L'Alta Corte per la Regione Siciliana
pubblicato il 10/1/12 - 08:03
da
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(Massimo Costa)
ART. 24
È istituita in Roma un’Alta Corte con sei membri e due supplenti, oltre il Presidente ed il Procuratore generale, nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione, e scelti fra persone di speciale competenza in materia giuridica.
Il Presidente ed il Procuratore generale sono nominati dalla stessa Alta Corte.
L’onere finanziario riguardante l’Alta Corte
è ripartito equamente fra lo Stato e la Regione.
ART. 25
L’Alta Corte giudica sulla costituzionalità:
a) delle leggi emanate dall’Assemblea regionale;
b) delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, rispetto al presente Statuto ed ai fini della efficacia dei medesimi entro la Regione.
ART. 26
L’Alta Corte giudica pure dei reati compiuti dal Presidente e dagli Assessori regionali nell’esercizio delle funzioni di cui al presente Statuto, ed accusati dall'Assemblea regionale.
ART. 27
Un Commissario, nominato dal Governo dello Stato, promuove presso l’Alta Corte i giudizi di cui agli artt. 25 e 26, e, in questo ultimo caso, anche in mancanza di accusa da parte dell'Assemblea Regionale.
ART. 28
Le leggi dell’Assemblea regionale sono inviate entro tre giorni dall’ approvazione al Commissario dello Stato, che entro i successivi cinque giorni può impugnarle davanti l’ Alta Corte.
ART. 29
L’Alta Corte decide sulle impugnazioni entro venti giorni della ricevuta delle medesime.
Decorsi otto giorni, senza che al Presidente della Regione [“regionale” fino alla riforma del 2001] sia pervenuta copia dell’ impugnazione, ovvero scorsi trenta giorni dall’ impugnazione senza che al Presidente della Regione [“regionale” fino alla riforma del 2001] sia pervenuta da parte dell’Alta Corte sentenza di annullamento, le leggi sono promulgate ed immediatamente pubblicate nella “Gazzetta Ufficiale della Regione”.
ART. 30
Il Presidente della Regione [“regionale” fino alla riforma del 2001], anche su voto dell’Assemblea regionale, ed il Commissario di cui all’art. 27, possono impugnare per incostituzionalità davanti all’Alta Corte le leggi ed i regolamenti dello Stato, entro trenta giorni dalla pubblicazione.
L’articolato dello Statuto sull’Alta Corte non si può commentare articolo per articolo. Va commentato necessariamente tutto insieme. E il suo commento non può prescindere piú di tanto dalla sua storia. Ci sforzeremo comunque di ridurre al minimo gli aspetti storici che lo riguardano. In fondo si tratta di una disposizione in tutto e per tutto vigente, anche se inibita nella sua attivazione.
Dapprima vediamo così è l’Alta Corte e come funziona, come “dovrebbe” funzionare, e quindi come ha effettivamente funzionato dal 1948 al 1956.
L’Alta Corte è, in breve, la Corte Costituzionale dello Stato regionale di Sicilia. Essa appartiene formalmente alla Magistratura statale, anzi agli organi costituzionali dello Stato italiano e, quindi, come si è visto per tutta la Magistratura, non è un organo interno alla Regione, ma esterno ad essa.
La sua composizione, però, è paritetica, un po’ come per le altre corti di massimo livello che in Sicilia hanno la loro sede giusta l’Art. 23 dello Statuto. Ma ciò attiene solo alla nomina dei suoi componenti, i quali, una volta nominati, non rispondono a nessuno delle loro sentenze. Il peso finanziario, distribuito tra Stato e Regione, forse simboleggia però meglio che in altre magistrature la “terzietà”, l’indipendenza di questo foro tanto dalla Regione quanto dallo Stato. È quasi una corte internazionale permanente incaricata di dirimere le questioni che potessero insorgere (e ne insorsero tante), tra lo Stato italiano e la Regione (rectius Stato regionale) di Sicilia.
