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Capitolo
7 - Il commissario svizzero Fausto Cattaneo
Comunicato
stampa: Il Ministero pubblico della Confederazione indaga sul ricorso
a presunti metodi illegali nel corso di indagini condotte negli anni
Novanta
Berna,
17 settembre 2003. Da alcuni mesi il Ministero pubblico della
Confederazione sta conducendo un’inchiesta di polizia giudiziaria
sul ricorso a presunti metodi illegali nell’ambito di indagini
internazionali condotte a metà degli anni Novanta nel mondo del
narcotraffico. Varie persone sono state interrogate in Svizzera e
all’estero. Lo scorso giovedì una persona è stata posta in
detenzione preventiva. Dall’inizio dello scorso aprile, il
Ministero pubblico della Confederazione (MPC) conduce un’inchiesta
preliminare di polizia giudiziaria contro ignoti per riciclaggio di
denaro, corruzione e infrazione alla legge sugli stupefacenti. Nel
corso degli anni Novanta, inquirenti brasiliani, francesi, italiani e
svizzeri avevano collaborato strettamente con una rete di informatori
che fungevano da intermediari tra narcotrafficanti, partecipando
attivamente al traffico di stupefacenti. In cambio della concessione
di taluni privilegi da parte della polizia, detti informatori avevano
permesso di condurre a buon fine operazioni internazionali di polizia
sotto copertura a cui presero parte anche agenti svizzeri. Vi è
motivo di sospettare che nell’ambito di tali operazioni gli agenti
di polizia abbiano commesso atti illegali. È quanto il MPC ha
appreso nella primavera del 2003 da vari testimoni, le cui
deposizioni l’hanno indotto ad aprire il presente procedimento.
All’inizio e alla metà degli anni Novanta stupefacenti sequestrati
dalla polizia sarebbero stati rivenduti, versandone i proventi anche
agli informatori coinvolti nelle inchieste sotto copertura. Le
indagini del MPC si propongono ora di appurare se il ricorso a tali
metodi nell’ambito di indagini internazionali possa assumere
rilevanza sul piano penale. Si tratta inoltre di fare luce sul ruolo
svolto delle persone che hanno preso parte alle operazioni in
Svizzera o a partire dalla Svizzera. Nell’ambito dell’inchiesta,
varie persone sono state interrogate in Svizzera e all’estero.
Giovedì scorso una persona è stata posta in detenzione preventiva
successivamente all’interrogatorio. Si tratta di un collaboratore
dell’Ufficio federale di polizia, il quale è stato sospeso dalle
sue funzioni lo stesso giorno. Il procedimento del MPC, tuttavia, non
ha per oggetto l’attività che l’interessato svolge attualmente
in seno alla Polizia giudiziaria federale, presso cui opera quale
inquirente da quasi due anni, bensì l’attività da questi svolta
in precedenza. La presunzione di innocenza vale anche nei suoi
confronti. In ragione del segreto istruttorio e per motivi di
protezione della personalità non è per il momento possibile fornire
altre informazioni sugli sviluppi dell’inchiesta.
Il
responsabile dell'informazione: Hansjürg Mark Wiedmer, Capo
informazione Ministero pubblico della Confederazione
Certo
che se il nostro amico, l'ex commissario svizzero Fausto"Tato"
Cattaneo, avesse previsto questo comunicato stampa, sarebbe rimasto
meno stupito, di quanto rimasi io stesso, di quello che gli era
accaduto. Per quanto attiene alla sua esperienza, ritengo importnate
pubblicare questa sua lettera, non nuovissima - per non compromettere
le indagini in corso - ma abbastanza attuale ed esaustiva in quanto a
senso e contenuto.
Da:
Cattaneo Fausto
Casella
postale 205
6595
Riazzino
Tel
859'35'83
A:
sig.
Jacques
Ducry
via
Ravecchia 34
6500
Bellinzona
Immagino
la tua meraviglia, o stupore, nel ricevere questo mio scritto nella
forma raccomandata. Ho scelto tale forma per essere sicuro che tu
l'abbia ricevuto personalmente. Non ti nascondo di essere molto
deluso del tuo comportamento, del tuo modo di agire. Tratti le
persone che ti sono vicine, per intenderci gli amici con la A
maiuscola, come i fazzoletti "usa e getta". Lo stesso
trattamento lo stai riservando a tuo figlio, al sangue del tuo
sangue. Biasimevoli e deplorevoli atteggiamenti, tipici di persona
irresponsabile, immatura, quale tu sei. E intanto il bimbo cresce
bello, sano e forte. Lo vedo tutte le settimane. Noi tutti qui in
casa gli siamo molto affezionati e lui ricambia il sentimento
chiamandoci zii e giocando allegramente con Vivian come se fosse la
sua sorellina. Sappi che un giorno o l'altro dovrai affrontare la
realta`, guardarla in faccia, a viso aperto, che tu lo voglia o no, e
allora potrebbe essere troppo tardi e di conseguenza ti troverai
confrontato con delle sgraditissime sorprese. Dalla tua vita, privata
e professionale, esce un quadro desolante con l'aggravante dell'alta
funzione pubblica che ricopri. Ti avevo già detto queste cose, mesi
fa, al telefono: ora te le sto scrivendo. Ho preso questa, non
facile, decisione, dopo una lunga, attenta e serena riflessione, dopo
aver esaminato fatti e circostanze, dopo aver indagato spendendo del
mio e, quel che più conta, dopo aver raccolto delle prove. L`insieme
di queste cose mi ha permesso di raggiungere il pieno convincimento,
oltre ogni ragionevole dubbio, che con un vero Procuratore Pubblico
al mio fianco, come per esempio, qualcuno di nostra amichevole
conoscenza, non solo non sarei passato attraverso mille sofferenze
morali e materiali, ma sul piano professionale di inquirenti avremmo
sicuramente raggiunto, in modo particolare nell`ambito dell`inchiesta
"Mato Grosso", risultati di risonanza mondiale. Purtroppo,
mio malgrado, con tanta tristezza in cuore, ho dovuto constatare che
tu non sei stato un vero Procuratore Pubblico e, ancor peggio, che
non lo sarai mai.
Ti
voglio citare, di seguito e cronologicamente, tutta una serie di
episodi relativi a talune inchieste. Da una parte ti aiuterà a
capire, se veramente vorrai capire, e dall'altra ti rinfrescherà la
memoria.
Inchiesta
dei 100 kg di eroina sequestrati a Bellinzona il 21.2.1987.
L'inchiesta,
mascherata, aggiunta a quella nata in parallelo e svolta a carico dei
fratelli Magharian, è durata oltre un anno di costante lavoro sotto
copertura in Svizzera, Italia, Turchia e Stati Uniti. Indagine che fu
sempre sotto il totale controllo dell'allora PP [NdA: procuratore
pubblico] Dick Marty. I risultati ottenuti furono, a dir poco,
strepitosi, tali da provocare un vero e proprio terremoto nel mondo
politico e finanziario del nostro Paese. Sul piano personale, oltre
grande gioia e all'orgoglio per il traguardo raggiunto, c'è
l'immensa soddisfazione per i due riconoscimenti ricevuti: il primo
dall'Associazione Internazionale degli Ufficiali Antidroga, il
secondo dal Governo degli Stati Uniti. Negli ambienti della
Magistratura Sottocenerina, della quale a quel tempo tu facevi parte,
tutto ciò suscitò violente reazioni, aspre critiche, acerrime
gelosie e invidie, tali da influenzarti, parole tue, negativamente a
riguardo la mia persona.
Pochi
mesi dopo ti sei occupato di quel padre di famiglia, americano,
divorziato, che aveva sottratto il figlioletto che, per sentenza del
Pretore, era stato affidato alla sua ex moglie, scappando negli Stati
Uniti. Fu in questa precisa circostanza che ci siamo conosciuti di
persona. Avendo bisogno di estendere indagini e ricerche negli Stati
Uniti, come a tua richiesta, ti ho dato il mio pieno appoggio
mettendoti a disposizione canali ufficiali, quali DEA e FBI. Mi sono
fatto in quattro, disinteressatamente, avevo perfettamente recepito
il messaggio, umano e non tanto penale, tenendo conto che un simile
evento non è considerato reato (federale) dalla legge americana.
Tuttavia sono riuscito a convincere, ritrasmettendo il disperato
appello di una mamma in lacrime, i miei interlocutori ad occuparsi
del caso, a fare tutto il necessario, coscienti che dovevano agire
fuori dalla legalità. E alla fine, grazie a questi preziosi appoggi,
la giovane donna ha potuto legittimamente riavere suo figlio in
Svizzera.
Questo
per dirti che già a quel tempo, malgrado le dicerie che giravano sul
mio conto, avresti dovuto capire di che pasta ero fatto. E invece hai
continuato a credere ai pettegolezzi dei corridoi luganesi. Tant`è
vero che, non tanto tempo dopo, avendo a mia volta bisogno della tua
assistenza ufficiale di Magistrato per una semplice evidenza fondi in
relazione ad un'inchiesta mascherata, nel tuo ex ufficio di Lugano,
mi hai trattato come un pezzente e, peggio ancora, l'umiliazione me
l'hai fatta subire o ingoiare al cospetto di due alti funzionari
della DEA con i quali stavo collaborando. In altre parole mi hai
fatto fare la figura del perfetto idiota. Un boccone veramente amaro.
Inchiesta
Escobar Severo Jr - operazione Octopus
Penso
ti ricorderai come sono nate queste precise inchieste. Ti ricorderai
anche del processo a carico di Escobar e soci, "un processo
politico", come tu lo hai definito, un processo, il cui
risultato, sempre parole tue, era già scontato ancora prima di
andare in aula. Un'inchiesta enorme, un lavoro sotto copertura
frenetico ed estenuante, con continui spostamenti in Svizzera,
Germania, Olanda e Spagna. Considerazioni e valutazioni giuridiche
processuali a parte (e lasciamo fuori anche le gelosie, invidie,
pressioni, e chi più ne ha più ne metta, riscontrati negli
schieramenti della Magistratura penale in generale e della Polizia a
riguardo di tale caso), ma valutando unicamente l'aspetto, il profilo
investigativo, si può, si deve, tranquillamente affermare che i
risultati ottenuti sono stati notevolissimi.
Ben
difficilmente si riuscirà ancora a raccogliere tutta una serie di
elementi, di valore, di estrema importanza e utili sotto ogni e
qualsiasi punto di vista, come quelli messi insieme, dopo tanta
fatica, perizia e professionalità, con quelle strutture e supporti
tecnici che si aveva a disposizione (praticamente zero), in tale
circostanza. Senza poi contare i pericoli corsi, intesi quelli di
morte violenta, tuttora esistenti. E chi mai potrà dimenticarsi di
tale Calderon Mario che, dal carcere in Germania, sta ancora
meditando vendetta? Veramente peccato che un patrimonio, di
inestimabile valore, sia stato scialacquato in malo modo, buttato
alle ortiche, come si suol dire. Fa rabbia pensare che in un mondo
piccolo, civile, democratico e maturo come il nostro, dove il senso
del dovere dovrebbe avere di gran lunga il sopravvento sui
pettegolezzi, sulle dicerie, sulle invidie, sulle gelosie, dove si
dovrebbe badare ai fatti e non alle parole, succedono cose del
genere. E la rabbia, frammista a tristezza e amarezza, aumenta quando
si hanno le prove che proprio siffatti insani sentimenti, fioriti
laddove nessuno minimamente penserebbe o immaginerebbe, sono stati la
rovina del costrutto, favorendo, indirettamente il crimine
organizzato. Vi è tanta, troppa, superficialità e mancanza di
professionalità, in quest'ambito. E tu, mio caro Jacques, mi
dispiace dirtelo ancora una volta, rientri in quest'ultima categoria.
Non
sei stato capace di importi e, scegliendo la via più facile, quella
del quieto vivere, hai accettato la disgiunzione dei procedimenti
penali: Escobar Severo Jr da una parte e Scussel ed Erfurth
dall'altra. I primi sono stati premiati con una pena mite, i secondi
giustamente castigati. Nessuno ha però preso in considerazione che è
stato proprio il rampollo Escobar a provocare quella che è poi stata
definita "operazione Octopus". Spero ti ricorderai di tutto
questo. Era anche a tua conoscenza che, la tanto criticata inchiesta
mascherata, aveva permesso il sequestro di circa 3500 kg di cocaina
(in Svizzera, Olanda, Spagna e Italia), la scoperta di un importante
conto bancario presso un istituto di Lugano, per quel che mi consta,
non ne é stato fatto nulla, nonchè la confisca, a favore delle
casse statali, di diversi milioni di franchi in pietre preziose,
smeraldi per l'esattezza. E tutti questi elementi te li avevo forniti
ufficialmente, acconsentendo di metterli a verbale nel corso di un
interrogatorio formale, in tua presenza.
Tra
l'altro, in tutta questa montagna di elementi, a diretto contatto con
Escobar Jr, emergeva anche il nome del Galindo Miguel, quello stesso
personaggio che, anni dopo, è risultato essere un pezzo da novanta
in quell'inchiesta che ha visto coinvolto l'ex collega Gerber
Stefano. Ho sostenuto anche la dura battaglia del contradditorio,
martellato di domande anche impertinenti e provocatorie, che venivano
dai cinque avvocati della difesa, e me la sono cavata egregiamente da
solo, visto come il conduttore, l'allora GI [NdA: giudice istruttore]
Eggenschwiler, ha dormito per tutto il tempo. Anche questo ho
denunciato a chi di dovere.
