venerdì 6 gennaio 2012

Piscicelli fa tremare Palazzo Chigi


GIUSTIZIA & IMPUNITÀ di Marco Lillo | 6 gennaio 2012
“Adesso mi incazzo e racconto tutto”


Piscicelli fa tremare Palazzo Chigi
Intervista esclusiva de Il Fatto Quotidiano al costruttore che rideva dopo il terremoto in Abruzzo e che ora ha deciso di collaborare con la magistratura che indaga sulla cosiddetta cricca. Dice. "Ho pagato un milione". Tra i vari beneficiari anche l'attuale sottosegretario Carlo Malinconico
Francesco de Vito Piscicelli riassume così al Fatto la molla che lo ha spinto a collaborare con la Procura di Roma: “Quelli che andavano in vacanza gratis o che ho pagato sono tutti ai loro posti al ministero e alla presidenza del Consiglio. Io che lavoravo e pagavo per non avere rotture, sono trattato come se fossi il mostro. Mi braccano le troupe di Mediaset perché atterro sulla spiaggia per il vento? Ora mi incazzo e racconto tutto”.

I pm romani hanno fatto il punto con i Carabinieri del Ros. Piscicelli sarà risentito. Gli indagati sono cinque e tra questi ci sono il commissario dei mondiali di nuoto Claudio Rinaldi e il magistrato contabile Antonello Colosimo. Gli altri tre sono funzionari che hanno avuto un ruolo nel controllare i cantieri dei mondiali del nuoto. Piscicelli ha accetatto di parlare con il Fatto e finalmente fa nomi e cifre: “Ho pagato un milione di euro in contanti complessivamente ai funzionari più tanti favori e incarichi di lavoro. Mi hanno spennato come un pollo, capito? Altro che mostro. E ora mi minacciano anche”.

Piscicelli chi la minaccia?

Ho appena finito una lunga seduta per una denuncia con i carabinieri della caserma di Orbetello. Stamattina (ieri Ndr) sono uscito dal cancello della mia villa all’Argentario e ho trovato ad aspettarmi tre persone, tutte con la pistola che si vedeva sotto il maglione. Mi hanno minacciato pesantemente. È la seconda volta che succede. La prima volta era stato a piazza di Spagna, all’uscita da un ristorante. Ero da solo e anche allora ho denunciato tutto ai magistrati. Quel giorno mi hanno detto: ’stia attento a quello che fa’. Non sembravano delinquenti comuni ma persone di un certo livello. Non vogliono che parli con i pm.

Piscicelli perché all’improvviso ha deciso di colaborare?

A luglio mi sono presentato spontaneamente ai pm perché non sopportavo più questa situazione. Mi trattano come se fossi colpevole di chissà cosa. Solo per una telefonata maledetta nella quale mio cognato dice quella battuta da c…, sui terremotati scusi il termine e io non lo contraddico perché ero stanco nella notte. Ma io non ho mai lavorato a L’Aquila.

A dire il vero gli investigatori sostengono che era proprio lei a parlare. Comunque la sua immagine è rimasta inchiodata a quella telefonata. Ad altri è andata meglio. Carlo Malinconico, che ha fatto le vacanze a spese sue, è sottosegretario

Io non ho nulla contro Malinconico. Non ho mai lavorato con lui ma l’ho conosciuto e lo considero una bella persona. Ma le pare possibile che a mi fanno fuori da tutto, mi mettono in carcere e mi trattano come un mostro mentre lui invece è diventato sottosegretario alla presidenza del consiglio? A me sospendono la licenza di volo solo perché mi chiamo Piscicelli e non certo per l’atterraggio sulla spiaggia in pieno inverno con il vento forte, mentre a lui nessuno dice nulla. Ma si è accorto che ieri non c’era traccia in nessun articolo del nome di Malinconico mentre io, pure se collaboro con la Procura, sono sempre il mostro? Non sarà che c’entra il fatto che lui era presidente della federazione degli editori dei giornali e ora è alla Presidenza del consiglio?

Allora ce la racconti finalmente questa storia delle vacanze di Malinconico a Porto Ercole

Dunque un giorno mi chiama Angelo Balducci e mi invita a prendere un aperitivo nel centro di Roma. Io vado e lui mi dice: “Francesco mi devi prenotare due vacanze. La prima a Capri per due amici francesi, che però pagano loro e non ti devi preoccupare di altro che di prenotare. La seconda, invece all’hotel Pellicano di Porto Ercole, l’ospite è Carlo Malinconico, però in questo caso ti prego di anticipare tu la somma”.

