lunedì 5 agosto 2013

La rovina dell'Italia non è la spesa pubblica...

La grande menzogna di chi ci governa: la rovina dell'Italia non è la spesa pubblica ma l'interesse sul debito pagato alle banche

di Stefano Di Francesco
05/08/2013
 16:19:04
http://www.ioamolitalia.it/blogs/vivere-senza-l-euro/la-grande-menzogna-di-chi-ci-governa-la-rovina-dell-italia-non-e-la-spesa-pubblica-ma-l-interesse-sul-debito-pagato-alle-banche.html

Abbiamo un debito totale di quasi 4.000 miliardi di euro, distribuito equamente tra settore pubblico e settore privato. Come si è potuti arrivare ad una simile dimensione?  La tabella che segue ci permette di riflettere su alcune  situazioni.

Indubbiamente la cosa più sconcertante è verificare l’entità degli interessi pagati dallo Stato italiano sul proprio stock di debito: più di 3.000 miliardi di euro dal 1980 ad oggi!!!direi che i creditori sono stati ben pagati… forse troppo ben pagati!!
Altra considerazione è da fare sull’entità del saldo primario di bilancio,che nel corso di questi ultimi  anni, ha prodotto un valore positivo di 740 miliardi di euro che però, a causa della spesa per interessi sul debito, ha fatto si che i deficit reali divenissero sempre più considerevoli. Insomma nonostante una serie di politiche improntate ai tagli di spesa e risanamento dei conti pubblici, i risultati ottenuti sono  pari a ZERO!! Nulla!! Il debito non si riduce di una virgola!!!Anzi.
Se infatti consideriamo anche la dinamica del debito privato (famiglia, imprese, banche), oggi abbiamo un livello di debito complessivo di circa 4.000 miliardi, sul quale gravano interessi annuali di circa 160 miliardi di euro ( interessi sul debito pubblico => 2000 x 4% = 80 miliardi)+ (interessi sul debito privato =>2000 x4%=80 miliardi) = 160 miliardi di euro l’anno
Sono praticamente oggi  il 10% del PIL!!
Quanto alla spesa pubblica, erroneamente considerata la principale causa della crescita del debito, credo sia utile osservare il seguente grafico:

Si osserva che il rapporto Spesa Pubblica / PIL è salito vertiginosamente negli anni 70 per poi stabilizzarsi a partire dagli  anni 80 in un range di variazione compreso tra il 46 ed il 53% del PIL. Ma il debito pubblico invece è passato nello stesso arco temporale dal  56,1 al 130% del PIL!!!! Come si può dire dunque che è la spesa pubblica la principale responsabile del debito pubblico? Perché non dicono la verità, ovvero che sono gli interessi passivi sul debito che lo Stato paga ai creditori (principalmente banche, fondi hedge, istituzioni finanziarie,…) la ragione della nostra rovina finanziaria?
 Possiamo dunque affermare che le cause che han determinato la crescita del debito pubblico, sono sostanzialmente  tre:
-  l’abolizione degli accordi di Bretton Woods del 1971,  con cui il Dollaro si sganciò dalla convertibilità in oro e da quel momento ne furono stampati troppi; le valute iniziarono a fluttuare tra loro passando da un sistema a cambi fissi ad uno a cambi flessibili. Questo cambiamento del sistema monetario è quello che ha permesso questa  Globalizzazione basata sul mantenimento di colossali deficit esteri cronici. Ovviamente anche la Lira fu agganciata al Dollaro dal 1949 al 1971, come tutte le altre valute occidentali; i cambi erano fissi rispetto al dollaro che a sua volta era fisso rispetto all'Oro e in questo modo era impossibile avere disavanzi esteri sistematici (come hanno gli USA oggi) e nessuno poteva stampare dollari in eccesso, perchè le riserve di oro erano limitate .
Quando si realizzava un deficit estero,  l'oro usciva dal Paese ed si era  costretti a dare una stretta monetaria alzando i tassi d’interesse, creando una recessione, limitando i consumi, facendo così scendere i salari e i prezzi. In questo modo il valore delle monete rimaneva sempre "allineato" e nessuno era sopravvalutato o sottovalutato. Questo era un meccanismo "duro", automatico, che disciplinava sempre tutti e impediva l'inflazione.
Il seguente grafico mostra come il debito sia cresciuto esponenzialmente da tale data:

