Le banche, il diritto, il sopruso
La creazione di un sistema normativo speciale per il sistema finanziario
di Angelo Casella - A far tempo dal primo gennaio 2016 è
entrata a far parte dell'ordinamento giuridico italiano, in quanto
approvata dal Parlamento italiano, la "direttiva" Ue chiamata Bank
Recovery and Resolution Directive, che dispone il c.d. "bail-in"
(salvataggio interno) per le banche in dissesto con la "partecipazione"
degli azionisti, dei detentori di obbligazioni, sopratutto
"subordinate", e dei correntisti sopra i 100 mila euro.
E' incidentalmente da rilevare che il termine "obbligazione", applicato a queste "subordinate" è fuorviante ed errato
(e come tale doveva essere vietato), trattandosi di strumenti
finanziari complessi e ad alto rischio, non assimilabili alle
obbligazioni.
Vano
e deviante è deprecare una presunta scarsa diligenza in chi le ha
acquistate. E' nella comune prassi bancaria spargere aloni di mistero
sia sui prodotti offerti (e spesso, come nel caso, artatamente
consigliati senza idonee delucidazioni), sia, in genere, su tutta
l'operatività posta in essere, evitando ogni trasparenza su costi,
commissioni, implicazioni, ricadute, ecc. (v. anche: "Imperatori, Io so e
ho le prove", ed. Chiarelettere), al punto da suggerire l'ipotesi di
associazione a delinquere organizzata (v. in merito la dichiarazione
alla stampa dell'impiegato Benedetti di Banca Etruria: "l'ordine di
mentire ci veniva dalla banca...", La Repubblica, 12.12.15).
Sovente,
poi, i dati operativi sono volutamente annebbiati con termini tecnici
del tutto inutili, così che il cliente, disorientato da questo mondo
misterioso, viene naturalmente spinto ad affidarsi all'"esperto",
all'impiegato della banca, il quale non aspetta altro.
La "direttiva" ha avuto molta pubblicità a seguito del decreto governativo detto "salvabanche", destinato
a quattro aziende di credito, e presentato trionfalmente come
intervento di salvaguardia del lavoro e come escamotage per evitare,
appunto il bail-in.
A sua volta, quest'ultimo è stato
magnificato come una splendida soluzione per evitare di "scaricare sui
contribuenti le crisi bancarie".
A quest'ultimo proposito,
nessuno ha replicato che non è affatto necessario che ciò debba avvenire
e che la soluzione proposta è per certi aspetti, ancora peggiore.
Senza
dimenticare che l'"aiuto di Stato" alle banche c'è sempre stato, e si
esercita normalmente prima che lo stato di dissesto venga formalizzato.
Con
la crisi del 2008, in Germania, l'intervento a favore degli istituti in
difficoltà ha toccato i 250 miliardi di euro, quasi 60 in Spagna, circa
50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia, circa 19 in
Belgio ed Austria e quasi 18 in Portogallo. In Italia, si è trattato di 4
miliardi.
Analisi
Sono, al riguardo, necessarie alcune precisazioni:
a)
Con il decreto "salvabanche" il governo, disponendo il trasferimento a
nuove entità delle attività delle banche dissestate, si è reso
protagonista della ipotesi di sottrazione di beni del fallito, a danno
dei creditori. A questi ultimi sono state lasciate delle scatole vuote,
mentre il patrimonio che li garantiva è stato messo a disposizione del
sistema finanziario. Affermare che tutto ciò non è un "aiuto di Stato"
(a danno, per giunta, dei cittadini), appare alquanto azzardato.
Tralasciando altre considerazioni, questa norma viene a porre notevoli
problemi di interpretazione sistemica. D'ora in avanti, è lecito
perseguire chi ruba ad un imprenditore fallito?
b)
Le obbligazioni emesse costituiscono un debito per l'emittente e un
credito per chi le detiene. Ciò vale anche per le c.d. "subordinate",
che sono state inventate (e colpevolmente consentite), per aggirare la
regola per la quale il valore complessivo delle obbligazioni non deve
superare quello del capitale (2410 c.c.). La banca che emette le
obbligazioni, si assume un vincolo giuridico patrimoniale inderogabile
(Giustiniano), espresso dalla consegna a sue mani di attività
patrimoniali da parte di chi, in dipendenza di ciò, ne diventa
creditore, in funzione della restituzione di queste (prestazione del
debitore). Si tratta di concetti che pare perfino offensivo ripetere.
Ma che succede invece con il c.d. bail-in " (e in parte con il "salvabanche)?