Piscicelli ma lei è un ingegnere o un agente di viaggio? E poi che vuol dire anticipa tu?

Angelo Balducci era potentissimo allora. Sapeva che conoscevo bene Roberto Sciò, il padrone dell’hotel Pellicano e non potevo dire di no. Gli feci solo presente che una camera al Pellicano costa 1500 euro a notte. Così anticipai i soldi e ancora oggi aspetto che Balducci me li restituisca.

I Carabinieri del Ros di Firenze hanno accertato che lei ha pagato 9 mila e 800 euro, come da fattura alla sua società. Ma sostengono che lei avrebbe pagato ancora altre volte. Insomma quell’aperitivo con Balducci quanto le è costato? 

Sì è vero, un’altra volta Diego Anemone mi chiese di prenotare di nuovo pagando ma non mi sono fatto fregare e ho chiesto a Diego di anticiparmi i soldi. Ho pagato in contanti sì ma con i soldi suoi.

Ha chiesto i soldi indietro a Malinconico o a Balducci?

Ma scherza? Malinconico non mi aveva chiesto nulla. Quanto a Balducci, non è elegante fare una cosa del genere. In certi ambienti non si usa. Certamente speravo che Balducci me li restituisse ma non avrei mai osato chiederli. Mi costituirò parte civile nel processo e me li ridarà.

A chi ha dato i soldi?

Questo lo deve chiedere ai magistrati. Io noto che i funzionari che lavoravano con me sono ancora tutti lì. Per esempio Paolo Zini che dirigeva i lavori o il commissario Claudio Rinaldi. Un magistrato mi ha chiesto di mettergli a disposizione il mio autista per un anno. Il coordinatore per la sicurezza, Pierpaolo Gandola, voleva uno stipendio in nero di 2 mila e 500 euro al mese. Ma l ’ho pagato un mese solo e poi ho detto basta. Poi ho dato un incarico di progettazione spendendo 700 mila euro a un team all’interno del quale c’era il figlio della dottoressa Natalia Muzzatti, Fabio Frasca, perché era una funzionaria importante del ministero e mi chiese Angelo Balducci, tramite l’ingegnere Bentivoglio di aiutare il figlio.

Dichiarazioni tutte da verificare. Il magistrato contabile Antonello Colosimo che però ieri ha dichiarato “sono completamente estraneo”. Mentre Fabio Frasca replica: “Facevo parte di un team con altri due progettisti e mi occupavo della parte strutturale per tutte le gare a cui ha partecipato Piscicelli per i mondiali di nuoto, il compenso stabilito era di 80 mila euro”.

da Il Fatto Quotidiano del 6 gennaio 201

2

Viaggio in Argentina: la ripresa è possibile


Viaggio in Argentina: la ripresa è possibile invertendo rotta
di Andrea Degl'Innocenti - 05/01/2012

