Per uno sguardo decoloniale sul franco CFA
La moneta dei PMA
di Nicoletta Fagiolo –
In seguito alla polemica Italo-Francese sulle due unioni monetarie del
franco CFA in Africa subsahariana, scaturita il 20 gennaio 2019
dall’attivista grillino Alessandro Di Battista che ha strappato una
banconota, facsimile di 10,000 franchi CFA, davanti al
conduttore perplesso Fabio Fazio in diretta TV,i sui
social gli Africani senza distinzioni ringraziarono ardentemente Di
Battista per il suo gesto ai loro occhi eroico, gesto che riecheggia la
banconota CFA bruciata a Dakar dall’attivista panafricanista Kemi Seba,
che gli costo l’espulsione immediata dal Senegal nel 2017. Kemi Seba è
stato vittima di un ulteriore arresto e espulsione il 26 marzo 2019 da
Abidjan, Costa d’Avorio verso il Benin, solo per aver voluto dibattere
pacificamente sulla moneta CFA.ii
L’acronimo
CFA fa riferimento a due attuali unioni monetarie e economiche
nell’Africa occidentale e centrale: il franco dell’Africa occidentale
riunisce gli otto membri dell’Unione economica e monetaria dell’Africa
occidentale (UEMOA) – Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea
Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo; il franco centro africano comprende
i sei membri della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale
(CEMAC) – Camerun, Repubblica centrafricana, Repubblica del Congo,
Gabon, Guinea equatoriale e Ciad. L’area ha oggi una popolazione totale
di oltre 162 milioni di abitanti distribuiti in quattordici paesi.iii
Alla
sua creazione nel 1939, l’acronimo CFA significava il franco francese
delle colonie africane – oggi, designa il franco della comunità
finanziaria africana per i paesi dell’UEMOA e il franco della
cooperazione finanziaria in Africa centrale per i paesi della CEMAC.
Di
quali criteri tener conto per valutare se una moneta funzioni per
l’economia complessiva di un paese o un’area monetaria come quelle del
franco CFA? Spesso i giornali Italiani commentando l’attualità parlano
solo di stabilità del CFA, analizzando l’andamento del PIL.
“Il PIL può aumentare e la maggior parte dei cittadini potrebbe comunque stare peggio,” ci ricorda il premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz in L’euro e la sua minaccia per il futuro dell’Europa.iv Nel
2018 l’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite segnala il Niger,
paese del UEMOA, come il paese più povero al mondo, 189 su 189 paesi.
L’elenco mostra che tutti i 14 paesi dell’area CFA sono tra i paesi più
poveri del mondov;
per l’area CFA il PIL reale pro capite è di un terzo o
inferiore rispetto alla fine degli anni 1970 ; sui 47 paesi che fanno
parte della comunità dei paesi meno sviluppati al mondo da quando
la categoria è nata nel 1971, nove dei quattordici paesi dell’area CFA
ne sono membri oggi, (la Guinea Equatoriale è uscita solo nel 2017)
incitando alcuni a chiamarla la moneta dei PMA, dall’acronimo francese pays les moins avancés (paesi meno sviluppati).
Il
modello d’integrazione verticale del franco CFA, eredità della
colonizzazione, è rimasto uguale da quando è nato nel dicembre del 1945:
i paesi africani rimangono produttori di materie prime non trasformate e
commerciano più con l’Europa che tra loro. Un modello economico
estroverso non propizio allo sviluppo di un’economia endogena.
Sono
le caratteristiche principali del CFA (la parità fissa, la garanzia di
convertibilità e la libera circolazione di capitali) che lo rendono un
veicolo per l’accumulazione delle ricchezze all’estero, ci spiega l’ex
Ministro ed economista Togolese Kako Nubukpo, che di recente ha tenuto
il 17 febbraio 2019 a Bamako, in Mali, la prima conferenza degli stati
generali sul CFA, che ha visto unirsi un folto gruppo di economisti per
escogitare scenari per un nuovo assetto monetario per l’area.
