venerdì 8 luglio 2016

Brexit, banche e contabilità: parla l’economista Galloni

Brexit e banche, parla l’economista Galloni: “Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”

Brexit e banche, parla l’economista Galloni: “Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”
Economia


Negli anni Ottanta, da funzionario, fu isolato per le sue posizioni ostili ai trattati e critiche su euro, sistema finanziario e banche. Oggi le sue teorie vengono prese a prestito anche da chi lo avversava. "Bisogna ribaltare i paradigmi senza venire a patti con le istituzioni: sono parte del problema e non hanno soluzioni", è la sua ricetta. Ai Cinque Stelle che attingono alle sue tesi dice: "Sono disponibile, ma per un progetto senza compromessi"

Alle cronache dell’epoca era passato come “l’oscuro funzionario che fece paura a Helmut Kohl”. Da una posizione di vertice al ministero del Bilancio dell’Italia anni Ottanta aveva osato avversare apertamente i trattati europei. Profetico, a tratti perfino eversivo nelle sue teorie macroeconomiche, metteva già in discussione le politiche neoliberiste, il futuro della moneta unica, il dogma degli investimenti senza debito. E ora, a distanza di trent’anni e di molti libri e conferenze, anche chi governa nei consessi internazionali, perfino chi manovra la nave dell’eurozona alla deriva, inizia a parlare la sua strana lingua. Chiamiamo Antonino Galloni che è sera. Il “pericoloso funzionario”, ormai vicino alla pensione, è alle prese con un pollo ruspante a chilometri zero, da cucinare con lime, vino, carote e timo: “Un peccato non usare certe ricette”, sospira. Le sue le ha scodellate da tempo al servizio di tutti ma per diversi decenni sono rimaste confinate sullo scaffale degli economisti eterodossi, quelli che i politici non ascoltano perché propongono cambiamenti radicali. Ex funzionario del ministero del Bilancio, direttore generale di quello del Lavoro, un tempo docente universitario, Nino Galloni non ha perso per strada le sue convinzioni che ha perfezionato nel tempo, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti in corso. Le spiega con pazienza, al telefono, e si premura di avvertire i Cinque Stelle che tante volte alle sue tesi hanno attinto: “Sono pronto a dare una mano, purché l’ansia di governare non li faccia piegare alle richieste delle istituzioni internazionali di dimostrarsi affidabili a tutti i costi, perché così non cambierà nulla. Se qualcuno cerca un programma avanzato per uscire dal baratro, ecco, io ce l’ho”.
Partiamo dal baratro: le banche, i mercati e la finanza
Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto, ci spiega). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio.

Appunto, come se ne esce?
C’è chi pensa a passare la nottata invece di fermare la roulette impazzita. Possiamo partire proprio dalle banche, ipotizzando un ruolo e una contabilità diversa. Si deve tornare alla separazione tra chi eroga credito operando come agente di sviluppo sul territorio e chi fa raccolta a fini speculativi. Nel credito, poi, si dovrebbe ragionare su una contabilità vera che metta nel conto economico delle banche tutti i versamenti delle rate a titolo di estinzione dei debiti, mentre ora vengono calcolati solo gli interessi.

Cosa cambierebbe?
Quella che oggi si chiama “perdita” o sofferenza sarebbe correttamente contabilizzata per quello che è: un mancato arricchimento. Si abbatterebbe il margine operativo, che resterebbe però sempre a livelli stratosferici, dell’ordine del 50-60%, detratti i costi di funzionamento della banca. E su quelli potrei fargli pagare le tasse, con un’aliquota che diventa bassa per tutti, ricavando così un gettito che concorra a tenere in piedi il sistema.

Un esempio, per capire…
Mettiamo che lei abbia un’impresa di spettacolo e si fa finanziare un milione di euro. Paga gli operai, i costi, l’intermediazione bancaria e alla fine riesce a restituire solo la metà. Ebbene quei 500mila euro, detratti i costi bancari che poniamo siano del 10%, la banca incassa comunque un attivo di 450mila euro netti. E’ una perdita o un guadagno? E più in generale: oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un Paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.

