lunedì 30 gennaio 2017

M5S: tassare la creazione di danaro delle banche

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Il governo "Renziloni" non sa come trattare lo spinoso capitolo banche. E oscilla tra una scandalosa connivenza con il ceto dei banchieri (che ha distrutto il settore del credito) e un'incapacità cronica di evitare toppe che siano peggio del buco quando si tratta di proteggere il risparmio.
I portavoce del M5S hanno seguito con attenzione e domande precise le audizioni parlamentari (dalle quali normalmente inizia l'esame di un provvedimento) circa il decreto "salva-risparmio": stiamo mettendo in gioco 20 miliardi di nuovo debito, soldi dei cittadini, per salvare Mps e stabilizzare il sistema bancario. Un governo serio, come minimo, chiederebbe chiarezza sul disastro degli Npl e spingerebbe le autorità di vigilanza a far pagare tutto ai colpevoli. Sarebbe il minimo, prima di metterci i danari delle nostre tasse.
Invece l'esecutivo fa spallucce di fronte agli errori della dirigenza bancaria e al tempo stesso copre nefandezze e mancanze degli organi di vigilanza Bankitalia e Consob.
Così dobbiamo subire l'affronto dell'ad di Siena, Marco Jp Morelli, che resta al suo posto. Anzi, viene in Parlamento e fa pure la parte del buon samaritano che (forse) rinuncia a qualche bonus per il bene, dice lui, della banca che guida (grazie alla ricapitalizzazione dello Stato). Val sempre la pena ricordare che il manager romano, da vicedirettore generale del Montepaschi ai tempi di Mussari e Vigni, raccolse i soldi per portare a termine l'operazione Antonveneta, l'acquisizione che ha mandato al tappeto Siena. Ed è stato sanzionato da Bankitalia per questo, indagato dalla procura senese e poi prosciolto quando il fascicolo passò a Milano.
Poi fa specie sentire da Palazzo Koch che gli obbligazionisti puniti dal decreto di risoluzione delle quattro banche hanno meno diritti sui rimborsi (forfait non per tutti e all'80%, con procedura arbitrale alternativa sparita dai radar) rispetto ai risparmiatori di Mps (100% di risarcimento al retail e 75% agli istituzionali, senza valutare a quanto abbiano in carico i titoli). E ciò soltanto per un presunta condizione finanziaria differente del Montepaschi rispetto a Etruria, Banca Marche e compagnia.
I bond subordinati, con le loro differenti gradazioni di rischio, dovrebbero dare uguali diritti e uguali condizioni a tutti, a prescindere da chi è l'emittente. Altrimenti, siamo al limite dell'incostituzionalità.
A quel punto, però, il M5S ha chiesto: "Avete in mano perizie che permettano di capire se nel caso delle quattro banche e di Mps sia stato rispettato il principio del 'no creditor worse off' (principio secondo cui la risoluzione si può fare se non dà per gli stakeholder esiti peggiori della liquidazione)"? E gli indici usati per dichiarare la posizione di dissesto del Monte in caso di scenario avverso? Anche rispetto, per dire, ad Unicredit?
Carmelo Barbagallo, ossia il capo del dipartimento di Vigilanza di Palazzo Koch, si è stretto nelle spalle: "Presumo che questi documenti ci siano". Poi, rispondendo a una nostra interrogazione, ha spiegato che la perizia c'è per le quattro banche (ma non dice dove sia e come rintracciarla), mentre per Mps ci ha pensato la Bce a fare le valutazioni sui fabbisogni di capitale.
La verità è che Bankitalia e governo misero in risoluzione le quattro banche, nel 2015, sulla base di stime arbitrarie, come il M5S ha sempre sostenuto. Una risoluzione che, tra l'altro, ci è costata non meno di 7 miliardi, visto che ora Via Nazionale ha ammesso candidamente che servirà almeno un altro miliardo e mezzo (soldi di tutte le banche) per chiudere il capitolo aperto il 22 novembre di due anni fa.
Perché sulle quattro banche non si è intervenuti un anno prima, in modo da evitare il dissesto e mettere in piedi una operazione in stile Mps?
Abbiamo chiesto dove fosse stato Palazzo Koch quando certi amministratori distruggevano banche sane, in particolare le quattro risolte, Mps o le popolari venete. Barbagallo ancora ha tentennato e si è nascosto dietro l'alibi dei commissariamenti. Dimenticando di dire che proprio durante la gestione dei commissari gli istituti della risoluzione sono stati portati al collasso.
Il dirigente di Bankitalia ha avuto poi il coraggio di sostenere che le crisi degli intermediari derivano dalle difficoltà di famiglie e imprese, non dal modo di erogare crediti e affidamenti. Una follia: i 186 miliardi di sofferenze lorde registrati a settembre 2016 riguardano, al 78%, prestiti superiori a 250mila euro, che vengono deliberati direttamente da direttori generali, consigli di gestione e Cda. Dunque famiglie e piccole aziende sono parte in causa solamente in scarsa misura. La vera piaga risiede nel legame incestuoso tra banchieri e certa grande impresa, con la benedizione del sistema dei partiti.
Abbiamo sentito dire a Bankitalia che gli istituti dovrebbero recuperare remuneratività. Noi crediamo invece che le banche debbano recuperare il ruolo di intermediari nell'interesse pubblico. E dovremmo iniziare a tassare la creazione di moneta da parte loro, come già proposto recentemente anche in Svizzera. Perché siamo sotto una montagna di liquidità meramente virtuale che ci sta schiacciando.
Con il presidente Consob Giuseppe Vegas siamo passati dalla padella alla brace. Come si fa a sostenere che la sua authority non si sarebbe opposta se le banche avessero emesso gli scenari probabilistici volontariamente? La Consob avrebbe dovuto pretendere uno strumento chiaro a tutela del risparmio. Invece Vegas ne ha sminuito il valore. E come si può accettare che il regolatore dei mercati, su Mps, si lavi la coscienza con 13 sanzioni? A cosa sono servite se siamo arrivati a questo punto? Siamo di fronte a un personaggio impresentabile per quel ruolo, un personaggio la cui continuità con il salottino marcio della finanza italiana ne imporrebbe immediate dimissioni, come chiediamo da tempo.
Il M5S in Parlamento prova a inchiodare questa gente alle proprie responsabilità. Il problema è che le audizioni si trasformano troppo spesso in un vuoto rito pro forma, quando non in farsa. Non si rispettano le prerogative dei parlamentari e gli auditi spesso non replicano in modo puntuale a domande che vengono raccolte in maniera cumulativa e troppo di frequente aggirate.
Noi, però, vi informiamo. Teniamo acceso un faro. Siamo nelle istituzioni anche per questo. Solo una puntuale conoscenza dei fatti dà sostanza al nostro status di cittadini.