Fonte: il cambiamento 


Argentina

Argentina: la ripresa economica è passata per la riappropriazione dello stato sociale e della sovranità monetaria
Riuscirà la cura Monti a risollevare la malridotta economia italiana? Ci salveremo dalla peggior crisi economica mai piombataci addosso oppure siamo solo agli inizi? E l'Europa ne uscirà più unita o più frammentata? L'euro reggerà il colpo? E le banche? E i cittadini? Migliaia di domande come queste affollano le menti degli italiani, le loro conversazioni a tavola e nei bar, i blog, i forum.
Una convinzione piuttosto diffusa è che la crisi economica sia qualcosa di incontrollabile, un processo che una volta iniziato, alla stregua di una fusione nucleare, è impossibile da fermare. Altra convinzione che si sente più volte ripetere, come un mantra, è che le misure della exit-strategy proposta da Monti sono “le uniche possibili”, che il rigore e l'austerità sono inevitabili. Queste convinzioni finiscono per legittimare le posizioni dei poteri dominanti e per farci abbandonare ogni battaglia in virtù di un bene e di una coesione nazionale superiori.
Idee del genere sono del tutto infondate. La crisi e le sue evoluzioni sono il risultato di precise politiche economiche decise a livello mondiale ed europeo. Basta dare uno sguardo ad altri paesi, seguire altri esempi, per accorgersi che politiche diverse conducono a risultati opposti; che è possibile uscire dalla crisi senza passare per misure economiche restrittive.
Diamo uno sguardo a quanto accaduto in Argentina. Dieci anni fa il paese era travolto e portato al fallimento da uno tsunami economico. Le cause della crisi affondavano le radici negli anni Novanta, quando per combattere un'inflazione galoppante, che aveva raggiunto la percentuale record del 5mila per cento nel 1989 (con tassi mensili del 200 per cento), il nuovo governo guidato da Carlos Menem decise di ancorare la valuta nazionale al dollaro.
Il cambio venne fissato dall'allora ministro dell'economia Domingo Cavallo nel rapporto di 1 ad 1: ogni dollaro Usa veniva scambiato per peso argentino; la banca centrale argentina era costretta a tenere nelle proprie casse riserve in dollari pari al valore della quantità di moneta in circolazione.
Il sistema riuscì in effetti nell'intento che si era preposto: l'inflazione della moneta si arrestò in fretta. Ma al tempo stesso il nuovo cambio fisso rendeva improvvisamente convenienti le importazioni, al punto che la produzione subì una brusca frenata; il paese andò incontro ad una vera e propria deindustrializzazione.
Nel frattempo il debito pubblico continuava ad aumentare. Un debito che, a detta del giornalista Denis Robert, autore del saggio Revelation$ (2001), era finanziato in modo illegale da alcuni grossi gruppi – fra cui Citibank – attraverso dei fondi nascosti. Questo sistema aveva fatto crescere il volume dell'economia sommersa argentina e alimentava la pratica dell'evasione fiscale e della fuga dei capitali all'estero.
Per pagare il debito il Fondo Monetario Internazionale – da sempre complice, per molti persino mandante nascosto, dei governi argentini fin dagli anni cinquanta – concedeva volentieri nuovi prestiti e dilazioni nei pagamenti dei vecchi, ma gli interessi erano sempre più elevati. E cosa faceva il governo per farvi fronte? Faceva quello che i dettami liberisti prevedono in questi casi: privatizzava.
Privatizzava, vendeva, svendeva, e con il flusso di denaro dall'estero ripagava prestiti e debito. Finché non ci fu più niente da vendere. E fu allora che, con la produzione e la crescita ferme, scoppiò la crisi più nera.
Nel 1999 il Pil diminuì del 4 per cento e il paese entrò in recessione. Gli investitori persero in fretta la propria fiducia e la fuga di capitali all'estero aumentò. Nel 2001, con la disoccupazione alle stelle, un debito enorme e l'economia in recessione iniziò una folle corsa agli sportelli: i cittadini presi dal panico iniziarono uno dopo l'altro a ritirare i propri risparmi per convertirli in altre valute.
Per arginare il fenomeno il governo decise di applicare una serie di misure, note come corralito che congelavano i conti bancari degli argentini e rendevano possibili solo piccoli prelievi. Questo ebbe come effetto principale di esasperare ancora di più i cittadini, che scesero in piazza per protesta.