Perché non lo si fa?
Perché significherebbe avere piena occupazione e aumento dei salari, la gente non sarebbe più asservita e dunque un mondo rispetto al quale il vecchio modo di governare, basato sulla soggezione della gente, non funziona più e salta. Le soluzioni all’attuale crisi economica ci sono ma comportano un’emancipazione delle popolazioni, un aumento alla partecipazione democratica, il ripristino della classe media al posto della categoria dei cittadini-sudditi. Oggi la gente è disperata: non trova lavoro, non riesce a pagare il mutuo, ha paura di quello che può accadere al primo imprevisto. E sta buona. Senza questa sottomissione economica le classi dirigenti andrebbero in crisi: e come facciamo noi a sopravvivere?, si chiedono i parassiti.

E’ un fan delle teorie del controllo sociale alla Bildenberg?
I poteri forti esistono e dominano perché non c’è una classe politica degna di questo nome. Quando ci sono i Roosevelt, i Kennedy, i Moro, i Mattei è chiaro che questi poteri occulti hanno meno peso e importanza. Attraverso gli squilibri finanziari, monetari e bancari mantengono il controllo sulla formazione delle stese classi dirigenti che poi vanno formalmente a governare i paesi.

Che margini ci lasciano?
Si potrebbe ancora rovesciare il tavolo delle regole, forse. Ad esempio autorizzando i disavanzi dei Paesi in funzione del tasso di disoccupazione e non di parametri finanziari decisi chissà dove e come. Ma certo non lo può fare questa Unione Europea e le istituzioni che sono parte del problema.

E perché?
Perché sono lontanissime e tendenzialmente ostili a favorire la consapevolezza delle masse che un certo meccanismo si è rotto. E tendono a tamponare le situazioni per mantenere lo status quo. Le democrazie che guidano sono in crisi perché non sono riuscite a stabilire la differenza tra cittadino e suddito. Per ristabilirla, serve recuperare sovranità e capire quale è il modello economico oggi sostenibile. Ritengo che sia arrivato il momento di infrangere dei tabù e di tentare politiche opposte, di aumento dei salari e della spesa pubblica in disavanzo, di riconoscere la sostenibilità dei rendimenti negativi una volta si sia capito che credito e moneta sono a costo zero non hanno bisogno di copertura ma solo di stimolare la produzione di quei servizi necessari alla comunità di cui si dice erroneamente che mancano i soldi.

Ma abbiamo il debito pubblico alle stelle…
E’ vero. Ma su questo si deve fare un ragionamento finalmente vero e più onesto. Quando andiamo in banca ad accendere un mutuo ci viene concessa una somma fino a cinque volte il nostro reddito annuale. Il reddito di un Paese è il Prodotto interno lordo, ma il debito va paragonato al patrimonio che è di gran lunga superiore. Questa idea per cui siamo appesi ai conti economici delle entrate e delle uscite è una mistificazione che comprime le possibilità di sviluppo e di piena occupazione.

Da molto tempo è ai piani alti del ministero del Lavoro. Come sta andando l’occupazione?
Oggi ho incarichi di controllo ma non ho mai smesso di ragionare su dati, parametri e interventi che di volta in volta vengono fatti. Purtroppo non si è cambiato strada, le esigenze della società continuano a non trovare una risposta attraverso il lavoro. Un errore fondamentale è stato fatto quando ero direttore generale, allora lo denunciavo e oggi timidamente qualche ammissione arriva anche dal ministro. La flessibilizzazione è diventata sciaguratamente precarizzazione perché non si è realizzato il principio secondo cui il lavoratore flessibile doveva costare di più alle imprese di uno stabilizzato.

E le misure del governo?
Col Jobs Act si sono ridotti i diritti dei lavoratori stabili per renderli più appetibili alle imprese e ha funzionato, tuttavia ha eroso la stabilità di chi era garantito. L’effetto lo si vede nell’esplosione dei 500mila voucher che hanno portato altrettanti lavoratori sotto lo schiaffo del caporalato segnando una grande sconfitta per il ministero, per il governo e per il Paese. Tocca chiedersi cosa succederà: se pretendiamo il rispetto della legalità finiremo per togliere lavoro a questa gente per poi reimportare arance e pomodori dal Nord Africa. E’ questo il sacco in cui si trova il lavoro. E tocca capire anche cosa succederà dopo tre anni, quando termineranno gli incentivi previdenziali. Nel frattempo assistiamo a un paradosso: in certi momenti l’occupazione (precaria) è cresciuta più del Pil, e allora il grande successo di queste politiche è… far calare la produttività.