Il
21 gennaio 2019, il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e
Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, capo politico del
M5S Luigi Di Maio insiste: “Io non credo che sia un caso diplomatico, io credo che sia tutto vero”
(…) Se l’Europa in questo momento vuole avere un po’ di coraggio, deve
avere la forza di affrontare il tema della decolonizzazione. Bisogna
decolonizzare l’Africa e anche l’Unione Europea deve occuparsi di questo
tema. Guardiamo in faccia anche le cause, non solo gli effetti
dell’emigrazione. Ci sono autorevoli economisti di tutto il mondo che ne
parlano, noi abbiamo solo acceso il faro su una verità.vi
Gli
economisti Africani che si sono soffermati a studiare questo sistema
monetario sono tanti, fra cui: Samir Amin, Mamadou Diarra, Joseph
Tchundjang Pouemi, Mamadou Koulibaly, Moustafa Kasse, Sanou Mbaye,
Nicolas Aghohou, Demba Moussa Dembelé, Séraphine Prao Yao, Yacouba
Fassassi, Ndongo Samba Sylla, Marital Ze Belinga o Kako Nubukpo.
Roberto Bongiorni sul Sole 24 ore in Franco CFA, i legami controversi tra Parigi e le ex colonie del
22 gennaio 2019 chiama Di Maio “presuntuoso” per aver sollevato un
dibattito cosi importante per generazioni intere di studiosi e politici
Africani, eppure io trovo scandaloso che Bongiorni confonde il Congo
Kinshasa (che non fa parte dell’area CFA) con il Congo Brazzaville,
nelle mappe che accompagnano il suo articolo sul franco CFA!
Molti giornali Italiani, oltre a parlare ad nauseam di una stabilitàvii del
franco CFA, spesso pongono l’accento sull’opportunismo elettorale del
M5S, senza specificare chi in Europa porterebbe suffragare posizioni
anticolonialiste, e senza sentire neanche uno degli economisti Africani
specialisti in materia.
Tutti
gli studiosi menzionati in alto e altri ancora mettono in causa le
regole stesse che gestiscono l’area CFA, area ormai sottoposta a quello
che l’economista Marital Ze Belinga chiama una colonialité à double verrou, (colonialità a doppia serratura),viii sia
francese che Europea, via una decisione del Consiglio Europea del 1998
che ha ancorato il franco CFA a l’Euro, adottata dal Parlamento Europeo
del 1999.
Nel
lontano 1944 alla Conferenza di Brazzaville voluta da Charles De Gaulle
per stabilire l’assetto economico della metropoli riguardante le sue
colonie, furono presenti rappresentanti Africani. Eppure un colloquio
del 1998 organizzato a Dakar, Senegal dal centro studi Codesiria
(Consiglio per lo sviluppo della ricerca sulle scienze sociali in
Africa) ha visto più di 200 economisti Africani pronunciarsi
contro un cambio fisso e non aggiustabile del CFA con l’Euro.
Roberto Bongiorni scrive sul Sole 24 ore il
22 gennaio 2019 “chi perde nel sistema CFA sono i produttori
Africani”, dunque il tessuto stesso dell’economia Africana. L’economista
della Bocconi Massimo Amato non è meno critico: “Il franco CFA
condanna l’Africa a essere puramente esportatrice di materie prime e a
non avere, ad esempio, nemmeno un’industria di trasformazione agricola,
con tutti i benefici di stabilizzazione dei prezzi agricoli interni e di
aumento dell’occupazione manifatturiera che ciò comporterebbe.” ix
Alcuni
giornalisti ammettono gli interventi militari francesi sul continente,
anche se non focalizzano l’attenzione sul blocco dei processi
democratici che spesso questi interventi causano e ne sottostimano la
frequenza: sono più di 150 solo in Africa sub-sahariana dal 1945 ad
oggi.x Un numero alto che richiede inchieste parlamentari urgenti sia nazionali sia europee.
Porre
questa ingerenza anacronistica e colonialista, legata ormai ad azioni
Europee comuni (sanzioni, interventi militari, cooperazione, accordi
commerciali) al centro dell’analisi sui rapporti con l’Africa è
essenziale per stabilire un rapporto leale verso i paesi Africani o
prevedere una qualsiasi forma di politica estera comune europea. Le
richieste di Di Maio di rendere ufficiali gli accordi di difesa e
cooperazione francesi sigillati spesso in segreto con i paesi ex
colonie, dovrebbe essere il sine qua non per immaginare una
politica europea comune. Le proposte lucide di Di Maio, sanzioni verso i
paesi Europei che commettono atti coloniali e un’agenzia che si occupi
di anti colonialismo in seno all’Unione Europea, sono celate de un
silenzio giornalistico sbalorditivo.
