FRAUDOLENTA DEL
CREDITO. PERCHE’ BANKITALIA HA REGALATO 3
BANCHE PER 1 EURO AD UBI
BANCA?
(OPi
– 12.6.2017) Mentre Bankitalia dormiva sonni tranquilli sulla
gestione fraudolenta del credito e del risparmio di Banca UBI, alla
quale l’ossequioso governatore Ignazio Visco ha addirittura
regalato, per la somma di 1 euro, ben 3 delle 4 banche in risoluzione
(Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti) come premio fedeltà, si
allargano le inchieste della magistratura per vederci più chiaro su
operazioni illegittime, stavolta di riciclaggio internazionale, come
segnalato dalle denunce di Adusbef e dell’associazione piccoli
azionisti di Giorgio Jannone.
Dopo
le denunce e gli esposti di Adusbef (fine 2012), dei 5 consiglieri di
minoranza (luglio 2013) e del presidente dei piccoli azionisti di Ubi
Giorgio Jannone, la Procura di Bergamo ha attivato una robusta
inchiesta riguardante 39 soggetti più Ubi stessa a carico di
banchieri come Emilio Zanetti, Andrea Moltrasio, Giampiero Pesenti,
Giovanni Bazoli e la figlia Francesca, l’ad di Ubi Victor Massiah
ed il vicepresidente Mario Cera, la procura di Brescia ha aperto un
ulteriore filone per riciclaggio.
Roberto
Peroni già responsabile dell’ufficio antiriciclaggio,
finanziamento al terrorismo, segnalazioni sospette e indagini penali
di Ubi, denunciò operazioni sospette, movimentazioni milionarie con
società già finite nei guai, rimpatri di ingentissime quantità di
denaro su conti scudati, con nomi e cognomi dei vertici Ubi, raccolte
in una decina di cartelle (su quasi 50 mila pagine della maxi
inchiesta Ubi) messe a verbale dai Carabinieri a cui si rivolse a
fine maggio 2014.
La
Guardia di Finanza su mandato della Procura di Brescia, ha acquisito
e sequestrato tutta la documentazione informatica e cartacea utile
alle indagini, dove ci sarebbero segnalazioni di operazioni sospette
in materia di antiriciclaggio ed agli obblighi di adeguata verifica
della clientela su un correntista che avrebbe fatto rientrare ingenti
capitali dall’estero, in particolare una ferriera di Brescia
riconducibile all’ex presidente del consiglio di gestione Ubi,
utilizzando la succursale Ubi in Lussemburgo, la Ubi Banca
International.
Di
fronte a questi ulteriori elementi, messi nero su bianco negli
esposti denunce di Adusbef e piccoli azionisti Ubi, è doveroso
chiedere – afferma Elio Lannutti - cosa abbia fatto l’ufficio di
vigilanza di Bankitalia in merito alla gestione fraudolenta del
credito e del risparmio di questi signori, e quale compito abbia
svolto l’Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF), per
prevenire fenomeni di riciclaggio, come quelli denunciati da Roberto
Peroni e forse imboscati, per non disturbare gli affari dei
‘banchieri amici’.
Ecco a cosa serve davvero la banca centrale indipendente
marco zanni
L'indipendenza della banca centrale è incompatibile con la democrazia
Ieri in aula a Strasburgo, su iniziativa del gruppo ECR e dell'ottimo collega tedesco prof. Starbatty, si è dibattuto sui poteri della BCE, sulle sue prerogative e sul dogma dell'indipendenza della banca centrale.