Al
dibattimento processuale, dove sono stato citato per l'ennesima
volta, si è data preferenza a lunghe disquisizioni a riguardo di un
paio di bottiglie di champagne bevute con Escobar e soci, champagne
tra l'altro offerto dal proprietario che ci aveva anche messo a
disposizione il suo albergo per i nostri lavori sotto copertura. Si è
preferito mettere in evidenza, dimenticando tutto il resto, i
presunti traumi provocati nei soggetti per averli portati nel caveau
di una banca di Lugano dove avevamo fatto l'evidenza fondi. Si sono
tralasciati fatti di enorme importanza giuridica come quello del
Betancur Juan Carlos che, presente a Lugano con l'Escobar nelle
diverse fasi sotto copertura, venne arrestato a Madrid con circa 200
kg di cocaina. E questo unicamente grazie al nostro lavoro. Proprio
questi particolari, aggiunti ad altri che già conoscevi molto tempo
prima dell'inizio del processo, ti hanno fatto pronunciare quelle
frasi già evidenziate in apertura del presente capitolo e che ti
voglio rammentare ancora: "...processo politico... era già
tutto deciso prima ancora di andare in aula...". E ti eri
ripromesso di fare qualche cosa, di spifferare tutto, cito, sempre
usando parole tue, cose da far crollare il palazzo di Giustizia di
Lugano. perché non l'hai fatto? Parole, parole e ancora parole,
ricorda una vecchia melodia italiana. Ma tu, in tutta sincerità, mi
domando, non ti sei
mai
fatto un esame di coscienza?
A
Wiesbaden, presso la direzione generale del BKA (Bundeskriminalamt),
presenti tutti i delegati dei Paesi interessati, elementi molto
rappresentativi e di un certo livello, quando si dovevano prendere
delle importanti decisioni, discutere anche di problemi prettamente
legali che quindi ti competevano, il tutto per gettare solide basi
per la costituzione del gruppo di lavoro (task force) "Octopus",
dove sei andato a finire invece di presenziare alla riunione? A
passeggio, per le vie di Wiesbaden, almeno così mi è dato a sapere,
con una dolce fanciulla mia collega del BKA, lasciando il gravoso
compito sulle spalle di chi ti sta scrivendo. Il tuo comportamento
provocò meraviglia e disapprovazione generale. Il collega Mossier,
del Ministero Pubblico Federale, oltre che deluso ne fu addirittura
mortificato. Non ti sei mai chiesto chi ha tenuto insieme il gruppo
tanto da creare il giusto spirito, la giusta atmosfera, la carica e
le motivazioni, elementi sempre necessari in situazioni del genere,
non dimenticando che era una prima europea i cui rappresentanti
venivano da differenti Paesi, con differenziate leggi, procedure e di
altri usi e costumi?
Proprio
a tale scopo, per l'unità del gruppo e quindi per il bene
dell'enorme e difficoltoso lavoro che si stava svolgendo, ho indetto
parecchie riunioni, meglio dire colazioni di lavoro, in privato, a
casa mia e a mie spese s'intende, perfino sui monti di Lanes, sopra
Roveredo GR, dove mi ero recato alcuni giorni a riposare. L'ho fatto
perché era necessario farlo, ben contento di farlo e di averlo
fatto, disinteressatamente, perché chi mi conosce sa che sono fatto
così. I risultati si sono visti, un successo maestoso. E tu ne hai
fatto il tuo cavallo di battaglia, ti sei messo il fiore
all'occhiello, un po'appassito, invero, dai tuoi atteggiamenti.
Avresti potuto raccogliere, con un'altra testa, ben più ampi
consensi e allori di un'altra dimensione. Nemmeno vanno dimenticati i
pericoli, grossi e reali, di morte che il sottoscritto ha corso nelle
testè descritte operazioni che hanno avuto, e non mi stancherò mai
di ripeterlo, perché i fatti lo provano ampiamente, un'unica e
precisa paternità: Escobar Severo IV detto Junior.
Certamente
ti ricorderai della preoccupante situazione venutasi a creare dopo
che a Madrid, tre killers colombiani, intercettati dalla locale
polizia, furono trovati in possesso di una "lista nera". Un
elenco di persone destinate al macello, almeno così rientrava nei
piani, elaborati, e nelle decisioni, prese, dai vertici del crimine
organizzato colombiano, ovvero i famigerati cartelli. Che l'evento
fosse di assoluta gravità lo provò il fatto che il commando, una
specie di trio suicida disposto a tutto, vistasi la strada sbarrata,
non esitò ad aprire il fuoco contro la polizia che, per fortuna
nostra e soprattutto mia, riuscì ad avere la meglio dopo aver ucciso
uno dei tre. Fortuna mia, ho detto, perché l'obiettivo principale da
colpire era proprio il sottoscritto. Identica sorte era stata
prevista anche per Escobar Jr e Co colpevoli, per i committenti, di
aver parlato troppo. Non a caso, nell'imminenza del processo,
ritrattarono tutte quelle versioni, micidiali per la loro importanza,
rese dapprima in sede di polizia, confermate poi davanti al
magistrato titolare dell'inchiesta, che si inserivano perfettamente,
con riscontri oggettivi e concreti, nel grande mosaico investigativo
che la fase mascherata aveva permesso di costruire. Ritrattazioni,
infine, favorevolmente accolte dalla Corte giudicante. Con
quest'ultima e precisa frase non intendo assolutamente sollevare
obiezioni, o critiche, sull'operato di un Tribunale. Mi sono limitato
a constatare e conseguentemente rimango con le mie convinzioni e
opinioni. Tale compito lo lascio invece a quelle competenti persone
che, invece di affrontare la problematica globale della criminalità
con un vero spirito combattivo e disinteressato, preferiscono
sguazzare negli immondi e perversi sentimenti quali sono invidia,
gelosia, cinismo e ipocrisia. E traggono poi, questi miseri e poveri
tapini, immensa soddisfazione nel sapere che il loro irresponsabile
agire ha provocato l'effetto voluto. Aveva ragione Adenauer,
sicuramente aveva validi motivi, nel dire : "...sembra che certa
gente abbia fatto la fila tre volte quando il buon Dio ha distribuito
la stupidità...".
Le
delusioni, le amarezze e le preoccupazioni, sempre presenti nel mio
corpo, si erano all'epoca intensificate, quando davanti all'ennesimo
attentato alla mia persona, nessuno ha voluto, o saputo, fare
concretamente qualche cosa, anche minima, tanto da sminuire le
tensioni. Nessun magistrato si è degnato di approfondire le
indagini, per esempio recandosi di persona a Madrid, in virtù di una
richiesta ufficiale di assistenza giudiziaria, per interrogare i due
sopravissuti nel conflitto a fuoco. E si sapeva che dovevano
usufruire, per raggiungere il loro scopo, di appoggi in Svizzera. Un
modo di agire che, definirlo all'acqua di rose, scandaloso e
vergognoso, è poca cosa. Completamente differenti sarebbero stati i
contegni e i risultati se, su quel funesto elenco, ci fosse stato il
nome di un magistrato. Sicuramente qualche richiesta, per avere a
disposizione mezzi blindati per la propria sicurezza, sarebbe
approdata anche sul tavolo del Dipartimento Militare Federale. E a
far aumentare i pericoli ci ha poi pensato la tua amica e collega Del
Ponte, acquisendo agli atti, quindi alla portata di tutti, diversi
rapporti che lei aveva ricevuto in via confidenziale e che
comprendevano argomenti tecnico - investigativi, dunque di nessuna
rilevanza ai fini di acquisizioni di prove contro i vari prevenuti.
Quali sono state le conseguenze? Pensando soprattutto all'incolumità
delle persone (agenti di polizia e informatori), abbiamo dovuto
ricostruire tutta la rete di copertura, il che aveva comportato una
notevole spesa per lo Stato. Un agire in tal senso della Magistratura
denota, quantomeno, una assoluta leggerezza che sta, a mio avviso, a
significare totale disprezzo per la vita e la sicurezza di persone
che sono attive, semplicemente e professionalmente, nella lotta
contro un genere di crimine organizzato che va espandendosi sempre
più anche all'interno dei nostri piccoli confini. Era con queste
parole che denunciavo al comandante Dell'Ambrogio, con rapporto
datato 3 maggio 1991, tale situazione. Aggiungevo anche che, se
dovesse diventare prassi comune acquisire agli atti dell'inchiesta
notizie del genere citato, era inimmaginabile poter continuare a
condurre inchieste mascherate. Un'inchiesta, esaminando gli elementi
raccolti da un'angolazione, per quel che mi concerne esclusivamente
investigativa, che la si può, in senso figurativo, paragonare ad una
tavola imbandita a festa, quella delle grandi occasioni, che capitano
una sola volta nella vita, maldestramente rovinata per la presenza di
cibo avariato sicuramente preparato dall'aiuto cuoco con la
collaborazione del lavapiatti.
Operazione
"Cotugre" - Troja Alessandro
Così
è stata denominata l'operazione per i suoi risvolti internazionali:
"co" per Colombia, "tu" per Turchia e "gre"
per Grecia. Il defunto Troja, siciliano, pregiudicato poi diventato
informatore di polizia, si era messo ai nostri servizi attraverso il
Comando dei Carabinieri di Milano con il quale già stava
collaborando in una loro indagine (operazione Bosco) che coinvolgeva,
fra i tanti, un noto personaggio, tale Akguller Adem, alias
Türküresin Hamza, turco, referente del clan dei Morabito, potente
famiglia calabrese. Il citato Akguller, sotto la falsa identità di
Türküresin, emergeva in tutta chiarezza nell'inchiesta istruita
contro i fratelli Magharian, e si inseriva nel preciso contesto del
traffico di eroina e del relativo riciclaggio dei proventi.
D'altronde era già conosciuto quale trafficante essendo stato
arrestato, nel 1984 a Milano, con 15 kg di eroina.
L'inchiesta
Magharian stava ormai per concludersi e, l'attuale PG Mordasini che
aveva "ereditato" l'incarto, era nell'imminenza
dell'emissione dell'atto d'accusa. Si decise allora, con il consenso
del PP, di approfondire le indagini sul personaggio Akguller con la
collaborazione dell'informatore Troja. Venne alloggiato, con a fianco
il sottoscritto, presso l'albergo Losone. Premessa dovuta, questa,
tanto per sgomberare il campo da altri eventuali e possibili,
stupidi, commenti già sentiti, e sopportati in passato, prima e dopo
l'assassinio del Troja. Per dimostrare anche, se ce ne fosse ancora
bisogno, malgrado tutti i difetti presenti nella mia persona, che ho
sempre giocato, professionalmente parlando, a carte scoperte. Cosa di
non poco conto, che altri non hanno fatto, non fanno e non faranno
mai.
Risultati
e risvolti del caso Troja sono noti. Tu eri il titolare, fino al
momento del grave fatto di sangue, dell'inchiesta. L'assetto
operativo era chiaro fin dagli inizi: da una parte la fonte
colombiana identificata nella persona di Ramirez Pablo in combutta
con la nota famiglia Grajales che, a sua volta, era operativa con il
famoso trafficante Santacruz - Londono Josè, dall'altra il già
citato Akguller nella funzione di referente della famiglia Morabito.
Noi, cioè il Troja ed il sottoscritto, in mezzo, a mantenere i
contatti e trattando con i due poli. Le trattative si basarono sulla
vendita, rispettivamente acquisto, di 15 kg di cocaina. La merce,
come pattuito, doveva essere consegnata, e anche pagata, a Locarno.
Sapendo che il carico di droga sarebbe arrivato in Belgio, nel porto
di Zeebrugge con la nave Capitan Valiente, rammenterai che venne, nel
pieno rispetto delle leggi vigenti, pianificata una consegna
controllata. In altre parole la droga, i "nostri" 15 kg
dovevano essere prelevati dalla nave e trasportati, via terra, fino a
Locarno per la dovuta consegna.
Rammento
di essere intervenuto più volte, anche con toni accesi, spiegando e
predicando, nei minimi dettagli, il "modus operandi" che i
colombiani avrebbero usato in un caso del genere. In fin dei conti
una cosa molto semplice, elementare, una regola fissa, e cioè che
trattandosi di una spedizione che veniva fatta via mare, con un
mercantile, dovendo i colombiani seguire tutto un iter (altra regola
fissa) corruttivo, i medesimi avrebbero caricato un quantitativo di
gran lunga maggiore, destinato a diversi altri "clienti", e
che quindi la nostra parte l'avremmo dovuta prendere proprio da quel
quantitativo. Fiato sprecato, nessuno recepì il messaggio,
importante e determinante per la buona riuscita dell'operazione.
Ritenuto:
che le autorità del Belgio avevano accettato e approvato,
ufficialmente, tutti gli schemi legali della consegna controllata da
noi proposto; che nell'accordo sottoscritto dalle parti, via
Interpol, si è parlato di un unico quantitativo di 15 kg di cocaina
che doveva arrivare a bordo della nave Capitan Valiente, sarebbe
bastato seguire il mio consiglio affinchè, il tuo collega di
Bruxelles, non potesse rifiutarsi all'ultimo momento, come invece ha
fatto, di dare via libera alla progettata operazione, avvalendosi, e
non poteva fare altro, di un vizio di forma sui contenuti della
nostra (tua) richiesta.