mercoledì 25 gennaio 2017

President Elect Trump, Drain the Monetary Swamp

An Open Letter to President Elect Trump
President Elect Trump, Drain the Monetary Swamp
End the deficit, pay off the national debt as it comes due, get rid of Obama Care by giving us real national health-care, pay for education: it is all possible by draining the monetary swamp of the fraudulent debt money system.
Guess what it also does?
 It unifies our country by addressing the very real concerns of all Americans.
The U.S. monetary system is so corrupt that almost nobody understands it.
But it is really quite simple.
Almost all of what we use for money is created out of thin air by banks when they make loans.
This debt money exists only as debt, as the debts are repaid the money is extinguished from the bank's bookkeeping.
We must therefore be in debt, individually and through our government, or there would be no money and society would grind to a halt.
It gets worse, there is no money created with the loans for the significant interest that we must pay.
This makes it even more impossible to reduce the level of indebtedness and insures that it must perpetually increase.
The Federal Reserve is no more federal than Federal Express.
All 12 Federal Reserve Banks are owned entirely by the private banks in their districts.
Even our currency, which accounts for only about a tenth of the total money supply, is printed by the government and then given to the Federal Reserve for the cost of printing to be distributed to the banks.
Our government is paid a nickel for a $1 bill and 14.3 cents for a $100 bill.
The only real money in this system are the coins in our pockets and piggy banks.
Our government is paid face value by the Fed for every coin minted.
Our government gets 30 cents for a quarter and a nickel and it only gets 28.6 cents for two $100 bills.
This is not a misprint, the debt money banking system pays us more for a nickel and a quarter than they do for two $100 bills.
I used the word fraudulent to describe this system, because the monetary economists at the Fed, the politicians and the bankers have not told us that this is how the system works.
Most of them probably don't ever know how it works, because the textbooks that they have learned from also misrepresent what the system is.
For those that do know and haven't told us, shame on them. Our economists, politicians and bankers are either ignorant or supporters of fraud.
 
The Bank of England, the UK's central bank and the model for the Federal Reserve, unequivocally stated:
"
In the modern economy, most money takes the form of bank deposits. But how those bank deposits are created is often misunderstood: the principal way is through commercial banks making loans. 
Whenever a bank makes a loan, it simultaneously creates a matching deposit in the borrower’s bank account, thereby creating new money. The reality of how money is created today differs from the description found in some economics textbooks: 
• Rather than banks receiving deposits when households save and then lending them out, bank lending creates deposits."
(Emphasis BoE), Money Creation in the Modern Economy, 2014
Some on the far left have said nationalize the banks.
Wrong, nationalizing banks does nothing, we need to nationalize money creation.
The Constitution says money creation belongs with our government.
"The Congress shall have Power To... coin Money, regulate
the Value thereof..." (Article I, Section 8)
The phrase "coin Money" refers to the creation of money and was used because coins at the time were considered the real money.
Simple, straightforward, non partisan, monetary reform legislation was put into Congress in 2011 by Congressmen Dennis Kucinich and John Conyers: NEED Act (National Emergency Employment Defense Act).
Its reforms are intuitively what one thinks the system already is.
The Federal Reserve System, currently owned by the private banks, would be put into the federal government.
Banks would no longer create our money and would only loan money that already exists.
Money would be created, debt-free, in non inflation/deflationary amounts and spent into existence for the needs of the nation: jobs, infrastructure, healthcare, education, etc.
The federal debt will be repaid as it comes due, an absolute impossibility under the present system and there will be no more deficits and debt circuses in Washington.
The NEED Act transforms our society from austerity to a productive, bountiful and sustainable democracy.
More information is available at the American Monetary Institute
(
).
President Elect Trump, unite our country and drain the monetary swamp by proposing the NEED Act on Day One.
Nick Egnatz
Munster, IN
occupynick@yahoo.com
References

Jamie Walton's 2 page paper explains how immediate, seamless and non-disruptive the overnight transition to a government money system would be, "How the N.E.E.D. Act gives an Immediate, Seamless and Non-Disruptive Overnight Transition from a Crisis-Prone Bank Debt System to a Stable Government Money System"

