’eBook edito da Micromega nel 2015, “Per una moneta fiscale gratuita” ha spiegato che si «osa proporre nientemeno che, allo scopo di combattere la disoccupazione e la stagnazione produttiva in corso, lo stato si decida a fare in piccolo qualcosa che le banche private fanno da generazioni in misura immensamente più grande: creare denaro dal nulla».
La moneta fiscale ha tre caratteristiche fondamentali che la rendono alternativa alla moneta bancaria:
- è emessa e distribuita dallo Stato e non dalle banche private;
- è una moneta nazionale e non una moneta prodotta dalle banche internazionali (come l’euro);
- è una moneta-credito (ovvero distribuita gratuitamente) e non una moneta-debito.
lunedì 2 maggio 2016
Tabellini: Deflazione e la moneta che piove dal cielo
Scenari
Deflazione e la moneta che piove dal cielo
di Guido Tabellini
Negli anni ’70, l’inflazione dovette superare il 10% o addirittura
il 20% prima che molti Paesi si convincessero a cambiare l’assetto
istituzionale della politica monetaria, scoprendo le banche centrali
indipendenti e altri accorgimenti per tenere a bada l’inflazione. Ora in
quasi tutti i Paesi avanzati la sfida è opposta: come far salire
un’inflazione troppo bassa o negativa. Ma come negli anni ’70, alla base
delle difficoltà incontrate dalla politica monetaria sta anche un
assetto istituzionale non più adeguato.
Le tendenze deflazionistiche hanno più cause, alcune benigne, altre meno: il rallentamento dell’economia cinese che contribuisce a far scendere il prezzo delle materie prime; l’innovazione tecnologica che riduce i costi del commercio; l’invecchiamento della popolazione che aumenta i risparmi; l’eccesso di debito che scoraggia la spesa. Indipendentemente dalle cause, tuttavia, la ricetta per contrastare queste tendenze è una sola: aumentare la domanda aggregata. Ma con i tassi di interesse a zero o negativi, gli strumenti tradizionali di politica monetaria non funzionano più. E anche gli strumenti non-convenzionali a disposizione delle banche centrali sono quasi esauriti (con la parziale eccezione della Federal Reserve americana).
Eppure, dal punto di vista tecnico, uno strumento per aumentare la domanda aggregata esiste anche nella situazione attuale: è la cosiddetta “moneta distribuita con l’elicottero”, per usare le parole di Milton Friedman. Cioè la banca centrale stampa moneta e la distribuisce ai cittadini, non in cambio di qualcosa (titoli di stato o la promessa di una restituzione futura), ma in modo permanente e a fondo perduto.
Le obiezioni nei confronti di questo strumento non sono economiche, ma politiche. Dal punto di vista economico non c’è dubbio che sarebbe efficace. Una parte della moneta addizionale verrebbe risparmiata, ma certamente vi sarebbero cittadini che si affretterebbero a spenderla, facendo salire la domanda aggregata e i prezzi.
Anzi, la moneta con l’elicottero avrebbe minori contro-indicazioni rispetto ai tassi di interesse negativi (che mettono a repentaglio la solidità patrimoniale di assicurazioni e banche), e al Quantitative Easing (che alimenta bolle speculative e assunzione eccessiva di rischi).
La vera obiezione è che in questo modo la banca centrale si metterebbe a fare politica fiscale. Anziché intervenire sui mercati finanziari, la banca centrale si troverebbe a decidere entità e modalità di un trasferimento ai cittadini, senza alcuna legittimazione politica o istituzionale. Anche se non fosse proibito dalla legge, una banca centrale che effettuasse trasferimenti permanenti ai cittadini si troverebbe presto privata della sua indipendenza e della sua legittimità.
L’obiezione naturalmente è corretta. Ma non per questo l’idea va scartata. Il problema infatti non è lo strumento economico, ma l’attuale assetto istituzionale, che impedisce un coordinamento efficace tra politica monetaria e fiscale. Come hanno scritto Adair Turner (ex Presidente della Financial Service Authority inglese) e Ben Bernanke (ex Presidente della Federal Reserve), l’indipendenza e legittimità della banca centrale possono essere pienamente preservate, in questo modo: in circostanze eccezionali, la banca centrale può dichiarare che ha esaurito gli strumenti convenzionali, e che pertanto effettuerà un trasferimento permanente a favore del governo (o dei governi nell’area Euro). L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche. Il governo (o i governi) non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o semplicemente se accantonarla per il futuro. Naturalmente, se davvero le circostanze sono eccezionali, la pressione politica costringerebbe i governi a distribuire o spendere questa somma, raggiungendo così l’obiettivo di un effettivo coordinamento tra politica monetaria e fiscale.