– l’abolizione della legge della preferenza comunitaria nel 1973, secondo la  quale, l'80% degli scambi commerciali ( prodotti agricoli e beni di consumo)dovevano avvenire dentro la Comunità Europea, ha segnato il punto di svolta per l’avvio di una progressiva deregolamentazione negli scambi internazionali. Anche per i lavoratori, oltre che per le imprese, fintanto che resse il protezionismo,   vissero in una sorta di paradiso, perchè non soffrivano la concorrenza di centinaia di milioni di turchi, polacchi, cinesi, indiani, egiziani, messicani, giapponesi, coreani, taiwanesi.
Dal 1973 in poi, le cose cambiarono notevolmente come testimoniano anche i numerosi lavori del più grande economista del secolo scorso,il premio Nobel Maurice Allais che ha scritto invano libri su libri e articoli su articoli  per mostrare che dal 1973 in poi  la disoccupazione in Europa è raddoppiata ; fino ad allora era stata sul 5% per 20 anni, ma una volta aperto il mercato europeo ad importazioni a basso costo l'occupazione e i salari europei ovviamente hanno sofferto.
Il seguente grafico mostra l’andamento dell’occupazione in Francia dai primi anni 50 fino agli anni 90 ed evidenzia gli effetti della globalizzazione sulla forza lavoro:
3 – il divorzio tra la Banca d’Italia ed il Governo del 1981, con il quale si impediva alla Banca Centrale di sottoscrivere i titoli del debito pubblico obbligando lo Stato ad indebitarsi verso il mercato a tassi d’interesse maggiori del tasso d’inflazione. Fin dal 1950 lo Stato si finanziava stampando moneta e tenendo dei controlli ai capitali per cui quando si emettevano titoli di stato questi  rendevano meno dell'inflazione  (repressione finanziaria come la definisce il FMI) e non li voleva quasi nessuno. Se la gente però non li comprava, la Banca d'Italia finanziava lei il governo; se si  esagerava si creava inflazione e pressione sul cambio, le riserve di oro diminuivano, si alzavano i tassi, si riduceva il credito disponibile,l'economia rallentava ecc..ed il sistema si stabilizzava di nuovo.
Quando nel 1971, il dollaro si sganciò dall'oro, la Banca d'Italia era ancora nella condizione di poter finanziare lei il governo, questo era libero di stampare moneta senza il vincolo esterno dell'oro. Cosa successe, il cambio andò a picco ? No, si svalutò contro dollaro, ma non molto.
Questo fino al 1981 quando si "tagliò" il legame tra Bankitalia e Governo vietando alla prima di finanziare il secondo e obbligando lo Stato ad andare ad indebitarsi sul mercato vendendo BTP e remunerando gli investitori con tassi ben superiori all’inflazione.. Questo rese il cambio della lira più stabile ? No,esattamente produsse l’effetto contrario come si vede dal grafico seguente.
In altre parole oggi abbiamo invertito tutti e tre gli elementi del sistema monetario che avevano fatto ricca l'Italia durante il miracolo economico. Attualmente ci troviamo dunque in una situazione in cui:
a – la Moneta elettronica e cartacea viene emessa dalle Banche Centrali e dal sistema bancario senza alcuna riserva di valore;( creata dal nulla)
b – tale emissione di Moneta è volta al finanziamento di crescenti deficit sia di bilancio che esteri, come nel caso degli USA favorendo la formazione di debiti colossali;
c – la Globalizzazione selvaggia ed indiscriminata ha travolto sia le imprese che i lavoratori dei paesi occidentali a vantaggio di quelli asiatici e sudamericani.
Una conclusiva osservazione va fatta a proposito del confronto tra il debito pubblico italiano e quello di paesi come l’Inghilterra; osservando il grafico si nota come i due valori tendano a divergere nel tempo, cioè mentre il debito pubblico italiano sale, quello inglese scende. Perchè?
Il motivo è piuttosto semplice: laddove non è lo Stato ad indebitarsi, a farlo debbono essere i privati come accade in UK e  negli Usa.
Infatti se andiamo ad analizzare il livello d’indebitamento delle famiglie ed imprese (debito privato) osserviamo che questo assume valori di assoluto rilievo in tutti quei paesi che non hanno invece un elevato debito pubblico, come si nota dal seguente grafico :
 Ma a che punto siamo oggi?
Il PIL è praticamente fermo al livello del 2007 , mentre il debito rispetto al 2007, è aumentato di  400 miliardi di euro!!
La spesa per interessi sul PIL è in crescita sia in termini percentuali che assoluti, il che significa maggiori tasse , minori servizi e riduzione della spesa pubblica.
Tutto questo nonostante lo Stato italiano abbia negli ultimi 20 anni realizzato avanzi primari di bilancio per una cifra di 740 miliardi di euro, che non ha eguali in Europa. Ma non è servito a nulla e non serviranno a nulla i sacrifici futuri, i decreti del “Fare”, i provvedimenti tardivi per pagare i debiti della pubblica amministrazione, la caccia all’evasore condotta sui media come se di tutto sto macello l’evasione e l’economia sommersa  fossero  i principali responsabili!!
Ora tornano alla carica per vendere, ops… svendere i gioielli di Stato a qualche Fondo Sovrano, qualche banca cinese,araba,americana impoverendoci ancor di più e privando il Paese di asset strategici. Sono una manica di somarelli che non capiscono il mondo in cui vivono e quel che è peggio è che le nostre esistenze dipendono dal loro operato. Siamo messi male. Molto male.
La chiave di tutto è capire come funziona  l’economia, cosa è la moneta, chi la emette,perché siamo giunti a questo livello di debito globale colossale,come si spiegano i 640.000 miliardi di operazioni in derivati rispetto al PIL mondiale di 70.000 miliardi (addirittura il PIL globale è inferiore alla cifra di  100.000 miliardi che ogni anno si pagano per gli interessi sul  debito mondiale).
La moneta è la chiave di tutto ed  uscire dall’euro non basta. Bisogna avere un piano, semplice,realizzabile e che porti immediati benefici all’economia reale. Quel piano ora c’è. Devono darci la forza per realizzarlo, ora, subito, prima che sia tardi.
L’Unione Europea, la tecnocrazia, il sistema bancario ( banche centrali e banche commerciali), la burocrazia, l’Euro  sono la nostra prigione. Dobbiamo uno ad uno, aprire dei varchi nelle menti delle persone, perché è possibile tornare a crescere,perché è possibile vivere degnamente, perché la speranza possa nuovamente trovar posto in questa nostra splendida, meravigliosa,inestimabile  Italia.  