Sulla
nave c'erano, infatti, 100 kg di cocaina e non 15 come è stato
scritto sulla richiesta d'autorizzazione giunta nelle mani del tuo
corrispondente in Belgio. Considerato che in quel momento, in Belgio,
erano presenti nostri colleghi con il Troja pronti per effettuare il
trasporto, che il gruppo dei Morabito, per mano dell'Akguller, aveva
già anticipato ai trasportatori 70'000 $, che il sottoscritto si
trovava a Losone nell'omonimo albergo, in stretto contatto con altri
emissari dell'organizzazione criminosa, aspettando l'arrivo e il
pagamento della merce, che era già stato predisposto un adeguato
servizio di sorveglianza per eventualmente scoprire la fonte del
denaro; considerando tutto ciò, mio caro Jacques, mi viene ancora
oggi la tremarella, rabbrividisco pensando che non sei stato capace
di correre ai ripari, di trovare una soluzione alternativa, senza
oltrepassare i limiti legali consentiti, come ti avevo proposto. E ti
avrebbe seguito, e sostenuto, anche il Ministero Pubblico Federale.
Bastava prendere una ferma e convinta decisione come quella, che ti
avevo suggerito, di sostituire la cocaina tanto da poter permettere
la consegna e di concludere, di conseguenza, positivamente
l'operazione.
Jörg
Schild, ex capo del Ministero Pubblico Federale e attuale Consigliere
di Stato del cantone di Basilea Città, personalmente interpellato,
mi aveva confermato che doveva essere il titolare dell'inchiesta a
decidere in merito, non contrario come tu chiedevi. Ti avevo
telefonato, inizialmente supplicandoti, con la speranza di riuscire a
convincerti, e infine imprecando e bestemmiando notando che eri sordo
come una campana. "Scalare una montagna è ardua impresa, ben
più difficile è scendere", ha detto un mio grande amico, non
poliziotto, facendo un indovinato e positivo accostamento con
l'inchiesta mascherata. Oso sperare che tu capisca che cosa si
intende dire con un paragone del genere.
Troja
ed io ci siamo trovati in una simile e precisa situazione, in cima ad
un'impervia montagna, incapaci di scendere perché i soccorritori non
hanno voluto, nemmeno tentare, aiutarci. Morale conclusiva: il Troja
brutalmente assassinato ed il sottoscritto che ha rischiato di fare
la stessa fine, ennesimo pericolo scampato, salvato da una partita a
bridge, si potrebbe dire, dal rifiuto ad un semplice invito che il
defunto mi aveva fatto. Chi ha ucciso il Troja? Chi ha segnato il mio
destino lasciando in terra, vicino al corpo inerme del Troja, quel
chiaro messaggio di morte rappresentato da una pallottola inesplosa
posta in piedi, come lo ha definito un grande ed autorevole esperto
di mafia qual'era il compianto giudice Falcone? Non ti sei mai posto
simili interrogativi? Non ti senti, moralmente, responsabile di tutto
ciò? Personalmente, e ho già avuto modo di dirlo e scriverlo, mi
sono sentito, e mi sento tuttora, moralmente responsabile della morte
del Troja.
La
vita, la nostra, quella di inquirenti di battaglia, dovrebbe essere
fatta da equilibrate e coraggiose persone, capaci, professionalmente
preparate e responsabili. Hai forse dimostrato, in tale circostanza,
e non solo in questa, di avere una di queste componenti? Mi dispiace
dirtelo, ma affermare che sei stato un coniglio sarebbe una grave
offesa per questa simpatica categoria di roditori. Pur avendo una
montagna di indizi, validi, vestiti di tutto punto come si dice per
la chiamata di correità, non voglio, in questo momento, relazionare
fatti, circostanze e nomi circa i presunti responsabili di tale
gravissimo evento. Lo farò solamente quando mi saranno date delle
garanzie, quando sarò sicuro che verrà fatta una vera inchiesta,
concreta, approfondita e meticolosa. Farlo ora sarebbe solo tempo
sprecato.
Inchiesta
Vinci - Cannavà Domenico, Toledo William, Oliverio Egidio alias
Steiner Roberto detto "Rudi" e Co.
Certamente
conoscerai nei dettagli l'inchiesta in oggetto. Direttamente non me
ne sono occupato, a parte alcune informazioni sviluppate per conto
dei colleghi di Lugano che si occupavano del caso. Sarebbe stato
meglio, a ragion veduta, se mi fossi rifiutato di dare quel modesto,
schietto e trasparente, aiuto che ho dato. È un ragionamento a
posteriori che sto facendo. Non potevo evidentemente immaginare,
nemmeno minimamente, che simile, limitata e superficiale,
collaborazione sarebbe stata, per l'"entourage" luganese,
ghiotta occasione per orchestrare e sferrare un duro attacco alla mia
persona. L'agire della tua collega Del Ponte, oltre che indicare
chiaramente che tipo di clima già regnava in quel tempo, è stato
sconcertante, una vera e propria vessazione. Accettando, con assoluta
leggerezza e superficialità olimpionica, per fatti acquisiti le
idiozie uscite dalla bocca di un burattino interdetto come l'Azzoni
(spinto peraltro dai suoi superiori a comportarsi in quel modo), non
ha esitato un istante ad inviare una lettera di fuoco al comandante
minacciando, testualmente scritto, di "non escludere a priori
l'apertura di un procedimento penale". Roba da far accapponare
la pelle anche a... un pollo congelato se, in definitiva, si tien
conto che il tutto é germogliato da un seme interrato in un campo
arido e improduttivo, da parificare alle accuse, gratuite nella
circostanza, che malvagiamente sono state costruite con semplici
illazioni e con perfidi pettegolezzi! Non sapevo, ne ho però preso
atto, che il termine "deontologia" era stato da tempo messo
al bando, stralciato da tutti i vocabolari della lingua italiana!
Gioivano, "i cari amici", al pensiero di riuscire a
distruggermi. Trattasi dell'ennesima prova, visto tutto quanto finora
descritto, della frenetica opera di deligittimazione che, già a quei
tempi, sistematicamente veniva applicata nei miei confronti. Ma il
loro obiettivo non era solo quello di colpire il sottoscritto, di
infangare la mia persona, di mettermi in cattiva luce. Lo sai anche
tu che riuscendovi, ed è proprio qui che si era insediato il loro
proposito, avrebbero, di riflesso, pensato di offuscare l'immagine
dell'ex Procuratore Dick Marty, mettendo in discussione tutto il
lavoro che lui aveva fatto con me. Ed eravamo negli anni 1988 - 1989,
quindi due anni prima dell'inizio della catastrofe, o terremoto,
"Mato Grosso".
Opera
deligittimante che è poi continuata nel tempo, in maniera
sistematica, paziente e diligente. I "bravi colleghi", in
questo campo si sono dimostrati dei veri ed autentici maestri.
Vediamo un po' più da vicino, entrando nei meandri, questo
biasimevole episodio.
Nell'estate
del 1988, per ragioni professionali, mi trovavo a Los Angeles. Un
mattino, molto presto, tenuto conto del fuso orario, venni svegliato
dal telefono che squillava. All'altro capo del filo vi era il collega
Mora di Lugano che, sapendo della mia, ufficiale, presenza negli
Stati Uniti (stavo vagliando alcune documentazioni dell'inchiesta
Magharian) mi invitava a voler fare alcuni accertamenti sulla persona
di Toledo William. Cosa che io feci. I risultati della ricerca li
riferii all'interessato con una breve nota informativa.
Sostanzialmente gli dicevo che il Toledo William era conosciuto come
trafficante di cocaina e che appariva nel sistema "Naddis"
(informatica federale USA), segnatamente per i suoi stretti legami
che, a quel tempo, aveva con il generale panamense Noriega, pure al
centro di particolari attenzioni da parte della DEA.
Ricordo,
a tal proposito, le preoccupazioni e scetticismo che suscitò, nei
colleghi americani, l'eventuale, preventivato, fermo del Toledo.
Ritenevano che un prematuro, avventato, non coordinato, provvedimento
restrittivo pregiudicasse il buon esito, principe, della loro
operazione, e cioè l'arresto del generale Noriega e la confisca dei
suoi beni. Particolari che pure ho riferito, a chi di dovere, in un
rapporto. Non se ne fece niente, prevalse lo spirito di
contraddizione e, in funzione dei quadri operativi in seno alla
magistratura di allora, prevalse anche quella tanto decantata,
gridata ai quattro venti (chissa perché, oggi abolita), politica del
proprio giardino pulito, incurante delle erbacce e sterpaglie del
vicino. Chi vuole intendere, intenda! E se tu, Jacques, non vuoi
intendere, non me ne frega, assolutamente, un bel niente. E neanche a
farlo apposta, poco tempo dopo venne spiccato un mandato d'arresto,
internazionale, contro il Toledo William. E venne anche arrestato, in
un paese latino - americano. In carcere rimase però poco tempo e,
quando i nostri già si apprestavano a salire sull'aereo per andare a
prelevarlo, lui era già uccell di bosco. I colleghi americani
portarono a termine la loro missione, perché di missione vera e
proprio si trattò. E "vissero felici e contenti", mi vien
voglia di dire.
La
sera, tardi, del 3.1.1989, venni telefonicamente invitato, da parte
dell'ufficio della DEA di Roma, a mettermi in contatto con l'ex
collega Madsen Frank, già della polizia danese che, seppur
superficialmente, avevo già conosciuto, anni prima, nel corso di una
riunione operativa presso il Segretariato Generale dell'Interpol la
cui sede, a quel tempo, era ancora Parigi. Stando a quanto riferitomi
dai colleghi della DEA, Madsen, che si trovava in un albergo di
Lugano, doveva spiegarmi qualche cosa che poteva interessare i nostri
servizi. Quella sera stessa contattai l'ex collega che incontrai il
giorno dopo, al mattino, nell'albergo dove risiedeva. Mi raccontò
che, quando era operativo nella polizia danese, verso il 1980, lui e
il collega della DEA Dennis Silvestri, mio grande amico quest'ultimo
e che conosco da un sacco di tempo, a Copenhagen avevano arrestato,
con circa 8 kg di cocaina, tale Oliverio Egidio. Come molte volte
succede in casi del genere, anche alle nostre piccole latitudini,
dopo aver scontato la sua pena il soggetto ha cominciato a fare,
anche, l'informatore. Aggiunse, il mio interlocutore, che l'Oliverio,
sotto le mentite spoglie di Steiner Roberto (Rudi), si era stabilito
in Brasile, a San Paolo per l'esattezza e che, di quando in quando,
manteneva contatti con lui. Stando al racconto del Madsen, poi
confermato dai fatti, contro tale personaggio, le nostre autorità
avevano spiccato un mandato d'arresto internazionale per traffico di
cocaina e avevano, anche, posto sotto sequestro un suo conto bancario
in un istituto di Ginevra.
Provvedimenti
ingiusti ed ingiustificati, così li definì l'interessato
raccontando l'episodio al Madsen, aggiungendo che era stato in
Svizzera in generale e a Lugano in particolare, non quale
trafficante, bensì nelle vesti di informatore dietro mandato della
DEA del Brasile, a diretto contatto con i vari Vinci - Cannavà,
William Toledo e via dicendo. In sostanza, Madsen, in maniera del
tutto trasparente, auspicava un mio interessamento per vedere se,
eventualmente, si potesse fare qualche cosa. Tra l'altro, un po'di
tempo prima, Steiner, aveva fatto pervenire, alla Procura Pubblica di
Lugano, un manoscritto nel quale confermava questa sua versione, e
una copia era giunta sul tavolo del mio ufficio a Bellinzona. Con il
Madsen, che aveva lasciato la polizia per passare alle dipendenze di
una ditta farmaceutica, multinazionale, quale responsabile dei
servizi di sicurezza, ci si accordò che, per semplificare le cose,
era meglio che lo Steiner mi telefonasse in ufficio. Infatti, quello
stesso giorno, mi telefonò dal Brasile. Mi raccontò tutto quello
che c'era da raccontare, alla sua maniera, evidentemente. Mi
ritelefonò diverse altre volte, dandomi anche delle precise
informazioni, estranee però all'inchiesta in corso a Lugano e che lo
vedeva coinvolto.
Le
risultanze del contatto avuto con Madsen e gli altri avuti,
telefonicamente, con Steiner, relative alle informazioni
sull'inchiesta Vinci - Cannavà, Toledo e compagnia, vennero scritte
in un rapporto, pochi giorni dopo, il 13.1.1989 per l'esattezza,
indirizzato all'allora comandante Dell'Ambrogio con copia alla
Procura Pubblica Sottocenerina. E avevo, anche, telefonicamente,
informato di tutto ciò i colleghi di Lugano. Le presunti funzioni di
informatore, in quel preciso caso, e invocate dallo Steiner, non
trovarono mai conferma, nemmeno in seguito. Il 28.9.1989, quindi
diversi mesi dopo, Azzoni redigeva un rapporto, sempre a riguardo
della citata inchiesta, al comandante Dell'Ambrogio. Ricordo di
averlo letto attentamente, con occhio particolare, senza però
riuscire a capire un gran che. Troppe cose del contenuto mi
sfuggivano, a quel tempo, anche perché non le avevo vissute in prima
persona.