Le manifestazioni che nascevano spontanee presero il nome di cacerolazos, dal rumore che i manifestanti ottenevano percuotendo pentole, tegami, padelle e casseruole con mestoli e cucchiai. Si trattava, almeno inizialmente, di proteste pacifiche, che però in molti casi sfociavano in atti dimostrativi anche violenti contro banche e multinazionali.
La polizia reagiva spesso con violenza. L'escalation culminò sul finire del 2001, quando il presidente Fernando de la Rúa dichiarò lo stato d'emergenza. Il 20 ed il 21 dicembre in Palza de Mayo – la piazza principale di Buenos Aires – gli scontri furono violentissimi. La polizia sparò sulla folla uccidendo circa quaranta persone. De la Rúa fu costretto a fuggire in elicottero per evitare il linciaggio.
Fu proprio allora, col paese scosso ed il presidente in fuga, che si iniziarono a porre le basi per una nuova Argentina. Partendo dalla prima decisione inevitabile: il default. Il nuovo governo ad interim dichiarò l'insolvenza su circa l'80 per cento del debito sovrano argentino, per un totale di 132 miliardi di dollari.
Subito dopo fu abolita anche la convertibilità a cambio fisso con il dollaro: il peso andò in contro ad una forte svalutazione. Inizialmente gli effetti furono devastanti: la percentuale dei cittadini al di sotto della soglia di povertà salì fino a sfiorare, nell'ottobre 2002, la quota del 60 per cento; circa il 30 per cento della popolazione era classificata in stato di povertà estrema, ovvero incapace di procurarsi il cibo.
I senzatetto divennero migliaia; in molti si dettero all'attività di cartoneros, ovvero raccoglitori di cartone, che cercavano frugando per strade e vicoli e poi rivendevano agli impianti di riciclaggio. Fu un passaggio doloroso ma inevitabile, ma è da lì che l'Argentina trovò la forza e prese la spinta per ripartire.
Alla guida del paese fu eletto Néstor Kirchner, un ex membro della gioventù peonista repressa nel sangue dalla dittatura militare del '76. Durante il suo governo, e quello successivo della moglie Cristina Fernández, l'Argentina mise in atto politiche economiche di stampo nettamente diverse da quelle degli ultimi cinquant'anni che, sotto l'egira dei poteri forti della finanza globale – l'Fmi su tutti -, avevano contribuito a smantellare lo stato sociale e generato la crisi.
Il peso debole favoriva una ripresa delle esportazioni e il governo non esitava a stampare moneta per finanziare la ripresa economica e riattivare i circuiti di previdenza sociale e distrutti da anni di neoliberismo. Molte funzioni e servizi furono ripubblicizzati, dall'acqua, all'elettricità, all'istruzione.
Inoltre l'alleanza con il Brasile di Lula assumeva un'importanza strategica fondamentale nell'opposizione agli Stati Uniti che guardavano all'America Latina come ad un terreno fertile per gli investimenti delle proprie multinazionali. Ftaa, acronimo di Free trade areas of America, si chiamava il progetto. Alca in spagnolo. Era finanziato dal governo Bush e mirava ad abbattere ogni barriera fra stati delle americhe, con l'evidente scopo di favorire i commerci Usa e fare dell'America latina una fabbrica a basso costo. Nel 2005, a Mar del Plata, l'alleanza Kirchner-Lula risultò fondamentale nel contrastare i progetti imperialisti statunitensi ed opporsi fermamente al progetto, facendolo di fatto morire sul nascere.
Nel 2006, un anno più tardi, con il paese che dal 2004 era tornato a crescere a tassi record del 7-10 per cento annui, l'Argentina finì di onorare il proprio prestito con l'Fmi e decise di non contrarne di nuovi.
Oggi l'Argentina è un paese sovrano, che cresce con tassi fra i più elevati al mondo e lo fa aumentando le garanzie sociali, i servizi statali, i diritti dei propri cittadini. Sono riconosciuti i matrimoni omosessuali, la libertà d'informazione è garantita attraverso apposite leggi che impediscono i monopoli, il rispetto dei diritti umani è ritenuto uno dei principi fondamentali della repubblica. Nell'ottobre 2011 Cristina Fernández è stata rieletta alla guida del paese con il 54 per cento dei voti.
Esiste il modo di uscire dalla crisi senza passare per l'austerità, per la stabilità, ma piuttosto attraverso uno stato forte, che stampa moneta per finanziare servizi e ripresa economica. Certo, non in questa Europa, in cui l'emissione di denaro è affidata ad un manipolo di banchieri, a cui interessano i tassi di cambio dell'euro con il dollaro, l'inflazione, non certo il benessere degli euro-cittadini. Non in un'Europa, insomma, basata su un'unione esclusivamente finanziaria, senza uno straccio di politiche sociali condivise.
Leggi anche