NEED Act

"Money Creation in the Modern Economy", Bank of England

The following gentlemen are at your service to bring about monetary reform.
Stephen Zarlenga
Director American Monetary Institute
Jamie Walton
Senior Researcher American Monetary Institute
Dennis Kucinich
Former Congressman and sponsor of the NEED Act

martedì 24 gennaio 2017

La BCE calpesta il Parlamento italiano sovrano

La BCE calpesta il Parlamento italiano sovrano

http://www.movimento5stelle.it/parlamento/2017/01/la-bce-calpesta-il-parlamento-italiano-sovrano.html draghiBCE.jpg
Dobbiamo votare un decreto salva-risparmio che crea 20 miliardi di nuovo debito, per puntellare le banche. E perché "dobbiamo"? Per la solita ragione: ce lo chiede l'Europa. Per la precisione, ce lo chiede la BCE.
E' Francoforte infatti che ci impone i salvataggi, o gli aumenti di capitale degli istituti, con i suoi esoterici stress test e le sue astruse valutazioni sulla forza patrimoniale delle banche (vedi lo Srep, Supervisory review and evaluation process).
Il Parlamento italiano quindi è oggi costretto ad ottemperare, e ad analizzare il decreto prescritto. Come per ogni provvedimento sono previste audizioni di addetti ai lavori in Commissione: tra questi, un rappresentante della stessa Bce. Ma la Banca Europea non si è degnata di mandare nessuno, perché occupata a definire le proprie valutazioni sul provvedimento. Insomma: il Parlamento sovrano (si fa per dire) impegna le commissioni, esamina, valuta emendamenti in merito a un provvedimento del Governo che però non si può fare finché non avremo l'ok dalla nostra banca centrale padrona, su diktat già decisi a Francoforte.
E quindi niente domande all'esperto, e neppure delucidazioni sui criteri, gli algoritmi e i parametri con i quali si giudica "salvabile" un intermediario e un altro no. Chi deve essere vittima e chi invece può evitare il bail-in. Quali risparmiatori possono essere salvati e quali no. Perché Mps ha bisogno di 8,8 miliardi e non ne bastano cinque o sei? In base a cosa si decide che servono certi cuscinetti aggiuntivi di capitale?
Avremmo voluto chiedere tante cose alla Bce. Ma il suo rappresentante oggi non si è presentato in Parlamento.
Il portavoce M5S Alessio Villarosa ha protestato con veemenza, tutta la Commissione Finanze ci ha dato ragione e anche il presidente della Commissione si è impegnato a scrivere a Francoforte per chiedere conto di questa assenza.
Continuano a calpestare le nostre prerogative democratiche e la nostra sovranità. Non si può più accettare questo trattamento da sudditi, riservato senza rispetto alcuno anche alle nostre più alte istituzioni come il Parlamento. Serve al più presto un governo Cinquestelle.

BCE, Draghi: se l'Italia esce, pagheranno i banchieri

Nota Bene: La BCN italiana è Banca d'Italia, che è stata definitivamente privatizzata. Quindi, in caso d'uscita, non sarà di certo lo Stato a pagare ! Purtroppo il M5SEuropa non ha ancora afferrato ed afferma, scorrettamente, che sarà "il paese" a pagare: http://www.beppegrillo.it/2017/01/leuro_non_e_piu_irreversibile_parola_di_mario_draghi.html

sabato 14 gennaio 2017

Zagrebelsky: “Politici maggiordomi della finanza"

Zagrebelsky: “Politici maggiordomi della finanza: hanno il terrore delle urne”

http://temi.repubblica.it/micromega-online/zagrebelsky-%e2%80%9cpolitici-maggiordomi-della-finanza-hanno-il-terrore-delle-urne



Per la prima volta dopo la vittoria del No al referendum parla il costituzionalista: “Quei venti milioni di italiani hanno capito che c’era qualcosa sotto”.

intervista a Gustavo Zagrebelsky di Marco Travaglio, da il Fatto quotidiano, 13 gennaio 2017

Professor Gustavo Zagrebelsky, è trascorso più di un mese dal referendum costituzionale e lei non ha ancora detto una parola dopo la vittoria del No. Perché?

La campagna elettorale è stata lunga e faticosa. Ora è il tempo della riflessione e di qualche bilancio. Sarebbe insensato accantonare il 4 dicembre come se quel voto non avesse rivelato una realtà più dura di tutti gli slogan.

Che Italia ha incontrato, nei suoi incontri per il No?

Una realtà che non appare nei grandi media: a proposito di post-verità… I tanti che si sono impegnati hanno ricevuto centinaia di inviti da scuole, università, associazioni, circoli d’ogni genere. Soprattutto da giovani, da molti di quelli che alle elezioni politiche si astengono, ma al referendum costituzionale hanno partecipato. Si può pensare che un 20 per cento della grande affluenza sia venuta da lì. E con ciò non voglio certo dire che il No ha vinto per merito dei giuristi e dei professori.

Perché ha vinto il No?

giovedì 12 gennaio 2017

Baretta; Bankitalia anticostituzionale, limita potestà parlamento

Arman (Coordinamento Don Torta): «Baretta ammise: Bankitalia intoccabile»

Sulla commissione parlamentare d'inchiesta l'accusa al sottosegretario all'economia. L'offerta di rimborso di BpVi e Vb? «No, prima charezza su malversazioni»

 http://www.vvox.it/2017/01/12/arman-coordinamento-don-torta-baretta-ammise-bankitalia-intoccabile/

avvocato Andrea Arman

«La proposta di conciliazione per gli azionisti delle ex popolari venete non ci convince sul piano del metodo. Atlante si è presentato come il padrone di BpVi e Veneto Banca, ma sul piano morale i proprietari delle due banche sono ancora i risparmiatori. Nel merito le decisioni assunte dai vertici di BpVi e di Vb non ci convincono perché non solo utili a ripristinare quel clima di fiducia utile a far ripartire due istituti di credito che stando prudenti perdono 30-40 milioni al mese»: boccia così l’offerta dei due istituti di credito l’avvocato trevigiano Andrea Arman, esponente del Coordinamento Don Torta.

