Brexit e banche, parla l’economista Galloni: “Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”
Alle cronache dell’epoca era passato come “l’oscuro funzionario che fece paura a Helmut Kohl”. Da una posizione di vertice al ministero del Bilancio dell’Italia anni Ottanta aveva osato avversare apertamente i trattati europei. Profetico, a tratti perfino eversivo nelle sue teorie macroeconomiche, metteva già in discussione le politiche neoliberiste, il futuro della moneta unica, il dogma degli investimenti senza debito. E ora, a distanza di trent’anni e di molti libri e conferenze, anche chi governa nei consessi internazionali, perfino chi manovra la nave dell’eurozona alla deriva, inizia a parlare la sua strana lingua. Chiamiamo Antonino Galloni che è sera. Il “pericoloso funzionario”, ormai vicino alla pensione, è alle prese con un pollo ruspante a chilometri zero, da cucinare con lime, vino, carote e timo: “Un peccato non usare certe ricette”, sospira. Le sue le ha scodellate da tempo al servizio di tutti ma per diversi decenni sono rimaste confinate sullo scaffale degli economisti eterodossi, quelli che i politici non ascoltano perché propongono cambiamenti radicali. Ex funzionario del ministero del Bilancio, direttore generale di quello del Lavoro, un tempo docente universitario, Nino Galloni non ha perso per strada le sue convinzioni che ha perfezionato nel tempo, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti in corso. Le spiega con pazienza, al telefono, e si premura di avvertire i Cinque Stelle che tante volte alle sue tesi hanno attinto: “Sono pronto a dare una mano, purché l’ansia di governare non li faccia piegare alle richieste delle istituzioni internazionali di dimostrarsi affidabili a tutti i costi, perché così non cambierà nulla. Se qualcuno cerca un programma avanzato per uscire dal baratro, ecco, io ce l’ho”.
Partiamo dal baratro: le banche, i mercati e la finanza
Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto, ci spiega). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio.
Appunto, come se ne esce?
C’è chi pensa a passare la nottata invece di fermare la roulette impazzita. Possiamo partire proprio dalle banche, ipotizzando un ruolo e una contabilità diversa. Si deve tornare alla separazione tra chi eroga credito operando come agente di sviluppo sul territorio e chi fa raccolta a fini speculativi. Nel credito, poi, si dovrebbe ragionare su una contabilità vera che metta nel conto economico delle banche tutti i versamenti delle rate a titolo di estinzione dei debiti, mentre ora vengono calcolati solo gli interessi.
Cosa cambierebbe?
Quella che oggi si chiama “perdita” o sofferenza sarebbe correttamente contabilizzata per quello che è: un mancato arricchimento. Si abbatterebbe il margine operativo, che resterebbe però sempre a livelli stratosferici, dell’ordine del 50-60%, detratti i costi di funzionamento della banca. E su quelli potrei fargli pagare le tasse, con un’aliquota che diventa bassa per tutti, ricavando così un gettito che concorra a tenere in piedi il sistema.
Un esempio, per capire…
Mettiamo che lei abbia un’impresa di spettacolo e si fa finanziare un milione di euro. Paga gli operai, i costi, l’intermediazione bancaria e alla fine riesce a restituire solo la metà. Ebbene quei 500mila euro, detratti i costi bancari che poniamo siano del 10%, la banca incassa comunque un attivo di 450mila euro netti. E’ una perdita o un guadagno? E più in generale: oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un Paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.
Perché non lo si fa?
Perché significherebbe avere piena occupazione e aumento dei salari, la gente non sarebbe più asservita e dunque un mondo rispetto al quale il vecchio modo di governare, basato sulla soggezione della gente, non funziona più e salta. Le soluzioni all’attuale crisi economica ci sono ma comportano un’emancipazione delle popolazioni, un aumento alla partecipazione democratica, il ripristino della classe media al posto della categoria dei cittadini-sudditi. Oggi la gente è disperata: non trova lavoro, non riesce a pagare il mutuo, ha paura di quello che può accadere al primo imprevisto. E sta buona. Senza questa sottomissione economica le classi dirigenti andrebbero in crisi: e come facciamo noi a sopravvivere?, si chiedono i parassiti.