Cosa pensa della Brexit? E’ il segno della disgregazione dell’Europa?
Ha creato un po’ di panico a livello delle classi dirigenti perché si è visto che la gente non si è fatta condizionare e ha scelto in base alla valutazione dei propri interessi. Significa che, in fondo, era stato sottovalutato l’impatto che le classi più umili, le persone più anziane, percepivano delle situazione come negativa. Gli inglesi che hanno votato “si” vogliono liberarsi di una serie di vincoli e problemi e tornare a un maggior realismo in economia, a una maggiore centratura sul livello locale e in parte anche sulle tradizioni. Ma in concreto a breve cambierà poco perché già la Gb non faceva parte dell’euro e ora potrà negoziare accordi di comune interesse. Se la sterlina si svaluta andremo in vacanza a Londra spendendo di meno e verranno meno turisti inglesi da noi. Ma la conseguenza più grande è che si possono rimettere in gioco parecchi equilibri.

Tanto rumore per nulla?
Diverso è se si considera la cosa a livello geopolitico. E’ chiaro che la Corona inglese non si sia spesa per il “remain”. Significa che aveva strategie alternative, come quelle mai nascoste di recuperare il controllo della sua colonia preferita cioè gli Usa che in questo  momento sono un po’ allo sbando. Quindi tramite la finanza e altri strumenti che sono il nocciolo duro dell’Inghilterra pensa di avvicinarsi di più ai cugini d’Oltreoceano. Non significa che il Regno Unito, se tale rimane, si allontani dall’Europa ma certo si avvicinerà di più all’America e potrebbe ad esempio rilanciare il TTIP, che era mezzo morto.

Se ci fosse un referendum in Italia come finirebbe?
Non è questo il punto. Se usciamo dall’Europa è per andare dove? Penso che l’Italia potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel dialogo Usa-Russia per spostare il baricentro dell’economia europea verso il Mediterraneo che è necessario anche per gestire i flussi migratori e respingere il terrorismo a sfondo religioso. Paradossalmente, per giocarsela in Europa, l’Italia dovrebbe rompere con essa e fare un accordo restrittivo con la Russia, ma meglio portare avanti un dialogo tra Usa-Russia di cui siamo i principali referenti e beneficiari. Il governo italiano dovrebbe battersi per il superamento delle sanzioni.

Come reagirebbe l’Europa?
Il problema è che Renzi o chiunque altro, anche se legittimati da un referendum no euro, non potrebbero cogliere questa prospettiva  perché Francia e Germania non lo consentirebbero: loro che hanno avuto maggiori vantaggi di noi da questa Europa a due velocità, già soffrono e non ci stanno a perdere peso.

Le sue tesi piacciono al M5S che oggi ambisce a governare. Risponderebbe a una “chiamata”?
Sì, ma mi preme chiarire un aspetto. Dall’origine del Movimento ad oggi è successo qualcosa di importante e potenzialmente rischioso. Quando l’orizzonte era l’opposizione la mediazione era esclusa, non si scendeva a patti col potere. Oltre all’esigenza del consenso però il Cinque Stelle oggi coltiva l’ambizione del governo e questo sdoppia la sua matrice. Da una parte continua la deriva positiva degli anti-sistema al grido “onestà-onestà”, dall’altra una crescente propensione ad accreditarsi come referenti affidabili, anche presso i consessi internazionali. Ecco, se prevalesse la logica del “vedete, siamo bravi ragazzi” temo che anche mettendo a disposizione le mie ricette non cambierebbe nulla. Se invece vincesse lo spirito delle origini a favore di programmi e posizioni radicalmente innovativi, beh, io ci sarò”.