GRAN SACCHEGGIO ITALIA

GRAN SACCHEGGIO ITALIA - IL 40% DELLE SPA QUOTATE IN BORSA SONO IN MANO AGLI STRANIERI

Nonostante la crisi, il valore delle nostre imprese è cresciuto di 26,2 mld € ma è aumentato l'azionariato estero: il 40% delle Spa quotate a Piazza Affari è nelle mani degli stranieri - Tra un po’ ci vengono a sfilare anche Eni, Enel, Finmeccanica e dopo anche le mutande…

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/gran-saccheggio-italia-il-40-delle-spa-quotate-in-borsa-sono-in-mano-agli-60739.htm

(Adnkronos) - Le grandi imprese italiane valgono di più, ma sono sempre più in mano agli stranieri. Negli ultimi dodici mesi, nonostante la crisi, il valore delle società per azioni del nostro Paese è cresciuto di 26,2 miliardi (+1,27%) di euro da 2.066,9 miliardi a 2.093,1 miliardi, ma è in aumento di 5,6 miliardi (+1,76%) la quota di possesso detenuta da soggetti esteri che complessivamente ora hanno 327,2 miliardi rispetto ai 321,5 miliardi di un anno fa.

ITALIA CRAC BUCOITALIA CRAC BUCO
Risultato negativo per le spa quotate in Borsa che hanno bruciato 14,2 miliardi (-3,86%) di capitalizzazione calando da 368,6 miliardi a 354,4 miliardi. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi Unimpresa che ha analizzato l'andamento del valore delle spa della Penisola dal primo trimestre 2012 al primo trimestre 2013.
Secondo la ricerca, basata su dati della Banca d'Italia, le società per azioni italiane ora valgono in totale 2.093,1 miliardi in aumento di 26,2 miliardi rispetto ai 2.066,9 miliardi dei dodici mesi precedenti. Un bacino in cui rientrano anche le imprese quotate sui listini di piazza Affari che hanno registrato un andamento negativo anche se nel 2012 i mercati finanziari hanno invertito la rotta rispetto al periodo più nero della crisi internazionale. A marzo 2013 le spa quotate capitalizzavano 354,4 miliardi di euro, 14,2 miliardi in meno rispetto ai 368,6 miliardi di marzo 2012.
Italia CracITALIA CRAC
Gli stranieri hanno il 40% delle spa quotate a piazza Affari. Nel periodo sotto osservazione, le quote di spa in mano a soggetti esteri è aumentato di 5,6 miliardi da 321,5 miliardi a 327,2 miliardi. Un aumento del peso proporzionalmente più forte nel recinto delle quotate: le azioni detenute dagli stranieri sono passate da 136,6 miliardi a 139,5 miliardi con una crescita di 2,8 miliardi (+2,10%).
In termini percentuali, gli stranieri ora posseggono il 39,36% delle azioni di imprese quotate, rispetto al 37,06% di marzo 2012. Guardando all'intero bacino delle società per azioni tale percentuale è assai più bassa: a marzo 2012 era il 15,55% e dodici mesi più tardi era sostanzialmente stabile al 15,63%.
BANCA D'ITALIABANCA D'ITALIA
"La ricerca - commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi - consente due riflessioni: anzitutto che la crisi italiana è nelle piccole e medie imprese e che proprio su questa categoria vanno concentrati gli sforzi da parte di Governo e Parlamento. Quanto alle quote di possesso, la crescita degli stranieri mostra un forte interesse per il made in Italy, che ha sempre una grande forza, ma allo stesso tempo deve essere fonte di preoccupazione forte per il sistema Passe: si lanciano segnali d'allarme rosso quando i player internazionali vogliono acquistare grandi nomi, quelli conosciuti. Mentre sotto traccia, e nel silenzio più assordante, stiamo perdendo tutto".

