21 agosto 2013
http://goofynomics.blogspot.it/2013/08/la-resistenza-alleuro.html
(visto che dalle fogne del web stanno risbucando fuori quelli che "'a rata der mutuo", i terroristi da quattro soldi al mazzo incapaci non dico di produrre, ma evidentemente nemmeno di accostarsi a leggere un'analisi seria e documentata come quelle di Bootle o di Nordvig - per citare due al cui campo certa gente dice di appartenere, e per non entrare nella sterminata lista degli economisti che avevano ampiamente previsto la catastrofe - sarà il caso di ricordare che la resistenza all'euro non è un problema di braccino corto...)
da Bagnai, A. (2012) "Il tramonto dell'euro", Reggio Emilia: Imprimatur, p. 260
da Bagnai, A. (2012) "Il tramonto dell'euro", Reggio Emilia: Imprimatur, p. 260
La resistenza all’euro
Permettetemi una considerazione personale.
Sono stanco di discutere i vantaggi o gli svantaggi economici della moneta unica. Ho mostrato come altri, da decenni, l’abbiano fatto con maggiore autorevolezza di me, giungendo a conclusioni univoche. Il punto però non è questo. Io vorrei chiedervi: i nostri padri, i nostri nonni, che a un certo punto hanno deciso di andare sulle montagne per fare la Resistenza, e anche quelli che invece sono rimasti a casa, secondo voi, prima di partire o di restare, si sono chiesti se l’anno dopo la benzina sarebbe costata due euro al litro? Si sono chiesti se l’inflazione sarebbe aumentata di uno, due, o dieci punti? Si sono chiesti cosa sarebbe successo alla rata del mutuo?
Non credo. Avranno avuto altre motivazioni, e sono certo che non tutte saranno state nobili, perché l’uomo è fatto così. Ma il conto della serva non penso che lo abbiano fatto in molti: né quelli che sono partiti, né quelli che sono restati.
Preciso il concetto, qualora non fosse chiaro.
Se anche fuori dall’euro ci fosse un baratro economico (ma le cose, come vedremo, stanno in modo diametralmente opposto), se anche l’uscita ci consegnasse, come pretendono certi strampalati disinformatori, alle sette piaghe d’Egitto, sarebbe comunque dovere morale e civile di ogni italiano opporsi al simbolo di un regime che ha fatto della crisi economica un metodo di governo, che ha eletto a propria bandiera la deliberata ed esplicita e rivendicata soppressione del dibattito democratico.
Opporsi all’euro è l’unico segnale che oggi rimanga a un cittadino europeo per dichiarare il proprio dissenso verso il metodo paternalistico con il quale l’élite mette il popolo di fronte al fatto compiuto, affinché il popolo vada dove l’élite vuole condurlo. Così come l’autore del divorzio ammette di essere stato perfettamente consapevole del fatto che questo avrebbe condotto a un’esplosione del debito, gli autori dell’euro ammettono di essere stati perfettamente consapevoli che iniziare l’integrazione europea dalla moneta avrebbe condotto a una crisi. Sfido io! C’erano trent’anni di letteratura accademica a dimostrarlo. Ma, teorizzano questi politici, la crisi era necessaria: bisognava che il debito pubblico esplodesse perché lo Stato imparasse a spendere di meno; bisognava che l’Europa arrivasse all’orlo del conflitto perché gli Stati si decidessero a muovere verso la non meglio specificata “unione politica”.
Solo che in questi argomenti c’è sempre qualcosa che non torna. Dopo il divorzio lo Stato non ha speso di meno, ma di più, e per di più orientando la propria spesa verso i più ricchi.L’unione politica proposta si configura sempre di più come progetto imperialistico: si parla apertamente di creare Zone economiche speciali in Grecia, di mettere sotto tutela tutti i governi periferici…
Se accettiamo questo metodo, non ci sono limiti a quello che ci potrà essere imposto. E l’unico modo per opporci è rifiutare l’euro, il segno più tangibile di questa politica e dei suoi fallimenti.
(ricordiamolo: la democrazia non è un posto per "trader" - de sarsicce - col braccino corto...)