mercoledì 6 luglio 2016

Bini Smaghi (SocGen): se cade Mps cade l'Europa

banche e assicurazioni

Bini Smaghi (SocGen): se cade Mps cade l'Europa

Il presidente del gruppo bancario francese, ex membro del board della Bce, ha spiegato in un'intervista che la banca senese è un problema di portata sistemica per l'Ue
di Elena Dal Maso
http://www.milanofinanza.it/news-preview/bini-smaghi-socgen-se-cade-mps-cade-l-europa-201607061139032204
Bini Smaghi
La crisi del sistema bancario italiano può allargarsi al resto dell’Europa. Vanno quindi ripensate le regole sugli aiuti di Stato agli istituti di credito. Lo ha appena detto il presidente di Société Générale , Lorenzo Bini Smaghi, in un’intervista alla tv di Bloomberg.
L’economista italiano di origini fiorentine è stato membro del board della Banca centrale europea negli anni scorsi (dal 2005 al 2011). “Abbiamo adottato regole sul denaro pubblico, che devono essere riviste e anche sospese in un momento in cui sta per scoppiare una crisi potenziale”.
Il comparto bancario italiano è zavorrato da 360 miliardi di crediti in sofferenza che stanno spingendo a ripetuti ribassi Piazza Affari dopo l’esito del referendum sulla Brexit. E il governo italiano è in trattative con Bruxelles perché l’Europa allenti la presa sull’applicazione rigida della normativa comunitaria in materia di aiuti degli Stati alle banche.
Bloomberg scrive che il problema si fa più pressante dal momento che gli stress test dell’Eba, attesi per fine mese, rischiano di mettere in evidenza una carenza di capitale (l’ennesima) nel Monte dei Paschi . Il mercato bancario europeo dovrà affrontare il rischio di una crisi sistemica, a meno che i governi non accettino l’idea che siano i cittadini a pagare il conto alla fine, e non gli azionisti e obbligazionisti delle singole banche, ha aggiunto Bini Smaghi.
L’economista ha aggiunto che troppe banche italiane e anche tedesche non producono utili e che è necessario avviare un risanamento più importante. L’Italia, secondo Bini Smaghi, deve fare di più sul versante dei non-performing loans e il premier Matteo Renzi dovrà avviare una politica impopolare che includa il taglio dei costi e di personale. Fra l'altro oggi i sindacati dei dipendenti di Mps  hanno messo le mani avanti dicendo che non intendono accettare un'altra riduzione degli addetti.
“Ciò di cui abbiamo bisogno”, ha agigunto Bini Smaghi, è una soluzione europea, mentre fino ad ora abbiamo avviato soluzioni nazionali. Abbiamo bisogno di uno scudo di protezione chiaro”. Sulla Brexit, Bini Smaghi ha detto che si attende negoziati “molto lunghi”. E ha avanzato preoccupazioni sull’intenzione del Regno Unito di abbattere le aliquote fiscali sul reddito delle imprese dal 20 al 15% per attirare capitali dall'estero, perché innescherebbe una competizione fiscale all’interno dell’Europa.
Secondo il presidente di Société Generale , dobbiamo essere cinici e vedere se l'Europa dimostra di saper comprendere, nelle prossime settimane, "come gestire tutta una serie di situazioni che non funzionano ora per evitare un effetto contagio" che distruggerebbe l'Unione. Le regole sul salvataggio delle banche sono state stabilite, ha sottolineanto poi l'economista italiano, ma in casi estremi c'è la possibilità, a discrezione, di sospenderle. E qui ha citato il sistema del bail-in.
Oggi anche Mediobanca  Securities ha scritto in una nota che la priorità ora è di evitare il bail-in. E che i negoziati politici dell’Italia con Bruxelles possono avere forti ripercussioni sulla stabilità finanziaria del sistema in tutt’Europa.

Le banche su Radio anch'io del 06/07/2016

A Tabellini, Imperatore, Giavazzi e compari, non gli è ancora arrivato che le banche non sono intermediari ma emittenti di denaro...

Qui il link: http://www.radio1.rai.it//dl/portaleRadio/media/ContentItem-1ed1867a-25ab-430a-be8b-bd18ef26e022.html

lunedì 4 luglio 2016

lunedì 27 giugno 2016

Svizzera: Presa di Posizione del Ministro delle Finanze

Il ministro svizzero Maurer dichiara illegale il denaro bancario ? "La moneta scritturale creata dalle banche (svizzere) non è considerata denaro inteso quale mezzo di pagamento legale"

Svizzera. Presa di posizione del Ministro delle Finanze

martedì 21 giugno 2016

BPVI: a chi vanno i soldi creati dal nulla ?