La matematica sputtana l'economia neoclassica

Navigando nella follia dei mercati finanziari

Francesco Sylos Labini

Fabio Scacciavillani, proseguendo una discussione iniziata in seguito a dei miei interventi sulla capacità di produrre previsioni in economia e sull’incapacità di aver previsto la più drammatica crisi economica dell’ultimo secolo, argomenta che uno (o il) motivo per cui i mercati finanziari sono diventati ingestibili è dovuto al fatto che molti più fisici che economisti lavorano a Wall Street. Posso testimoniare che alcuni miei ex studenti ed ex colleghi sono effettivamente andati a lavorare presso istituzioni finanziarie. Tipicamente gli è richiesta una conoscenza avanzata di tecniche matematiche, come saper risolvere sistemi d’equazioni differenziali stocastiche. Ho domandato una volta a un mio ex collegacosmologo, che ha studiato per una ventina d’anni leequazioni di campo di Einstein, di cosa si occupasse. La risposta è stata sorprendente: “più o meno della stessa cosa di prima”. E’ dunque possibile che molti ex fisici(ma anche ex matematici ed ex informatici) che lavorano nel mondo finanziario siano esperti di tecniche raffinate senza avere alcuna conoscenza o percezione del contesto in cui stanno operando. Come ha notato Jean-Philippe Bouchaud, che oltre ad essere un noto fisico teorico francese è anche presidente di uno dei più grandihedge fund d’oltralpe, “Anche se un certo numero di fisici è stato assunto dalle istituzioni finanziarie nel corso degli ultimi decenni, questi fisici sembrano avere dimenticatola metodologia delle scienze naturali per assorbire e rigurgitare le abitudini economiche in vigore, senza il tempo o la libertà di metterne in discussione le loro fondamenta”.
E’ indubbio che anche coloro che usano tecniche sofisticate farebbero bene a considerare il significato del proprio lavoro proprio per non essere tacciati un giorno di essere dei buoi che “tirano l’aratro placidamente e dissodano la dabbenaggine dove qualcun’altro seminerà per raccogliere messi copiose.”
Tuttavia, ogni studente di fisica del primo anno impara che il limite fondamentale d’ogni modello fisico è proprio nelle assunzioni su cui questo è basato. Il filosofo della scienza Thomas Kuhn ha definito paradigmaquell’insieme d’assunzioni teoriche sotto le quali procede la “scienza normale”. Il paradigma per eccellenza è stato, per più di mille anni, quello secondo il quale il Sole e i pianeti seguono delle orbite circolari intorno alla Terra. Questo paradigma ha retto al confronto con i dati osservativi non solo perché riusciva a ben spiegare le osservazioni dall’esperienza immediata, ma anche e soprattutto perché gli astronomi – di fronte a dati contradditori – non lo mettevano in dubbio, preferendo aggiungere nuove e sempre più complicate assunzioni, come i famosi epicicli, che svolgevano la funzione d’ipotesi ad hoc.  Quando Copernico presentò i suoi calcoli capaci di meglio spiegare  le osservazioni perché  basati su un nuovo paradigma, il Sole al centro e la Terra ed i pianeti che gli orbitano intorno, il modello Tolemaico era un complesso marchingegno composto da 16 livelli di epicicli. In breve, secondo Kuhn, la rivoluzione copernicana è stata un epocale cambio di paradigma.
I fisici hanno dunque imparato a considerare criticamente ogni teoria entro dei limiti ben precisi che sono dettati dalle assunzioni usate e dagli esperimenti disponibili: hanno perciò da tempo appreso a non scambiare ciò che avviene nel modello con ciò che invece accade nellarealtà. Come ho avuto modo di ricordare in fisica i modelli si confrontano con le osservazioni per provare se sono in grado di fornire spiegazioni precise, come ad esempio la processione del perielio di Mercurio che con la Teoria della Relatività Generale può essere calcolata di circa 0,019 gradi per secolo in accordo entro 0,0005 gradi per secolo con le misure sperimentali, oppure di fornireprevisioni di successo, come ad esempio le onde elettromagnetiche postulate da Maxwell nel 1873 e generate da Hertz nel 1887. Similmente, si può asserire che l’uso della matematica nell’economia (neoclassica) serva ad un tale scopo? Oppure questo uso si riduce ad un puro esercizio retorico in cui si fa sfoggio di usare uno strumento (relativamente) sofisticato per calcolareprecisamente cose irrilevanti come capita in astrologia? Ad esempio, secondo il filosofo della scienza Donald Gillies, “l’uso della matematica in economia neoclassica non ha prodotto alcun spiegazione precisa o previsione di successo”.