Il
creditore (nel caso, il possessore delle obbligazioni), per il solo
fatto di essere tale, è trasformato in debitore: gli viene infatti
imposto di farsi carico dell'insolvenza del soggetto obbligato nei suoi
confronti a restituirgli il denaro ricevuto. In sostanza, quando il
debitore è una banca, il diritto del creditore è un mezzo diritto,
pronto a trasformarsi in obbligo a contribuire alla sopravvivenza della
banca (a scapito della sopravvivenza del creditore stesso). La banca
assume così la veste, nella società, di un soggetto giuridico speciale,
dotata di una posizione di privilegio del tutto straordinario.
Può una siffatta regola trovare posto nel nostro ordinamento giuridico?
Ammetterla,
in realtà, significa sovvertirne i principi di base e minarne i
fondamenti. Ci troveremmo a doverlo riscrivere dalle fondamenta. A
cominciare dalla Costituzione (in particolare, l'art. 23). E ciò rende
il "salvabanche" del tutto incostituzionale;
c) Parimenti
del tutto inaccettabile, per le stesse motivazioni, il coinvolgimento,
nel salvataggio della banca, dei depositanti, anch'essi trasformati, da
creditori in stupefatti debitori;
d) In entrambi i casi
citati, compravendita delle obbligazioni e contratto di conto corrente, i
soggetti coinvolti pongono in essere un regolare negozio giuridico, che
rientra nell'ambito della loro autonomia e libertà di
autodeterminazione.
Si tratta di una relazione giuridica che è
espressione della autonomia dei soggetti (art. 41 della Costituzione e
1322 del c.c.) e che rientra nel loro potere basilare e primario di
modificare la sfera dei loro rapporti giuridici esistenti.
Per
loro iniziativa e volontà, sono stati creati degli obblighi e acquisiti
corrispondenti diritti, nel quadro di un rapporto giuridico privato e
personale nel quale lo Stato (il legislatore) è completamente estraneo e
nel quale non ha e non deve frapporre interferenze.
Consentire
che ciò avvenga, rappresenta una alterazione del rapporto tra cittadino
e Stato del tutto inaccettabile ed incompatibile con la cultura
giuridica nazionale, frutto di una incancellabile evoluzione millenaria;
e) Per ciò che riguarda il coinvolgimento degli azionisti
nel pagamento dei debiti della banca (parliamo del bail-in), se - in
astratto - è plausibile siccome diretti partecipi del patrimonio di
questa, nel concreto è un errore intriso di ipocrisia.
Infatti,
il risparmiatore che ha comprato qualche azione, non intendeva con ciò
partecipare alla gestione della società (né avrebbe potuto farlo, e ne
era di ciò consapevole...), e così fruire dei relativi risultati
positivi.
Desiderava semplicemente trovare una collocazione ai suoi risparmi che gli consentisse di trarre guadagno dalle variazioni di prezzo dei titoli.
Essendo
dunque del tutto privo di responsabilità gestionali e assolutamente
estraneo ai maneggi spesso poco puliti che hanno portato la banca al
dissesto, è del tutto iniquo coinvolgerlo nel disastro, solo per il
fatto formale del possesso di qualche azione.
Iniquo e
socialmente riprovevole a fronte del contemporaneo salvataggio dell'ente
e dei responsabili effettivi che, con il dissesto, si sono anche
arricchiti.
f) La disposizione a favore del sistema
finanziario è, comunque,così sfacciata e impudente da far pensare che
quest'ultimo ritenga ormai di disporre di un dominio pressoché totale
sulla società civile. D'altronde, i governi sono diventati di fatto
l'ufficio legislativo della cupola finanziaria e ne riflettono
efficacemente le istruzioni.
Certo è che, ove non si provveda
ad arrestare questa deriva, ci si incammina su una strada lunga e
pericolosa, che può portare molto lontano dalla civiltà.
Perché le banche non possono fallire?
Omettiamo
ogni commento sul sottobosco nel quale si collocano protagonisti e
contesto della vicenda, sorvoliamo altresì sulla totale illiceità della
c.d. "istituzioni comunitarie" sulla quale ci siamo già soffermati in
altra sede, per affrontare una prima, ineludibile domanda: "perchè le
banche non possono fallire?".
Dovrebbe di ciò essere conferma
anche la stessa nuova (ed indecente) legge bancaria, ove statuisce che
l'attività bancaria (un tempo, correttamente definita dalla precedente
normativa servizio pubblico) costituisce "attività d'impresa", e
dovrebbe perciò, a maggior ragione, sottostare alle relative
disposizioni fallimentari.
Ancor più considerando che, nel
caso, si presentano aspetti di rilevanza penale, che richiamano
l'ipotesi di bancarotta fraudolenta.