Banca Popolare di Vicenza: l'ora della verità

Banca Popolare di Vicenza: l'ora della verità


http://www.beppegrillo.it/2016/06/banca_popolare.html

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di Jacopo Berti, portavoce M5S Veneto




Potrebbe essere arrivata l'ora della verità per la Banca popolare di Vicenza. Questa mattina sono scattate perquisizioni della Guardia di Finanza nella sede dell'istituto. «la Banca è indagata per responsabilità amministrativa per fatti penali dei suoi dirigenti perché rispetto ai reati contestati evidenziava un modello organizzativo e di controllo inadeguato o di fatto inattuato», spiegano le carte. Il riferimento è ai manager indagati della vecchia gestione: il presidente Giovanni Zonin, i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, il direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta.
Noi del M5S avevamo denunciato da tempo uno “Schema Zonin”, oggi al centro delle indagini. E' grazie alla nostra coerenza che domenica scorsa sono potuto andare a testa alta, unico politico, al funerale di Antonio Bedin, il piccolo azionista suicidato proprio a causa di questo schema, attraverso il quale la cricca di BpVI ha bruciato i suoi risparmi di una vita. Ho guardato negli occhi la gente lì presente, siamo la loro unica speranza mi hanno detto. La mia promessa è che non molleremo mai fino a che giustizia non sarà fatta.
LO SCHEMA ZONIN: COME TRUFFARE I RISPARMIATORI
Il cda e il presidente Zonin hanno usato la banca come un bancomat personale. Hanno usato i soldi di 119mila azionisti per creare una delle più grandi bolle finanziarie della storia d’Italia, distruggendo e mettendo in ginocchio uno dei territorio più ricchi d’Europa.
Ecco lo schema Zonin, un manuale su come truffare i risparmiatori in 8 mosse:
1. BpVi viene usata come un bancomat personale da parte di Zonin e dal Cda per 20 anni.
2. Quando il buco diviene insostenibile elaborano uno schema di truffare i soci, gonfiando i bilanci.
3. Vengono erogati prestiti che hanno bassissime probabilità di essere restituiti.
4. Per sostenere questa politica occorre però continuare a vendere azioni, a gente comune ed a grandi investitori.
5. Per continuare a vendere azioni occorre però tenere il valore del titolo artificialmente alto, sopravvalutandolo. In questo modo si sopravvaluta la “solidità apparente” della banca, e contemporaneamente si guadagnano molti più soldi
6. Quando la naturale richiesta di azioni finisce, non è però finito il bisogno di soldi freschi per alimentare il sistema dei prestiti “facili”. Si comincia a concedere prestiti a patto che con una parte dei soldi si acquistino azioni della stessa banca.
7. Questo sistema però genera altri prestiti rischiosi, altri crediti deteriorati.
8. Quando la sorveglianza passa alla Bce si apre il vaso di Pandora: la banca non vale più niente, i soci hanno perso il 99% del valore investito in pochi anni, perché il capitale è stato completamente mangiato dai crediti deteriorati, i famigerati “NPL”.
Si era arrivati a prestare denaro ai soci per comprare azioni Bpvi per un totale di circa 974 milioni. Deriva da qui gran parte della maxi perdita, 1,05 miliardi, dell’ultima semestrale, chiusa a giugno e pubblicata a fine agosto 2015, che ha di fatto sancito la morte dell’Istituto.