L’attuale Presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara il 15 febbraio 2019 ha chiesto che “si chiuda il falso dibattito sul franco CFA” che ha descritto come “moneta solida”,
dopo un’audizione con il suo omologo francese, Emmanuel Macron
all’Eliseo. Kako Nubukpo gli risponde su RFI (Radio France
Internationale)xi il 2 marzo 2019 : “il luogo stesso della dichiarazione di Alassane Ouattara, l’Eliseo, è molto simbolico” (…) “il
franco CFA protegge i leader africani dai fallimenti della
loro governance. Il conto di operazioni al tesoro francese (conto dove
si tengono secondo gli accordi con la Francia il 50% delle riserve
valutarie di ambedue le aree CFA) è stato inizialmente creato per far
fronte agli shock economici esogeni, ma è diventato
un’assicurazione contro qualsiasi rischio per i presidenti africani, che
non rispondono ai loro cittadini, ma alla Banca Centrale Europea.”
Nubukpo cita il caso più salutare di alternanza politica del
Ghana, dove una svalutazione grave del 40% della moneta del paese, il
cedi, causò la perdita delle elezioni a John Dramani Mahama
nel dicembre 2016.
Un retaggio coloniale
Storicamente
il franco CFA è la continuazione del franco francese, nato nel 1795 che
ha accompagnato la colonizzazione francese nel mondo: in Asia (Laos,
Cambogia, Vietnam), Oceania (Polinesia francese, Nuova Caledonia, Nuova
Ebridi), nei Caraibi (Santo Domingo, Guadalupe, Martinica, Santa Lucia,
Tobago), Guyana in America Latina, il Nord Africa (Algeria, Marocco,
Tunisia) e in Africa sub-sahariana.
Il
franco francese è stato imposto alle popolazioni locali e le loro
valute sono state vietate. Già nel 1830, il re Carlo X aveva coniato una
moneta con le parole “colonie francesi”. Nel lontano 1895 in
Costa d’Avorio le autorità coloniali vietarono l’uso di un braccialetto
di bronzo usato come mezzo di scambio.
Demistificando
l’idea di una “rivoluzione monetaria” che avrebbe semplicemente
sostituito un’economia locale policentrica con un sistema unicentrico,
numerosi studi oggi svelano una resistenza tenace da parte delle
popolazioni locali alla moneta straniera. Per il successo dell’apparato
coloniale l’incorporazione degli africani nel mondo della tassazione e
del lavoro salariato era vitale. Harcourt Fuller della Georgia State
University, in un articolo del 2009 sui sistemi monetari in zona sterling della Gold Coast,xii l’ex Ghana, parla di “azioni
quotidiane quali il continuo uso di monete indigene e straniere, la
contraffazione di monete e banconote coloniali, la deturpazione di
valuta, la fusione di denaro per fare gioielli e il rifiuto di
utilizzare banconote”. Félix Iroko ci parla della resistenza in una delle aree dove si usavano i cauris, (si parla anche di una zona cauris, questa conchiglia importata dall’Oceano Indiano), l’attuale Burkina Faso, dove la resistenza alla sostituzione dei cauris con il denaro coloniale è stata lunghissima: “durante
gli anni 1970 e 1980, un tasso di cambio nominale di 20 conchiglie a
cinque franchi CFA era ancora presente nelle menti locali.”xiii
Quali
erano le valute locali? Già durante l’impero faraonico del III a.C. si
utilizzava un sofisticato sistema monetario; l’economista
camerunense Joseph Tchuindjang Pouemi parla di
un regime di cambi fluttuanti prima del ventesimo secolo, ricordando che
la conversione tra le conchiglie cauris e l’oro era praticata.
Altri esempi di monete locali: palle di gomma; barre di ferro e di rame;
le conchiglie cauri che si scambiavano già con la valuta prima del
franco i tornei di libri; taglio di zinco; articoli di cotone; fili di
ottone; perle di vetro e grani di porcellana.