Un
po' di tempo dopo, i colleghi di Lugano, mi contattarono
telefonicamente per riferirmi che stavano per chiedere ufficialmente
un mandato d'arresto contro il Madsen in quanto, secondo loro,
coinvolto in maniera piuttosto grave nella citata inchiesta. Mi
chiesero dei consigli, al che risposi che erano liberi di fare e di
procedere come meglio credevano, che non avevo sposato il Madsen e
che nemmeno era mio parente. Aggiunsi che non avevo nient'altro da
dire oltre a quanto già avevo scritto e spiegato nel rapporto del
13.1.1989. Il 6.10.1989, effettivamente, chiesero ufficialmente un
mandato d'arresto per il Madsen, dal quale risultava che il medesimo
si era reso colpevole di violazione aggravata della LF sugli
stupefacenti e meglio, cito testualmente: "...per
aver, nel giugno - luglio 1988, effettuato in correità con Toledo
William, Oliverio Egidio Giancarlo, Petrucci Paolo e altre persone, a
Lima in Perù, Ginevra e Lugano, l'importazione in Svizzera e il
deposito a Lugano in attesa di essere venduta, rispettivamente
trasferita in Italia, di 32 kg di cocaina, di cui 20 sequestrati a
Lugano il 5.8.1988, occultati nelle cassette di sicurezza di una
banca..."
Non
nascondo di essermi molto meravigliato nell'apprendere tale
situazione. Anche se superficialmente, conoscevo il Madsen, e lo
stesso mi era stato descritto da colleghi, svizzeri e stranieri, che
evidentemente avevano lavorato con lui, come ottima e capace persona.
Mi pareva quantomeno strano che fosse quindi coinvolto in un traffico
di stupefacenti nella misura descritta.
Il
18.10.1989, la PP Del Ponte, inviava una lettera all'attenzione del
comandante dove lo invitava a voler procedere ad un'inchiesta,
all'interno del mio ex ufficio per chiarire, nel modo più completo,
come si erano svolti i fatti. Rilevava come, nel testo del rapporto
Azzoni, erano contenute gravi affermazioni che riguardavano
l'inchiesta in corso a Lugano ed il buon esito della stessa. Non
escludeva, infine, l'apertura di un procedimento penale per
favoreggiamento.
Il
19.10.1989, sempre la PP Del Ponte, inviava una seconda lettera al
Delegato Sulmoni invitandolo a chiarire se, Madsen, avesse avuto un
ruolo di informatore, o collaboratore, di polizia.
L'1.11.1989,
Madsen, venne fermato e quindi tradotto negli uffici della PS di
Lugano per quanto del caso. Contemporaneamente, il collega
Muschietti, informava il sottoscritto dell'avvenuto fermo, chiedendo
ancora delucidazioni sui rapporti intercorsi con il prevenuto.
Ribadivo (ne avevo piene le scatole), e non potevo fare altrimenti,
quanto avevo scritto nel mio rapporto datato 13.1.1989. Invitavo il
collega, per l'ennesima volta, a voler procedere come meglio
riteneva, segnatamente sulla base delle prove, o indizi, raccolti.
Passarono
i mesi, cinque per l'esattezza, senza più sentir parlare di questa
odiosa storia. Un bel giorno, era venerdì 6 aprile 1990 (ti ricordi
del triste "venerdì nero" ?), Azzoni, che si trovava a
Bellinzona per motivi di servizio, chiese espressamente di parlare
con il sottoscritto. Mi riferì che il Madsen era stato interrogato e
che aveva detto delle cose non tanto piacevoli sul mio conto. Azzoni
stesso, dopo essersi recato nell'archivio del comando, mi procurò
copia dei verbali di interrogatorio del Madsen. Era meglio che non li
leggessi. Avevo praticamente già dimenticato simili assurdità, già
digerito le vigliaccherie (termine che tu e Dell'Ambrogio avete
usato) subite. Invece ho dovuto ingoiare un'altra amara realtà,
un'angheria violenta, cattiva perché intenzionale, carica di odio,
con le immancabili gelosie e invidie.
Da
quei verbali, due per l'esattezza, datati 1.11.1989, dai relativi
rapporti redatti all'attenzione della tua collega Del Ponte e da
tutti gli atti ufficiali allestiti precedentemente, traggo alcune
considerazioni che sono, d'altronde, perfettamente evidenziate e
documentate.
La
PP Del Ponte, come dimostrato, non ha minimamente esitato, abituata
com'era ad ascoltare le voci pettegole dei miei colleghi di Lugano, a
scrivere al comandante dicendo che non escludeva a priori l'apertura
di un procedimento penale per favoreggiamento. E chi altri poteva
essere, se non il sottoscritto, il bersaglio da colpire? E perché
non l'ha fatto? Sinceramente mi avrebbe reso un grande favore. Avrei
potuto esprimerle ufficialmente, documenti alla mano, il mio pensiero
a tal proposito.
I
cari colleghi di Lugano, nemmeno loro, hanno esitato ad allestire un
rapporto di richiesta di un mandato d'arresto contro il Madsen,
ritenendolo correo di un gravissimo reato, come lo sarebbe un
traffico di cocaina di quelle dimensioni. Roba, come minimo, da 10
anni di reclusione vista la sua posizione e la sua precedente
attività.
La
PP Del Ponte, con la lettera inviata a Sulmoni, pretendeva sapere se
il Madsen fosse un informatore di polizia. A parte il fatto che
Madsen non è mai stato tale, almeno per quel che mi riguarda, dove
stà scritto che la Polizia è obbligata dire chi sono i propri
informatori? Se il Madsen fosse stato operativo, per conto nostro, in
quella o in un'altra inchiesta a Lugano, lei sarebbe stata la prima a
saperlo.
Madsen,
come già detto, è stato fermato a Lugano l'1.11.1989 e interrogato
la prima volta alle ore 10.50. Visti gli elementi di prova o di grave
indizio che avevano, doveva quantomeno essere interrogato, con le
dovute contestazioni, in maniera specifica per chiarire la sua
posizione all'interno del traffico in cui, prove alla mano, doveva
essere coinvolto. Invece, sempre considerando i sostanziosi indizi
che lo gravavano, è stato sentito superficialmente, "all'acqua
di rose". Si può tuttavia constatare che, nel medesimo
interrogatorio, il mio nome appare diverse volte.
Madsen
viene interrogato una seconda volta alle ore 15.45, cinque ore dopo
il primo. Sicuramente, e lo si può facilmente immaginare, in questo
lasso di tempo, gli addetti ai lavori si saranno riuniti per definire
le prossime mosse, non tanto per provare la colpevolezza del
soggetto, ma piuttosto per eventualmente incastrare il sottoscritto.
E lo si capisce dal come è stato introdotto questo secondo, ultimo,
interrogatorio. Tieni sempre presente che il Madsen, in quel momento,
è sempre indiziato di un gravissimo reato. Cito testualmente: "...Il
Procuratore Pubblico chiede che venga interrogato sulle risultanze
del rapporto di polizia datato 13.1.1989 (ndr: mio) ove fra l'altro
si evince i miei contatti con l'agente di polizia ticinese isp.
Cattaneo Fausto". E segue poi un approfondito interrogatorio per
stabilire quali sono stati i miei contatti con il Madsen, non come
quello di prima, lo ripeto, fatto "all'acqua di rose". In
seguito viene rilasciato, accompagnato in albergo.
Madsen
termina il suo interrogatorio affermando testualmente: "... non
ho più piacere di incontrare Cattaneo..... Sono rimasto offeso dal
fatto che non si sia presentato all'appuntamento (ndr: ero stato
invitato ad una cena alla quale non partecipai espressamente) ....In
questi ultimi tempi agenti della polizia francese (guarda caso) mi
hanno detto "delle cose poco rassicuranti" nei suoi
confronti." Alla mia domanda, rabbiosa, rimbombata nei corridoi
del Pretorio di Bellinzona, tant'è vero che alcuni colleghi sono
accorsi temendo che lo stessi pestando a sangue (magari l'avessi
fatto!), Azzoni mi rispose che la frase esatta usata dal Madsen era
stata: "..Cattaneo è un corrotto..."
C'è
da chiedersi come mai, né i miei colleghi (colleghi per modo di
dire) nè la tua collega Del Ponte, non abbiano dato seguito a simili
pesantissime affermazioni fatte da una persona gravemente indiziata,
così hanno detto e scritto, di un traffico di oltre 30 kg di
cocaina. Nemmeno si sono degnati di informare i miei diretti
superiori. Farlo era un loro preciso dovere, obbligo, sia per provare
la mia, eventuale, colpevolezza sia per scagionarmi, per cancellare
ogni ombra, ogni minimo dubbio, dalla grave accusa, anche se
ipotetica o immaginaria, del reato (d'ufficio) di corruzione con
l'aggravante della funzione. Avrebbero dimostrato buon senso, oltre a
quello del dovere, professionalità e un po', dico solamente un po',
di rispetto verso la mia persona. Quel rispetto che ogni funzionario,
intelligente, delle Istituzioni dovrebbe avere verso il prossimo, sia
esso il peggiore dei delinquenti. Loro non sono stati né rispettosi
e nemmeno intelligenti. Sono delle virtù che si hanno o non si
hanno, che non si possono acquistare al mercato come le banane. E
invece, senza tanti scrupoli, hanno messo l'incarto nell'archivio a
portata di mano di tutti.
Ti
ricorderai della triste scena nel mio ufficio di Bellinzona quando
quegli amici (amici per modo dire, tanto per parafrasare Renato
Pozzetto) si sono dimostrati solidali con me e tutti in coro, tu
compreso, a dirle grosse sul conto di quelli di Lugano. Quelle stesse
persone che poi, due anni più tardi, mi hanno, meschinamente e
ignobilmente, voltato le spalle schierandosi, per pura convenienza,
sull'altro fronte. Il perché, di questo loro spregevole
comportamento, lo vedremo, in dettaglio, in seguito. Eri presente
anche tu quando, quella sottospecie di essere umano che risponde al
nome di Azzoni Sergio, terrorizzato dalla paura di essere linciato,
dopo essersi scusato (meno male) ha detto di essere stato aizzato o
istigato, dai suoi superiori di Lugano, a comportarsi in quel modo. E
le tanto decantate e invocate prove di colpevolezza, contro il
Madsen, che a loro dire avevano, in definitiva, che cosa si sono
rivelate essere se non un castello di sabbia? Quale obiettivo
volevano colpire se non il sottoscritto visto come sono andate le
cose?
Davanti
a tali ingiustizie reagii con un rapporto, datato 13 aprile 1990,
indirizzato al comandante invitandolo ad intervenire, energicamente,
per porre fine a tali antipatiche situazioni. Fu però solamente, la
mia, una pia illusione. Simbolica punizione ad Azzoni con un
ammonimento ufficiale e il resto... nel dimenticatoio!
Ultima
considerazione, di carattere strettamente personale, prima di
chiudere questo capitolo dai risvolti allucinanti. Ancora una volta,
e non era la prima, sono riusciti a dimostrare tutta la loro bassezza
d'animo, infima. Dopo la mia classica, inevitabile, sfuriata, a mente
fredda quindi, ho provato, e lo sento tuttora, un sentimento di
commiserazione, per aver raggiunto il convincimento che,
professionalmente parlando, nei miei confronti e in quelli di tanti
altri bravi inquirenti, saranno per sempre dei semplici pezzenti, con
tutto il rispetto e tutta la comprensione verso chi, per necessità,
è costretto a mendicare.
Operazione
"Mato Grosso"
Era
dunque con questo carico di tensioni, che mi apprestavo ad effettuare
la trasferta in Brasile per dare inizio ad un'ampia operazione sotto
copertura poi denominata, viste le varie connessioni, "operazione
Mato Grosso". E la trasferta in Brasile non è stata
improvvisata, decisa all'ultimo minuto, ma preparata nei dettagli
molto tempo prima, e la data della partenza rinviata, per varie
ragioni, più volte.
Mesi
prima, se ben ricordo nell'autunno del 1990, il comandante
Dell'Ambrogio aveva partecipato ad una riunione di lavoro, di alto
livello, presso il Segretariato Generale dell'Interpol nella nuova
sede di Lione, alla quale erano presenti delegati di tutti i Paesi
affiliati, di tutto il mondo. Oltre ad essere rimasto molto
impressionato, favorevolmente, della popolarità, della buona fama
che avevo nei presenti (il fatto lo colpì talmente che lo indusse
poi ad esprimermi, per scritto, questo suo sentimento d'orgoglio),
ebbe anche un colloquio particolare, di lavoro, con i massimi vertici
della polizia federale brasiliana. Sostanzialmente, chiedevano la mia
collaborazione per sviluppare alcune indagini che, secondo il loro
dire, toccavano da vicino anche la Svizzera.
E
non fu casuale o frutto d'invenzione la loro richiesta perché,
effettivamente e in collaborazione con il BKA, New Scotland Yard e
DEA, già stavano indagando in quell'operazione poi denominata, di
comune accordo, "Mato Grosso". E prima ancora di partire,
il sottoscritto, diligentemente e come sempre era abituato a fare,
aveva esaminato e vagliato tutte le informazioni raccolte, trovando
in esse oggettivi e concreti riscontri, come risulta dal rapporto
datato 20 febbraio 1991 indirizzato al comandante con copia alla
Procura Pubblica.
Non
doveva essere Azzoni ad affiancarmi nella missione che stavamo
intraprendendo, ma bensì Galusero che già conosceva, per avermi
accompagnato in altre precedenti, importanti, pericolose e riuscite
operazioni, sistemi, comportamenti, tecniche e tattiche che adottavo.
Tuttavia, sapendo dell'imminente trasferta in Brasile, la tua collega
ed amica Del Ponte, chiese ufficialmente di interrogare il "Rudi
Steiner" circa l'inchiesta, che lo vedeva coinvolto, in corso a
Lugano. Cioè in quell'indagine di cui al capitolo precedente, dove
era emersa, parallelamente, l'intenzione di colpire il sottoscritto.
Rifiutai.
