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giovedì 2 marzo 2017

Firenze: il banchiere Verdini condannato a nove anni

Processo Credito Fiorentino, Denis Verdini condannato a nove anni

Processo Credito Fiorentino, Denis Verdini condannato a nove anni
Giustizia & Impunità
 
I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni
Il Tribunale di Firenze ha condannato Denis Verdini a 9 anni per il crac del Credito cooperativo fiorentino. La pena è stata decisa dal collegio presieduto dal giudice Mario Profeta. I pubblici ministeri Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso 12 gennaio, dopo una requisitoria andata avanti per cinque udienze, avevano chiesto per il senatore di Ala, imputato tra l’altro per bancarotta e truffa ai danni dello Stato, la condanna a 11 anni. Condanne a 9 anni ciascuno pure per i costruttori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, mentre per il deputato di Ala, Massimo Parisi la richiesta era stata di 6 anni. Pene fra 5 e 6 anni, invece, per la governance del Ccf di cui Verdini, per 20 anni e fino al luglio 2010, era presidente. Tra questi anche l’allora direttore generale Piero Italo Biagini. Richieste di pena, a vario titolo, fra uno e 4 anni di reclusione per ulteriori imputati con posizioni minori. Verdini, che ha partecipato a diverse udienze, non era in aula. Il collegio era entrato in camera di consiglio venerdì scorso.
L’accusa: “Banca come bancomat”, la difesa: “Fatto non sussiste”
Per l’accusa il parlamentare era il dominus della banca (che usava come “un bancomat”) e di tutte le attività le attività editoriali organizzate per ottenere contributi pubblici e nei confronti degli “amici di affari”. Tutte accuse che i difensori del senatore, gli avvocati Franco Coppi e Ester Molinaro, hanno poi respinto con forza nelle loro arringhe. In particolare, spiegò Coppi, “i pm hanno travisato la sua personalità” definendolo “assetato di potere e di denaro. Una rappresentazione che non corrisponde a quello che Verdini già era in quegli anni, ossia un politico di spicco e un uomo senza problemi di denaro”. Assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste”, era stata chiesta anche dai difensori di Parisi e degli altri imputati, compresi quelli degli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei.
L’indagine, pm: “Finanziamenti senza garanzie”
Denis Verdini era stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato il 15 luglio del 2014. Secondo l’accusa finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la Procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”. A dare il via all’indagine indagine, la relazione dei commissari di Bankitalia che in 1.500 pagine, allegati compresi, avevano riassunto lo stato di salute della banca di Verdini. E le anomalie riscontrate. Altro capitolo quello dei fondi per l’editoria, che secondo la Procura di Firenze, avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione di “Il Giornale della Toscana”.

Gli incappucciati della finanza, fratelli di magistrati ?

#Massoneria: se nelle liste dei fratelli muratori, ci dovessero essere i magistrati affiliati, si possono ricusare ?
Massoneria: prof. Sales, magistrati non dovrebbero aderirvi
"Doppia fedeltà non dà garanzie, nè ispira fiducia"

(ANSA) - ROMA, 2 MAR - "Chi è sottoposto ad una doppia fedeltà non dà fiducia nè garanzie, dovremmo avere rispetto per un solo ordinamento. E' quindi strano che tanti magistrati abbiano aderito alla massoneria e si è dimostrato che l'impunità di molti mafiosi veniva garantita grazie a questi rapporti". Lo ha detto lo studioso Isaia Sales, in audizione in Commissione Antimafia, rispondendo ad una domanda del vicepresidente Claudio Fava. "La segretezza che viene imposta non dà nessuna fiducia, se uomini delle istituzioni hanno un obbligo di segretezza verso una organizzazione, non danno poi fiducia sulla fedeltà all'ordinamento statuale. Io non ritengo che la massoneria sia organizzazione a delinquere, ci mancherebbe, ma se richiede un vincolo di segretezza non vi possono aderire altri che hanno vincolo di fedeltà allo Stato", ha concluso il professor Sales. (ANSA).
VR/ S0A QBXB