Ma non è una bocciatura preconcetta: «Si sarebbe potuto anche dire sì, ma ad un patto: fare totale chiarezza rispetto alle malversazioni che ci sono state anche da parte delle nuove gestioni a partire dalla trasformazione in spa delle due banche avvenuta nel dicembre 2015 per VeBa e nel marzo 2016 per BpVi. Ma non ci siamo. Sinceramente non credo che in moltissimi aderiranno alle due proposte, ad eccezione di coloro che hanno veramente l’acqua alla gola. Per certi aspetti viene da pensare che la proposta cucinata a Padova sia in qualche modo pensata proprio per rompere il fronte dei risparmiatori. Il mio peraltro è un giudizio che riguarda non solo i vertici dei due istituti, ma pure quello del governo. Il quale secondo me in questa circostanza, come è capitato per l’intervento pubblico su Monte Paschi, sta agendo all’unisono coi banchieri. Ad ogni modo la cosa che più ci rattrista è la mancata volontà da parte della maggioranza governativa di promuovere una commissione parlamentare d’inchiesta sui rovesci bancari degna di questo nome. E che abbia la facoltà di indagare a 360 gradi».

Sui media, anche i meno ostili al governo, si è scatenato un polverone sui poteri di cui la nascitura commissione potrà disporre. Da quanto riferisce Dagospia, che a sua volta rilancia La Repubblica, la commissione sulla carta ha gli stessi poteri della magistratura requirente, ma non andrà a sindacare l’operato di Bankitalia sulle sue eventuali colpe in vigilando o intromissioni indebite. Si darebbe il caso, se così fosse, di una banca centrale che finisce per limitare le potestà costituzionalmente garantite al parlamento. E che il governo, anche quando a palazzo Chigi c’era Matteo Renzi, la pensasse in qualche modo come palazzo Koch, lo si desume da una presa di posizione precisa, mai emersa prima con la dovuta evidenza, che il sottosegretario all’economia, il veneziano Pierpaolo Baretta, rese pubblica durante un simposio sullo scandalo popolari venete organizzato a a Venezia il 17 dicembre scorso dall’Accademia Marciana. «Io ero tra i relatori – racconta Arman – e in quella circostanza Baretta, che era con me sul tavolo degli oratori, clamorosamente ammise che una commissione d’inchiesta sulle banche non sarebbe stata possibile per non entrare in conflitto istituzionale con Bankitalia. Si tratta di parole sconvolgenti. Se tanto mi dà tanto sarebbe il caso che anche per BpVi e VeBa venissero resi noti, come si propone per Monte Paschi, i nomi dei grossi debitori. Da questo punto di vista sia nel Coordinamento Don Torta che presso diverse altre associazioni, questo sentimento è tutto sommato condiviso».


Precedenti commissioni d'inchiesta su banche e banconote

Relazione di Gustavo Biagini e Giacomo Giuseppe Avisi sulle condizione della Banca Romana (PDF 6.2 MB)
Commissione d'inchiesta sulle banche e Commissione per il "plico Giolitti"
1893 marzo 22 - 1894 dicembre 13
  L'inventario riguarda i documenti di due commissioni parlamentari, quella d'inchiesta sulle banche, comunemente definita "Comitato dei sette", costituitasi nel marzo del 1893 e presieduta da Antonio Mordini, e quella incaricata di prendere visione del piego depositato da Giovanni Giolitti, denominata "Comitato dei cinque", che è stata presieduta da Abele Damiani ed ha operato nel dicembre del 1894.

"...la Camera, approvando, nella seduta del 20 dicembre 1893, un ordine del giorno del deputato Cavallotti, decise la stampa di tutti i documenti, tranne (emendamento Di Rudinì) quelli destinati dalla Commissione all'Archivio segreto."
  • Leggi introduzione archivistica
  • Accedi all'inventario

  • Relazione di Gustavo Biagini e Giacomo Giuseppe Avisi sulle condizione della Banca Romana (PDF 6.2 MB)
  • Il "Comitato dei cinque", come fu anche denominata la Commissione, ritenne di escludere dalla pubblicazione l'intero contenuto delle buste nn. 5 e 6. La n. 5 conservava documenti relativi alle trattative per la fusione fra la Banca Nazionale e la Banca Romana, intercorse nell'agosto e nel settembre del 1892; la sesta conteneva 120 lettere, 8 del deputato Francesco Crispi e 102 di donna Lina Crispi, tutte di carattere privato e pertanto da restituirsi agli interessati. La Commissione propose anche di escludere dai documenti che dovevano essere dati alle stampe i nomi delle persone defunte e quelli dei senatori.
Commissione d'inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca
1868 marzo 10 - 1868 novembre 28
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca fu nominata a seguito dell'ordine del giorno presentato dai deputati Tommaso Corsi e Alessandro Rossi e approvato nella tornata del 10 marzo 1868
  • Leggi introduzione archivistica
  • Accedi all'inventario
  •  
  • La schedatura analitica della documentazione ha consentito di evidenziare l'esistenza di lacune talvolta notevoli. Mancano, ad esempio, gli originali delle risposte - ad eccezione di quelle inviate dalla Banca nazionale dl Regno d'Italia e dal Banco di Sicilia - ai quesiti che la Commissione aveva posto a tutti gli istituti di credito esistenti sul territorio nazionale, a tutte le camere di commercio, al Ministero delle finanze e ad altri ministeri, alle società ferroviarie ed altre, e a numerose personalità particolarmente esperte nel campo finanziario. Non si sono, soprattutto, rinvenuti i verbali delle riunioni della Commissione.