E che altro potevo fare? Dar seguito alla richiesta per poi
permettere a questa brava gente di accusarmi di non so che cosa come
era già, poco tempo prima, successo? Quelli di Lugano, che si erano
dimostrati così meschini nei miei confronti, potevano arrangiarsi in
altro modo, per esempio andando separatamente a San Paolo per
interrogare "Steiner". Ma non si poteva, nossignori, non si
poteva perché bisognava contenere le spese. Eccomi così sull'aereo,
il 25.2.1991, con l'amico-nemico Azzoni. Non che la cosa mi
disturbasse, o preoccupasse, più di quel tanto. Sapevo quali
sarebbero state le sue funzioni nei lavori sotto copertura, ovvero
marginali, di contorno quali sono quelle di un guardiaspalle (o
"gorilla" come si dice in gergo, ne ha perfino le fattezze,
meglio di così...) e che quindi la sua presenza, pur non riponendo
nessun tipo di fiducia in lui, non avrebbe compromesso le trattative
mascherate che mi accingevo a svolgere. Per prima cosa, subito dopo
l'arrivo a San Paolo il 26.2.1991, Azzoni ha provveduto
all'interrogatorio del "Rudi Steiner" (diventato poi nel
tempo, come vedremo dettagliatamente in seguito, suo grande amico e
complice in almeno tre gravi episodi di grossi traffici di cocaina,
che tu ben conosci), interrogatorio disposto dalla PP Del Ponte.
Il
27.2.1991 vi è stato un incontro con il dott. Precioso Roberto, capo
dei servizi antidroga della polizia federale in San Paolo.
Il
giorno dopo, cioè il 28.2.1991, partenza da San Paolo per Brasilia
(capitale) per un incontro con i vertici (corrotti, come si è poi
scoperto in seguito) della polizia federale, quelle stesse persone
che il comandante Dell'Ambrogio aveva incontrato a Lione.
L'1.3.1991,
presso l'ambasciata americana, incontro con il collega del BKA comm.
Heidtmann Oliver. Lo stesso giorno altro incontro, questa volta
presso l'ambasciata inglese, con il collega del New Scotland Yard,
Crago Martin.
Il
2.3.1991 partenza per Rio de Janeiro per dare inizio alle fasi sotto
copertura vere e proprie, di persona, poiché precedentemente vi
erano stati unicamente dei contatti telefonici.
Il
5.3.1991, da solo, lasciando Azzoni a Rio de Janeiro quale
collegamento, sono partito ancora per San Paolo per un ulteriore
contatto con il collega Precioso, per attingere e sviluppare nuove
informazioni.
Il
7.3.1991, da San Paolo, nuova partenza per Brasilia e altro incontro
con i capi federali. Il giorno dopo rientravo a Rio de Janeiro dove,
all'aeroporto, Azzoni mi attendeva con i due informatori, Franco
Fumarola e Carlos Bravo che già da alcuni giorni si trovavano nella
metropoli brasiliana ad attendermi.
Non
immaginavo, nemmeno minimamente, che avrei dovuto confrontarmi con
un'altra, sgradita, sorpresa. Infatti, durante la mia assenza da Rio
de Janeiro, Azzoni, sempre lui, tanto per non venir meno alle sue
immense doti di vigliacchetto puzzolente, non trovò di meglio che
riferire, ai suoi colleghi di Lugano, che ero sparito senza dire
nulla, che da giorni non aveva più mie notizie e che, esattamente,
non sapeva cosa stessi facendo. Circa quest'ultimo particolare aveva
ragione: mai gli avevo riferito nei dettagli, per evidenti e
comprensibili motivi, quello che stavo facendo. Se fosse stato un
altro, tutto bene; ma dire certe cose a un tipo dai particolari
connotati caratteriali come lui (megalomane, egocentrico, pettegolo,
vigliacco, buffone, bugiardo, e chi più ne ha più ne metta), cose
delicate, importanti, equivaleva a perdere totalmente il controllo
della situazione. Sarebbe stato tecnicamente parlando, un vero e
proprio suicidio professionale.
E
i fatti mi diedero ragione ancora una volta visto come, questo suo
ennesimo stolto e stomachevole comportamento, sollevò, con l'effetto
a catena, un polverone tremendo fatto di stupidi commenti e
affrettate illazioni. Sai perfettamente bene, visto che anche tu sei
uno specialista in questo genere, che cosa produce, i danni che
provoca, l'arte dello spettegolare, puoi benissimo immaginare che
cosa sia successo nel caso specifico: quelli di Lugano, i simili di
Azzoni, ne parlarono (non so cosa) con la PP Del Ponte che, a sua
volta, riferì (non cosa, ma lo posso immaginare) al PP Mordasini.
Preoccupato, ne parlò con i miei diretti superiori ed ex colleghi
che poi, in definitiva, mi consigliarono di stare calmo, di cercare
di appianare il tutto parlandone, con i dovuti modi,
diplomaticamente, con Azzoni. Con il risultato, aggiungo, che negò
spudoratamente tutto. Cosa dovevo fare? Ucciderlo forse? Come le
altre volte, lasciai perdere. E non eravamo che agli albori di tutta
la storia, non si parlava ancora, "pardon", non si
spettegolava ancora di Isabel Maria, ora legittimamente, segnatamente
dal 7.10.1993, mia moglie, non sapevo esistesse.
Già
che siamo nel tema che riguarda la personalità di Azzoni (un pallone
gonfiato e gonfiabile a piacimento), vale la pena di aprire una breve
parentesi, che si scosta dal fulcro dell'argomentazione "Mato
Grosso", e che ti ha toccato da vicino. Certo ricorderai di
quell'inchiesta, sotto il pieno controllo del Ministero Pubblico
Federale, esperita contro quei trafficanti colombiani che avevamo
alloggiato in un appartamento di Lugano-Paradiso. Ricorderai anche
che, per il tramite del suddetto ente federale, ai colombiani, che si
apprestavano a far giungere un grosso carico di cocaina nel porto di
Genova, era stata data, in anticipo, una specie di garanzia per
acquisire la fiducia, 5.000 o 10.000 dollari USA. Indagine poi andata
a farsi benedire per diversi motivi che non voglio ora rammentare, se
non uno. Forse quello più importante, determinante, cioè che in
assenza, evidentemente, dei colombiani, l'appartamento in questione
veniva usato, per appagare i propri desideri sessuali, chiaramente
extra coniugali, da un mio superiore.
Era
talmente rimbambito da voglie, amplessi e orgasmi che, quando
telefonava alla moglie per giustificare il suo ritardo con banali
scuse di lavoro, si dimenticava perfino che l'utenza era stata messa
sotto controllo. Quando gli interpreti, costantemente in ascolto
presso la centrale del Ministero Pubblico Federale, il cui ordine era
quello di avvertire immediatamente gli addetti ai lavori non appena
accertata la presenza dei colombiani (si erano assentati per qualche
giorno), diedero l'allarme convinti che erano ritornati (avevano
fatto confusione ascoltando una incomprensibile voce che parlava
dialetto ticinese), non ti dico cosa è successo. Preferisco
rispondere alle domande di riserva. Scene da baraccone, degne di un
film comico, tanto per intenderci, il cui titolo potrebbe essere
"Fantozzi undercover" (sotto copertura letteralmente, di
fatto sotto le coperte).
Comunque
sia, i colombiani informati poi da un taxista dell'andirivieni del
graduato dall'appartamento, un bel giorno, in sordina, si
apprestarono a lasciare Lugano. E vi fu quel nostro intervento nei
confronti dei colombiani, voluto, pianificato e preparato nei
dettagli, a scopo intimidatorio, che nella realtà sarebbe successo
veramente, con l'intento di raddrizzare la situazione. Spedizione
"punitiva" alla quale partecipò anche Azzoni. Ricorderai,
a tal proposito, le reazioni della PP Del Ponte, che a tutti i costi
voleva incriminare, per rapina e sequestro di persona, i mandatari
dell'operazione, Jörg Schild e sottoscritto inclusi, vertenza poi
appianata grazie al tuo intervento. Non ti sei mai chiesto chi è
stato ad andare dalla PP Del Ponte a spifferare, in modo del tutto
distorto, la storia? Azzoni, sempre lui, l'imbecille, mandato,
istigato, da altri. Rammento che questo fatto venne dicusso con
l'interessato, assieme all'altro più sopra descritto, nelle
circostanze conosciute a Rio de Janeiro.
Fine
dell'inserto. Ti stavo dicendo che a quel tempo non conoscevo ancora
mia moglie. Non sapevo della sua esistenza e nemmno immaginavo che,
di lì a poco, in maniera del tutto fortuita e grazie soprattutto al
comportamento spavaldo, da perfetto idiota, tenuto dal Franco
Fumarola, l'avrei incontrata. Però, ed è proprio il caso di dirlo,
come dice un vecchio adagio o proverbio, "non tutto il male
viene per nuocere". Durante la mia assenza da Rio de Janeiro,
circostanze testé descritte, il Fumarola, casualmente, capitò nella
gioielleria-boutique dove lavorava mia moglie. Non trovò di meglio,
per darsi importanza e con l'intento di conquistare le attenzioni di
una bellissima donna, laureata in giurisprudenza, amica intima di mia
moglie ed impiegata nella stessa catena di gioiellerie, che
spacciarsi come agente speciale dell'Interpol, che lavorava per
diverse organizzazioni di polizia, quella federale brasiliana
compresa. Esibì anche dei documenti, delle patacche ovviamente, per
essere più credibile e per avere l'effetto sperato. Diverse persone
assistettero a questa sceneggiata e tutte ascoltarono quando disse
che in negozio avrebbe portato anche il "suo grande capo Franco
Ferri", mio nome di copertura in quell'operazione.
Qualche
giorno dopo feci capolino, accompagnato dal Fumarola, nel citato
negozio. In quei momenti tutti rimasero colpiti dal modo con il
quale, il Fumarola, mi chiamava, una volta Franco Ferri, un'altra
Fausto e un'altra ancora Tato. Confusione generale. Ma solamente una
settimana più tardi parlai direttamente con quella donna che, due
anni dopo, sarebbe diventata mia moglie. Mi ero presentato,
accompagnato da Azzoni, che tutti pensavano fosse il mio guardaspalle
o "gorilla" (visto che le somiglianze con l'animale, come
anticipato, hanno prodotto l'effetto sperato?), per ritirare alcuni
oggetti che avevo acquistato a titolo personale. La venditrice, con
la quale avevo trattato in precedenza, non era presente quel giorno.
Di conseguenza parlai con Isabel Maria, con mia moglie. Ritirai gli
oggetti e li pagai, compresi quelli di Azzoni che al momento non
aveva contanti, con degli eurochèques, miei personali. In quella
conversazione, incuriosita dalle varie identità con le quali le ero
stato presentato, mi disse che probabilmente dovevo essere un'"agente
segreto" o qualche cosa di simile.
La
conferma di tale dubbio l'ebbe poi in seguito quando, fra me e lei,
si sviluppò un certa relazione di amicizia e di simpatia. Avevo, in
quel preciso periodo, già intrattenuto diversi contatti sotto
copertura e, le trattative, sembravano andar bene. Per esempio, avevo
già conosciuto e discusso, parecchie volte con i proprietari
dell'elegante ristorante "Baroni e Fasoli" situato
nell'altrettanto elegante quartiere di Ipanema, poco distante da una
delle gioiellerie citate, due noti camorristi, Solimena Luigi,
29.8.1948, da Napoli, detto "Gigi", e Buondonno Vincenzo,
30.8.1956, da Napoli, detto "Enzo", personaggi che ti
dovrebbero far ricordare parecchie cose (vedi mio rapporto del
12.4.1991) e dei quali parlerò ancora in seguito, rinfrescandoti
così la memoria.
Sapevo
che la loro reale attività, la più redditizia, era il traffico di
cocaina e che tutto il resto, ristoranti e altro era solo un concreto
e funzionale paravento, tipico e classico sistema usato dal crimine
organizzato. Sapevo, quantomeno lo immaginavo dai loro discorsi, che
il ricavato della cocaina che arrivava in Italia, affluiva in taluni
conti bancari svizzeri. Bisognava solo scoprirlo, e ci sarei
riuscito, eccome ci sarei riuscito, e te l'avrei preparata tale
inchiesta, farcita di tutto punto, come una pizza, servita in un
piatto d'argento se, anche minimamente, credevi in me. Ma, alla fin
fine, a parte i pettegolezzi, nei quali hai sempre ciecamente creduto
(e qui vien fuori il tuo carattere, la tua personalità, roba da
scrivere un libro) non avevi nessun altro elemento, valido, per non
farlo.
Sapevo
infine che "Gigi" ed "Enzo", in combutta con
alcune agenzie di viaggio di Rio de Janeiro, da diversi anni avevano
costruito un altro, ed altrettanto efficace, paravento, cioè quello
delle pubbliche relazioni nel campo dei gioielli e, particolarmente,
delle pietre preziose per conto della grande ditta Moreno SA [NdA:
Società Anonima] dove, pure da diversi anni, lavorava mia moglie. Tu
sai perfettamente, perché lo hai vissuto, anche se a modo tuo, come
sia efficace il paravento del commercio di preziosi nel riciclaggio
di denaro sporco, difficile da provare senza il supporto di una vera
indagine.
Lasciando
un segno profondo dietro di sè e indicando quali erano le vie,
future, da seguire, l'operazione "Octopus" avrebbe dovuto
insegnarti qualche cosa. Tu invece non hai capito nulla di tutto ciò.