Rispetto all’assetto attuale, non verrebbe stravolta la divisione dei compiti. La banca centrale resterebbe indipendente a avrebbe la responsabilità tecnica di decidere che è giunto il momento di fare ricorso a questo strumento eccezionale. E il governo avrebbe la responsabilità politica di scegliere se e come allocare le risorse a sua disposizione. Rispetto alle politiche seguite finora, tuttavia, l’efficacia sarebbe molto maggiore. Il QE infatti allenta il vincolo di bilancio del governo solo per la parte relativa agli interessi, e non costituisce un trasferimento permanente a favore dei governi. Nell’area Euro, in particolare, i governi rimangono soggetti ai vincoli sul debito pubblico. E anche se questi vincoli fossero allentati, in nome della “flessibilità”, l’attenzione dei mercati impedirebbe ai paesi più indebitati di spendere la liquidità immessa sui mercati dalla banca centrale, perché anche il debito comprato dalla Bce con il QE prima o poi andrà ripagato. Un trasferimento permanente, invece, non sarebbe soggetto a questi vincoli e sarebbe assai più efficace nel sostenere la domanda aggregata. Inoltre, la consapevolezza che politica monetaria e fiscale possono essere attivate con questo nuovo strumento contribuirebbe a ridare fiducia all’economia, rendendo con ciò meno necessario ricorrervi.
Per rendere trasparente e concreta questa modalità di coordinamento tra politica monetaria e fiscale, è necessario intervenire sull’assetto istituzionale della banca centrale, prevedendo esplicitamente questa possibilità di attuazione anche nei trattati europei. Il Trattato di Maastricht fu scritto quando i problemi economici erano ben diversi. Chi avrebbe immaginato allora che il tasso di interesse sui depositi presso la Bce sarebbe stato il -0.40%, così come il rendimento sui titoli di stato tedeschi a 5 anni? Non c’è una ragione valida per non cambiare quel Trattato, se non l’inerzia politica dell’Europa. Ma i costi dell’inerzia sono sempre più alti.
Le tendenze deflazionistiche hanno più cause, alcune benigne, altre meno: il rallentamento dell’economia cinese che contribuisce a far scendere il prezzo delle materie prime; l’innovazione tecnologica che riduce i costi del commercio; l’invecchiamento della popolazione che aumenta i risparmi; l’eccesso di debito che scoraggia la spesa. Indipendentemente dalle cause, tuttavia, la ricetta per contrastare queste tendenze è una sola: aumentare la domanda aggregata. Ma con i tassi di interesse a zero o negativi, gli strumenti tradizionali di politica monetaria non funzionano più. E anche gli strumenti non-convenzionali a disposizione delle banche centrali sono quasi esauriti (con la parziale eccezione della Federal Reserve americana).
Eppure, dal punto di vista tecnico, uno strumento per aumentare la domanda aggregata esiste anche nella situazione attuale: è la cosiddetta “moneta distribuita con l’elicottero”, per usare le parole di Milton Friedman. Cioè la banca centrale stampa moneta e la distribuisce ai cittadini, non in cambio di qualcosa (titoli di stato o la promessa di una restituzione futura), ma in modo permanente e a fondo perduto.
Le obiezioni nei confronti di questo strumento non sono economiche, ma politiche. Dal punto di vista economico non c’è dubbio che sarebbe efficace. Una parte della moneta addizionale verrebbe risparmiata, ma certamente vi sarebbero cittadini che si affretterebbero a spenderla, facendo salire la domanda aggregata e i prezzi.
Anzi, la moneta con l’elicottero avrebbe minori contro-indicazioni rispetto ai tassi di interesse negativi (che mettono a repentaglio la solidità patrimoniale di assicurazioni e banche), e al Quantitative Easing (che alimenta bolle speculative e assunzione eccessiva di rischi).