Nei progetti preliminari si era pensato – come forse era piú naturale – che essa avesse sede a Palermo, capoluogo della Regione, affinché fosse anche fisicamente vicina agli organi soggetti al suo giudizio. Sembrò eccessivo alla Consulta che preferí ubicarla a Roma, vicino agli altri organi costituzionali dello Stato di cui la stessa fa parte. Di fatto essa, nel decreto istitutivo, trovò allocazione presso la Corte di Cassazione di Roma, in assenza di una sede propria.
La presenza di una Corte Costituzionale regionale fu oggetto di aspri dibattimenti in Assemblea costituente. Se infatti è vero che lo Statuto del 1946 aveva reso operativo lo stesso, e quindi anche la suddetta Corte, era anche vero che all’Assemblea era stato dato il compito di coordinare lo Statuto con l’istituenda costituzione. Gli interventi in Assemblea furono di diverso segno, e fra i sostenitori della compatibilità dell’Alta Corte con la Corte Costituzionale ci piace ricordare quelli di Ambrosini, futuro presidente della Corte Costituzionale stessa.
Alla fine l’Assemblea optò per la convivenza, recependo cosí com’era lo Statuto del 1946, Alta Corte inclusa e, dopo qualche esitazione, spinto anche dalla nomina dei giudici di parte siciliana, il Capo dello Stato esitò il decreto istitutivo della suddetta corte, il 942 del 1947, il quale non fa alcuna menzione di eventuale transitorietà della stessa. Di fatto, però, essa non poté operare prima del 1948.
La Corte, nella sua parte giudicante, è composta da 7 giudici, tre nominati dall’Assemblea regionale, tre nominati dal Parlamento in seduta congiunta di Camera e Senato, mentre il Presidente è eletto dagli stessi sei giudici di nomina parlamentare, con un’incredibile garanzia di indipendenza e di equità. Completano la Corte due supplenti, sempre di nomina parlamentare (uno “siciliano” e uno “italiano”) e un Procuratore, eletto come il Presidente dai giudici, il cui principale compito è quello di istruire i ricorsi presentando alla Corte le prime conclusioni sulle quali poi questi sarebbero stati chiamati a decidere. Ovviamente il Procuratore, per le competenze penali che vedremo, avrebbe avuto invece le funzioni di pubblico ministero.
La nomina degli Alti Giudici non era soggetta a limite temporale. Essa era a tempo indeterminato, cioè praticamente a vita, a ulteriore garanzia dell’indipendenza del supremo foro. Tra i suoi componenti piú illustri, oltre al già ricordato Ambrosini, si citino almeno Luigi Sturzo e Andrea Finocchiaro Aprile.
I confini di competenza di questa Corte sono disegnati dall’art. 25 che non lascia spazio, checché se ne voglia dire, ad alcuna sovrapposizione o conflitto rispetto alle funzioni della Corte Costituzionali. La sua competenza è speciale, quindi essa opera in deroga alla competenza generale della seconda, ma solo sulle materie espressamente ad essa riservate. Nessun sindacato generale di costituzionalità, del resto è possibile sulla legislazione statale, neanche su materia specialmente ad essa riservata.
Le sue competenze quindi sono soltanto due:
Una competenza generale sul controllo di costituzionalità della legislazione regionale (sottratta quindi espressamente, e da legge tanto posteriore quanto speciale, alla competenza della Corte Costituzionale);
Una competenza speciale a dirimere i conflitti di competenza tra Stato e Regione e, segnatamente, a inibire l’efficacia delle leggi statali sul territorio dell’Isola quando queste avessero esorbitato dalle proprie competenze.
E quindi, non sulla generale costituzionalità delle leggi statali decide la Corte, ma solo sull’efficacia in Sicilia di quelle leggi. Che poi si parli anche di “regolamenti” non è – come in modo malevolo e miope ha obiettato la Corte Costituzionale – una “svista” del legislatore, che quasi avrebbe voluto sottrarre materia al giudice amministrativo per darla a quello costituzionale, ma perché, in questi conflitti di competenza, non importa in alcun modo quale sia il rango della norma statale tra le fonti del diritto: sia essa legge, regolamento, “circolari, prassi” aggiungerei, la Corte blocca le invasioni di campo, non arrestandosi di fronte alla formale constatazione di non avere di fronte una legge in senso proprio.