Infatti non è per semplice casualità che, te lo anticipo e lo
vedremo poi dopo approfonditamente, oggi ti ritrovi, nell'ambito di
questo preciso ramo del "Mato Grosso", con una (non è
l'unica) patata bollente fra le mani che sicuramente finirà in un
"non dar luogo a procedere" o decreto d'abbandono perché
non ci sono, nemmeno l'ombra, elementi probatori o, quantomeno,
concreti indizi.
Ero
quindi convinto, per ritornare al filo del racconto, che mia moglie
Isabel Maria forzatamente conosceva sia il "Gigi" sia
l'"Enzo", fatto poi confermato come vedremo in seguito.
Tuttavia non le dissi nulla in proposito, non feci nessun tipo di
nome a riguardo delle mie persone di contatto. Sapeva solo che ero un
agente di polizia in missione speciale. Rammento che mi raccomandò
di fare molta attenzione, di essere attento, e di tener soprattutto
sempre presente, l'alto livello di corruzione delle istituzioni del
suo paese, specialmente nella polizia. Mi segnalò anche alcuni
strani movimenti di persone, vicine ai due napoletani camorristi, che
erano giunti al punto di sorvegliarmi e pedinarmi per vedere cosa mai
facessi nella gioielleria.
Di
fronte a queste circostanze mi aiutò con una messinscena
improvvisata fingendo una vendita di gioielli e pietre preziose, per
oltre 100.000 dollari USA. Coinvolse pure un loro stilista che fu
incaricato di disegnare due progetti di anelli e collane che
contribuirono a rendere più verosimile la messinscena. Capii, di
conseguenza, che lei sapeva tante cose, che avrebbe potuto aiutarmi
nelle indagini, che era, insomma, una preziosa fonte d'informazioni
in particolar modo a riguardo del "Gigi " e dell'"Enzo".
E così cominciò a darmi informazioni, attingendole anche attraverso
suoi collaboratori e collaboratrici che maggiormente erano attivi
nelle pubbliche relazioni delle gioiellerie, una rete fittissima per
chi non lo sa, e di riflesso più vicine ai due personaggi che mi
interessavano.
I
medesimi erano molto prudenti. Tieni presente che l'"Enzo"
era il braccio destro di Buscetta Tommaso quando questi, anni prima,
si era rifugiato a San Paolo aprendo un ristorante battezzato "La
Camorra". Esercizio pubblico poi rilevato da lui stesso quando
il Buscetta, per le note vicissitudini, venne arrestato ed estradato
in Italia. Poi, dopo aver stipulato un'alta polizza assicurativa, il
ristorante venne dato alle fiamme, due volte per l'esattezza. Gente
che non scherzava, abituata, con estrema facilità, ad eliminare,
pronta ad uccidere, meglio dire fare uccidere (così potevano crearsi
degli alibi di ferro), chiunque intralciasse il cammino. Elementi che
occupavano un alto posto gerarchico nel clan camorristico delle
famiglie Rinaldi e Mazzarella, intimi di Maradona e dentro tutti i
loschi affari dell'Associazione Calcio Napoli. Ed io ho vissuto, per
quel che mi concerne, una prima mondiale come potrebbe apparire
quella di un assassinio preannunciato, un fatto che è venuto ad
arricchire, se così mi è permesso di definirlo, la mia già grande
e vasta esperienza. Mai però mi era capitata una cosa del genere.
Erano
prudenti, ho detto poc'anzi, per il semplice fatto che, diversi loro
corrieri, erano sistematicamente caduti mentre trasportavano cocaina
in Europa, alcuni in Svizzera, come ad esempio: Riccobono Francesco,
arrestato a Basilea, Ianiello Giuseppe, arrestato a Basilea, Pinalli
Domenico, pure arrestato a Basilea e Bianchini Adelio, arrestato a
Ginevra l'1.1.1991, vale a dire esattamente due mesi prima che io li
incontrassi. Più che giustificata la loro prudenza. E sapevano anche
che qualcuno, molto vicino, li tradiva, sapevano che c'era una talpa
che, ogni qualvolta partiva un corriere, si affrettava a passare
l'informazione a chi di dovere. Me l'hanno detto in faccia, molto
chiaramente, che appena avuta la certezza quella persona si sarebbe
trovata, testualmente detto: "...ai piedi del Corcovado, della
montagna del Cristo Redentore, con i coglioni in bocca...". Più
chiaro di così... si muore! Io avevo buon gioco perché arrivato
dopo i fatti, quindi insospettabile, e potevo anche trarre enormi
benefici investigativi dalla loro necessità, come sempre avviene in
questi casi, di cambiare sistemi, necessità assoluta, imposta
dall'alto, pena la morte, di rivoluzionare tutti, e dico e ripeto
tutti i canali del traffico, principalmente quelli del riciclaggio.
Bisognava solo avere fiducia e pazienza, molta pazienza, lavorare con
calma, molta calma, con tranquillità, bisognava che al posto tuo ci
fosse stato un Magistrato dal carattere fermo, coerente ed
intransigente con i pettegoli e relativi pettegolezzi che invece tu
hai accettato come oro colato. Persone, questi pettegoli, ora tuoi
stretti collaboratori (chi si somiglia si piglia dice un altro
vecchio, ma sempre valido, adagio o proverbio), dai bassi rilievi
culturali, che ancora oggi pensano che tutte le brasiliane sono donne
di facili costumi, di facile conquista sessuale. Ma si dimenticano,
queste persone, che donne di simili profili e, peggio ancora, di
squallidi contenuti morali, si possono trovare nel palazzo dove
lavoravo e dove tu lavori tuttora, vero Jacques?
Dal
comando dei Carabinieri di Napoli trovai conferma che effettivamente
c'era una loro talpa, un loro informatore, a fianco dei due
delinquenti. Non ho voluto sapere, e nemmeno ho chiesto chi fosse. A
volte è meglio non sapere certe cose e questo era il classico
esempio: meno si sa, meglio è! Mi era bastata la conferma. E mi son
dato da fare per salvare la pelle a quel poveraccio che, ormai, aveva
i giorni contati. Avevo dei sospetti, mia moglie mi aveva detto chi
poteva essere, tale Farina Roberto che lei conosceva personalmente,
italiano, pure nel commercio delle pietre preziose e delle pubbliche
relazioni congiuntamente al "Gigi" ed all'"Enzo",
nonchè assiduo cliente del loro ristorante, del "Baroni e
Fasoli". Dovevo assolutamente trovare un telefono sicuro, per
ridurre al minimo il pericolo, non escludendo possibili pedinamenti
come era già avvenuto, che qualcuno potesse poi risalire al numero
che componevo.
E
dove potevo trovarlo se non con l'aiuto di Isabel Maria, che era,
ormai, diventata una preziosa collaboratrice? Da casa sua, dei suoi
genitori (ebbi così l'opportunità di conoscerli), non avevo altra
scelta, telefonai in ufficio e spiegai all'ex collega Della Bruna
cosa stava succedendo, pregandola di allarmare urgentemente i
Carabinieri di Napoli. Rimane sottinteso che non feci, per meglio
controllare la situazione, e di riflesso per non correre inutili
rischi, né il nome di Isabel Maria né tantomeno quello della
presupposta, predestinata, vittima. Seppi poi, qualche giorno più
tardi, che i colleghi di Napoli erano stati solertemente avvertiti
del pericolo che stava correndo il loro informatore.
Qualcosa
non ha però funzionato. Un po'di tempo dopo, il Farina Roberto,
venne trovato assassinato nel suo appartamento, ucciso a colpi di
pistola, un tipico regolamento di conti, del genere riservato ai
traditori. La sostanza di quanto avevo potuto stabilire, tacendo
evidentemente taluni particolari e dettagli, tuttavia con i nomi dei
presunti mandatari, la feci al collega ed amico Rosa Paulo, allora
capo dei servizi della polizia federale di Rio. Se ben ricordo era
presente anche Azzoni a quel colloquio. Ho accennato, poco prima, che
avevo avuto modo di conoscere, per un fatto del tutto particolare, la
famiglia di Isabel Maria, quella che sarebbe poi diventata anche la
mia famiglia. E che famiglia, una signora famiglia, ne sono
immensamente orgoglioso, oggi più che mai. La nostra cara amata
Svizzera e il nostro altrettanto caro Ticino, per carità, senza
nessuna polemica, avrebbe bisogno di famiglie del genere.
Te
la descrivo. Isabel è nata e cresciuta a Rio de Janeiro, dove ha
frequentato le scuole elementari, ginnasio, liceo e università che
ha lasciato dopo sei semestri per entrare nel commercio di gioielli e
preziosi. Ha operato alle dipendenze di diverse gioiellerie, fino a
diventare responsabile di una fra le maggiori catene del settore
presenti in Brasile. Suo padre è docente universitario di lingue e
letteratura. Aveva vissuto per parecchio tempo in Europa dove aveva
conseguito, in Spagna, Salamanca per l'esattezza, diverse lauree. La
mamma è casalinga. Ha un fratello, diplomato in chimica, e che
lavora alle dipendenze della multinazionale svizzera Sandoz. Isabel
Maria parla diversi idiomi, italiano, spagnolo e portoghese e
possiede più che buone nozioni di francese ed inglese. Vivono in un
quartiere residenziale, in un bell'appartamento, che hanno acquistato
con il proprio sudore. Un suo zio è ammiraglio della marina. Un
altro, che hai conosciuto, è medico pediatra, sua figlia è
ginecologa e suo marito (coppia che pure hai conosciuto) è medico
chirurgo.
Presentando
questo breve "curriculum" non voglio assolutamente
giusitificare qualche cosa. Ci mancherebbe altro! Dopo tutte le
perfide chiacchiere proferite, uscite da quelle sudicie bocche che tu
ben conosci, voglio solo che si sappia chi è mia moglie e la sua
famiglia, persone onorabili e rispettabili. E che questo sia ben
chiaro! Rifletti, fai un esame di coscienza, sii sincero con te
stesso prima di esserlo con gli altri, e vedrai che la cosa ti ha
toccato da vicino, vedrai che ti ricorderai di aver partecipato ad
alcune "colazioni di lavoro" dove, i temi prioritari
dell'ordine del giorno, erano le chiacchiere e i pettegolezzi sul
conto del Tato e dell'Isabel, dove "les affaires privées"
e i sentimenti degli altri, sono stati odiosamente calpestati. Lista
con nomi, date, luoghi e..."talpa", a disposizione!
Il
cammino della vita in generale è pieno di decisioni che
quotidianamente, nel bene o nel male, si devono prendere: talvolta
affrettate, altre volte ancora, dopo lunghe, giuste riflessioni,
magari dopo essersi consigliati con altre persone. Il cammino del
lavoro sotto copertura è tutt'altra cosa. Te lo dice uno che,
modestamente, ne sa qualcosa, uno che in passato, svariate volte, si
era trovato in situazioni critiche e che sempre era uscito indenne
dalle situazioni di pericolo e di tensione esasperante, riuscendo
però anche, parallelamente, a dare la dovuta protezione ai
collaboratori di turno. Le decisioni, in tali circostanze, si
prendono sui due piedi, immediatamente, non c'è troppo spazio,
purtroppo, da dedicare alla riflessione, alla ponderatezza. Il
cervello, quello adatto a questo particolare tipo di lavoro, è
costantemente sollecitato a ragionare, a funzionare con la massima
rapidità e lucidità, come un "computer". Deve cioè
abituarsi a prendere quelle stesse decisioni che normalmente
richiederebbero tempi più lunghi.
E
di casi, di esempi, ne potrei citare tanti. Ero però affiancato da
colleghi fidati e gli automatismi, già collaudati in altre
precedenti occasioni, funzionavano a meraviglia, alla perfezione.
Questa volta, inversamente, ero affiancato da un collega (per modo di
dire) dalle caratteristiche conosciute, da un tipo del quale non mi
potevo fidare. Conseguentemente, forte delle esperienze negative,
sulla questione fiducia, acquisite in passato, me ne guardai bene dal
dirgli qualche cosa, nemmeno un breve accenno, a riguardo delle
informazioni che mi passava Isabel Maria. Il fatto poi che era una
donna che mi piaceva, che corteggiavo apertamente, con assoluta
trasparenza, particolari questi che tutti sapevano, Azzoni compreso,
cadeva a proposito, come la ciliegina sulla torta, giustificava la
mia presenza nel suo negozio, era insomma una specie di unire l'utile
al dilettevole, come si dice. E non è che l'abbia creato
appositamente questo scenario.
Buondonno
Vincenzo, detto "Enzo", ritenuto che tu lo sappia, il che
non muterebbe assolutamente il quadro dei fatti, non scioglierebbe i
nodi cruciali, i quesiti, relativi ad un incarto che si trova sul tuo
tavolo (una di quelle patate bollenti che ti parlavo), è stato
arrestato mesi fa in Italia, a Napoli, per associazione a delinquere
di stampo mafioso. Reato autonomo in Italia, come tu sai, che però
si inserisce in tutta una serie di altri reati che gli sono stati
contestati e che vanno dall'omicidio, al traffico di stupefacenti,
cocaina in modo particolare e, "dulcis in fundo",
riciclaggio di denaro sporco. In altre parole è stato arrestato per
quegli stessi motivi che io ti avevo preannunciato, ufficialmente,
esattamente cinque anni fa, più precisamente il 12 aprile 1991.
E
qui potrei sciorinarti, non con chiacchiere da salotti parigini della
"belle époque", ma con fatti documentali e concreti, dei
lunghi (magari noiosi perché pungenti) esposti sul crimine
organizzato, sulle giustificazioni legali e relativo impiego degli
agenti "undercover", nonché, visti gli apprezzamenti più
che positivi espressi da più parti, vista l'efficacia che ha
rappresentato e che rappresenta in certi nostri ambienti
istituzionali, un pensiero sulla funzione e sui doveri del
Magistrato, sui pettegolezzi, sulle gelosie e invidie.