Più volte abbiamo parlato dell'inganno della banca centrale indipendente e del vero motivo che sta dietro a questo dogma: far gestire le politiche monetarie a dei tecnocrati e non alla politica non serve assolutamente, come ci vogliono far credere, a far sì che i partiti irresponsabili e spendaccioni usino questo strumento per i propri scopi elettorali causando inflazione (ah!!! Quella che Monti definisce la tassa più iniqua soprattutto per i poveracci!), perché sia la teoria economica che l'evidenza empirica dimostrano che non c'è nessuna relazione diretta tra la quantità di moneta stampata e l'andamento dei prezzi. Rendere la banca e i banchieri centrali indipendenti serve soltanto a sottrarre allo scrutinio democratico uno degli strumenti politici più importanti e delicati al mondo: la gestione della moneta e delle politiche monetarie. In questo modo, togliendo alla politica e a membri eletti dal popolo (che secondo la nostra Costituzione è sovrano) la gestione di uno dei più potenti strumenti di redistribuzione della ricchezza, le élite che hanno voluto questo si sono garantite il grandissimo potere incontrastato di poter utilizzare le politiche monetarie e le banche centrali per canalizzare parti sempre maggiori di reddito e ricchezza nelle loro tasche. Il giochetto è più semplice a farsi che a dirsi: prima ti prima convinco che i periodi di alta inflazione degli anni '70 siano stati causati dall'eccessiva creazione di moneta da parte delle banche centrali (inflazione che, come ti ho convinto a credere, è la più iniqua delle tasse, che grava sui poveri), poi che, essendo uno strumento delicato e i politici tutti ladri, che non si può lasciare la gestione di questo strumento a loro, perché lo userebbero solo a scopo elettorale caricando oneri pesantissimi sulle generazioni future (appunto creando inflazione). Quindi, per il bene del popolo, le politiche monetarie devono essere "indipendenti" (ecco la parolina magica), gestite cioè da "tecnici" sopra le parti che nella loro magnanimità hanno a cuore il bene supremo del popolo.
Ecco per loro come si è tradotto il termine "bene del popolo": il tasso d'interesse non è più deciso e calmierato dal Tesoro secondo le esigenze di spesa, ma è definito dai cosiddetti mercati, che non sono altro che grandi istituzioni finanziarie e grandi investitori il cui obiettivo per definizione non è il bene del popoli, ma la massimizzazione del profitto loro e dei loro azionisti. E infatti questo succede: dopo il divorzio Tesoro - Bankitalia del 1981, gli investitori, mancando ora la protezione della banca centrale, richiedono al Tesoro tassi d'interesse sempre più alti per rifinanziare il debito. Il Tesoro deve accettare, negli anni la fetta di spesa annaule del bilancio a servizio del debito (interessi passivi) aumenta, e per far quadrare i conti, diminuisce la spesa per il welfare e i servizi ai cittadini, che si trovano a dover pagare prestazioni (che spesso devono essere garantite universalmente come da Costituzione) che prima erano gratuite. Ecco fatto! La ricchezza si è redistribuita dai cittadini (meno servizi e welfare) ai grandi investitori e alla grande finanza (maggiori interessi incassati). Questo è il più grande e inaccettabile inganno della storia!
Ma non è finita qui, perché ovviamente, per avere politiche monetarie "indipendenti", anche i banchieri centrali devono essere indipendenti. E come si traduce questo concetto per la "regina" delle banche centrali indipendenti, la BCE, e per il suo governatore, Mario Draghi? Nel fare e dire quello che vogliono senza dover rendere conto a nessuno, tantomeno a un contraltare politico eletto direttamente dai cittadini con tanto di preferenze che ha l'obbligo di monitorare e controllare le attività di queste istituzioni. Insomma, Draghi può mandare lettere ai governi con la lista delle riforme da fare, può mandare moiti a politici legittimamente eletti, può sovvertire risultati di referendum popolari e può costringere uno Stato sovrano alla resa semplicemente bloccando la liquidità al suo sistema bancario; lui può fare tutto questo, ma non azzardatevi a fargli una domanda scomoda, perché lui può dire che non ha voglia di rispondervi, neanche se avete la legittimazione del voto popolare.
Ho avudo evidenza empirica di questo ancora di recente, e vi voglio rendere partecipi di quest'assurdità, che assurdità non lo è poi così tanto oggi, quando anche la più piccola parvenza di democrazia viene calpestata senza destare clamore.