Per dipanare la questione si deve rispondere a questa domanda: gli assiomi fondamentali usati in economia sono sottoposti a test empirici? Ad esempio: i mercati liberi sono efficienti o sono selvaggi? La risposta a questa domanda viene dalle osservazioni o è un’assunzione indiscutibile? Questo è un punto cruciale in quanto chi pensa che i mercati liberi siano efficienti e si auto-regolino verso una situazione di equilibrio stabile sarà portato a proporre un ruolo dei mercati sempre più importante e ad “affamare la bestia”, lo Stato corrotto e clientelare. Chi pensa che i mercati liberi siano invece dominati da fluttuazioni selvagge e intrinsecamente lontani da un equilibrio stabilegenerando invece pericolosi squilibri e disuguaglianze, sarà indotto a proporre un maggiore intervento dello Stato, cercando di migliorare l’efficienza di quest’ultimo.
La posizione espressa da Robert Lucas, premio “Nobel” e professore a Chicago, è chiaramente del primo tipo: “La mia tesi in questa conferenza è che la macroeconomia, nel suo senso originario, ha avuto successo: il suo problema centrale della prevenzione di depressioni è stato risolto, per tutti gli scopi pratici, ed è infatti stato risolto per molti decenni”. Chi sostiene questa tesi è ovviamente portato a considerare ogni fluttuazione nei mercati finanziari come una perturbazione ininfluente rispetto alla situazione di equilibrio: una crisi devastante non si può prevedere perché non è contemplata nel fantastico mondo dei mercati efficienti. Argomentava, infatti, nel 2007 lo stesso Lucas che una crisi economica non sarebbe potuta accadere poiché: “Se abbiamo imparato qualcosa dai passati 20 anni è che c’èparecchia stabilità incorporata nell’economia reale”.
Quando un paradigma diventa così forte da sostituire qualsiasi osservazione empirica si tramuta in un dogma e lo studioso finisce per vivere nel modello, senza più accorgersi di quello che accade nel mondo reale. Come ben sperimentiamo oggi, non c’è, infatti, nessuna stabilità nell’economia reale. Questa situazione è dovuta principalmente al ruolo dominante dellafinanziariazzazione dell’economia. Basti pensare che il volume dei prodotti finanziari derivati è dell’ordine di 10 volte il PIL mondiale, e che, come rileva anche Scacciavillani, nessuno è più in grado di capire o controllare quello che sta avvenendo. Purtroppo, è stato proprio nel nome del dogma della stabilità e razionalità dell’economia che si è pianificata, osannata e pompata scientemente la finanziarizzazione dell’economia come volano per la crescita, senza rendersi conto dei rischi incontrollabili che si stavano immettendo nel sistema.
Aveva dunque tutte le regioni, la Regina Elisabettaquando, durante la visita alla London School of Economics nel novembre del 2008, chiese perché non era stato previsto dagli economisti che la crisi economica stesse per avvenire. Due noti economisti inglesi hanno poi redatto una lettera alla Regina riassumendo le posizioni emerse nel corso di un forum promosso dallaBritish Academy per rispondere alla “Queen’s question”. Scrivono: “Quindi, in sintesi, Vostra Maestà, l’incapacità di prevedere i tempi, la grandezza e la gravità della crisi e di prevenirla, pur avendo molte cause, è stato principalmente un fallimento dell’immaginazione collettiva di molte persone brillanti, sia in questo paese e internazionale, per comprendere i rischi per il sistema nel suo complesso”. Più esplicitamente un altro gruppo di economisti britannici sottolinea “che negli ultimi anni l’economia si è trasformata quasi in un ramo dellamatematica applicata, ed è diventata distaccata dalle istituzioni del mondo reale e dagli eventi”.
Dunque, non è chi sta in sala macchine che ha perso la bussola (che forse non ha mai avuto), ma sono proprio gliufficiali in plancia di comando che stanno navigando nella follia più assoluta guidati – come dei Simplicioreincarnati – da dogmi screditati dall’osservazione empirica. Non per niente proprio l’Economist  ha pubblicato, in copertina (giugno 2009), l’immagine di un libro, dal titolo “Modern Economic Theory”, inliquefazione: aveva le sue ragioni Sua Maestà a preoccuparsi! Ed ha oggi ottime ragioni chi denuncia che la crisi economica è presentata quasi esclusivamente come una crisi del debito pubblico e non crisi delle banche, che hanno accumulato quintali di prodotti finanziari tossici, proprio dai soliti cultori del dio mercato e seguaci delle le dottrine neoliberali che, facendo passare per soluzioni tecniche scelte ideologiche, “hanno goduto di un monopolio dei cervelli che non ha precedenti nella storia”.