La vera obiezione è che in questo modo la banca centrale si metterebbe a fare politica fiscale. Anziché intervenire sui mercati finanziari, la banca centrale si troverebbe a decidere entità e modalità di un trasferimento ai cittadini, senza alcuna legittimazione politica o istituzionale. Anche se non fosse proibito dalla legge, una banca centrale che effettuasse trasferimenti permanenti ai cittadini si troverebbe presto privata della sua indipendenza e della sua legittimità.
L’obiezione naturalmente è corretta. Ma non per questo l’idea va scartata. Il problema infatti non è lo strumento economico, ma l’attuale assetto istituzionale, che impedisce un coordinamento efficace tra politica monetaria e fiscale. Come hanno scritto Adair Turner (ex Presidente della Financial Service Authority inglese) e Ben Bernanke (ex Presidente della Federal Reserve), l’indipendenza e legittimità della banca centrale possono essere pienamente preservate, in questo modo: in circostanze eccezionali, la banca centrale può dichiarare che ha esaurito gli strumenti convenzionali, e che pertanto effettuerà un trasferimento permanente a favore del governo (o dei governi nell’area Euro). L’importo trasferito è scelto discrezionalmente dalla banca centrale, può essere diluito nel tempo, ed è motivato dalle circostanze economiche. Il governo (o i governi) non possono in alcun modo interferire con la decisione unilaterale della banca centrale, ma scelgono liberamente come disporre della somma trasferita: se e come distribuirla ai cittadini, se usarla per finanziare particolari voci di spesa, o per ritirare debito pubblico o semplicemente se accantonarla per il futuro. Naturalmente, se davvero le circostanze sono eccezionali, la pressione politica costringerebbe i governi a distribuire o spendere questa somma, raggiungendo così l’obiettivo di un effettivo coordinamento tra politica monetaria e fiscale.
Rispetto all’assetto attuale, non verrebbe stravolta la divisione dei compiti. La banca centrale resterebbe indipendente a avrebbe la responsabilità tecnica di decidere che è giunto il momento di fare ricorso a questo strumento eccezionale. E il governo avrebbe la responsabilità politica di scegliere se e come allocare le risorse a sua disposizione. Rispetto alle politiche seguite finora, tuttavia, l’efficacia sarebbe molto maggiore. Il QE infatti allenta il vincolo di bilancio del governo solo per la parte relativa agli interessi, e non costituisce un trasferimento permanente a favore dei governi. Nell’area Euro, in particolare, i governi rimangono soggetti ai vincoli sul debito pubblico. E anche se questi vincoli fossero allentati, in nome della “flessibilità”, l’attenzione dei mercati impedirebbe ai paesi più indebitati di spendere la liquidità immessa sui mercati dalla banca centrale, perché anche il debito comprato dalla Bce con il QE prima o poi andrà ripagato. Un trasferimento permanente, invece, non sarebbe soggetto a questi vincoli e sarebbe assai più efficace nel sostenere la domanda aggregata. Inoltre, la consapevolezza che politica monetaria e fiscale possono essere attivate con questo nuovo strumento contribuirebbe a ridare fiducia all’economia, rendendo con ciò meno necessario ricorrervi.
Per rendere trasparente e concreta questa modalità di coordinamento tra politica monetaria e fiscale, è necessario intervenire sull’assetto istituzionale della banca centrale, prevedendo esplicitamente questa possibilità di attuazione anche nei trattati europei. Il Trattato di Maastricht fu scritto quando i problemi economici erano ben diversi. Chi avrebbe immaginato allora che il tasso di interesse sui depositi presso la Bce sarebbe stato il -0.40%, così come il rendimento sui titoli di stato tedeschi a 5 anni? Non c’è una ragione valida per non cambiare quel Trattato, se non l’inerzia politica dell’Europa. Ma i costi dell’inerzia sono sempre più alti.