Banche, si indagherà anche sulla Bce

Banche, si indagherà anche sulla Bce
Immagine
di Roberta Amoruso, Il Messaggero, 12 gennaio 2017
 http://economia.ilmessaggero.it/economia_e_finanza/banche_crisi_bce-2190836.html
 
Avrà una doppia missione la Commissione d'inchiesta sulle crisi bancarie che ha già incassato il via libera della Camera, ma anche l'ok, ieri, alla procedura d'urgenza per i 13 ddl sulle banche all'esame della Commissione Finanze del Senato. Mettere a nudo le responsabilità di certe crisi bancarie, tra amministratori, controllori e vigilanti (anche a livello Ue evidentemente) oltre ai debitori insolventi, ma anche individuare gli strumenti ad hoc per evitare che certe crisi si ripetano. Ecco perché...

Continua a leggere: http://economia.ilmessaggero.it/economia_e_finanza/banche_crisi_bce-2190836.html

Al via la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche

Al via la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Tardiva e inefficace

 
Mentre si attende che il ministero del Tesoro salvi Mps con una manciata (oltre 6) di miliardi freschi, è stata salutata con consenso ecumenico la notizia della commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema bancario. Una trattativa segreta tra Pd e Forza Italia e, alla fine, è saltato fuori dal cilindro l’ok generale. «Ma rischia di essere inutile», dice Giulio Marcon deputato di Sinistra italiana e componente della Commissione Bilancio della Camera. Sì, è vero, la proposta di legge arriverà al Senato a fine mese, ma a che cosa servirà? È un po’ come chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. «Si arriva alla mozione di istituire una commissione d’inchiesta con grande ritardo, eppure i problemi delle banche, e non solo del Monte dei Paschi, erano noti da tempo. Ora, essendo alla fine della legislatura, non so con quali tempi verrà fatta, ma sicuramente non ci sarà il tempo materiale per produrre dei risultati entro il termine di questa legislatura». Una commissione d’inchiesta su un tema così delicato e complesso – e con le sue ramificazioni tentacolari, nella classe politica – potrebbe richiedere infatti molto tempo. «È comunque un’occasione persa, perché si arriva tardi e con troppa lentezza. E poi c’è da evidenziare la genericità dei compiti di questa commissione. Dire che si deve occupare di tutto il sistema bancario significa fare un lavoro enorme, senza andare a vedere subito l’obiettivo e cioè analizzare i comportamenti di quelle banche che adesso sono sotto esame dell’opinione pubblica e della commissione europea». Marcon si riferisce a Mps, le due banche venete (Veneto banca e Popolare Vicenza) e le quattro oggetto del decreti salva banche del governo Renzi (CariFerrara, Etruria, Banca delle Marche e CariChieti). Sinistra Italiana ha presentato una mozione in cui si chiede proprio questo, che si restringa il campo di azione alle banche nell’occhio del ciclone con un lavoro più specifico.
Un altro aspetto della vicenda riguarda i debitori di Mps, cioè quei gruppi o imprenditori che avevano ricevuto dei prestiti nel corso degli anni e che non li hanno mai restituiti. Lo stesso presidente dell’Abi Antonio Patuelli aveva lanciato un appello perché almeno i nomi dei primi cento debitori si rendessero noti. Intanto i media hanno già pubblicato alcuni nomi di imprenditori, immobiliaristi, grandi gruppi industriali, cooperative che sono esposti dal punto di vista creditizio. È tutto da dimostrare in che termini, ma intanto la domanda è: c’è stato un atteggiamento un po’ troppo “leggero” da pare dei vertici bancari nel concedere i prestiti? Tra l’altro Mps con i suoi 27 miliardi di euro di crediti deteriorati (gli Npl, non performing loans) è solo la punta dell’iceberg. Nel 2016 secondo i dati della Banca d’Italia le sofferenze bancarie lorde sono aumentate: 199 miliardi di euro contro i 198 del 2015.

Come si è arrivati a questo punto? Giulio Marcon fa risalire tutto alla legge Amato del 1990 che sancì la privatizzazione degli istituti di credito. «Si voleva sottrarre il sistema bancario dalla influenza della politica, ma in realtà ci ritroviamo un sistema bancario privatizzato che continua ad essere un crogiuolo che vede dentro sia una parte del sistema industriale che una parte del sistema politico. Se l’inchiesta si farà, spero che si metta in evidenza quello che è sotto gli occhi di tutti, e cioè che nel caso di alcune banche, alcune operazioni – investimenti o acquisizioni che sono stati fatti, per esempio nel processo di allargamento – o sono sono state veicolate da una parte del sistema politico o comunque fortemente condizionato o con interessi evidenti, nel caso del Mps, da parte di potentati locali». Quindi la politica che si voleva far uscire dalla porta rientra dalla finestra. Ora, con la commissione d’inchiesta, sta alla stessa politica riuscire ad analizzare un “groviglio armonioso” – questa era la definizione sull’intreccio Mps-politica-Siena – in cui, appunto, la politica stessa c’è dentro fino al collo. Inutile dire che occorrerà davvero una visione “laica” e soprattutto oggettiva del problema.

