Debito: i conti non tornano
- di Ascanio Bernardeschi
- http://www.lacittafutura.it/economia/debito-i-conti-non-tornano.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Illusionismo#/media/File:Hieronymus_Bosch_051.jpg
La scoperta di un giovane ricercatore distrugge un tabù sul debito pubblico basato su uno studio farlocco. Ma non sarà certo la ragione a fermare i mandarini del capitale. Un forte conflitto sociale in Europa è sempre più urgente.
di Ascanio Bernardeschi
Ha fatto clamore la notizia che un
giovane ricercatore, allievo dell'economista Robert Pollin, ha scoperto
degli errori di calcolo nel lavoro, pubblicato nel 2010 sulla
prestigiosissima American Economic Review, di Ken Rogoff, capo
economista del Fondo monetario internazionale dal 1971 al 1973 e Carmen
Reinhart [1]. Tale studio ha utilizzato i dati statistici sulla crescita
economica, l'inflazione, la spesa pubblica e il debito pubblico di 44
paesi in un arco temporale di circa 200 anni, per un totale di 3.700
osservazioni, da ritenere statisticamente significative. I risultati,
assai citati nella letteratura economica e dai sostenitori delle
politiche europee di austerità, erano che un debito pubblico superiore
al 90 per cento del Pil fa diminuire di almeno un punto percentuale la
crescita del Pil. Altri risultati riguardavano l'inflazione e il debito
estero, di cui sembrerebbero fortemente risentire in maniera negativa le
economie dei paesi emergenti.
L'eccesso di austerità di Merkel e
compagnia, è stato più volte giustificato dai tecnocrati proprio da
queste elaborazioni. Per esempio il commissario UE per l’Economia, Olli
Rehn, ha affermato che “È ampiamente riconosciuto, sulla base di una
seria ricerca scientifica, che quando i livelli del debito pubblico
salgono oltre il 90% tendono a presentare una dinamica economica
negativa, la quale si trasforma in bassa crescita per molti anni”.
La “seria ricerca scientifica” si è
dimostrata errata in fatto di metodologia, in quanto ha manipolato in
maniera non corretta i dati da analizzare e ha presentato la
correlazione esistente fra le due grandezze del debito e del PIL come un
rapporto causa-effetto non dimostrato. Inoltre è stato rilevato anche
un grossolano – “originale” dicono i ricercatori – errore di
impostazione del foglio elettronico utilizzato per i calcoli. Tutti
questi errori, guarda caso hanno contribuito a produrre il risultato
voluto dai “prestigiosi scienziati” [2].
Quanti tagli alla sanità, alla scuola,
alle pensioni e quanta disoccupazione sono stati giustificati in Europa
da questa “seria ricerca scientifica”! Quanta gioventù è stata
espropriata di futuro!
Da questa scoperta scaturirà certamente
un dibattito in sede scientifica sulla validità delle politiche di
austerity. Non sono pochi infatti gli economisti di ispirazione
keynesiana che stanno mettendo in discussione il tabù che un forte
debito pubblico contribuisca a rallentare la crescita. Infatti la
correlazione esistente fra bassi livelli di crescita e alti rapporti
debito/Pil, potrebbe essere spiegata secondo un rapporto causale
invertito rispetto a quello ipotizzato dai due grandi scienziati. In
parole più semplici, è legittimo sostenere sia la bassa crescita a far
lievitare il rapporto debito/Pil e non il contrario. Una bassa crescita
infatti tende a diminuire gli introiti fiscali e con essi ad accrescere
il debito pubblico. Aumenterebbe perciò anche il rapporto debito/Pil,
vista la stagnazione del prodotto lordo. Anche l'evidenza empirica
dovrebbe essere un buon insegnamento. In nessuna parte del mondo
occidentale la crescita è così bassa come in Europa, in cui vengono
imposte le politiche di austerità senza eguali.
Per questo consideriamo la scoperta del
gruppo di ricercatori diretto da Pollin una buona notizia, ma senza
farci troppe illusioni sulla sua ricaduta pratica nelle politiche
economiche europee. Lo scetticismo si giustifica con il fatto che anche
prima di questa scoperta erano evidenti i guasti di tali politiche e ciò
nonostante esse sono state imposte inflessibilmente ai paesi dell'area
Euro.
Come abbiamo avuto modo di sostenere
ripetutamente in questo giornale, la cosa non si spiega con la
sciocchezza o l'impreparazione dei nostri tecnocrati e politici, ma con
il sostegno che essi debbono assicurare agli interessi del capitale il
quale sta cercando di recuperare la perdita dei margini di profitto che
inevitabilmente accompagna le economia evolute, come Marx aveva
previsto, con la riduzione del costo diretto, indiretto e differito
della forza-lavoro.
Soltanto una ripresa del protagonismo
dei lavoratori e il rilancio dei conflitti sociali potrà imporre
cambiamenti di prospettiva. Ma l'obiettivo non dovrà essere solo una più
equa distribuzione del reddito. A questa sacrosanta rivendicazione
dovrà accompagnarsi un ripresa del ruolo pubblico nel governo
dell'economia.
Un ulteriore elemento di pessimismo
della ragione si riferisce alla possibilità che simili lotte possano
essere intraprese con la dovuta forza ed efficacia nel quadro di questa
Europa in cui vengono sempre più ridotti gli spazi di partecipazione dei
lavoratori e le politiche economiche sembrano condotte da un “pilota
automatico”, programmato però dal capitale. Anche per questo la
battaglia per affossare la controriforma della Costituzione, voluta da
chi detiene il potere economico, deve essere in questa fase un impegno
prioritario.
Note:
[1] È possibile scaricare il paper al seguente url http://www.nber.org/papers/w15639.pdf
[2] Thomas Herndon, Michael Ash and Robert Pollin, Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A Critique of Reinhart and Rogoff, reperibile all'indirizzo http://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/working_papers/working_papers_301-350/WP322.pdf
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