Se
da una parte, comprensibilmente, si fa fatica a tenere il passo nella
lotta contro il crimine in generale, dall'altra le voci maligne
fioriscono e si aggiornano costantemente. Tralascio dal farlo perché
ho tantissime altre cose, importanti, da dirti. Mi limito, per quanto
riguarda questo fatto, all'essenziale. Incarto relativo al
riciclaggio di denaro sporco, dicevo, "dossier Hermes Lupi",
agenzia di viaggio, dirai tu. Ti confesso, apertamente e sinceramente
che, in questo momento, mentre sto scrivendo queste cose mi ritrovo
fatalmente con le lacrime agli occhi e, in paritempo, mi accorgo che
la rabbia aumenta d'intensità fino al punto di rodermi le viscere,
di farmi esplodere. Non ti dico cosa ti succederebbe se, in momenti
come questi, mi capitassi fra le mani, te lo lascio immaginare! E se
poi prenderai la decisione di denunciarmi (tu sei lo specialista in
materia, vedi poi tu quali eventuali reati si configurano in questo
scritto), mi concederai l'onore e il piacere, oltre a quello di
rincarare la dose, di far acquisire il presente ufficialmente agli
atti. Nel qual caso ti consiglio di leggere attentamente tutto
perché, come vedi, non ho ancora terminato. Sappi che tutto quello
che ti sto scrivendo, comprese le punteggiature, lo posso provare e
documentare, in larga misura, abbondantemente. Ma ti rendi almeno
conto del male che il tuo comportamento, assurdo, superficiale,
infantile, anormale, che non si addice ad un Magistrato, ha provocato
e provoca ancora? Ti ho già detto una volta, nel corso di una
lunghissima telefonata, che nemmeno i "favelados"
sudamericani si comportano alla tua stregua. Loro, quelli che conosco
e che hanno anche, detto per inciso, curato amorevolmente tuo figlio,
sanno cos'è la dignità, tu invece l'hai persa cammin facendo.
Sei
capace ora di dirmi come farai a connettere Buondonno Vincenzo e Co
con la faccenda dell'agenzia di viaggio citata? Come riciclavano il
denaro sporco? Proprio attraverso quella precisa ed identica agenzia
viaggi, che era anche nel contempo una specie di ufficio cambio, con
il semplicissimo sistema delle false fatturazioni. Difficile da
provare, giustamente, mi risponderai. Ma se tu non fossi stato quello
che hai dimostrato di essere, un inetto, oggi ti ritroveresti con le
prove in mano, non con un pugno di mosche.
E
se ce ne fosse ancora bisogno, ti dò un'ulteriore riprova di quello
che ti sto dicendo, la prova del nove, per farti capire, se vorrai
capirlo (lo dubito fortemente), che i conti tornano. Ti rinfresco
immediatamente la memoria. Ne hai bisogno. Ti aiuterà a guardare in
faccia la realtà.
Il
25 giugno dell'anno scorso, a casa mia, abbiamo festeggiato il
compleanno della nostra bambina Vivian. C'era pure tuo figlio con la
sua mamma e altre due coppie, una brasiliana con la loro figlioletta,
l'altra italo-brasiliana pure con una bambina in tenera età.
Quest'ultima coppia è rimasta mia ospite per un paio di giorni ed è
ripartita il lunedì mattina giorno 26. L'uomo, italiano, che conosco
dal 1991, abita e lavora a Rio de Janeiro. È attivo nel settore del
commercio di pietre preziose e, in modo particolare, delle pubbliche
relazioni per conto della Moreno SA, la stessa catena di gioiellerie
dove lavorava mia moglie Isabel Maria. Svolge il suo lavoro a stretto
contatto con tutte le agenzie di viaggio, uffici cambio ecc. alla
ricerca di potenziali clienti. Conosce tutto e tutti, vita e
miracoli, specialmente le agenzie di viaggio e di conseguenza, per
venire al dunque, anche la "Hermes Lupi".
Detta
persona, come tante altre che lavorano con lui, era una di quelle che
mia moglie, all'epoca dei fatti che ho più sopra raccontato,
attingeva informazioni sul conto di Buondonno e Co che poi mi
trasmetteva. E me le trasmetteva anche, telefonicamente, durante i
periodi in cui io mi trovavo in Svizzera.
Il
26 giugno sempre dell'anno passato, neanche a farlo di proposito,
alla sera, verso le 19.00, mi hai telefonato per invitarmi a cena.
Vista l'ora insolita abbiamo combinato di cenare a casa mia, anche
perché saremmo stati più tranquilli. E siamo rimasti a parlare di
tante cose, seduti al tavolo in giardino, fino a notte fonda. Proprio
in quella circostanza mi hai chiesto: ".... non ti dice niente
il nome Hermes Lupi, agenzia di viaggio?....". Ti ricordi? Avrei
voluto darti un pugno in quella tua testaccia. Mi pento di non averlo
fatto, magari ti avrebbe fatto bene, ti avrebbe cambiato. E io
cretino, sì, proprio cretino, perché per natura sono altruista,
idealista e generoso, invece di risponderti malamente, e non meritavi
altro, dimenticando tutto il triste passato, le ingiustizie subite,
mi sono dichiarato disposto ad aiutarti a trovare quegli elementi di
prova che avremmo già potuto avere, molto tempo prima, se il tutto
non fosse finito nella sciagurata maniera che ben conosci, che tu hai
permesso che così finisse. Ti ricordi come eravamo rimasti d'accordo
dopo averti raccontato tutta la storia, ancora una volta, di
Buondonno e compagnia? Dovevi portarmi quello spinoso incarto per far
sì che lo analizzassi. Poi, come da te espressamente richiesto,
avrei fatto tutto il possibile per metterti nelle condizioni ideali
di lavoro.
La
mia parte l'ho assolta, e gli elementi o gravi indizi, che possono
trasformarsi in prove, valide, ci sono. Sono passati ormai dieci mesi
e sto ancora aspettando sia l'incarto sia il signor procuratore del
cavolo. Ma chi ti credi di essere? Ne ho piene le scatole (non sono
l'unico ad esserlo) delle tue bugie, delle tue menzogne. Non sei una
persona seria. Riporre fiducia in te è la cosa più sbagliata che
una persona possa fare nella sua vita. Lo hai dimostrato troppe volte
in passato, lo dimostri al presente, e lo dimostrerai ancora in
futuro, ne ho la piena certezza.
Ho
dovuto fare un notevole balzo in avanti per spiegarti questi fatti
che vanno, però, inseriti nel contesto di quel materiale che avevo
raccolto cinque anni prima, cioè nel 1991. Ed è ancora da qui che
continuo a narrarti gli avvenimenti.
Necessitavo
di un'interprete per gestire meglio i miei rapporti con la polizia
federale e per analizzare correttamente il materiale che scaturiva
dal lavoro d'inchiesta. Fu così che collaborò, sto parlando di mia
moglie Isabel Maria, in diverse occasioni. Per certi aspetti,
praticamente, a tempo pieno. Una prima volta presso la direzione
generale a Brasilia dove si tenne una riunione con i vertici delle
forze inquirenti locali. Una seconda volta a Belo Horizonte per
l'ascolto e la traduzione di numerose intercettazioni telefoniche.
Una terza volta a San Paolo con il capo della locale polizia
federale, il già citato dott. Precioso Roberto. Fu in quella precisa
circostanza che venne a galla il nome di una mia vecchia conoscenza,
l'avv. Bolos Ricardo, figura di spicco, perno, di tutte le indagini
che stavo svolgendo.
Anni
prima, nel 1987 per l'esattezza, in Svizzera avevo inziato e poi
concluso, positivamente, un'ennesima inchiesta mascherata che aveva
permesso il sequestro di due o tre kg di cocaina e l'arresto di un ex
funzionario della Guardia di Finanza, tale Di Mauro Angelo. L'atto
conclusivo avvenne a Basilea dove il Di Mauro mi aveva consegnato la
cocaina. Le indagini e gli accertamenti, successivi all'arresto,
permisero di stabilire il coinvolgimento del Bolos contro il quale,
le autorità di Basilea, spiccarono un mandato d'arresto. Rammento di
aver telefonato a Sulmoni dicendogli, in via d'urgenza, di spedirmi
un piccolo fax con i dati più importanti dell'affare Di Mauro, nomi,
indirizzi, numeri telefonici ecc., considerato appunto il
coinvolgimento del Bolos e tenendo presente che, all'epoca della
citata operazione sotto copertura in quel di Basilea, a fianco dei
due criminali, ne spuntava un terzo, un non meglio identificato
"Rosenthal".
Mi
necessitava tutto questo come materiale di discussione con il collega
Precioso ed era importante averlo, come avevo sottolineato, per il
prosieguo delle indagini e per il buon esito delle stesse. E Sulmoni
non ha potuto farlo perché tu, sapientone, non hai voluto. Era il 20
luglio 1991, ore 16.30 CH, dati rilevati dal diario. A disposizione
se vorrai. Sappi che per ogni operazione fatta, e sono state tante,
ho sempre tenuto un diario, aggiornato, di ogni cosa. Di transenna
avevo anche detto della presenza, in Brasile, del boss della camorra
Ammaturo Umberto, precisando che, in quel momento, non era collegato
con le nostre indagini. Avevo comunque aggiunto di fare alcune
verifiche sospettando che il medesimo fosse tenutario di conti
bancari in Svizzera. Ora, Ammaturo, dopo essere stato arrestato in
Brasile ed estradato in Italia si trova in carcere a Napoli ed è
diventato (assieme all'altro camorrista Alfieri Carmine, pure
arrestato in Sudamerica), storia recente, uno dei principali
accusatori dell'ex ministro Gava Antonio, già presidente del
consiglio di revisione del famoso banco dei fratelli Fabrocini di
Marano (Napoli), istituto di credito che in quei tempi era
controllato, provato, dalla camorra.
E
i fratelli Fabrocini rientravano, e come, nel contesto delle indagini
"Mato Grosso", lo avevo scritto, dettagliatamente, nel 1991
al capitolo "Vaticano". Bolos e "Rosenthal", poi
identificato in Da Silva Pinheiro Orlando, come emerge dal rapporto
della Questura di Milano datato 31 marzo 1992, agivano in correità,
da diversi anni, con il defunto Villalon e con il Calzavara
Giancarlo, personaggi che certo ricorderai per essere stati attori
della sanguinosa evasione dal nostro penitenziario. Ritornerò ancora
a parlarti, sia del Bolos sia del Villalon.
Potrei
scrivere, per ogni particolare, dati di fatto alla mano (documenti
ufficiali), non dei romanzi, ma bensì dei libri di testo, e testo lo
sarà anche questo scritto, ci puoi giurare! Perché non hai voluto
che mi spedissero quel semplice fax, privo di contenuti giuridici,
che riguardava un fatto (quello del Di Mauro) già cresciuto in
giudicato, che mi avrebbe permesso di snellire le già, troppe, sotto
diversi aspetti e angolazioni, complicate indagini? Perché sei
fragile, insicuro, perché non hai fiducia in te stesso, non ne avrai
mai, e di riflesso sei come una foglia in mezzo al vento che viene
sbattuta da tutte le parti.
Mia
moglie continuò a collaborare una quarta volta a Belo Horizonte per
ulteriori ascolti telefonici e documenti vari. Poi ancora a Rio de
Janeiro dove la polizia federale le aveva recapitato alcune decine di
cassette registrate. Ed in seguito ancora, per circa dieci notti
consecutive, presso la centrale della polizia federale di Rio ad
ascoltare, in diretta, le varie utenze che erano state poste sotto
controllo. Mi rendevo conto che stavo esplorando un vasto traffico di
cocaina verso l'Europa e riciclaggio di denaro verso la Svizzera.
Tuttavia, malgrado le difficoltà, piano, piano, i vari tasselli
andavano ad inserirsi nel vasto mosaico. Isabel Maria custodì,
presso di sè, in luogo sicuro, tutto il materiale e altri effetti
personali, che potessero svelare in qualche modo la mia vera identità
ed il mio reale ruolo.
Mi
aiutò pure ad approntare un piano d'emergenza in caso di necessità,
affittando a seconda dei periodi, appartamenti a suo nome. Più volte
mise a disposizione la sua autovettura privata per evitare che dessi
nell'occhio in taluni spostamenti. Il suo ruolo divenne più
importante con il tempo. Era diventata una sorta di anello di
congiunzione, e di comunicazione, per le informazioni provenienti da
San Paolo, Belo Horizonte, Rio e dirette verso l'Europa quando io mi
trovavo in Patria. Trascorsi anche un periodo di vacanza, una decina
di giorni, a Rio de Janeiro per stare vicino a Isabel Maria. Ti
ricorderai, quando stavo per partire, di avermi proibito di
intrattenere contatti, sotto copertura, di nessun genere. Seguendo i
tuoi ordini avrei dovuto delegare tale compito agli informatori. Roba
dell'altro mondo! Tu e la tua collega Del Ponte eravate convinti che
io lo facessi, caso contrario non me lo avresti detto. E perché mai
avrei dovuto fare una cosa del genere se andavo in vacanza per conto
mio e a mie spese? Vedi quanto eri, già allora, insicuro? Invece, e
lo sai perché te l'ho detto, ho passato quei dieci giorni di
"vacanze" trascrivendo le traduzioni dei vari ascolti
telefonici che mia moglie stava facendo.