Grecia: Atene batte moneta

Grecia: Atene batte la moneta complementare Ela

banca grecia 110622120642 medium Grecia: Atene batte la moneta complementare Ela

Ormai non solo economisti senza cariche istituzionali, nè interessi di vario tipo, hanno capito che l’attuale sistema economico basato sulla “superfinanziarizzazione”, sulla “superspeculazione” e sul “superindebitamento” non funziona, non funzionerà ed è destinato al fallimento, senza riserve.
La Banca centrale greca non può che arrendersi all’unica soluzione sostenibile per uscire dalla crisisenza causare stragi e dissanguamenti: una moneta complementare all’Euro. Si chiamerà ELA (Emergency Liquidity Assistance), praticamente un fondo di liquidità di emergenza, concesso dalla BCE ad Atene nella speranza di salvare e rilanciare l’economia del Paese Ellenico. Ma la Grecia non è stata la prima a ricevere un simile trattamento; è avvenuta la stessa cosa in Irlanda, dove la BCE ha permesso la stampa di moneta liquida per dare respiro alle misere casse irlandesi.
Cosa sta accadendo? Semplice: i portafogli di lavoratori e imprenditori sono vuoti! I primi non possono comprare beni e servizi offerti dai secondi; i secondi non possono dare lavoro ai primi. Questo circolo vizioso continua e peggiora poichè la moneta, che dovrebbe servire a creare lavoro e circolazione di beni e servizi diminuisce a causa del pagamento di interessi sul debito sempre maggiori, che si trasformano in maggiori tasse, peggiori servizi, minori agevolazioni dallo stato.Cosa fare?
Ancora più semplice: dato che i responsabili di questa situazione non rientrano nella popolazione di lavoratori e imprenditori è sufficiente promuovere l’utilizzo della monete complementari e/o locali. In questo modo le famiglie avrebbero la liquidità in più necessaria ad arrivare a fine mese con il frigorifero pieno e gli imprenditori avrebbero la liquidità in più necessaria ad assumere nuovi lavoratori e investire nello sviluppo della propria impresa.
Come fare?
Informare, promuovere e divulgare i temi della moneta complementare e dei suoi effetti benefici all’economia collettiva.