In sintesi, quindi, l’Alta Corte per la Regione Siciliana funge da Corte Costituzionale per la sola legislazione regionale e per i conflitti di competenza tra Stato e Regione.
Accanto a questa funzione principale la Corte ha anche una funzione accessoria di tipo penale. Essa è il “Tribunale dei Ministri” naturale per il Presidente della Regione e per i suoi Assessori, che – anche sotto questo profilo – si rivelano per veri e propri titolari di Dicasteri di uno Stato e, come i Ministri della Repubblica, finiscono davanti al Tribunale dei Ministri (qui questa speciale Corte) per gli abusi derivanti dall’esercizio delle loro funzioni. Il diritto alla messa in stato di accusa dato all’Assemblea è dovuto alla natura politica, e non amministrativa, delle relative funzioni, e riecheggia analoghi istituti delle costituzioni siciliane del 1812 e del 1848, ma ritengo che il Procuratore presso la Corte possa nell’evidenza del reato, anzi debba, procedere d’ufficio. L’iniziativa dell’accusa penale spetta infine al Commissario dello Stato. La norma può sembrare una “tutela”, un “privilegio” per i nostri ministri regionali, ma è soltanto una tutela per i cittadini, che avrebbero un giudice cui sottoporre gli “alti traditori” della Carta Statutaria (e non ne sarebbero mancati, nel tempo), mentre, nei confronti dello Stato, l’esclusione dei suoi organi tra quelli in grado di mettere in stato d’accusa il Governo Regionale è garanzia per la sovranità della Sicilia nei confronti degli abusi di potere, e delle minacce, da parte dello Stato centrale. C’è il Commissario dello Stato, invero, ma questi dovrebbe essere una figura di garanzia e non un prefetto qualunque, censore e funzionario, come è stato sinora. È quindi una norma tutt’altro che trascurabile.
Gli articoli successivi hanno invece natura essenzialmente procedurale. I termini molto stretti per le impugnative sono volti a dare, ad ogni modo, certezza del diritto ed a rendere celere la relativa giurisprudenza costituzionale. Si noti che, allo scopo, lo Stato non agisce direttamente in tutela dei propri interessi, ma con l’istituzione della figura del Commissario, vera e propria interfaccia con l’Alta Corte. Il Commissario, la cui legge istitutiva doveva garantire stabilità, e con essa imparzialità ed indipendenza, tutela gli interessi dello Stato, ma non contro la Regione, la quale è parte integrante dell’ordinamento pubblico italiano, tanto che in teoria (mai successo!!) egli potrebbe pure impugnare leggi dello Stato a favore della Regione, quando ravvisasse uno spirito non conforme al dettato autonomistico e decentrato che è proprio della Costituzione (e quindi, in teoria, dello stesso Stato).
Purtroppo, le modalità di nomina, l’estrazione, e soprattutto l’assenza dell’Alta Corte dal 1957, hanno trasformato il Commissario in una assurda figura di censore, assente nelle altre regioni, che riduce l’Autonomia della Sicilia anziché tutelarla, peraltro entrando pesantemente nel merito politico della volontà del Parlamento regionale. Il Commissario ha senso solo in presenza dell’organo giudicante terzo, cioè dell’Alta Corte. Senza è un non senso ridicolo e controproducente che solo un popolo di dormienti avrebbe potuto cosí supinamente accettare.
Per inciso – infine – si noti che alla promulgazione delle leggi segue una pubblicazione su una vera e propria “Gazzetta Ufficiale”, ancora una volta sullo stesso piano di quella statale.
Come operà in pratica l’Alta Corte? E perché essa non opera piú pur in presenza dei decreti attuativi? L’Alta Corte fu un organismo assai equilibrato anche se – a dire il vero – già allora un po’ pendente dalla parte dello Stato. Le sue sentenze sull’efficacia “immediata” delle leggi dello Stato su materia concorrente anche nel territorio della Regione, senza bisogno di ricezione, e quelle ultralimitanti sull’uso della potestà tributaria della Regione, costringevano già allora lo Stato regionale di Sicilia ad una difficile convivenza con lo Stato. Pure in questi limiti l’Autonomia poté trovare un contesto felice per iniziare a dare i propri frutti. Non quelli pieni dello Statuto, ma comunque qualche frutto.