19 APRILE 2016
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sabato 30 aprile 2016
Discorso di Marco Saba all'assemblea della banca centrale svizzera 2016
Discorso di Marco Saba all'assemblea della banca centrale svizzera 2016 tenutasi a Berna, al Kultur Casino, alle 10 del 29 aprile 2016
Qui c'è il video: http://streaming.snb.ch/it/archive_player?id=148
Intervento di Saba al 1:10:32 - Replica del presidente Studer al 1:24:30 - Controreplica di Saba al 1:40:10
Qui c'è il video: http://streaming.snb.ch/it/archive_player?id=148
Intervento di Saba al 1:10:32 - Replica del presidente Studer al 1:24:30 - Controreplica di Saba al 1:40:10
lunedì 25 aprile 2016
Riforma pensioni 2016 / Galloni (Inail): usiamo moneta fiduciaria
Riforma pensioni 2016 / Galloni (Inail): usiamo moneta fiduciaria e buoni acquisto per la flessibilità
di Pietro Vernizzi, Il Sussidiario, 24 aprile 2016
http://www.ilsussidiario.net/News/Lavoro/2016/4/24/RIFORMA-PENSIONI-2016-Galloni-Inail-usiamo-bitcoin-e-buoni-acquisto-per-introdurre-la-flessibilita/2/698432/
RIFORMA PENSIONI 2016 «Le
contraddizioni del sistema previdenziale italiano si superano
introducendo un reddito di cittadinanza che può essere reso sostenibile
attraverso la moneta fiduciaria e i buoni acquisto». Ne è convinto il
sindaco Inail, Nino Galloni. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo
Padoan, nel corso dell’audizione di fronte alle commissioni Lavoro di
Camera e Senato aveva sottolineato: “Ci sono margini per ragionare sia
sugli strumenti sia sugli incentivi per migliorare le opportunità per
chi sta per andare in pensione e per chi deve entrare nel mondo del
lavoro. In questo senso sono aperto a forme di finanziamento
complementare”.
Il
governo ha detto più volte di essere intenzionato ad attuare una
riforma delle pensioni, ma finora non ha fatto nulla. Stavolta il
messaggio di Padoan è più forte rispetto al passato?
Sì.
Però nel nostro sistema quando si parla di pensioni obbligatorie
bisogna sempre distinguere queste ultime da tutte le altre forme di
previdenza complementare e integrativa. Il cosiddetto “secondo pilastro”
richiede risorse e la sua redditività va valutata con sistemi
attuariali seri, perché nei fatti potrebbe non dare tutti questi
risultati. Inoltre se l’assegno erogato dalla pensione obbligatoria si
riduce sempre di più, confidando in un aumento delle pensioni
complementari, di fatto è come se ci trovassimo di fronte al gioco delle
tre carte.
A quale modello si ispira il ministro Padoan?
Dalle
sue dichiarazioni il ministro Padoan sembra ispirarsi ai sistemi
previdenziali britannico o americano, che però sono molto diversi dal
nostro. C’è una pensione minima, che è quella obbligatoria, sostenuta in
parte con i versamenti dei diretti interessati e in parte con una
componente di solidarietà fornita dai redditi più elevati. Questi ultimi
beneficiano del fatto che hanno degli sgravi molto importanti sulla
pensione complementare.
Lei ritiene che qualcosa di simile potrebbe funzionare anche in Italia?
Se
introduciamo il reddito di cittadinanza o altri strumenti, poi possiamo
ripensare l’intero sistema pensionistico. Paradossalmente in base a
quello che ha detto il presidente Inps, Tito Boeri, invece di mandare le
persone in pensione a 75 anni, si potrebbero abolire del tutto i
versamenti e introdurre un reddito minimo a carico della fiscalità
generale. Mentre ai più benestanti si assicura la possibilità di avere
degli sgravi su un sistema previdenziale a capitalizzazione. Questa è
una possibilità, anche se non sono sicuro di condividerla.
Quale ruolo avrebbero le banche in questa riforma?
Il
governo invita le banche a entrare in questo business, anticipando
l’assegno anche con bassi tassi d’interesse e garantendo così una
pensione privata da aggiungersi a quella pubblica che si riduce.
Coinvolgere le banche è la strada giusta?
Secondo
me questa non è la soluzione del problema, quanto piuttosto una parte
del problema: la finanziarizzazione dei versamenti previdenziali e della
previdenza complementare.
Quindi secondo lei qual è la strada da seguire?
Personalmente
ritengo che si dovrebbe intervenire con una riforma della previdenza
obbligatoria. Bisogna fare in modo che ci sia la possibilità di uscire
anticipatamente dal sistema quando si vuole, con una pensione che
ovviamente sarà proporzionata ai versamenti. Se poi si capisce che
questo è incompatibile con un assegno minimo, comunque bisognerà mettere
mano alla fiscalità generale a costo di emettere moneta fiduciaria e
buoni acquisto a sostegno del reddito dei pensionati poveri.
Di fatto questo è un reddito di cittadinanza?