martedì 10 gennaio 2017

Carlo Sibilia (M5S) denuncia la piovra bancaria

Banche, Brunetta (FI): occore commissione d'inchiesta

Banche: cifre e nomi dei grandi debitori (e insolventi)

Marcegaglia, Caltagirone, il socio di Verdini, De Benedetti e le coop rosse. Tutte le cifre e nomi dei grandi debitori di Mps e delle altre banche

Tra i cattivi pagatori ci sono anche le società della famiglia Fusi, Terme Chianciano, Acea, Metro C, Atac Roma, Alfio Marchini e la famiglia Fusillo

 http://notizie.tiscali.it/economia/articoli/i-grandi-debitori-di-mps-e-altre/

Carlo De Benedetti, Emma Marcegaglia, Alfio Marchini
Carlo De Benedetti, Emma Marcegaglia, Alfio Marchini
di pso
 
Camera e Senato discuteranno la richiesta che viene dalle opposizioni (M5s a Palazzo Madama e Forza Italia a Montecitorio) di accelerare sull'istituzione di una commissione d'inchiesta che faccia chiarezza sulle crisi bancarie e sulle vicende che hanno portato al salvataggio pubblico di Mps mentre la stessa banca si dice pronta, se le norme lo permettono, a pubblicare la lista dei suoi principali debitori insolventi. Al momento ci sarebbero infatti ostacoli normativi che riguardano tutti gli istituti di credito a dare seguito al suggerimento arrivato dal presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, che già aveva scatenato ampio dibattito. Intanto la direzione risorse umane di Mps, proprio mentre aumenta il pressing per avere la lista dei debitori, ha ricordato ai dipendenti gli obblighi di condotta, legati anche a normative, per garantire uniformità e correttezza nella diffusione di informazioni.

I nomi degli insolventi e le cifre

Se l’istituto di credito e una parte del nostro mondo politico tentenna, la stampa italiana è da tempo alla ricerca di nomi e cifre. Libero e La Verità sono in prima linea in questa caccia all’uomo. E proprio queste testate hanno cominciato a fare i primi nomi eccellenti e le cifre che costoro non avrebbero ai restituito non solo a Mps, ma anche a Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare Etruria, Banca delle Marche e Unicredit. I primi nomi li aveva fatti Libero il 28 dicembre scorso in un articolo firmato Giuliano Zulin. Stando ai dati diffusi dal giornale diretto da Vittorio Feltri, il 70% dei cattivi debitori di Mps non sarebbero commercianti o artigiani, ma grandi gruppi industriali. Tra questi si distinguono la Sorgenia della famiglia De Benedetti e i Marcegaglia. La “prima tessera del Pd” ha chiesto e ottenuto senza mai restituirli 650 milioni di euro. I secondi, lo scorso marzo hanno beneficiato di un nuovo finanziamento da circa 500 milioni nonostante abbiano già debiti per 1,5 miliardi di euro. Nella stessa situazione si trovano altri importanti gruppi industriali del nostro Paese.

Il soldi prestati e mai restituiti

Uno dei casi più significativi si insolvenza è stato quello del gruppo Sansedoni Siena spa, cui Mps, spiega Libero, che proprio grazie ai soldi non restituiti è divenuto “parte correlata” della Mps. La banca ha infatti trasformato il credito vantato, 25.9 milioni, nei confronti della capogruppo nel 21.75 del capitale. La stessa cosa, ha spiegato il giornalista Franco Bechis, è accaduto per le società controllate a valle: Marinella Spa che non ha mai restituito 26,9 milioni. Lo stesso è accaduto con le controllate della Sansedoni: alla Sviluppo e Interventi è stata congelata la cifra di 48.4 milioni di euro. Lo stesso trattamento era stato riservato alle Robinie Spa, diventata proprio per questo proprietà Mps. Altre risorse, 20 milioni di euro, sono state inghiottite dalla fallita NewColle srl.  Così è andata anche con gli 11,3 milioni prestati al gruppo Fenice della famiglia Fusi e alle relative controllate come Una spa, quella degli hotel, Euro srl e Il Forte spa. Non si sa neppure che fine faranno i soldi prestati a Menarini, per il quale è in corso un'inchiesta.

Il settore pubblico non è da meno di quello privato

Il settore pubblico non è da meno di quello privato. A non restituire il maltolto, fra le insolventi ci sono infatti le municipalizzate e società regionali toscane: la Fidi Toscana spa, che lo scorso agosto ha ricevuto un altro prestito da 98 milioni di euro, con Mps già al 27,46% del capitale. Nella lista le Terme di Chianciano, esposte per 10 milioni, e i 4,8 dell'Interporto Toscano A. Vespucci spa. Negli elenchi spuntano anche i nomi delle romane Atac e Metro C. Nei confronti della società di trasporto locale il Montepaschi, che nel 2013 aveva partecipato ad un pool di banche che concessero un finanziamento per oltre 200 milioni, poi rischedulato a 163 milioni, rischia circa 30 milioni. Altri nomi eccellenti li ha fatti La Verità. Colpiscono in particolare i nomi della Tassara di Romain Zalenski (un buco di 200 milioni), il Sole 24 Ore, i costruttori romani Toto, Luigi Zunino.