Vi ricorderete tutti la questione dei saldi del sistema TARGET2: l'8 dicembre 2016 invio questa interrogazione con obbligo di risposta scritta alla BCE (qui trovate il link al testo: http://www.europarl.europa.eu/RegData/commissions/econ/questions/2016/595479/ECON_QZ(2016)595479_EN.pdf). L'interrogazione è uno dei pochi strumenti che ha un eurodeputato per esercitare quel controllo democratico sulle istituzioni tecnocratiche dell'UE (Commissione europea, BCE, Banca Europea degli investimenti, ecc.). In questa interrogazione scritta chiedo a Draghi alcune delucidazioni sul preoccupante andamento dei saldi TARGET2 e alla fine faccio una richiesta. Essendo la BCE l'organo tecnico che si occupa di gestire e monitorare questi saldi, io, politico incapace per definizione di capire questi processi, chiedo a lui, tecnico illuminato, di spiegarci cosa succederebbe ai saldi TARGET2 in caso di un uscita dall'euro di un Paese membro. Domanda legittima: siamo stati più volte vicini negli scorsi anni all'implosione della zona euro o all'uscita di un Paese, giusto sapere come la BCE gestirà la questione e cosa accadrà.
La risposta di Draghi arriva un mese e mezzo dopo, e la potete leggere qua (https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/170120letter_valli_zanni_1.it.pdf). In sostanza dopo uno sproloquio in cui Draghi spiega che aumento divergenza saldi TARGET2 non dimostra insostenibilità euro ma è soltanto l'effetto del QE (sì, come no...), il presidente risponde alla mia ipotesi su uscita dall'euro: con un tono un po' minaccioso, Draghi mi dice che "Se un paese lasciasse l’Eurosistema, i crediti e le passività della sua BCN nei confronti della BCE dovrebbero essere regolati integralmente.". Booooommmm!!! Ecco i titoli dei giornali e scoppia la polemica. Se l'Italia dovesse uscire dall'euro, dovrà prima pagare il suo conto negativo di TARGET2, circa €370 miliardi. Scoppia un putiferio e né Draghi, né la BCE, negano. Secondo l'interpretazione della BCE, se un Paese esce dall'euro e ha un saldo negativo di TARGET2, dovrà ripianare il saldo con fresh money.
Ritengo subito la risposta interessante, perché oltre ad aprire un bel dibattito su un argomento oscuro, la risposta di Draghi apre anche le porte a successivo domande di chiarimento: ad esempio, se un Paese debitore quando esce deve pagare il conto, cosa succede nel caso che ad uscire sia un Paese creditore, cioè con un saldo TARGET2 positivo (tipo la Germania ad esempio)? La domanda salta subito al naso, ed infatti l'interrogazione scritta alla BCE non tarda ad arrivare.
Poche settimane dopo, l'eurodeputato tedesco Henkel (ex AfD e ora nel partito Alfa) deposita questa ulteriore interrogazione scritta alla BCE: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=COMPARL&reference=PE-597.741&format=PDF&language=EN&secondRef=01. Nel testo Henkel chiede esattamente quello che ho scritto sopra, citando la risposta alla mia precedente interrogazione. Parafrasando, il tedesco chiede a Draghi se visto che secondo la BCE un Paese uscente deve pagare saldo TARGET2, nel caso uscisse la Germania, la BCE farà alla Bundesbank un bonifico da €700 miliardi, cioè pari al saldo attivo di TARGET2 tedesco? La logica di Draghi e della BCE direbbe di sì.
Draghi risponde a Henkel l'11 aprile 2017 (qui il testo https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/170411letter_agea_masi_henkel_lucke_valli.en.pdf?cda78e89de661e9749117afafe331495). Ma con sorpresa cosa dice Marione nostro? Evidentemente accortosi del vaso di pandora aperto dicendo una fesseria su TARGET2 in caso di eurexit, si trincera dietro il suo schermo da banchiere centrale indipendente dicendo che i Trattati UE non prevedono la possibilità di recedere dall'Euro (falso, perché secondo Trattati si può recedere da UE, da tutto l'acquis comunitario, e quindi anche dall'euro ex articolo 50 del Trattato di Lisbona), quindi non è opportuno che la BCE, che deve operare dentro i Trattati, faccia ipotesi su o riflessioni su assunti non previsti dagli stessi. Ma come Mario???? Quando ci vuoi terrorizzare dicendoci che se usciamo dall'euro dobbiamo pagare €370 miliardi ti va bene "fare ipotesi su assunzioni non previste dai trattati", ma quando ti chiedono il conto di una fesseria che hai sparato e che ti ha cacciato in un angolo, ti trinceri dietro i Trattati e dietro la protezione che ti dà il tuo ruolo da banchiere centrale indipendente? Almeno un minimo di coerenza, ma nemmeno quella.
