Marra: ricorsi contro equitalia per impossibilità materiale di pagare i tributi stante l’indeducibilità delle spese inevitabili sia per lavoratori subordinati, che autonomi e società.
Pubblicherò a settembre il ricorso integrale che, con la collaborazione degli avvocati del mio studio, sto formulando contro equitalia e gli enti creditori di ogni tipo di tributi.
Ho voluto però pubblicare da subito l'argomento dell'impossibilità materiale di pagare i tributi stante la indeducibilità delle spese inevitabili augurandomi che i colleghi avvocati e i commercialisti vogliano introdurlo nei loro ricorsi.
Ciò premesso, va detto che innanzitutto il ricorso deve essere impostato sulla illiceità dei tributi (tasse, imposte e contributi) perché servono solo a ‘comprare’ dalle banche centrali i soldi che lo Stato deve produrre da sé.
In subordine, come seconda motivazione (seguita da molte altre, tutte fondate) sussiste inoltre l’impossibilità materiale di pagarli a causa dell’indetraibilità delle spese inevitabili.
Ciò in relazione ai lavoratori sia subordinati che autonomi che alle società.
Impossibilità che emerge ora perché in passato la cosiddetta ‘evasione’ costituiva una prassi e criteri e le aliquote erano oggetto di scarsa attenzione sociale.
Impossibilità di pagarle che emerge quindi oggi che queste assurde cifre lo Stato le vuole davvero.
Impossibilità perché, non essendo deducibili le spese inevitabili, quali il cibo, l’abbigliamento, i trasposti, la casa ecc., le aliquote (a loro volta assurde) si abbattono su un reddito che non esiste.
Facciamo per primo l’esempio di un lavoratore autonomo.
Consideriamo un professionista con famiglia e un reddito ‘netto’ (delle spese che gli è oggi consentito detrarre) di 40.000 euro annuali.
Sennonché, oltre ai costi che oggi si considerano deducibili, dovrà fare le spese non deducibili ma inevitabili sopra accennate, sicché gli rimarranno alla fine diciamo 10.000 euro.
Ne deriva che, sul falso netto di 40.000 euro con un’aliquota complessiva effettiva diciamo del 50%, gli si stanno chiedendo 20.000 euro, cioè 10.000 euro in più di quello che gli è rimasto, nonché un’aliquota del 200%.
È chiaro invece che gli si devono chiedere le tasse solo sul vero netto (10.000 euro), e cioè 5.000 euro.
Occorre in pratica forfettizzare le spese inevitabili, consentirne la detrazione dal reddito lordo, e solo sul residuo sarà logico chiedere i tributi.
Né cambia nulla il fatto che, per il lavoro subordinato, la tassazione avviene alla fonte (ma la ritenuta d’acconto è prevista anche per i lavoratori autonomi).
Consideriamo ad esempio la busta paga di gennaio 2013 del sig. Caio.
Ebbene, Caio riscuoterà 1.167 euro dei 1.593 pagati dal datore di lavoro.
Pagherà cioè 426 euro di tributi, pari al 26,75% tra ritenute fiscali e previdenziali.
Con il risultato che, poiché in realtà a quel lavoratore dipendente, pagate le spese inevitabili, rimangono al massimo (se sa fare i miracoli), 100 euro, avrà pagato un’aliquota del 426%.
Un’impossibilità che per i lavoratori subordinati è diversamente modulata, ma sussiste comunque perché deve essere rapportata a questo stadio della civiltà.
In ipotesi, a San Giovanni in Fiore, cento anni fa, la ricchezza consisteva nell’avere da mangiare, mentre oggi è la povertà a consistere nell’avere solo da mangiare (ovviamente i cibi essenziali).
Si intende dire che mentre nel caso del lavoratore autonomo l’impossibilità si configurerà come un non avere più il denaro sul quale il fisco vuole i tributi, nel caso del lavoratore subordinato si è risolto il problema spingendolo verso livelli di vita tali che egli, escogitando in qualunque modo delle soluzioni, riuscirà a sopravvivere.
Una sopravvivenza possibile magari anche con 100 euro al mese, o con nulla, avvalendosi della pietà pubblica o privata, ma non inquadrabile nello Stato di diritto.
Specie poi se si considera che la penuria di denaro è causata dal crimine del signoraggio, o meglio, del fatto che la magistratura, il legislatore e il potere esecutivo si sono venduti alle banche e consentono loro di rubare, attraverso il signoraggio primario e secondario, il 90% della ricchezza.
Minore è invece il problema per le società, che non hanno spese ‘personali’, ma anche per le quali sussistono non modesti costi ineludibili e indentraibili, e che comunque sono soggette ad aliquote che consentono la loro sopravvivenza solo mediante il sia pur molto vituperati falso in bilancio, evasione o elusione, che pertanto non possono essere considerati reati.
Situazioni tutte in cui ogni richiamo al dovere di contribuire al soddisfacimento dei bisogni dello Stato è privo di significato perché ad impossibilia nemo tenetur.
Vanno quindi dichiarate incostituzionali tutte le norme che, nel dettare i criteri per la determinazione dell’imponibile, non consentono la detrazione delle spese inevitabili.
Tanto più che il principio fiscale è basato sulla «convenienza» del lavoro per il contribuente: convenienza che in queste condizioni non sussiste.
12.7.2013
Alfonso Luigi Marra
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