Si
trattava principalmente di convertire con la forza le società locali
nel sistema capitalista coloniale. Nel 1907 la Francia proibì
l’importazione dei cauris e anche il pagamento delle tasse
coloniali con questa valuta. Per anni una parte di queste tasse erano
spesso ancora pagate con i cauris suscitando l’ira dei colonizzatori. Nel 1925 sarà incluso nel nuovo Code de l’indigénat (codice
di giustizia amministrativa che si applicava solo alle persone definite
indigene), l’obbligo di utilizzare il franco francese nelle transazioni
commerciali sotto pena di punizione.xiv
La
moneta Africana pre-coloniale aveva lo stesso ruolo di moneta di
scambio, o aveva un ruolo più sofisticato, come ad esempio gestire i
collegamenti sociali o aiutare alla riconfigurazione delle relazioni
sociali, come alcuni antropologi oggi sottolineano? La questione
centrale per la reinvenzione e la liberazione delle economie africane
passa anche attraverso risposte a queste domande d’identità storica.
A
differenza degli altri imperi coloniali – il Regno Unito e la sua area
sterlina o il Portogallo e la sua zona di escudo, le cui rispettive
valute sono gradualmente scomparse con l’indipendenza, e anche nella
gran parte delle ex colonie francesi, dove con l’avvento
dell’indipendenza abbandonarono il franco francese, il franco CFA è
un’estensione della stessa autorità monetaria che governavano ai tempi
del impero.
I quattro handicap
L’economista Ndongo Samba Sylla e la giornalista Fanny Pigeaud in un recente libro, L’arme invisible de la Francafrique, une histoire du franc CFA,
elencano quattro handicap maggiori che caratterizzano il franco CFA: un
regime di cambio troppo rigido; un ancoraggio problematico all’Euro, un
debole finanziamento dell’economia locale; e una libertà totale di
trasferimento di capitali che genera colossali perdite finanziarie.”xv
Un
regime di cambio troppo rigido: secondo l’economista Stiglitz per i
paesi che hanno subito la recente crisi economica in Europa,
dall’Irlanda, alla Spagna, al Portogallo e la Grecia, il problema
fondamentale dell’euro è che “ha tolto il meccanismo di aggiustamento del tasso di cambio e non ha messo altro al suo posto.”xvi
Questo deficit vale ancor più per l’area CFA che è incline a shock
economici esogeni dovuti alla mancanza di diversificazione economica (e
dunque alla troppa dipendenza dalla variazione del prezzo di uno o due
risorse primarie) alla estesa produzione agricola afflitta da fenomeni
climatici e le guerre ricorrenti.
In un’analisi del 2017, Pegged currencies, catalyzer or hindrance to economic development in poor nations: The West African example of the CFA Franc, Franck Ouattara e George M. Lady della Temple Universityxvii hanno studiato l’impatto della valuta a cambio fisso dell’area UEMOA per un arco di tempo lungo, dal 1990 al 2006. Concludono: “Tuttavia
abbiamo scoperto che il più grande beneficiario di questa relazione
commerciale era l’Unione europea, in quanto l’UEMOA presentava saldi negativi e in declino.”
Essi hanno anche costatato che l’area del franco CFA subiva l’andamento
dell’Euro: l’apprezzamento del franco CFA nei confronti del dollaro USA
(conseguenza della parità fissa della CFA con l’euro) aumentava
automaticamente il disavanzo commerciale. I due studiosi hanno
raccomandato una nuova valuta che sostenga meglio le necessità di
crescita e sviluppo dell’area.
Secondo dati della Banca Centrale Europea l’Euro si è apprezzato nei confronti del dollaro del 90% dall’ottobre 2000 a metà Luglio 2008, le
filiere produttive Africane di materie prime dell’area CFA, come il
cotone, quotate in dollari, subirono dunque indirettamente una forte
perdita di competitività sul mercato internazionale.
Il
direttore per gli affari economici e finanziari della Commissione
Europea, Martin Hallet, in un rapporto del 2008, considerando come
riferimento la letteratura sulle OCA, optimum currency area (OCA)
(area monetaria ottimale, AMO), scrive che per i paesi della zona franc
CFA non conviene creare un’area di un’unione monetaria a cambi fissi: “data la loro bassa diversificazione produttiva, la bassa mobilità della manodopera e un debole settore finanziario.”xviii
“L’Africa
occidentale e l’Africa centrale hanno cicli economici disgiunti:
l’Africa occidentale è attualmente al 6% di crescita, l’area CEMAC è
cresciuta dello 0%. Non capiamo perché c’è lo stesso tasso di cambio tra
i 2 CFA e l’Euro, vuol dire che questo scambio fisso non è una scelta
economica, perché se fosse economica avremmo già svalutato il franco CFA
dell’Africa centrale”, svela Kako Nubukpo.