Ecco le altre banche frodate

La Verità ha anche fatto i nomi degli insolventi delle altre banche in crisi. La Popolare di Vicenza, che ha bruciato dall’oggi al domani ben 6 miliardi e mezzo, si era fidata delle imprese di Alfio Marchini che ai vicentini aveva chiesto 76 milioni di euro. Cinquanta non li ha invece restituiti il gruppo pugliese Fusillo, che ha anche un debito di 120 milioni con la Popolare di Bari. La Degennaro costruttori avrebbe dovuto restituire 27.5 milioni. La Veneto Banca ha, d’altro canto, sbagliato a fidarsi di Antonio Casale, l’immobiliarista bolognese ha incassato 78 milioni. Altri 50 milioni li ha introitati Francesco Bellavista Caltagirone. Somme importanti sono finite nelle tasche dei cementifici Federici e nelle finanziarie dei fratelli Landi (crac Eutelia).  La Banca delle Marche piange i soldi versati a Davide De Gennaro (70 milioni), il gruppo costruzioni Lanari (110 milioni), Minardi (130), Ciccolella (80). Il capitolo Unicredit si apre con i nomi di Rcs (54.4 milioni), Alitalia (20), Tassara (119), i costruttori Parnasi (650 milioni di debiti). Il governo Gentiloni ha una bella gatta da pelare.

sabato 7 gennaio 2017

Banche: eludono il fisco e lo Stato le salva...

Banche in paradiso, contribuenti all'inferno: salvate dallo Stato eludono il fisco

Dall’istituto di Siena a Intesa, da Unicredit a Mediolanum: ecco come i grandi gruppi  del credito eludono il fisco italiano attraverso le loro controllate in Lussemburgo,
a Bermuda e nelle Cayman. 
Ma quando le cose vanno 
male, lo Stato deve intervenire con miliardi di soldi pubblici

di Stefano Vergine  


Banche in paradiso, contribuenti all'inferno: salvate dallo Stato eludono il fisco
Hanno incassato all’estero decine di milioni di euro. Hanno gonfiato di profitti filiali registrate nei più aggressivi paradisi fiscali. Uffici senza nemmeno un dipendente. Eppure, lo Stato italiano corre in loro soccorso. Le aiuta mettendo a disposizione denaro pubblico. Soldi di chi ha pagato le tasse in Italia usati per salvare chi le tasse le ha pagate spesso fuori dai confini nazionali. È il paradosso di Monte dei Paschi di Siena, Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Too big to fail, direbbero gli americani. Troppo importanti per essere lasciate al loro naturale destino, è l’argomentazione del governo italiano. Fatto sta che le tre grandi banche salvate al grido di «tuteliamo i risparmiatori» fanno parte della lista degli istituti con il vizietto dell’offshore. Big del credito che per anni hanno dichiarato buona parte dei propri guadagni in Stati o Staterelli dove le imposte sono basse, bassissime, a volte addirittura inesistenti. Dai grandi classici europei come Irlanda e Lussemburgo ai paradisi esotici a sovranità britannica tra cui Cayman e Bermuda. Fino a Singapore ed Emirati Arabi, le nuove piazze asiatiche tax-free.

Premessa. La tendenza a fatturare offshore non è una specificità tricolore. Lo fanno un po’ tutte le banche d’Europa. Per dire: l’anno scorso la francese Bnp Paribas ha incassato in nazioni a fiscalità agevolata o nulla il 12 per cento dei suoi utili, la tedesca Deutsche Bank è arrivata a un quarto del totale. Per l’Italia, però, la questione è oggi decisamente più rilevante. Il Fondo Atlante, finanziato in parte con i soldi della Cassa depositi e prestiti, è infatti diventato proprietario della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. E dalle casse dello Stato arrivano direttamente anche i 20 miliardi di euro messi recentemente a disposizione dal governo di Paolo Gentiloni per salvare le altre a rischio, prima fra tutte Mps. Con il conseguente aumento del debito pubblico nazionale, già altissimo rispetto a quello dei concorrenti europei. Ecco perché è importante sapere se finora le banche hanno pagato le tasse in Italia, soprattutto quelle che resteranno in piedi grazie al denaro dei contribuenti.

I dati emergono da un’analisi dei bilanci condotta da l’Espresso. Un’inchiesta possibile grazie all’obbligo, imposto dall’Unione europea a partire dal 2015, di pubblicare il rendiconto dei principali dati finanziari relativi a tutti i Paesi in cui l’istituto ha delle attività. Novità assoluta a livello mondiale, il cui scopo è proprio quello di limitare il trasferimento di utili verso Paesi dove la pressione fiscale è più bassa. Contrastare l’elusione fiscale, insomma, fenomeno che toglie alle finanze pubbliche del Vecchio Continente dai 50 ai 70 miliardi di euro ogni anno, secondo le stime della stessa Commissione.

I risultati dell’indagine dell’Espresso dimostrano che l’obbligo di trasparenza ha portato alla chiusura di alcune filiali offshore, ma il ricorso ai paradisi fiscali rimane fondamentale per i protagonisti della finanza nostrana. «Una situazione preoccupante soprattutto adesso che vengono usati soldi pubblici per aiutare le banche», sottolinea Tommaso Faccio, esperto di fiscalità internazionale e docente di Economia aziendale alla Nottingham University Business School, in Inghilterra. Il timore del professore «è che questi fondi possano essere spostati all’estero invece che tornare nelle casse dello Stato, tramite utili tassati in Italia, una volta che le banche si saranno rimesse in carreggiata».

