Dietro il caso derivati lo scontro tra Tesoro e Bankitalia
Pubblicato: 26/06/2013 12:57
Il ministero dell'Economia e la Banca d'Italia. A Roma, via XX settembre, sede del primo, dista da via Nazionale, che ospita la seconda istituzione, solo poche centinaia di metri. Ma per oltre un decennio, durante la fase più alta della parabola berlusconiana e tremontiana, la distanza tra le due istituzioni è stata ampia. Giulio Tremonti, che salvo poche parentesi, ha occupato per anni la scrivania che fu di Quintino Sella, non ha mai fatto mistero del poco feeling con Mario Draghi.
Tanto che da ministro dell'Economia, provò a piazzare sullo scranno di via Nazionale il suo braccio destro, l'allora direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli. Il Tesoro tentò, fu detto, l'Opa su Bankitalia. Caduto il governo Berlusconi sotto i colpi dello spread, archiviata la parentesi Monti (con Grilli promosso ministro dell'Economia), con il governo guidato da Enrico Letta, si è consumata una sorta di nemesi.
Letta ha scelto come ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, un ex direttore generale della Banca d'Italia vicinissimo a Draghi e che insieme a Grilli era stato in corsa per la successione a via Nazionale allo stesso governatore. Saccomanni appena arrivato al dicastero ha sostituito il potente Mario Canzio, Ragioniere Generale dello Stato, con Daniele Franco, anche lui proveniente dai ranghi della Banca d'Italia. Come dalla Banca d'Italia proviene uno dei collaboratori più stretti di Saccomanni, Vieri Ceriani.
A via XX settembre questo trasloco in massa da via Nazionale è visto come lo sbarco in Normandia. L'attacco finale a chi, per certi versi, considera come un santuario i chilometrici corridoi del ministero dove le porte hanno ancora l'oblò usato decenni fa per permettere di controllare il lavoro degli impiegati. Per fronteggiare un'invasione di forze preponderanti, l'unica arma è la guerriglia.
Oggi è scoppiata la prima bomba, il possibile buco di 8 miliardi di euro dovuto, guarda caso, a derivati sottoscritti negli anni novanta, quando direttore generale del Tesoro era Mario Draghi. Altre ne arriveranno, meglio saperlo. In gioco c'è il potere, quello vero. Chi controlla la cassa controlla il governo. Gli 800 miliardi di spesa pubblica, i 2 mila miliardi di debito, le entrate fiscali, le nomine delle società pubbliche, le loro strategie, tutto passa da via XX settembre. La partita, quella vera, si gioca lì. Ed è una partita pericolosa.
L'eco delle esplosioni romane si sentirà fino a Francoforte e a Berlino, dove Karlsruhe, la Corte costituzionale tedesca, sta decidendo se l'Omt, lo scudo impugnato da Draghi che ha salvato l'euro, deve rimanere nell'armamentario della Bce o deve essere dismesso. Via XX settembre, ironia della sorte, celebra la presa di Roma con la breccia di Porta Pia. Allora furono i bersaglieri del Re ad entrare. Stavolta, come ha preconizzato un report di Mediobanca, potrebbero essere i mercati a marciare sulle macerie di Roma.