Sono i cosiddetti prestiti “baciati”, che noi del M5S denunciamo da tempo, ovvero la pratica di condizionare l'erogazione di finanziamenti all'acquisto di azioni dell'istituto. Fortunatamente il Tribunale di Venezia in datata 27 aprile 2016, venuto a conoscenza di questa pratica illegale, ha emesso un'ordinanza che vieta alla Pop Vicenza di procedere al recupero del prestito, che nel caso specifico ammontava a 9,4 milioni di euro. Quindi il prestito non è valido e l’ordinanza “inibisce a Banca Popolare di Vicenza la richiesta del pagamento dei saldi passivi”.
PRESTITI FACILI AGLI AMICI DEGLI AMICI
Ma venendo ai prestiti facili, quelli senza garanzie. A chi hanno prestato questi soldi? Ad esempio allo stesso Zonin e le aziende ad esso collegate: 48 milioni di euro!
Questo avvenne il 6 agosto 2015, quando già da due mesi a Vicenza era arrivato il nuovo consigliere delegato Francesco Iorio, il consiglio di amministrazione, secondo i dati riportati dal prospetto Consob pubblicato il 21 aprile 2016, approvò all'unanimità e con voto favorevole di tutti i sindaci effettivi finanziamenti per oltre 48 milioni di euro a società riconducibili all'allora presidente, compreso un prestito personale di 2,4 milioni di euro a Zonin. Sono tutti complici, nessuno escluso, vecchi e nuovi membri del cda.
Ma fra i nomi celebri di chi ha ricevuto denaro dalla banca abbiamo anche Alfio Marchini, l'uomo che voleva diventare sindaco di Roma e che abbiamo rimandato a casa. Marchini, così come risulta anche dalle ispezioni effettuate dalla Bce ha ottenuto alla fine del 2014 un totale di 76,2 milioni di euro; i fratelli Emanuele, Giovanni e Vito Fusillo hanno avuto 10, 3 milioni di euro; i Degennaro sono stati invece finanziati con 27,75 milioni di euro. Non male vero?
Le ispezioni della Finanza hanno evidenziato come «per tutte le operazioni di investimento in titoli di debito sarebbe stata necessaria l’approvazione del Cda», quindi le responsabilità sono palesi. Eppure ad oggi, nonostante gli annunci e i falsi pentimenti degli attuali vertici, non è stata avviata alcuna azione di responsabilità nei confronti di Zonin & co. Per fortuna la giustizia sta facendo il suo corso indipendentemente.
Come M5S abbiamo sempre puntato il dito sulla responsabilità degli organi di vigilanza Bankitalia e Consob. Quest'ultima, con colpevole ritardo, finalmente batte un colpo e chiede: “sanzioni per le supposte violazioni alla normativa europea Mifid“, quella sui profili di rischio della clientela. Che, come emerso dall’ispezione della Bce del 2015 sono stati in 58mila casi falsati, attribuendo ai risparmiatori competenze finanziarie che non possedevano. I pirati in giacca e cravatta in questo modo potevano vendere loro azioni il cui prezzo era sistematicamente sovrastimato dai vertici della banca.
La Consob agisce comunque troppo tardi. Il suo compito deve essere quello di prevenire disastri del genere. Ora almeno li ripari. Ciò che abbiamo sempre chiesto – ed oggi torna a chiederlo l'unione nazionale consumatori del Veneto - è il sequestro dei beni della dirigenza responsabile di queste violazioni (ai sensi dell’art. 321 del codice penale) e l'istituzione di un tavolo conciliativo per poter restituire quanto i risparmiatori hanno perso.
Chi ha sbagliato deve pagare, vogliamo che a questi pirati in giacca e cravatta venga tolto tutto fino a che non risarciranno le vittime, così come loro hanno tolto tutto a gente che ha avuto l'unica colpa di fidarsi di loro.