Partiamo da Mps, la grande malata d’Europa. I bilanci dimostrano che fra il 2014 e il 2015 il gruppo ha chiuso due società in Irlanda e una in Olanda. Offshore, però, ne rimangono aperte ancora parecchie: due controllate in Lussemburgo, una in Irlanda e ben otto nel Delaware, rifugio tax-free a stelle e strisce. Risultato? Gli utili pre-tasse registrati in paradisi fiscali l’anno scorso sono stati 107 milioni di euro. Equivalenti a quasi un terzo del totale: il 27,9 per cento. Che una grande azienda abbia filiali in tutto il mondo, e paghi perciò una fetta delle imposte all’estero, è più che normale. A sorprendere, però, è la sproporzione fra attività economica e numero di lavoratori. Prendiamo la Mps Preferred Capital I Llc, società del gruppo con base fiscale nel Delaware. L’anno scorso ha fatto 44,9 milioni di euro di utili. Con zero dipendenti. Praticamente un miracolo.

Più limitato il ricorso ai paradisi da parte della Popolare di Vicenza. L’istituto per anni presieduto da Gianni Zonin, ora finito sotto il cappello del Fondo Atlante, a fine 2015 aveva una sola filiale all’estero, in Irlanda. È la Bpv Finance International Plc, cinque impiegati in tutto. Dopo aver macinato utili per anni, ha chiuso l’ultimo bilancio con un rosso di 99,8 milioni di euro. «Cesserà di esistere definitivamente all’inizio del 2017», assicurano da Vicenza. Clamoroso il caso dell’altro istituto salvato dal Fondo Atlante: Veneto Banca. A differenza dei cugini vicentini, l’istituto guidato per anni da Vincenzo Consoli ha aperto filiali in diverse nazioni. Albania, Croazia, Romania, Moldavia. Un tentativo di allargarsi nei promettenti mercati nell’Est Europa, dove sono state assunte oltre 600 persone. Al contempo sono state aperte succursali anche in mercati non proprio emergenti: Svizzera e Irlanda. E dalla patria di James Joyce sono arrivati gli unici guadagni consistenti incamerati negli ultimi due anni: 103 milioni di euro in totale, incassati grazie ai soli sei dipendenti della filiale. Gli irlandesi, evidentemente, sono dei gran lavoratori.

A fatturare offshore sono però soprattutto i grandi istituti italiani, quelli più in salute. Le prime tre banche commerciali convogliano nei paradisi fiscali quote dei loro guadagni che variano da un sesto fino alla metà del totale. Per un totale, nel solo 2015, di quasi 2 miliardi di euro. Intesa Sanpaolo, il principale istituto del nostro Paese per capitalizzazione di Borsa, ha registrato in Paesi a fiscalità agevolata il 23 per cento degli utili pre-tasse del gruppo. Eppure in quei posti è impiegato solo lo 0,5 per cento dei dipendenti totali. Emblematico il caso di Dubai. Nell’Emirato più famoso al mondo, il gruppo guidato da Carlo Messina ha fatturato 49 milioni di euro (senza versare un euro di tasse) con solo 18 dipendenti. Una produttività da record. Significa che ogni lavoratore in media ha fatto incassare alla banca 2,7 milioni. In Italia, per capirci, la media fatturata da ogni impiegato è di 315 mila euro. Quasi nove volte meno.

Ancora più evidente la sproporzione in casa Unicredit. Le controllate di Bermuda, Cayman e Jersey non hanno nemmeno un dipendente all’attivo. Stesso discorso per le succursali domiciliate a Malta e nel Regno Unito, altre nazioni in cui il carico fiscale per le imprese può arrivare a livelli minimi. A cosa servono allora delle società in quei luoghi? Attività finanziarie, è la generica spiegazione fornita nel documento ufficiale. Di certo c’è un dato. Nei Paesi a fiscalità agevolata Unicredit ha incassato l’anno scorso circa il 15 per cento dei suoi utili pre-tasse. La fetta più grande appartiene a Irlanda e Lussemburgo, paradisi nel cuore del Vecchio Continente. Una tendenza valida per quasi tutte le banche italiane, comprese Ubi e Banca Generali, che nei due Stati europei piazzano spesso le società che gestiscono obbligazioni e fondi comuni.




Proprio cavalcando questo fenomeno Mediolanum è diventata già da anni, come raccontato più volte dall’Espresso, la regina italiana dell’offshore. Il gruppo controllato da Ennio Doris e Silvio Berlusconi non ha filiali a Panama o alle British Virgin Islands. La “banca costruita intorno a te”, come si presenta negli spot pubblicitari, punta tutto sugli evergreen europei: Irlanda e Lussemburgo, appunto. Da qui l’anno scorso è arrivato infatti il 52,5 per cento degli utili pre-tasse del gruppo. Vuol dire che oltre la metà dei guadagni di Mediolanum non è stato tassato in Italia. Come succede all’irlandese Mediolanum International Funds Ltd, che si occupa di gestione di fondi d’investimento ed è la vera gallina dalle uova d’oro del gruppo. Con soli 26 lavoratori a tempo pieno, la succursale di Dublino ha un fatturato di 531 milioni di euro e un utile pre imposte di 527 milioni. Nessun costo, in pratica. E grazie al regime fiscale locale, che tassa normalmente le imprese al 12,5 per cento contro il 30 per cento italiano, la finanziaria dei Doris a fine anno ha guadagnato 461,9 milioni di euro netti. Una redditività da record. Con tanti saluti all’Agenzia delle Entrate.