Incidentalmente da
osservare che il nuovo assetto del sistema bancario è stato, quasi
contemporaneamente, adottato da tutti i Paesi industrializzati. Un
fenomeno davvero unico, che fornisce la misura del potere della
consorteria finanziaria internazionale.
Se non c'è una risposta ragionevole, emerge tuttavia una spiegazione plausibile.
E
questa, pur inattesa, è che, accanto e addirittura sopra al sistema
giuridico legittimo, vi è un sistema normativo ad hoc per la finanza, da
questa stessa predisposto e trasformato in leggi dello Stato dal
parlamento nazionale.
Di ciò si hanno molteplici conferme (da ultimo proprio il decreto "salvabanche"), e ci limitiamo così alle principali:
a) Iniziamo con la datata, ma pur sempre incredibile, rinuncia a favore dei banchieri del potere statale di battere moneta.
Una
enormità, che ha stravolto i sistemi politico-sociali, creato immensi
problemi ai cittadini e distorto il concetto stesso di gestione del
bilancio pubblico.
Tuttavia, ancor oggi, la questione non è
neppure presa in considerazione, con infiniti danni per la società e
incommensurabili guadagni per la finanza;
b) Un altro
privilegio, connesso al primo, è la autorizzazione alla creazione della
c.d. "banca centrale" (v.: "I misteri della banca centrale"). In
sostanza: un sorprendente istituto privato, creato dalle banche, ma
dotato di poteri pubblici, che gestisce - a sua completa discrezione - i
tassi di interesse, la moneta e la circolazione, l'inflazione, la
riserva aurea, regola il credito e provvede addirittura alla vigilanza
sulle banche che l'hanno creata. In ultima analisi, ha in mano le leve
dell'economia. Da notare che lo Stato - e ciò è poco noto - si è anche
privato del potere di legiferare in tema di credito e risparmio, senza
il benestare della banca centrale;
c) Come sappiamo,
l'Europa non esiste come entità politica. Purtuttavia, di questo Stato
fantasma esiste - e funziona a pieno regime - la banca centrale, la nota
Bce, che ha la sorprendente potestà di emanare norme vincolanti per
tutti i cittadini della c.d. Unione. Naturalmente, senza che in
proposito il c.d. Parlamento europeo, cioè i pretesi loro
"rappresentanti" (abilitati solo a stabilire la lunghezza dei cetrioli,
delle vongole e ad occuparsi di altre amenità della stessa rilevanza)
possano obiettare alcunché.
La Bce, creata dalle banche
centrali dei Paesi aderenti è - come queste - un altro ente privato, ma
con poteri assai maggiori, poiché può dettare agli Stati le direttive da
adottare in tema di finanza, credito e risparmio. Incidentalmente da
ricordare che è completamente priva di responsabilità politica (cioè
nessun cittadino, pur scontento, potrà mai cambiarne i vertici), proprio
perché è posta, incredibilmente, al di fuori e al di sopra della
politica.
Si rinvengono poi a decine i provvedimenti che, in
situazioni specifiche, favoriscono la finanza a scapito dei cittadini.
Anche sulla base di anomali accordi internazionali tra cui, in primo
luogo, quelli europei.
Da banche popolari a S.p.a.
Abbiamo
in altra sede accennato all'abnorme e giuridicamente stravagante
decreto (illegittimo e incostituzionale) che obbliga le maggiori banche
popolari a trasformarsi in Spa.
La cosa potrebbe lasciare indifferenti coloro che non sono direttamente coinvolti nel pasticcio, ma sarebbe un grave errore.
Infatti,
lo scopo ultimo dell'operazione (realizzata su direttiva della
consorteria finanziaria globale) è - nell'immediato - aprire fruttuosi
spazi di investimento ai capitali speculativi, con l'acquisizione di
quote azionarie interessanti nel capitale delle banche popolari, finora
al riparo da queste incursioni grazie, appunto alla loro forma
giuridica.
La finalità ultima, peraltro, è quella di ottenerne
il controllo gestionale mediante l'acquisizione della maggioranza
azionaria, con la prospettiva finale che tutto il sistema del credito e
del risparmio venga sottoposto ad un unico centro decisionale:
a) In proposito, si manifesta dunque un disegno totale, con impressionanti ricadute sull'economia e sulla società tutta.
Da
qualche tempo, infatti, con la gradualità richiesta dall'imponenza del
progetto e dalla applicazione della consueta tecnica di abituare per
gradi l'opinione pubblica, si parla di far sparire una delle realtà più
sane, solide ed efficienti del sistema bancario: le banche di credito
cooperativo (le c.d. Bcc), il cui sostegno alle piccole imprese è sempre
stato fondamentale nel nostro sistema economico. Di fatto, esse oggi
esercitano ancora correttamente una attività altrimenti profondamente
alterata.