La rottura tra Stato e Regione avvenne negli anni tra 1956 e 1957, ma fu preparata da una legge ordinaria, nel 1953 che, istituendo la Corte Costituzionale, ipocritamente lasciava in vigore l’Alta Corte e, sibillinamente, i “metodi di controllo costituzionale della legislazione siciliana” ma istituiva, assurdamente, una doppia competenza sulla legislazione statale. Per quella legge lo Stato ora poteva indifferentemente ricorrere all’Alta Corte o alla Corte Costituzionale. Perché Restivo non impugnò quella legge davanti all’Alta Corte, allora nel pieno delle sue funzioni? Non lo sapremo mai.
E fu grazie a quella legge ordinaria e incostituzionale che lo Stato scardinò l’Alta Corte e, con essa, quasi tutta l’Autonomia siciliana.
Nel 1956 fu costituita la Corte Costituzionale e, per costituirla furono tolti alcuni giudici dall’Alta Corte. La Regione nominò subito i giudici mancanti, come si era fatto nel 1951, per un’altra vacanza di organico. Il Parlamento fu invitato a fare altrettanto e stava per farlo.
Nel frattempo il Governo impugnò alcune norme regionali in materia tributaria davanti alla Corte Costituzionale proprio grazie alla legge incostituzionale del 1951. Tardi si avvedeva la Regione di non aver reagito al momento opportuno e vana fu la sua eccezione di incompetenza. La Corte non solo diede ragione allo Stato, castrando quel poco di art. 36 che con gran difficoltà si era riusciti ad applicare sino ad allora, ma dichiarò travolta la competenza della Corte Costituzionale con una celeberrima sentenza che, letteralmente, non sta in piedi da qualunque parte la si voglia guardare e leggere.
Ciononostante l’Alta Corte ancora, sebbene monca, esisteva. E il Parlamento si stava apprestando a nominare i giudici mancanti. Fu il Presidente Gronchi, allora, pregato da alcuni giudici costituzionali, a emettere un comunicato stampa con il quale chiedeva a Fanfani, allora Presidente della Camera una “dilazione” in tale nomina nell’attesa che il rapporto tra le due corti fosse meglio chiarito. Era il 1957. Il Presidente della Regione, La Loggia, garantiva ai deputati regionali che si trattava solo di un piccolo intoppo procedurale, che il Parlamento avrebbe trovato il modo di comporre la vicenda salvando le competenze dell’Alta Corte, questa volta coordinate con quella della Corte Costituzionale.
Non se ne fece piú nulla. Gli alti giudici poi sarebbero morti, di lí a qualche anno, di morte naturale, estinguendo la totalità dell’organo. L’anno dopo si inviò una circolare al Commissario dello Stato dicendo che, da allora in poi (ma su quale base giuridica?), i ricorsi dovevano essere inviati alla Corte Costituzionale.
La quale avrebbe poi provveduto ad azzerare poco alla volta lo Statuto Speciale. In verità la questione dell’Alta Corte restò a “bagnomaria” per tutti gli anni ’60 (forse perché Ambrosini era Presidente?), ma una sentenza del 1970 valse a seppellirla (secondo loro) definitivamente.
Sí, a seppellirla viva, senza alcuna modifica costituzionale.
E finché non sarà ricostituita l’Alta Corte lo Statuto sarà soltanto una beffa e si vede fin troppo che uso ne è stato fatto. È questa, davvero, la madre di tutte le battaglie.
Articolo N° 827
L'articolo che più ci interessa, nel tempo della moneta elettronica, è il 41:
RispondiEliminaArt. 41
Il Governo della Regione ha facoltà di emettere prestiti interni.
In che moneta? Signoraggio della REGIONE SICILIANA?
RispondiEliminaUn ritorno alle origini, poi stralciate quando fecero la costituzione?
Orazio