In Giappone, politica di rilancio per le banche e il capitale... ma austerità e controriforme strutturali per i lavoratori!
23/05/2013
La politica del primo ministro di destra Shinzo Abe è un tentativo originale di salvare il capitalismo nipponico: gigantesca politica di stimolo per il capitale, austerità e riforme strutturali per il lavoro.
236%, 8.800 miliardi di euro: se l'ammontare del debito giapponese costituisce una minaccia per l'economia, un peso per il governo giapponese, la politica di "rilancio" condotta dal governo dimostra la fallacia dell'argomento politico del debito in Europa per giustificare l'austerità.
Non ci si illuda però, non sarebbe saggio pensare che Abe "prende l'austerità in controcorrente" (L'Humanité, 21 maggio). Infatti, Abe definisce la sua politica come quella delle "tre frecce": ripresa degli investimenti pubblici (privatizzati) per alimentare la domanda interna e quindi massiccio stimolo monetario per rilanciare le esportazioni di capitali, ma sempre l'austerità e soprattutto riforme strutturali per il lavoro.
Stimolo monetario e fiscale per le banche e il grande capitale
La politica di "stimolo monetario" è una politica keynesiana classica: la Banca del Giappone ha iniettato enormi quantità di liquidità nell'economia per abbassare il costo del credito, per svalutare la moneta.
E' sbagliato dire che l'intera "economia" ne trarrà vantaggio.
I vincitori di questa politica sono il grande capitale, in particolare dei settori esportatori - automobili, elettronica - che beneficiano di credito a buon mercato per investire e soprattutto di uno yen debole per aumentare le esportazioni.
Le banche, inoltre, saranno beneficiate, attraverso la prevista ripresa degli investimenti privati, finanziati massicciamente dal credito, che continua ad alimentare il debito pubblico.
Il governo ha annunciato 80 miliardi di € in opere pubbliche: il secondo aeroporto internazionale di Tokyo, autostrade, porti di dimensioni mondiali. Tutto promette profitti per l'industria delle costruzioni. La spesa pubblica, i profitti privati!
Il grande perdente è il piccolo capitale, le piccole e medie imprese a bassa capacità di esportazione. Esse portano il peso dell'aumento dei prezzi delle materie prime, nonché della rimozione di una legge del 2008 che facilitava i prestiti alle PMI.
Ma anche la maggior parte dei settori economici che dipendono dalle importazioni come il settore energetico dove il governo prevede solo la deregolamentazione.
Infine, è chiaro che i principali perdenti di questa politica saranno i lavoratori. Mentre il grande capitale beneficia di una riduzione artificiale del "costo del lavoro" per esportare, i lavoratori vedono declinare il loro potere d'acquisto, anche con l'aumento generale dei prezzi.
Austerità e riforme strutturali per i lavoratori: ancora e ancora!
La cosiddetta politica di "Abenomics" è lontana dal prendere l'austerità controcorrente. In realtà, essa combina il rilancio della domanda nel settore pubblico al servizio del privato con l'austerità per il lavoro al fine di garantire la "competitività" dell'industria giapponese.
Nonostante le dichiarazioni del Primo Ministro atte a sollecitare le imprese ad aumentare gli stipendi, il capitale non ha nessun interesse ad annullare l'effetto della svalutazione della moneta, dal momento che l'economia giapponese (come quella tedesca e quella cinese) è basata sulle esportazioni.
Un recente sondaggio agli imprenditori giapponesi ha rivelato che l'85% di loro avevano intenzione di non aumentare ma perfino diminuire gli stipendi dei propri dipendenti. I premi, da molto tempo motore della remunerazione sono al livello più basso dal 1990.
Il reddito dei giapponesi è diminuito complessivamente del 12,5% in quindici anni. Il calo dovrebbe accentuarsi ancora di più poiché i prezzi, con questa politica monetaria, salgono, in particolare nei settori dell'energia e dei trasporti, a causa della dipendenza energetica del Giappone.
Le associazioni padronali e gli economisti hanno messo in guardia il governo: la "politica di rilancio" è solo una tregua, uno stimolo per riavviare la macchina, dagli effetti psicologici. Ma solo le "riforme strutturali" che Abe annuncerà a giugno potranno incentivare la crescita.
In primo luogo, la riforma del mercato del lavoro. La precarietà è già la norma per i giovani giapponesi. Il disegno di legge prevede per il futuro l'allungamento del periodo di prova per i nuovi assunti e la generalizzazione del part-time e orari di lavoro flessibili, soprattutto per le donne.
Poi, la riforma fiscale in favore delle imprese, nello spirito del "piano di austerità" dell'anno scorso. L'imposta sulle società è mantenuta al tasso del 25% (era al 30% prima del 2012), mentre l'IVA aumenterà dal 5 al 10%. Meno tasse per le imprese, più tasse per il popolo!
"Liberalizzazione" dei servizi principali. Il Giappone ha in gran parte privatizzato i suoi principali servizi. Tuttavia, i settori dell'energia e dei trasporti sono altamente regolamentati. Il governo vuole deregolamentare questi settori introducendo la concorrenza tra gli operatori di rete.
Infine, la riforma delle pensioni che sta per essere attuata prevede l'aumento dell'età pensionabile da 60 a 65 anni entro il 2025.
Abe ha annunciato che queste sono sole le tracce della sua "terza freccia", che, per lui, è il cardine della "strategia di crescita", che consiste nel mantenere l'austerità per i lavoratori, soprattutto con riforme strutturali destinate a ridurre i costi del lavoro
La liberalizzazione degli scambi commerciali con gli Stati Uniti e il nazionalismo aggressivo
La politica "di controcorrente" del governo giapponese deve essere integrata nella politica del capitale giapponese: fedeltà all'imperialismo USA, accelerazione della liberalizzazione degli scambi internazionali e nazionalismo aggressivo.
In primo luogo, il governo Abe ha aperto i negoziati per la firma del "Trans-pacific strategic economic partnership (TPSEP)", che prevede la quasi completa liberalizzazione degli scambi commerciali nell'area del pacifico, scatenando l'opposizione dei sindacati e delle associazioni dei consumatori.
Tutto nell'ambito della fedeltà all'imperialismo USA, Shinzo Abe gioca la carta del nazionalismo populista, con accenti militaristi e revanscisti.
Il grande cavallo di battaglia del primo ministro, è la revisione della Costituzione per renderla compatibile con i suoi obiettivi: la costruzione di un esercito per minacciare la Cina e servire l'alleato degli Stati Uniti, condurre operazioni all'estero.
Recentemente, oltre alle dispute di confine con la Cina, il Primo Ministro ha reso omaggio ai soldati giapponesi morti durante la seconda guerra mondiale, nascondendo i loro crimini.
"Il Giappone è tornato" è lo slogan di Abe, che indica un nazionalismo revanscista. Lui stesso proviene da una famiglia segnata da una lunga linea reazionaria che aveva partecipato al regime militarista degli anni 40 e all'ordine anti-comunista sotto tutela statunitense negli anni '50.
E' in questo contesto che bisogna comprendere la politica "espansionistica" del governo, come un attacco contro le economie della regione, per lo più cinese, costretta ad impegnarsi in una guerra economica (svalutazione) per rimanere competitiva.
Lungi dall'essere un modello di politica di rilancio per noi in Europa, la politica del governo giapponese dovrebbe mettere in guardia contro la politica del capitale:
Lo Stato finanzia la domanda a beneficio del capitale, limitando gli stipendi e preparando riforme strutturali contro il mondo del lavoro.
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