Sì,
anche se non è attuato aumentando le tasse o distribuendo la ricchezza
in modo più equo, bensì immettendo nel sistema mezzi di pagamento
fiduciari che poi lo Stato recupera attraverso le entrate tributarie.
Gli strumenti sono questi, la bacchetta magica non ce l’abbiamo ancora.
In base alla dichiarazione di Padoan, ci sono altre soluzioni possibili?
Quello
di Padoan è un discorso generale. Siccome le pensioni di base si
riducono o possono essere insufficienti, il suo invito è a incentivare
quelle complementari attraverso sistemi a capitalizzazione che
consentano maggiori entrate.
venerdì 22 aprile 2016
Alla Normale di Pisa: la shadow-money e le banche centrali (e non...)
ECPR Joint Sessions
Scuola Normale Superiore, Scuola Superiore Sant'Anna and University of Pisa
Pozsar (2014, 2015) argues that shadow money begins where money created by banks (deposits) ends, bringing together demand for safety from cash-rich institutional investors with demand for risk from leveraged portfolio investors. Conceptually, Pozsar’s contribution draws on a tradition in monetary theory that conceives of money as a balance sheet relationship (Minsky, 1987, Bell 2001, Mehrling 2012), with money hierarchies closely reflecting (cross-border) institutional arrangements: gold as money between central banks, reserves as money between banks, deposits as money between firms and households. Pozsar (2014) however assumes that crises matter only for private shadow ‘moneyness’ and that the US-based shadow banking is analytically representative for the entire (shadow) banking universe. These assumptions downplay important questions of national (and supranational) economic management in an era of financial globalization, overlook connections and potential conflicts between fiscal, monetary and macroprudential policies.
In addressing these issues, we draw upon and contribute to the money view literature (Mehrling 2012, Merhling et al 2013, Pozsar 2014, 2015). Noting that shadow banking (or market-based finance) is distinctive from relationship banking in that debt relationships are typically organized via marketable financial instruments, we define shadow money as repo liabilities supported by tradable collateral. We outline the constraints governing the creation of shadow money and examine the specific mechanisms through which these constraints may (de)stabilize money hierarchies.
Scuola Normale Superiore, Scuola Superiore Sant'Anna and University of Pisa
Pisa 24 - 28 April 2016
WORKSHOP 21 - AULA 6
Managing Shadow Money
China - Euro - Globalisation - Governance - Political Economy - Public Policy
Presenter
Authors
Daniela Gabor
University of the West of England
Jakob Vestergaard
Danish Institute for International Studies
University of the West of England
Jakob Vestergaard
Danish Institute for International Studies
Workshop The Politics of Central Banking
Abstract
Since
the global financial crisis, it has been well established that we need
to improve our understanding of shadow banking. Research has so far
focused on sources of pro-cyclicality, channels of systemic contagion,
and policies to mitigate shadow instability. Recently, however, scholars
explored broader questions: What does the rise of shadow banking mean
for monetary theory and practice? How should we change our traditional
theories of money to capture the complex practices through which money
is created in modern financial systems? Pozsar (2014, 2015) argues that shadow money begins where money created by banks (deposits) ends, bringing together demand for safety from cash-rich institutional investors with demand for risk from leveraged portfolio investors. Conceptually, Pozsar’s contribution draws on a tradition in monetary theory that conceives of money as a balance sheet relationship (Minsky, 1987, Bell 2001, Mehrling 2012), with money hierarchies closely reflecting (cross-border) institutional arrangements: gold as money between central banks, reserves as money between banks, deposits as money between firms and households. Pozsar (2014) however assumes that crises matter only for private shadow ‘moneyness’ and that the US-based shadow banking is analytically representative for the entire (shadow) banking universe. These assumptions downplay important questions of national (and supranational) economic management in an era of financial globalization, overlook connections and potential conflicts between fiscal, monetary and macroprudential policies.
In addressing these issues, we draw upon and contribute to the money view literature (Mehrling 2012, Merhling et al 2013, Pozsar 2014, 2015). Noting that shadow banking (or market-based finance) is distinctive from relationship banking in that debt relationships are typically organized via marketable financial instruments, we define shadow money as repo liabilities supported by tradable collateral. We outline the constraints governing the creation of shadow money and examine the specific mechanisms through which these constraints may (de)stabilize money hierarchies.
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