Deciso però a fare giustizia, il 26 aprile scrivo di nuovo a Draghi chiedendo delucidazioni in maniera molto cortese: qui trovate il testo http://www.europarl.europa.eu/RegData/commissions/econ/questions/2017/603025/ECON_QZ(2017)603025_EN.pdf. Faccio notare con garbo all'amico Mario la sua coerenza e gli chiedo di rendere conto di questa incongruenza nelle modalità di risposta: perché, Mario mio, nel primo caso era opportuno fare ipotesi su un'assunzione non prevista dai Trattati mentre nel secondo no? Cosa ti ha fatto cambiare idea?
Questa è la democrazia, questa è l'arroganza con cui questi tecnocrati non eletti da nessuno trattano persone che godono della legittimazione del voto popolare, che è sovrano. Questa è la democratic accountability dell'UE, che messa alle strette non risponde. Questo è il vero significato e il vero potere dell'indipendenza della banca centrale e delle politiche monetarie.
Vi terrò aggiornati sul prosequio della questione, perché ovviamente non si chiude qui: ho già presentato una nuova interrogazione all'amico Mario chiedendo 1) Perché non risponde alla mia domanda e 2) Perché ignora quanto previsto dai Trattati, visto che ex articolo 50 di Lisbona dall'euro si può uscire? Io continuo a riempirlo di carta, vediamo chi si stanca prima
Giorgio Cremaschi
Militante nei movimenti sociali e coordinatore del Forum Diritti Lavoro
Huffington Post
Se l'amministratore di un'impresa privata
decidesse di regalare beni aziendali e poi regalasse soldi a chi
accettasse di appropriarsene, questo amministratore difficilmente
riuscirebbe ad evitare il confronto col codice civile e penale.
Invece
i nostri governanti, amministratori dei beni di tutti, così si
comportano con le nostre proprietà e con quelle altrui che finanziano.
Per lo stato nell'economia debbono valere regole di svantaggio rispetto a
qualsiasi grande azienda privata, così vuole l'Unione Europea e così i
governanti che ad essa ubbidiscono. Ovviamente con la massima
soddisfazione degli imprenditori privati, che si vedono regalate le
aziende e che quando le mandano in malora possono fuggire e scaricare di
nuovo tutto sullo stato.
Con
quanti nostri soldi lo Stato italiano ha finanziato le privatizzazioni?
Decine e decine, forse centinaia sono i miliardi spesi per privatizzare
il patrimonio produttivo pubblico, nel nome della riduzione di un debito
che non si è mai realizzata e di un maggiore efficienza mai ottenuta.
Quanti miliardi sono stati regalati a imprenditori e multinazionali che
poi hanno sfasciato le aziende? Questa cifra non viene mai fornita ad
una opinione pubblica martellata dalla compagna a favore delle svendite.
Svendite come quella delle acciaierie di Piombino,
che dopo una lunga trafila di fallimenti imprenditoriali, da Lucchini
ai magnati russi, sono state regalate ad un imprenditore algerino che
non si è mai fatto vedere.
Quella che oggi è l'Ilva è stata regalata
alla famiglia Riva dal governo e dall'Iri di Prodi. I Riva hanno
accumulato per anni miliardi, poi sono crollati sotto il peso della
crisi e dei danni ambientali. Lo Stato da allora finanzia l'azienda a
fondo perduto, in attesa di svenderla a qualche multinazionale che
saccheggerà ciò che è rimasto, farà un'ecatombe di licenziamenti e
lascerà tutti i danni ambientali a carico della comunità e della spesa
pubblica.
Mentre fallivano in Ilva, i Riva venivano chiamati da Berlusconi a salvare l'Alitalia,
assieme a Colaninno, Marcegaglia, Montezemolo e tanti altri bei nomi,
tutti coordinati da Passera allora a capo di Banca Intesa. Tutta la
crema della imprenditorialità e della finanza italiana ha mostrato il
suo reale valore nella gestione della compagnia aerea. E il fallimento è
stato totale, come quello del quotidiano che ufficialmente la
rappresenta, il Sole24Ore.