E’ un fan delle teorie del controllo sociale alla Bildenberg?
I poteri forti esistono e dominano perché non c’è una classe politica degna di questo nome. Quando ci sono i Roosevelt, i Kennedy, i Moro, i Mattei è chiaro che questi poteri occulti hanno meno peso e importanza. Attraverso gli squilibri finanziari, monetari e bancari mantengono il controllo sulla formazione delle stese classi dirigenti che poi vanno formalmente a governare i paesi.
Che margini ci lasciano?
Si potrebbe ancora rovesciare il tavolo delle regole, forse. Ad esempio autorizzando i disavanzi dei Paesi in funzione del tasso di disoccupazione e non di parametri finanziari decisi chissà dove e come. Ma certo non lo può fare questa Unione Europea e le istituzioni che sono parte del problema.
E perché?
Perché sono lontanissime e tendenzialmente ostili a favorire la consapevolezza delle masse che un certo meccanismo si è rotto. E tendono a tamponare le situazioni per mantenere lo status quo. Le democrazie che guidano sono in crisi perché non sono riuscite a stabilire la differenza tra cittadino e suddito. Per ristabilirla, serve recuperare sovranità e capire quale è il modello economico oggi sostenibile. Ritengo che sia arrivato il momento di infrangere dei tabù e di tentare politiche opposte, di aumento dei salari e della spesa pubblica in disavanzo, di riconoscere la sostenibilità dei rendimenti negativi una volta si sia capito che credito e moneta sono a costo zero non hanno bisogno di copertura ma solo di stimolare la produzione di quei servizi necessari alla comunità di cui si dice erroneamente che mancano i soldi.
Ma abbiamo il debito pubblico alle stelle…
E’ vero. Ma su questo si deve fare un ragionamento finalmente vero e più onesto. Quando andiamo in banca ad accendere un mutuo ci viene concessa una somma fino a cinque volte il nostro reddito annuale. Il reddito di un Paese è il Prodotto interno lordo, ma il debito va paragonato al patrimonio che è di gran lunga superiore. Questa idea per cui siamo appesi ai conti economici delle entrate e delle uscite è una mistificazione che comprime le possibilità di sviluppo e di piena occupazione.
Da molto tempo è ai piani alti del ministero del Lavoro. Come sta andando l’occupazione?
Oggi ho incarichi di controllo ma non ho mai smesso di ragionare su dati, parametri e interventi che di volta in volta vengono fatti. Purtroppo non si è cambiato strada, le esigenze della società continuano a non trovare una risposta attraverso il lavoro. Un errore fondamentale è stato fatto quando ero direttore generale, allora lo denunciavo e oggi timidamente qualche ammissione arriva anche dal ministro. La flessibilizzazione è diventata sciaguratamente precarizzazione perché non si è realizzato il principio secondo cui il lavoratore flessibile doveva costare di più alle imprese di uno stabilizzato.
E le misure del governo?
Col Jobs Act si sono ridotti i diritti dei lavoratori stabili per renderli più appetibili alle imprese e ha funzionato, tuttavia ha eroso la stabilità di chi era garantito. L’effetto lo si vede nell’esplosione dei 500mila voucher che hanno portato altrettanti lavoratori sotto lo schiaffo del caporalato segnando una grande sconfitta per il ministero, per il governo e per il Paese. Tocca chiedersi cosa succederà: se pretendiamo il rispetto della legalità finiremo per togliere lavoro a questa gente per poi reimportare arance e pomodori dal Nord Africa. E’ questo il sacco in cui si trova il lavoro. E tocca capire anche cosa succederà dopo tre anni, quando termineranno gli incentivi previdenziali. Nel frattempo assistiamo a un paradosso: in certi momenti l’occupazione (precaria) è cresciuta più del Pil, e allora il grande successo di queste politiche è… far calare la produttività.