lunedì 20 giugno 2016

Ricostruire dal basso un sistema monetario internazionale

16 Giugno 2016
inchiesta

Ricostruire dal basso un sistema monetario internazionale in Europa e nel mondo

Bruno Amoroso

http://www.sinistrainrete.info/index.php?option=com_content&view=article&id=7416:bruno-amoroso-ricostruire-dal-basso-un-sistema-monetario-internazionale-in-europa-e-nel-mondo

Amoroso 2Il mio amico e collega Jesper Jespersen mi sollecita da tempo a riprendere  insieme il progetto di Keynes sulla riforma del sistema monetario internazionale, noto come Bretton Wood. Questo nella convinzione che oggi, come allora (1944), c’è bisogno di una ricostruzione del sistema economico e monetario in Europa e nel mondo, e gli strumenti e le conoscenze necessarie per farlo sono a disposizione. Si è scelta invece la strada della moneta unica e dell’euro, imponendo un processo di integrazione economica a scapito della solidarietà sociale e del co-sviluppo tra paesi, europei e no.
Questo non vale solo per il sistema monetario. Gli squilibri economici e sociali tra l’Europa e il Mediterraneo sono noti da tempo e nel Primo Rapporto sul Mediterraneo elaborato per il CNEL nel 1991 avevamo scritto con chiarezza che l’andamento demografico dei paesi euro-mediterranei e il divario economico segnalavano con chiarezza che di li a venti anni, in assenza di nuove politiche di cooperazione (le chiamammo di co-sviluppo) tra le due sponde saremmo andati incontro al disastro attuale, di una emigrazione selvaggia da quei paesi e una ripresa generale della conflittualità tra stati europei. Fummo accusati (dalla sinistra e sindacati) di allarmismo economico.
Tuttavia quelle elaborazioni contribuirono a dar vita ad alcune spinte positive con il progetto euro-mediterraneo di Barcellona (1995) (“un’area di benessere condiviso”) interrotto poi bruscamente con l’invenzione prodiana delle “politiche di vicinato” (2004), che scambiarono il welfare condiviso con la difesa comune, trasformando una strategia di cooperazione e stabilizzazione in quella di destabilizzazione e di guerra voluta dalla NATO.
Lo stesso si può dire delle politiche dell’occupazione e della coesione sociale, tutte affrontabili con misure che conciliano l’economia con la società, e che con una sana pianificazione europea che parta dal riconoscimento della sua natura policentrica, rimetterebbero il progetto europeo sui suoi giusti binari.
Tuttavia la storia insegna: a Bretton Wood si arrivò alla fine di una guerra spaventosa, e come compromesso tra le maggiori potenze “vincitrici”, con il risultato che bastò qualche anno per abbondonare il progetto di una nuova Europa (un’Europa di pace, di cooperazione e di solidarietà) e per riorganizzarsi sui vecchi binari del conflitto armato, della competizione tra stati e tra popoli, della rinascita di vecchi e nuovi poteri (militari e finanziari).
Tolta di mezzo la competizione positiva che l’Unione Sovietica rappresentava per il capitalismo, costringendolo a dare attenzione al consenso e al benessere interno dei cittadini europei, si è ripresa la strada dell’autoritarismo gettando alle ortiche le chiacchiere sulla democrazia (post-democrazia), sulla solidarietà e la cooperazione sostituite con lo stato competitivo e l’individualismo.
Quella che fino agli anni Novanta veniva utilizzata con valenza negativa – la fortezza Europa – è divenuta oggi una formula politica invocata proprio dagli “europeisti” che prima parlavano di solidarietà e cooperazione tra paesi e sistemi economici.
Tutto questo era stato previsto. In un suo noto testo sul futuro dello Stato del Benessere (1960) l’economista svedese Gunnar Myrdal indicava la strada da seguire che era quello di passare dal welfare nazionale al welfare mondiale. Così come gli stessi economisti scandinavi misero in guardia dai pericoli della Globalizzazione proponendo (1971) il controllo sui capitali mediante forme di democrazia economica gestire nell’interesse nazionale e con strategia di solidarietà internazionale.
Testi e indicazioni sui quali alcuni di noi hanno insegnato all’università per decenni con il consenso o assenso passivo dei nostri colleghi. Nonostante il clima di tensione in Europa e nel mondo si consolidò in Europa, accanto alle proposte e alla resistenza dei partiti comunisti, un nucleo dirigente socialdemocratico (Willy Brandt, Olof Palme, Anker Jørgensen, ecc.) che apertamente contrastava la politica della divisione Est-Ovest, deciso a porre fine al “muro” non con il crollo dei sistemi socialisti dell’Est ma con l’avvio di politiche di cooperazione e di coesistenza pacifica.
Poi tutto è improvvisamente cambiato. La “guerra fredda” è stata l’incubatrice del nuovo piano di dominio mondiale (la Globalizzazione) e di divisione dell’Europa mettendo al centro la rinascita della Germania come paese egemone. Si procedette all’eliminazione fisica e “giudiziaria” dei dirigenti socialdemocratici dei paesi del nord, i più ostili al “crollo del muro” a scapito della cooperazione e della coesistenza tra sistemi, ed all’eliminazione delle due anomalie dell’Occidente, i paesi scandinavi e l’Italia a sud entrambi infidi rispetto alle politiche di aggressione che si volevano attuare.