Le
poche grandi privatizzazioni che, per ora, non sono fallite hanno
consegnato le eccellenze del sistema produttivo italiano, dalla Telecom
all'Ansaldo, alle multinazionali. Multinazionali a cui si affidano le
aziende private medie, non appena i loro vecchi titolari pensino al
futuro, Luxottica insegna. La Fiat della famiglia Agnelli è un'azienda
americana con sede legale in Olanda, mentre l'Olivetti non esiste più, è
stata sacrificata da De Benedetti per realizzare l'Omnitel, che oggi
appartiene alla Vodafone. Le banche, che in gran parte erano pubbliche, o
sono già in possesso o sono in attesa di un compratore estero, partner
si dice nel mondo bene.
Quel
sistema industriale e finanziario che era stato in grado di collocare
il nostro paese tra quelli più sviluppati, e che si reggeva proprio per
il peso ed il ruolo del sistema pubblico, è stato smantellato e svenduto
pezzo dopo pezzo. E dopo il fallimento indecoroso della classe
imprenditoriale italiana, quel sistema è ora terreno di caccia per tutti
i venditori di Colosseo che parlino inglese.
Il vice di Renzi, Martina, ha sfacciatamente confessato
che il governo non può nazionalizzare Alitalia, altrimenti dovrebbe
fare altrettanto con tutte le aziende che dovessero chiudere. Che
evidentemente sono tante per l'ingenuo ministro, che smentisce in tal
modo l'ottimismo ufficiale del palazzo.
Così, grazie alla fermezza autolesionista del governo, Lufthansa può far sapere
di non essere interessata alla nostra compagnia aerea: deve solo
aspettare la catastrofe finale dell'azienda e poi raccoglierne gratis i
cocci. Lo stesso faranno le multinazionali dell'acciaio interessate
all'Ilva: anch'esse devono solo attendere il disastro.
Le
privatizzazioni sono solo svendita di beni di tutti, una svendita
pagata coi soldi di tutti. Non c'è nulla di più falso e in malafede che
affermare che lo stato non può più spendere i soldi dei cittadini per
finanziare aziende in crisi. Perché la realtà dimostra che regalare le
aziende pubbliche ai privati alla fine costa molto di più. Costa di più
sul piano produttivo perché le aziende vanno peggio. Costa di più sul
piano sociale per i nuovi disoccupati che si aggiungono ai tanti altri
già esistenti. E costa di più perché il conto, per la spesa pubblica che
deve riparare ai guasti del privato, è più alto oggi di quando le
aziende erano in mano pubblica. Se l'amministratore di un condominio
ruba si caccia lui, ma non si butta giù la casa. Le privatizzazioni han
buttato giù la casa.
Gli articoli 41e 42 della nostra Costituzione
hanno definito i vincoli a cui sono sottoposte la proprietà e
l'iniziativa privata e gli spazi riservato all'intervento pubblico.
Decenni di politiche liberiste sotto dettatura della Unione Europea
hanno rovesciato nel loro opposto questi e tanti altri articoli della
nostra Carta. Il privato deve avere tutto e il pubblico lo deve
finanziare a fondo perduto.
Si regalano 20 miliardi alle banche
perché i loro futuri acquirenti non trovino troppe sofferenze, se ne
sono versati altri 60 in sede europea per lo stesso scopo. Gentiloni
promette a Trump di pagare la bolletta NATO, ma salvare Alitalia, Ilva,
Piombino non si può, lì o ci pensa il mercato o si chiude. L'ideologia
liberista è già insopportabile in sé, quando poi diventa la
giustificazione per lo spreco dei soldi pubblici e per la distruzione
del patrimonio industriale diventa un costo insostenibile.
Dobbiamo
ringraziare i lavoratori Alitalia che con il loro No hanno respinto
l'ennesimo regalo ai privati, questa volta concesso agli sceicchi di
Etihad, che non sono certo privi di mezzi propri.
La nazionalizzazione di Alitalia,
dell'Ilva, delle altre aziende strategiche in crisi è la sola via
realistica per sottrarsi ai danni dell'incapacità imprenditoriale
nazionale e della rapina multinazionale. Il resto è solo servilismo
verso i poteri e gli interessi che vogliono il nostro paese in vendita.
Low cost.