Uno
dei benefici di un’unione monetaria verte sullo scambio interregionale:
per la zona CEMAC il commercio interregionale è al 4% e nella zona
UEMOA al 15%. Per fare un confronto in Europa lo scambio interregionale
equivale al 60%. La non intercambiabilità dei rispettivi CFA dal 1993
rende l’integrazione monetaria nell’area ancora più problematica.
Sin
dalla sua creazione nel 1945 il franco CFA fu sopravalutato rispetto al
franco francese dell’epoca per recuperare un mercato nelle ex-colonie
perso durante la seconda guerra mondiale.
Una
valuta forte facilita le importazioni di beni e servizi (al posto di
incoraggiarne la produzione locale) e inoltre, per un’area che esporta
principalmente materie prime non trasformate, l’ancoraggio ad una moneta
forte penalizza le esportazioni rendendole poco competitive sul mercato
mondiale.
Uno studio della Deutsche Bank del 2014 citato da Sylla et Pigeaud in L’arme invisible de la francafrique
svela che le esportazioni dei paesi europei soffrono la conseguenza di
un euro troppo forte: per la Francia lo studio stabilisce che il cambio a
1,24 dollari per un euro era la soglia sopra la quale problemi
economici dovuti alla mancata competitività sarebbero nati. Per l’Italia
tale soglia fu stabilita a 1,17 dollari per un euro e per la Germania a
1,79 dollari per un euro.xix Questo
genere di analisi dovrebbe essere allargata a includere l’area CFA per
captare meglio i costi e benefici per i paesi Africani nel rimanere
nell’unione.
Una gestione dell’area economica CFA ancorata ai cicli economici dell’area Euroxxche
punta sulla stabilità dei prezzi e una bassa inflazione, ma non tiene
conto degli obiettivi di crescita, è ulteriormente penalizzata dalla
repressione monetaria che l’austerità impone. Nonostante l’inflazione
bassa, i tassi di prestito nell’area sono altissimi, raggiungendo il 12 o
15%. Il rapporto credito / PIL è solo del 25% per i paesi UEMOA e del
13% per i paesi nella zona CEMAC; la media per i paesi dell’Africa
sub-sahariana del credito / PIL è il 60%, mentre per l’Africa del Sud è
al 100% , per gli USA al 300%.
Il
franco CFA è anche strutturalmente costruito per facilitare la
fuoruscita di capitale, legalmente via l’uno dei suoi principi, la
libertà totale di trasferimento dei capitali: per esempio la Guinea
Equatoriale ha una fuoruscita ogni anno di capitale equivalente al 47%
del proprio PIL, scrivono Ndongo Sylla et Pigeaud in L’arme invisible de
la francafrique.
“La narrativa storica non salva i nomi, ma dà a noi i nomi che ci salvano” scrive Françoise Proust.xxi Riattualizzare
le tracce storiche che ci hanno lasciato nomi quali Samir Amin, che già
parlava di “sviluppo senza crescita” nel lontano 1967 per l’Africa
subsahariana, aiuta a posizionare le analisi attuali. Molte
figure storiche sono state marginalizzate o addirittura uccise solo
perché volevano uscire dal franco CFA: tra i presidenti del periodo
dell’indipendenza Sylvanus Olympio, Presidente del Togo, che ha creato
all’indipendenza una valuta togolese fu assassinato nel 1963; la Guinea
di Sekou Touré- che nelle sue parole ha preferito “la povertà nella
libertà, alla ricchezza in schiavitù” si trovò ad affrontare
l’operazione prezzemolo lanciata dai francesi in segreto per far
fallire la nuova moneta locale; Modibo Keita del Mali, che proponeva
delle riforme del assetto CFA, venne isolato e osteggiato. Negli anni 70
del secolo corso vi furono altre richieste di riforme fatte tacere.
L’uccisione di Thomas Sankara nel 1987 stroncò di nuovo tentate rotture
sane col neo-colonialismo.
