CREDITO
Veneto Banca, quei regali dell’ex numero uno Consoli al presidente del Tribunale. Che ora è nel board
Il vicepresidente dell’istituto di Montebelluna respinge le accuse: è una bufala, un’aggressione. Al magistrato l’allora amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, avrebbe regalato una bici da 5.500 euro e un orologio da 11 mila
L’assemblea 2015 di Veneto Banca in una foto d’archivio (Lapresse)
«Indipendenza
di giudizio dei nuovi consiglieri d’amministrazione» di Veneto Banca,
«e completa assenza di legami con le passate carenze gestionali»
dell’era Vincenzo Consoli: è quanto la Banca centrale europea (Bce)
aveva chiesto nella
lettera del 3 maggio. Ed è quanto (con l’aumento di capitale da 1
miliardo e la quotazione in Borsa) il 13 maggio Francoforte si era vista
assicurare dalla visita dei protagonisti del «ribaltone» dell’assemblea
al PalaMarghera del 5 maggio: quella che alla presidenza di
Montebelluna ha portato (primo non veneto nella storia dell’istituto)
l’avvocato torinese Stefano Ambrosini, alla vicepresidenza l’ex
presidente del Tribunale di Treviso e fondatore dell’associazione
Azionisti di Veneto Banca (12% circa del capitale), Giovanni Schiavon, e
alla presidenza del comitato esecutivo l’economista renziana Carlotta
De Franceschi.
Ma su questa «completa assenza di legami» con la gestione Consoli
emerge ora dal passato una possibile controindicazione riguardante
l’attuale vicepresidente: quando Schiavon era ancora presidente del
Tribunale di Treviso competente sull’istituto di credito, Consoli gli ha
destinato in regalo, con soldi e personale e consegne della banca, una
bicicletta mountain-bike «Cannondale» da 5.500 euro nell’estate 2009, e
un orologio in oro bianco «Vacheron Costantin» da 11.000 euro
nell’autunno 2010. Testimoni e appunti manoscritti riconducono gli
ordini a Consoli, e le due consegne alla casa del magistrato. E dentro
la banca, parlando con propri funzionari, Consoli aveva motivato
l’orologio d’oro come un regalo per una persona «molto vicina alla
banca» e che «le stava dando una grande mano». Trattandosi ora del nuovo
vicepresidente della banca, e all’epoca del presidente del Tribunale di
Treviso (dove peraltro per il comandante provinciale della GdF la
gestione Consoli, stando a una perquisizione in banca, aveva pronta la
proposta di un contratto da 160.000 euro in vista della sua uscita dal
Corpo), è evidente la delicatezza della questione. «È una bufala, uno
squallore, un’aggressione premeditata e concepita già prima
dell’assemblea, io so da chi ma per ora non lo dico», replica Schiavon
interpellato ieri sera dal Corriere:
«Più volte sono stato richiesto dalla banca di fare conferenze ai suoi
dirigenti in materia fallimentare, e non ho mai chiesto una lira di
compenso. Probabilmente la banca si è sentita in dovere con me». In che
senso probabilmente? Prescindendo dall’eventuale motivo, ha ricevuto o
no orologio e bici di quel valore? «Non ritengo di rispondere a queste
domande da interrogatorio, tra sì e no c’è tutta una gamma di
situazioni».
Un decennio fa Schiavon era stato
il capo degli ispettori del ministro della Giustizia leghista Roberto
Castelli, il quale nel maggio 2005 lo aveva dimissionato quando sotto
l’appello di 150 giuristi contro una riforma della bancarotta era
comparsa la firma del magistrato, a detta del quale invece la cacciata
era dettata «in realtà dalla lobby che vuole insabbiare gli scandali dei
giudici» fallimentari a Roma e Milano.
Nel maggio 2012, poco prima di
andare in pensione, Schiavon aveva subìto un processo disciplinare dal
Csm, che lo aveva condannato con la sanzione dell’«ammonimento» per aver
violato le predefinite tabelle di sostituzione quando in cinque udienze
fallimentari (una delle quali su un gruppo trevigiano difeso da uno
studio legale col quale collaborava il figlio) come presidente del
collegio aveva preso il posto di un giudice in precedenza astenutosi.
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