Germania o Grecia, uscire dall’euro è sempre più facile
Fabrizio Goria, L'Inkiesta
Avanza l’ipotesi dell’uscita di uno Stato dalla zona euro. Una ricerca di Ubs evidenzia i costi economici, politici e sociali. Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non lo fa riferendosi solamente alla Grecia, bensì anche alla Germania. Solo che gli analisti della banca svizzera ammoniscono: quasi nessuna unione monetaria si è disgregata «senza una qualche forma di governo autoritario o militare, o di guerra civile». E la Merkel apre: «I cambiamenti nei trattati Ue non dovrebbero essere un tabù».
7 settembre 2011 - 16:15
«L’euro non dovrebbe esistere (almeno in questa forma)». Si aprono le danze sull’uscita dall’eurozona di uno Stato europeo. A lanciare ufficialmente l’allarme è la banca svizzera Ubs. In un report di Paul Donovan, Stephane Deo e Larry Hatheway vengono evidenziate tutte le attuali criticità della zona euro, compresi i costi economici della secessione di un Paese membro dall’area della moneta unica. Sebbene Ubs ricordi che «è improbabile» che si arrivi all’Euro break-up, il collasso dell’euro, sono singolari le dichiarazioni di oggi del cancelliere tedesco Angela Merkel. «I cambiamenti nei trattati Ue non dovrebbero essere un tabù», ha detto riferendosi ai problemi dell’Unione monetaria europea. Nel frattempo Deo, capo economista Ue del gruppo bancario svizzero, avverte i mercati finanziari mondiali: «La Grecia è insolvente». E Jean-Claude Juncker, numero uno dell’Eurogruppo, spiega che «la prossima tranche di aiuti ad Atene non è scontata».
L’inizio dell’analisi di Ubs non lascia spazio all’ottimismo. «Sotto l’attuale struttura e con i membri attuali, l’euro non funziona. L’attuale struttura dovrà cambiare, o saranno i membri attuali a dover cambiare», scrive la banca elvetica. E lo sottolinea citando una frase del dicembre 2001 di Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea. «Sono sicuro che l’Euro ci obbligherà a organizzare una nuova serie di strumenti di politica economica, anche se è politicamente impossibile proporli adesso. Ma verrà il giorno in cui ci sarà una crisi, e saranno creati nuovi strumenti», diceva l'ex primo ministro italiano alla vigilia dell’introduzione dell’euro.
La ricerca di Ubs prende in esame i costi di un’uscita dall’eurozona. Linkiesta già a febbraio aveva parlato di questa possibilità, che ora sta prendendo sempre più piede. Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non lo fa riferendosi solamente alla Grecia, bensì anche alla Germania. Quattro sono i fattori di costo per la secessione, dato che l’espulsione dalla Ue non è attualmente contemplata dai trattati europei: la svalutazione della nuova valuta, il collasso bancario, la depressione del commercio con gli altri Paesi limitrofi e i possibili disordini sociali. A essi si aggiungono i costi politici dovuti all’indebolimento dell’Unione europea, che vedrebbe sgretolarsi il terreno sotto i piedi.
La questione è solo una. Nel peggiore scenario possibile, a chi conviene maggiormente lasciare l’eurozona? Nelle sale trading delle banche europee circola voce che sono due le opzioni possibili. O escono i Paesi forti o escono quelli deboli. Nel primo caso sarebbero Germania, Olanda e Finlandia i primi ad avallare la secessione, con cui si costituirebbe quella che Ubs definisce Nnc (new national currency, la nuova valuta nazionale). Una volta uscito, il Paese avrebbe di fronte a sé due vie per la gestione del debito pubblico. Da un lato potrebbe mantenerlo denominato in euro, seppur con un problema di tassazione che porterebbe quel Paese a utilizzare il commercio estero come driver per detenere riserve in euro. Dall’altro lo Stato in uscita potrebbe ridenominare il proprio debito nella nuova valuta, elemento che porterebbe a un deprezzamento dell’intero stock, capace di essere percepito come un default dagli investitori. Una nazione come la Germania, secondo i calcoli di Ubs, potrebbe perdere fra i 6.000 e gli 8.000 euro procapite per il primo anno e fra i 3.500 e i 4.500 euro per quelli successivi. In altre parole, nel primo anno il Prodotto interno lordo tedesco si contrarrebbe di una cifra compresa fra il 20% e il 25% del valore ante uscita dall’euro. Se può sembrare tantissimo, vale la pena ricordare che il costo dei tre salvataggi (Grecia, Irlanda, Portogallo) finora è stato di circa 1.000 euro solo per i tedeschi.
L’altra possibilità contemplata dagli scenari di Ubs sarebbe quella di un'espulsione dall’Unione monetaria europea. In questo quadro a uscire sarebbero i Paesi incapaci di garantire un piano di consolidamento fiscale credibile e sostenibile. Prendendo questi due semplici parametri la prima a essere espulsa sarebbe inevitabilmente la Grecia. Per Atene il costo leviterebbe fino a una cifra compresa tra 9.500 e 11.500 euro procapite per il primo anno, più fra i 3.000 e i 4.000 euro procapite all’anno per quelli successivi. La Grecia quindi perderebbe circa fra il 40% e il 50% del proprio Pil solo nei primi 12 mesi di secessione.
Tuttavia, attualmente non esistono soluzioni per fare ciò. Il Trattato di Lisbona, all’articolo 50, disciplina il recesso dall’Unione europea, non dall’Unione monetaria. Uscire dall’eurozona, con le correnti fattispecie normative, violerebbe il Trattato di Maastricht, quello di Lisbona e quello di Roma. Tuttavia, si sta lavorando a una modifica dell’assetto legale dell’Ue. In deroga al Trattato di Lisbona, che ha il requisito della volontarietà nella secessione dall’Unione europea (non è ammessa l’espulsione), ma non dalla divisa unica, si potrebbe applicare un meccanismo normativo capace di garantire una via d’uscita dall’eurozona. Se da un lato l’appartenenza all’Unione europea non può essere messa in discussione se non su base volontaria, è altrettanto vero che lo stesso paradigma si dovrebbe applicare all’Unione monetaria europea. O almeno questo è il pensiero che sta prendendo piede in Germania e Olanda.
Oggi il cancelliere Merkel ha espressamente parlato di secessione dalla zona euro. «I problemi di un singolo Paese non possono mettere in pericolo un’intera valuta, i cambiamenti nei trattati Ue non dovrebbero essere un tabù», ha detto la Merkel. Il tutto pochi istanti dopo la decisione della Corte costituzionale tedesca in merito alla costituzionalità degli aiuti di Berlino nel primo piano di salvataggio della Grecia. Gli ha fatto eco il ministro olandese delle Finanze, Jan Kees de Jager. «Abbiamo proposto all’Ue una serie di sanzioni per gli Stati dell’eurozona che non raggiungono gli obiettivi di budget minimi», ha detto. Fra queste, il titolare del Tesoro olandese ha specificato che c’è «una clausola che permetta ai Paesi di lasciare la zona euro». Nei corridoi della Bce l’argomento non è più tabù, come confermato a Linkiesta da fonti interne all’Eurotower. «Solo come caso di studio», garantiscono da Francoforte.
A gettare un’ombra sul futuro dell’attuale eurozona ci pensa ancora Ubs. Gli analisti della banca svizzera fanno notare che «quasi nessuna delle moderne unioni monetarie fiat (con valuta a corso legale, ndr) si sono disgregate senza una qualche forma di governo autoritario o militare, o di guerra civile». E questo non è esattamente il miglior scenario possibile per l’Europa.
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