Eutanasia della Grecia: 3 milioni di miserabili


Grecia: 3 milioni di poveri. In arrivo altri tagli ai salari
di Marco Santopadre - 05/01/2012

Fonte: contropiano 


poveri grecia_20120104
Di oggi la notizia che oltre tre milioni di greci (cioè il 27.7% su una popolazione totale di 11 milioni, ovvero più di un abitante su quattro) nel 2009 vivevano al di sotto della soglia di povertà o in condizioni di esclusione sociale.
Un dato allarmante se si calcola che negli ultimi due anni la crisi si è ulteriormente aggravata e che al fallimento di migliaia di aziende si sono aggiunti i licenziamenti nel settore pubblico decisi dai governi Papandreou e Papademos e gli aumenti delle tasse e delle tariffe. Provvedimenti mirati a ripianare un debito galoppante ma che hanno gettato sul lastrico altre decine o centinaia di migliaia di greci.
I dati riferiti al 2009 sono stati pubblicati oggi dal quotidiano Kathimerini citando i risultati di uno studio condotto dall'Istituto statistico ellenico Elstat. Per soglia di povertà si considera il reddito minimo che una famiglia di quattro persone deve guadagnare mensilmente per pagare affitto e generi di prima necessità come alimenti, trasporti, vestiario e istruzione.
Nello stesso periodo, inoltre, in base alla ricerca, un quarto (25.5%) di coloro che pure erano al di sopra della soglia di povertà vivevano comunque in abitazioni non adeguate alle loro necessità, mentre il 27.8% avevano difficiltà ad arrivare alla fine del mese con i loro redditi. Il numero delle persone residenti in famiglie senza lavoratori a tempo pieno è passato da 488.200 nel 2008 a 544,800 nel 2009 mentre il 50% di coloro che vivevano al di sotto della soglia di povertà avevano un reddito annuale di poco più di 5,498 euro. Quest'anno il governo di Atene ha introdotto la tassazione anche per i redditi inferiori ai 5000 euro, prima esentati.
Intanto i farmacisti greci sono stati chiamati a sospendere lo sciopero-serrata iniziato due giorni fa dopo che il ministro della Sanità Giorgos Koutroumanisha dato rassicurazioni che il debito di 400 milioni di euro che lo Stato ha verso le farmacie sarà estinto entro la fine del mese di marzo.
Il Consiglio Direttivo dell'Ordine dei Farmacisti ellenico, dopo un incontro avuto con il ministro, ha infatti invitato i propri iscritti a sospendere la protesta, almeno quella legata al mancato pagamento da parte dello Stato del debito verso le farmacie, lasciando mano libera agli Ordini regionali, di decidere in base ai problemi locali con gli altri Enti previdenziali. Prosegue, invece, in tutto il Paese per il terzo giorno consecutivo lo sciopero di tre giorni proclamato dai medici dell'Istituto dell'Assistenza Sociale, (Ika, l'Inps greco) e dei medici liberi professionisti e l'astensione dal lavoro dei medici dei centri sanitari pubblici.
I medici liberi professionisti chiedono la sospensione temporanea dell'attività dell'Ente per il Servizio Sanitario Nazionale e l'immediato pagamento da parte dell'Ente stesso dei 350 milioni di euro dovuti ai medici convenzionati, mentre gli ospedalieri - che stanno garantendo oggi solo i servizi in caso di reale emergenza - chiedono che il loro stipendio non venga ulteriormente ridotto in quanto è già stato tagliato del 35% nei mesi scorsi.
Proprio oggi il primo ministro greco Lucas Papademos sta incontrando i rappresentanti dell'Associazione degli Industriali di Grecia (Seb), della Confederazione Nazionale del Commercio Greco (Esse) e quelli della Confederazione Generale dei Lavoratori di Grecia (Gsee, il sindacato che raggruppa i lavoratori del settore privato). I colloqui mirano a ottenere dalle parti sociali un «congelamento» degli aumenti degli stipendi già fissato nell'accordo collettivo di lavoro per il 2012. Un risultato che Papademos vorrebbe ottenere prima del 15 gennaio, data della visita nel paese dei rappresentanti della famigerata troika (Fmi, Ue e Bce). 
Ma oltre ai congelamenti salariali, tra le questioni in ballo ci sono anche lariduzione dei sussidi pensionistici, la riduzione dello stipendio minimo garantito (il salario base) previsto dall'Accordo Collettivo del Lavoro, la riduzione degli stipendi dei lavoratori di alcuni settori (ad esempio quello bancario) e della tredicesima e della quattordicesima mensilità per tutti i lavoratori pubblici.
Naturalmente i rappresentanti dei lavoratori si oppongono a queste misure, visto che i lavoratori già tartassati non potrebbero sopportare una ulteriore decurtazione delle retribuzioni. Già oggi lo stipendio minimo garantito è fissato a soli 600 euro e nel caso dei giovani al di sotto dei 25 anni può essere ancora più basso (sino al 20%) a causa della nuova legge approvata per incentivarne l'assunzione.