Cosa pensa della Brexit? E’ il segno della disgregazione dell’Europa?
Ha creato un po’ di panico a livello delle classi dirigenti perché si è visto che la gente non si è fatta condizionare e ha scelto in base alla valutazione dei propri interessi. Significa che, in fondo, era stato sottovalutato l’impatto che le classi più umili, le persone più anziane, percepivano delle situazione come negativa. Gli inglesi che hanno votato “si” vogliono liberarsi di una serie di vincoli e problemi e tornare a un maggior realismo in economia, a una maggiore centratura sul livello locale e in parte anche sulle tradizioni. Ma in concreto a breve cambierà poco perché già la Gb non faceva parte dell’euro e ora potrà negoziare accordi di comune interesse. Se la sterlina si svaluta andremo in vacanza a Londra spendendo di meno e verranno meno turisti inglesi da noi. Ma la conseguenza più grande è che si possono rimettere in gioco parecchi equilibri.
Tanto rumore per nulla?
Diverso è se si considera la cosa a livello geopolitico. E’ chiaro che la Corona inglese non si sia spesa per il “remain”. Significa che aveva strategie alternative, come quelle mai nascoste di recuperare il controllo della sua colonia preferita cioè gli Usa che in questo momento sono un po’ allo sbando. Quindi tramite la finanza e altri strumenti che sono il nocciolo duro dell’Inghilterra pensa di avvicinarsi di più ai cugini d’Oltreoceano. Non significa che il Regno Unito, se tale rimane, si allontani dall’Europa ma certo si avvicinerà di più all’America e potrebbe ad esempio rilanciare il TTIP, che era mezzo morto.
Se ci fosse un referendum in Italia come finirebbe?
Non è questo il punto. Se usciamo dall’Europa è per andare dove? Penso che l’Italia potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel dialogo Usa-Russia per spostare il baricentro dell’economia europea verso il Mediterraneo che è necessario anche per gestire i flussi migratori e respingere il terrorismo a sfondo religioso. Paradossalmente, per giocarsela in Europa, l’Italia dovrebbe rompere con essa e fare un accordo restrittivo con la Russia, ma meglio portare avanti un dialogo tra Usa-Russia di cui siamo i principali referenti e beneficiari. Il governo italiano dovrebbe battersi per il superamento delle sanzioni.
Come reagirebbe l’Europa?
Il problema è che Renzi o chiunque altro, anche se legittimati da un referendum no euro, non potrebbero cogliere questa prospettiva perché Francia e Germania non lo consentirebbero: loro che hanno avuto maggiori vantaggi di noi da questa Europa a due velocità, già soffrono e non ci stanno a perdere peso.
Le sue tesi piacciono al M5S che oggi ambisce a governare. Risponderebbe a una “chiamata”?
Sì, ma mi preme chiarire un aspetto. Dall’origine del Movimento ad oggi è successo qualcosa di importante e potenzialmente rischioso. Quando l’orizzonte era l’opposizione la mediazione era esclusa, non si scendeva a patti col potere. Oltre all’esigenza del consenso però il Cinque Stelle oggi coltiva l’ambizione del governo e questo sdoppia la sua matrice. Da una parte continua la deriva positiva degli anti-sistema al grido “onestà-onestà”, dall’altra una crescente propensione ad accreditarsi come referenti affidabili, anche presso i consessi internazionali. Ecco, se prevalesse la logica del “vedete, siamo bravi ragazzi” temo che anche mettendo a disposizione le mie ricette non cambierebbe nulla. Se invece vincesse lo spirito delle origini a favore di programmi e posizioni radicalmente innovativi, beh, io ci sarò”.
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