Rapidamente furono reclutate le nuove leve che dovevano diffondere il verbo del neoliberismo occupando tutti gli spazi dell’accademia e della ricerca. È iniziato il trasloco di dirigenti della sinistra europea (socialdemocratica e no) dalle idee, teorie e programmi dei sistemi di welfare, della programmazione democratica, della coesistenza pacifica e del co-sviluppo a quelle dello Stato competitivo, della esportazione dei sistemi economici e politici occidentali. Il tradimento degli intellettuali e dell’accademia è stato rapido e unanime. I libri di testo sono scomparsi dalla circolazione sostituiti dalle traduzioni di quelli di autori statunitensi o affiliati, che iniziarono a spiegare che l’economia era un’altra cosa.
Dietro questo polverone causato dalla distruzione delle vecchie idee grazie al potere mediatico dei mezzi di informazione e alla falsificazione dei dati della storia si riorganizzarono i signori della guerra. Fu così che l’occasione storica di riorganizzare il sistema mondiale dopo la scelta del campo socialista di non opporsi con la forza ai cambiamenti richiesti al loro interno, ha fatto seguito il rilancio della NATO come braccio militare diretto dagli Stati Uniti e esteso all’Europa. L’adesione alla NATO dei paesi del nord è stata la leva per reclutare i dirigenti politici di quei paesi alle politiche neoliberiste.
Il nord d’Europa è oggi divenuto l’area maggiormente critica per il rischio di una nuova guerra rivolta contro la Russia. In questi ultimi mesi si è decisa la dislocazione di migliaia di truppe statunitensi nei paesi Baltici e nell’Europa dell’Est in funzione anti russa, oggi sono in corso manovre militari dirette dagli Stati Uniti ai confini della Russia. Destabilizzato il mondo medio orientale trasformato in una macelleria al servizio delle industrie militari occidentali e dei suoi sciacalli al seguito per il commercio di uomini, donne e bambini, si punta ora a mettere in ginocchio la Russia e l’Iran per poter poi procedere alla resa dei conti con il mondo orientale
Mentre si sta attuando la distruzione fisica e morale del pianeta secondo logiche di spartizione e sfruttamento predatorie si tiene aperta la sceneggiata dei vertici mondiali per salvare la terra, per i diritti, ecc.  La finzione dei vertici europei che si susseguono incessanti, tutti decisivi, deve oscurare che l’UE ormai non esiste più e sta in piedi solo grazie ai poteri che di essa si sono impadroniti, a partire da quelli militari e dalla BCE di Draghi.
Siamo di fronte a un processo di omologazione culturale e politica preparato con il decennio di Berlusconi e sul quale marcia oggi per il prossimo decennio il socialfascismo di Renzi e del PD. Oggi come nel passato ventennio – le radici del cambiamento sono le stesse. Far marcire la situazione e ogni speranza di cambiamento per poi invocare il “Kapo” che rimetta le cose a posto. Qualunque cosa, ma non l’immobilità è la vera chiave del consenso al regime. All’interno nessuno parla cercando di entrare nella partita e di ottenere il dividendo del regime. Appellarsi ai corpi autonomi dello Stato, magistrati o altri, è come insaponare la corda del cappio che dovrà strangolarci , in “nome della legge” s’intende.
Intanto la vita quotidiana delle persone continua, alla ricerca di spazi di sopravvivenza per se e le proprie famiglie. Lo sanno bene i milioni di persone in fuga dalla guerra e dalla fame con l’intenzione disperata di scavalcare tutti i vincoli e le frontiere creati per ostacolarli. Un fiume umano nel quale giuste aspirazioni trovano spesso aiuto e risposte concrete dall’industria del crimine e dai professionisti della solidarietà il cui vero limite è quello di agire in nome e per conto dei responsabili di questi disastri.
In Europa si assiste a tutto ciò con sgomento, consapevoli che il conto finale sarà poi pagato dai cittadini e dai lavoratori, lasciati in questa situazione senza mezzi e senza difesa. Una richiesta ingenua è quella di fare regole e leggi per affrontare tutto ciò. Ma le regole e le leggi ci sono, ma sono quelle che hanno causato questo disastro e le autorità che dovrebbero cambiarle non hanno ovviamente alcuna ragione per farlo. Al contrario.
Lo ha ben capito papa Francesco che con la sua proposta di aprire le chiese agli immigrati e ai bisognosi e con le ripetute condanne  dei poteri causa di tutto propone la costruzione di un nuove ordine sociale e mondiale a partire dalla distruzione di quello esistente oggi nella Chiesa.. Nel loro piccolo lo hanno capito i cittadini danesi che informati dell’arrivo alle frontiere del loro paese di centinaia di   emigrati si sono precipitati con le loro macchine per accoglierli e portarli laddove volevano evitando i controlli della polizia.
Una nuova società si costruisce dal basso, riscrivendo leggi e regole sui bisogni delle persone, cittadini e no. Ma vanno riscritte insieme per evitare conflitti, creando i luoghi di incontro e elaborazione fuori dalle istituzioni, in contesti di amicizia e di affetti. Per sostenere la nascita di queste nuove comunità è utile creare gli spazi della nuova economia solidale, dove si scambia il lavoro e l’aiuto tra persone con beni e monete spendibili. Lo stesso vale per il commercio alternativo, le monete locali, ecc. Non strumenti per far star meglio i ceti medi privilegiati ma per includere le famiglie e le persone tutte in circuiti virtuosi di convivenza. Un nuovo modo di vivere che crea le sue regole e le sue istituzioni sottraendosi alle funzioni predatorie di quelle esistenti.