Tra l'altro, se una piccola banca va in dissesto,
il salvataggio risulta molto più agevole e meno traumatico di quello di
un grande istituto.
Si progetta di fondere le Bcc in un unico
istituto di credito - ovviamente a capitale azionario, a disposizione
dei soliti speculatori - chiamato mistificatoriamente "capogruppo",
(mentre il concetto di "gruppo" presuppone una autonoma identità dei
componenti, che invece scomparirà del tutto).
Nella sostanza,
sarà vietato (!) al cittadino esercitare l'attività bancaria in forma
cooperativo-mutualistica che, per sua natura, è impermeabile
all'influenza del capitale esterno;
b) E' necessario
sottolineare che la forma giuridica della società per azioni presenta
importanti aspetti di ambiguità e, sopratutto, si presta a manovre di
natura truffaldina, ben lontane dalla finalità indicata nei manuali, di
"favorire l'afflusso del risparmio alla attività imprenditoriale".( In
realtà, una farisaica falsità diretta solo a favorire quelle
associazioni a delinquere chiamate "Borse valori").
In verità,
la quotazione in Borsa, cioè mettere le azioni sul "mercato", consente
manovre illecite che la normativa specifica non riesce assolutamente a
impedire.
Mediante accordi con altre società, anche non
collegate, è possibile alzare o abbassare il valore di mercato delle
azioni. Non sono rari i casi di "insider trading". E' "normale" che un
Fondo di investimento acquisti la maggioranza azionaria di una azienda,
per poi smembrarla, venderla e mandare a casa i dipendenti, danneggiando
anche i piccoli azionisti. Con idonee operazioni si può svalutare la
quotazione delle azioni, per poi ricomprarle a basso prezzo. Ecc., ecc.
Prescindendo
dal fatto, incontestabile, che il valore di una impresa non è
rappresentato dal solo capitale, ma anche dall'avviamento, dalla
organizzazione operativa, dalla qualità del personale, è ovvio che
"comprare" una azienda acquisendone la maggioranza azionaria, è una
finzione. La partecipazione, poi, al capitale di una impresa ha un senso
solo ove sia connessa ad un concorso attivo alle scelte di gestione
(che significa anche controllo delle somme conferite...). Grandi società
ad azionariato diffuso sono spesso controllate e gestite da detentori
di una quota azionaria minima, con grave pregiudizio dei piccoli
azionisti, che sono costretti a subire scelte spesso contrarie ai loro
interessi piu' elementari.
Questo stato di cose imporrebbe un ripensamento di tutta la normativa attinente le società per azioni.
Si apre così uno scenario allucinante, di dimensione orwelliana.
Con
questa soluzione finale, tutto il credito verrebbe ad essere gestito e
manovrato dalla cupola finanziaria mondiale, che potrà così dotarsi
dello strumento per dirigere e guidare a proprio piacimento tutta
l'economia, di tutti i Paesi e, con essa, tutta la società, di cui avrà
in mano le risorse finanziarie ed i risparmi.
Ogni attività
economica potrà ricevere sostegno finanziario soltanto se approvata
dalla cupola ed alle sue condizioni, che prevederanno certamente anche
forme di cointeressenza: tutte le attività economiche si troveranno a
dover versare un obolo alla finanza.
Il sistema bancario e finanziario in generale forma, con la rete internazionale delle banche centrali, un
granitico centro di potere globale, grazie anche ad una organizzazione
estesa e capillare che va dagli organismi finanziari internazionali e
dal WTO, fino alle università, alle associazioni imprenditoriali e alla
c.d. "intellighenzia", che ha ormai colonizzato anche i testi di
economia, nei quali il verbo liberista è presentato come verità assoluta
e senza alternative.
In ragione di ciò, (e delle enormi
risorse di cui dispone), la finanza è in grado di deviare i governi
nazionali dai loro compiti istituzionali, trasformandoli in solerti
esecutori della propria volontà e dei propri interessi. Con il controllo
dei media, si occupa anche di orientare l'opinione pubblica, che rimane
privata della possibilità di capire i fenomeni in atto.
Ecco pertanto spiegato come si venga a formare un sistema normativo parallelo, autonomo rispetto a quello costituzionale, dotato
di fonti proprie dirette e del potere, appunto, di trasformare i
parlamenti nazionali in legislatori di seconda mano a proprio uso.
E'
peraltro del tutto improprio estendere la qualifica di diritto a delle
norme parassitarie unilaterali, che contraddicono i principi fondanti
del sistema sui quali è costruita la società. Qui è in gioco anche più della nostra cultura giuridica: è la nostra stessa civiltà che si sta demolendo insieme all'ordine sociale formatosi dopo secoli di tormentata maturazione.
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