Laurent Gbagbo, ultima vittima della françafrique via il colpo di stato franco-onusiano del 2011,xxii oggi
assolto da tutte le accuse di crimini contro l’umanità dopo otto anni
di prigione alla Corte Penale Internazionale, scrisse nel lontano 1978
sulla non indipendenza raggiunta in Africa nel secondo dopoguerra. In Réflexions sur la Conférence de Brazzavillexxiii spinto
dal desiderio di demistificare i falsi miti storici sull’Africa, e
mostrando i documenti degli archivi storici, svela il crasso
colonialismo in vigore all’epoca. Il caso Gbagbo è un cas d’école,
un caso da manuale, dello spropositato neocolonialismo del XXI secolo.
Ancora oggi Laurent Gbagbo è mantenuto, alcuni scrivono ostaggio del
neocolonialismo, in Belgio in condizioni da detenuto, senza suscitare
proteste dalla classe politica Europea, mentre sul continente cresce il
suo esempio di resistente.
“L’ultimo
rapporto della Banca di Francia sulla zona del franco CFA parla di un
tasso di inflazione di 0,6%, è la deflazione. L’obiettivo ritenuto dalle
rispettive due banche centrali è il 2-3% di inflazione. La deflazione
significa che le persone sono molto povere, che non consumano, i prezzi
crollano, la disoccupazione aumenta … l’indice di sviluppo umano lo
mostra, non la stabilità dei prezzi,” dice Kako Nabukpo su RFI.xxiv
Solo per
le proposte di riformare le regole dell’area CFA Nubukpo ha perso il
lavoro sia come Ministro della Pianificazione in Togo che alla
Organizzazione internazionale della Francofonia. Di recente è stato
minacciato dalla filiale locale della Banca centrale dell’Africa
occidentale (BECEAO) contro la quale si è sentito costretto a prendere
disposizioni legali. Ma Nubukpo conferma che continuerà la lotta per una
sovranità totale dell’Africa che i padri fondatori dell’indipendenza
Africana accarezzavano.
Il grido
dei giovani Africani che manifestano nelle capitali subsahariane
dell’area CFA e le raccomandazioni dei numerosi esperti per un’uscita
urgente da questo retaggio coloniale non è accolto sulla sponda sorda
Europea. Di fronte a tale ipocrisia, anche giornalistica, il coraggio di
cui parla Di Maio è salutare e più efficace per accogliere i crescenti
processi di democratizzazione sul continente.
L’AUTORE
Nicoletta Fagiolo – Dopo
aver conseguito una laurea in Storia Contemporanea presso l’Università
“La Sapienza” di Roma e un Master di Storia delle Relazioni
Internazionali presso la London School of Economics e Scienze Politiche,
la regista italiana Nicoletta Fagiolo ha lavorato per l’Ufficio di
Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) fino al 2003. Nel 2004 ha girato
il suo primo film sull’impatto del microcredito in Bangladesh,
intitolato Fighting Financial Apartheid. Nel 2009 ha scritto e diretto il film di 52 minuti Resistants of the 9th Art,
un documentario sui vignettisti editoriale africani e la libertà di
espressione. Fagiolo lavora per canali televisivi nazionali e
internazionali scrivendo e producendo reportage e documentari.
i – Intervista ad Alessandro Di Battista – Che tempo che fa 20/01/2019 https://www.youtube.com/watch?v=X14lSpRSMMM Alessandro
DiBattista fu l’unico che in mesi di discussioni cacofoniche e
autistiche sull’immigrazione e la polemica del CFA, ha dato voce ad un
rappresentante Africano: Otto Bitjoka, presidente dell’Unione comunità
africane d’Italia, che ci svela cinque colpi di stato eseguiti dalla
Francia anche per assicurare la permanenza del franco CFA sul
continente, ultimo quello del 2011 contro uno dei massimi leader
democratici, il Presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo,
intervista ripresa dal Fatto Quotidino Ruggero Tantulli , Franco Cfa, “Per Macron si può uscire? Chi ci prova viene fatto fuori. Ora si pubblichino accordi di decolonizzazione” 8 Febbraio 2019 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/08/franco-cfa-per-macron-si-puo-uscire-chi-ci-prova-viene-fatto-fuori-ora-si-pubblichino-accordi-di-decolonizzazione/4932907/
ii – Nicoletta Fagiolo, Africa’s Colonial Vestige, the CFA franc, Discover Society, October 04, 2017. https://discoversociety.org/2017/10/04/viewpoint-africas-colonial-vestige-the-cfa-franc/ e http://www.rfi.fr/afrique/20190327-le-panafricaniste-francais-kemi-seba-expulse-cote-ivoire-vers-le-benin
iii – Le Comore hanno un accordo di cooperazione monetaria con la Francia simile alla zona franco CFA, ma non vi appartiene.
iv – Joseph E. Stiglitz in The euro and its Threat to the Future of Europe, Penguin, 2017. Preface p 33
v – L’indice di sviluppo umano (ISU), in inglese: HDI-Human Development Index, usa tre criteri: PIL pro capite, l’aspettativa di vita alla nascita e livello di istruzione per misurare la qualità della vita.
vi – Luigi DiMaio in Bisogna decolonizzare l’Africa’ ‘Se ne occupi anche l’Ue. Abbiamo acceso il faro su una verità’ ANSA, 21 gennaio 2019.
vii – Sul Sole 24 ore Sorrentino in “La moneta CFA non penalizza lo sviluppo economico Africano” si
limita a citare un unico indicatore per misurare il benessere dell’area
CFA: la crescita. L’autore comunque fra partentesi scrive, cito: “ ( a
rigore, però, i tassi di crescita andrebbero valutati e confrontati
anche in relazione al livello di sviluppo economico)”. Curiosa l’uso
della parentesi.
viii – Marital Ze Belinga, Sortir l’Afrique de la servitude monétaire, La dispute, Paris, 2016. p 195
ix – Massimo Amato qui https://financecue.it/franco-cfa-lanalisi-del-professor-amato/13322/
x – Bruno Charbonneau, France and the New Imperialism: Security Policy in Sub-Saharan Africa, Routledge, 2008.
xi – Franc CFA: Kako Nubukpo répond au président Ouattara, Eco d’ici eco d’ailleurs par Jean-Pierre Boris, RFI, 2 marzo 2019. http://www.rfi.fr/emission/20190302-afrique-nubukpo-kako-economiste-franc-cfa-ouattara-president-ivoirien
xii – Harcourt Fuller, From Cowries to Coins: Money and Colonialism in the Gold Coast and British West Africa in the Early 20th Century, Georgia State University, 2009.
xiii – Iroko, A. Félix cit in Mahir Saul, Money in Colonial Transition: Cowries and Francs in West Africa, American Anthropologist, 106(1):71–84 2004
xiv – Fanny Pigeaud e Ndongo Samba Sylla, L’arme invisible de la francafrique, une histoire du fanc CFA, La Découverte, 2018. p 15-16
xv – Fanny Pigeaud e Ndongo Samba Sylla, op. cit. p 161
xvi – J. Stigliz, op cit.
xvii – Franck Ouattara e George M. Lady, Pegged currencies, catalyzer or hindrance to economic development in poor nations: The West African example of the CFA Franc, Temple University, 2017.
xviii – Martin Hallet, The role of the euro in Sub-Sarahan Africa and in the CFA franc zone, European Commission, Economic Papers EMU research, November 2008.
xix – Fanny Pigeaud e Ndongo Sylla, op. cit, p. 173
xx – I
vincoli fiscali imposti come parte del criterio di convergenza in seno
all’Unione Europe – i limiti sui deficit e il debito relativi al PIL –
sono simili a quelli in uso nell’area CFA nonostante le economie
divergenti.
xxi – Françoise Proust, L’histoire à contretemps, Paris, Hachette, 1994. p 169
xxii – Nicoletta Fagiolo, Il caso Laurent Gbagbo e il diritto alla differenza, RESET, 16 gennaio 2013. https://www.reset.it/reset-doc/il-caso-laurent-gbagbo-e-il-diritto-alla-differenza e un sito di video testimonianze e articoli sulla crisi Ivoriana https://www.free-simone-and-laurent-gbagbo.com
xxiii – Laurent Gbagbo, Réflections sur la conférence de Brazzaville, Editions Clé , Yaoundé, 1978.
xxiv – Intervista a Kako Nubukpo , RFI, 2 marzo 2019 citata in alto.
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