L'inchiesta
produsse un primo significativo effetto il 13.6.1991, a Lugano,
quando furono arrestati Edu de Toledo e Co con più di un milione di
franchi svizzeri in contanti. Assieme al cassiere della banca Migros,
il Massa, pure arrestato, il gruppetto stava effettuando il parziale
pagamento di una partita di cocaina, 70 kg, precedentemente giunta a
Rotterdam. La sostanza stupefacente proveniva dal Brasile ed era
stata ritirata da emissari della criminalità organizzata italiana.
Il giorno prima, ovvero il 12 giugno 1991, se ti ricordi, assieme a
Sulmoni, avevamo partecipato ad una riunione di lavoro, a Monza, con
i colleghi italiani. Avevamo fatto tardi, le ore piccole e, il giorno
successivo (alla sera), io partivo per il Brasile per continuare le
indagini sotto copertura. Mi necessitavano alcune cose, alcuni
particolari, che mi sarebbero serviti nelle discussioni con le
persone di contatto e relativi al riciclaggio, subordinatamente al
trasferimento e deposito in banca, di grosse somme di denaro.
Pertanto, dietro mio invito, avevi fissato un appuntamento (al
mattino, ore 09.00) con un direttore di un istituto bancario di
Lugano.
Era
importante che io avessi un'idea, un piano, un qualche cosa di
concreto, da sottoporre alle persone che mi attendevano oltre Oceano.
Invece, come sempre, ho dovuto arrangiarmi perché tu, quel giorno,
non solo non ti sei presentato in ufficio, ma eri anche irreperibile.
Sulmoni, e te lo ha detto tante volte, ha sempre sostenuto di averti
telefonato più volte a casa senza avere risposta. Hai sempre
risposto che eri in casa. C'era poi anche la necessità di prendere
la decisione a riguardo dell'arresto delle persone che si
apprestavano, proprio quel giorno, a consegnare il denaro al Massa.
Quindi, o bugiardo tu, o bugiardo il Sulmoni. Comunque sia, la
decisione di arrestare quelle persone l'ha dettata il sottoscritto, a
Galusero e Co, prima di partire e, la conferma, intimazione,
dell'arresto alle persone fermate, come prescrive la procedura
penale, è stata fatta dalla tua collega Del Ponte. La quale poi, a
mio modestissimo parere e senza nessuna pretesa, ha arbitrariamente
legittimato la proprietà dell'incarto sulla base del principio della
territorialità, cioè che quel reato era di sua competenza perché
avvenuto nella sua giurisdizione. E tu hai lasciato fare, hai
permesso che si tenesse quella fetta di "torta", fresca,
profumata, appena sfornata (fosse stata rancida l'avrebbe rispedita
al mittente), senza reagire, sempre nel nome del quieto vivere, senza
far valere quei diritti che sono legalmente consentiti al magistrato
titolare dell'inchiesta.
In
passato avevo già vissuto un'esperienza analoga durante le indagini
mascherate della "Lebanon Connection" quando, sempre la tua
collega Del Ponte, voleva esercitare presunti diritti di competenza
nella gestione di una parte dell'inchiesta, quella che riguardava
Arman Haser. C'era però "tale" Dick Marty, un vero
Procuratore Pubblico, con la "P" maiuscola, per me
irripetibile, e quindi puoi facilmente immaginare come andò a
finire.
Hai
così ricreato, te lo ripeto, ricreato confusione nella confusione.
Era la seconda o la terza volta che l'incarto passava da una mano
all'altra, a dipendenza dei casi, come una bretella. E io nel bel
mezzo dei lavori sotto copertura totalmente disorientato: inserivo
marcia in avanti e poi marcia indietro, esattamente quello che facevi
tu quale titolare dell'inchiesta, con la differenza che i miei
interlocutori erano personaggi del crimine organizzato, con tutti i
rischi e pericoli che ne potevano derivare. Mi hai costretto a fare
delle acrobazie, salti mortali. Si parla tanto di dotare gli
inquirenti dei necessari mezzi legali e tecnici per combattere il
crimine organizzato, per mettere in piedi un collaudato ed efficace
sitema di indagine mascherata, nessuno parla che per farlo bisogna,
per prima cosa, avere magistrati professionalmente capaci, dei veri
esperti in materia, magistrati alla Dick Marty per farla breve.
Gli
sviluppi successivi permisero l'identificazione del Do Nascimento
Francisco, personaggio gerarchicamente superiore, uno dei capi
dell'organizzazione, trafficante di cocaina a tutti gli effetti, come
indicarono i contatti sotto copertura che ebbi con lui nei giorni
8/10 luglio 1991 a Belo Horizonte presso l'Hotel Oton Palace. Fu
proprio prendendo lo spunto dall'arresto di Edu de Toledo che creai
l'occasione per agganciarlo, con il pretesto di riferirgli alcune
comunicazioni provenienti dal suo subordinato finito dietro le
sbarre. Nella circostanza era accompagnato da un secondo individuo,
armato, poi identificato in Delmario Ferreira Nogueira, personaggio
di spicco della criminalità di Rio de Janeiro.
Sapendo
che il Do Nascimento intratteneva importanti relazioni con la
criminalità italiana gli diedi, su sua richiesta, le mie false
coordinate, segnatamente l'indirizzo della società Interfinanziaria
S.A. di Chiasso, in realtà ufficio sotto copertura. Pregai nel
contempo i colleghi di Bellinzona, vista la delicatezza e
l'importanza dell'operazione, di voler occupare costantemente questi
uffici. Cosa che non fu fatta. Si sono limitati a deviare le
comunicazioni telefoniche negli uffici di Bellinzona. Di conseguenza
se da una parte qualcuno chiamava rispondevano. Per contro, se la
stessa persona si presentava negli uffici di Chiasso non trovava
nessuno, uffici sempre chiusi. Incredibili la superficialità, la
leggerezza e la mancanza di professionalità che i miei colleghi
hanno denotato in tale circostanza. Ma cosa vuoi che sia, la pelle
non era la loro, chi rischiava grosso ero però io per colpa di un
branco di buoni a nulla. Fatalmente, come vedremo, sono risaliti alla
mia identità. Cose pazzesche che ancora oggi mi fanno rabbrividire.
Azzoni
rientrò in Svizzera pochi giorni prima che io incontrassi il Do
Nascimento ed il Noguera dovendo usufruire delle vacanze già
programmate, in parte già pagate anticipatamente, con la famiglia.
Nei giorni compresi fra l'8 e il 10 luglio 1991, nel corso di uno
degli incontri avuti con il Do Nascimento, questi mi invitò a
recarmi a Porto Seguro presso la locanda Mar Aberto, di sua
proprietà, dove potevo incontrare e conoscere suo fratello Omar e i
noti Bisco Rinaldo e Brivio Aldo. Fornendomi tali indicazioni mi
consegnò un biglietto con il numero della locanda che corrisponde
puntualmente all'8751153. Non se ne fece nulla perché la Procura
Pubblica negò il "nulla osta". Rimasi così, alla faccia
di chi mi aveva invitato e di chi mi aspettava, ulteriormente
spiazzato e di conseguenza, indirettamente, i rischi aumentarono. E
il tutto per colpa di persone incapaci.
Omar
Do Nascimento poi apparso in un'inchiesta condotta dal Ministero
Pubblico della Confederazione in collaborazione con i Cantoni Vaud e
Ginevra. Tra l'altro il suo nome era già conosciuto per dei
precedenti penali specifici. Da tale indagine emerge che la famiglia
colombiana dei Santodomingo aveva installato, a Ginevra e a Losanna,
diverse società di copertura per il riciclaggio di ingenti somme di
denaro. Omar risultava appunto collegato con una di queste società.
In quest'ambito, e cioè con l'universo finanziario dei Santodomingo,
fra i tanti, era apparso, emerso, anche il nome del noto Lottusi
Giuseppe che, a sua volta, faceva capo alla Fimo S.A. di Chiasso,
circa la quale non vale la pena spendere parole.
Dib
Tarek, Hassan Ahmad Ayoub, Payot Luc (avvocato di Ginevra) e altri
ancora risultano invischiati in questa enorme indagine e gli
elementi, gravi indizi, che avevo raccolto in Brasile erano tanti e
tali da allargare le indagini ad ampio raggio, a 360 gradi. E invece
niente di tutto ciò. Chiedi un po' a Ginevra chi è la famiglia Dib
e rimarrai senza parole a quel che ti diranno. Sono attivi nel
commercio di gioielli e di pietre preziose. Tutta questa brava gente,
in passato, comparve nelle indagini eseguite in diversi casi,
fattacci, avvenuti a Ginevra che hanno anche coinvolto un alto
funzionario di Polizia. Non vi siete nemmeno dati la pena di
trasmettere a Ginevra le informazioni che avevo raccolto sul conto di
questi signori tanto da permettere ai nostri colleghi di fare qualche
cosa. Non preoccuparti, ci ho pensato io, recentemente. Non ti sembra
scandaloso?
Immediatamente
dopo l'arresto luganese di Edu de Toledo e Co, avvenuto, come già
riferito, il 13.6.1991, Bisco Rinaldo e Brivio Aldo, dal telefono
della casa dei Do Nascimento a Belo Horizonte, parlavano in termini
straordinariamente espliciti di traffici di cocaina e di pagamenti di
precedenti forniture ignorando, ovviamente, di essere intercettati.
Da quegli ascolti emerse un traffico di 5000 kg di cocaina che
l'organizzazione era in procinto di trasportare dal Sudamerica verso
l'Europa. E questo trovava una parallela conferma nel lavoro sotto
copertura. Il 22.7.1991, alle ore 14.40 CH, ti avevo telefonicamente
confermato (era presente anche il comandante) quest'ultimo
particolare. La circostanza risulta tra l'altro anche dal rapporto
della Guardia di Finanza di Milano del 23.3.1992, redatto per la
Procura di Milano, dove Bisco e Brivio vengono denunciati, unitamente
a 32 altre persone, per ripetuta violazione alla legge sugli
stupefacenti.
Il
documento riferisce che le abitazioni del Bisco sono state oggetto di
perquisizione. Fra i diversi materiali sequestrati sono stati trovati
i dati relativi al conto bancario intestato all'avvocato Schaller
Rudolf presso l'UBS di Zurigo.
Ma
quel che più conta è che, nella lunga lista delle persone
denunciate, a stretto contatto con Bisco e Brivio, vi è anche tale
Orsini Stefano, 5.9.1964. Ritengo acquisito il fatto che tu sappia
che il citato Orsini è stato recentemente arrestato in relazione a
quel, conosciuto e sequestrato, carico di 5.000 kg di cocaina giunti
nel porto di Genova. Immagino pure che tu sappia che la vicenda
Zannetti, già detenuto nelle nostre carceri per un grosso
riciclaggio di denaro, è ricollegabile alla vicenda più sopra
esposta. Zannetti che è poi stato rilasciato nel corso del mese di
febbraio di quest'anno previo pagamento di una cauzione di 250.000
franchi svizzeri. Chi lo ha mandato in Ticino? Da chi è stato
assoldato? Io lo so. Anche tu
lo
sai.
Credo
pure che tu abbia letto il rapporto della Guardia di Finanza del
23.3.1992, in gran parte stilato sulla base di informazioni,
verificate, che avevo loro trasmesso e che avevo ripetuto nella mia
relazione durante la nota riunione di Berna, particolare,
quest'ultimo, che analizzerò separatamente. Ti sarai accorto, a
pagina 45, che i redattori hanno riportato alcune sintesi delle
conversazioni più rilevanti, registrate sulle varie utenze che
avevano posto sotto controllo. Pertanto si legge: "...il
28.8.1991, ore 20.18, Brivio chiama Cecca (ndr: Cecca Leonardo)
all'utenza 0055/73/2882763 (utenza del Brasile, di Porto Seguro).
Costui chiede al suo interlocutore l'invio di U.S. $ 1500 per pagare
i contributi degli operai. Il denaro dovrà essere accreditato sul
c/c nr. 767457 della S.B.S., intestato a tale Hermes...". Chi
pensi che sia questo "Hermes" se non quel Lupi del quale ti
ho detto e del quale tu sei titolare di un incarto per riciclaggio di
denaro sporco? Sempre dal citato documento si evince che uno dei capi
dell'organizzazione è il Delmario Ferreira Nogueira, cioè quella
stessa persona che avevo incontrato, sotto copertura, a Belo
Horizonte assieme al Do Nascimento Francisco. Al loro fianco appare
un personaggio che viene chiamato "Nonno" il cui vero nome,
e questo te lo dico io, è Nunes Aercio, figura di immensa potenza,
uno fra i maggiori fornitori di cocaina che, dopo la guerra
colombiana, transita massicciamente attraverso il Brasile. E a lato
del Nunes, il cui vero nome è Francisco Antunes Da Costa detto "il
professore", troviamo anche il già citato avvocato Bolos
Ricardo. Il 17.9.1991, alle ore 20.09, la moglie del Do Nascimento
Francisco, arrestato a Roma dietro mandato d'arresto spiccato dalle
nostre autorità, viene avvertita, telefonicamente, dal "Nonno"
che "...le autorità elvetiche hanno chiesto l'estradizione del
Do Nascimento...". Strano, si direbbe, che il "Nonno"
era al corrente che le nostre autorità avevano chiesto
l'estradizione e che poi, da San Paolo, dove abita, lo abbia
comunicato alla moglie del Francisco che in quel periodo si trovava a
Roma per stare vicino al marito. Non poi così tanto strano
considerando il fatto che il "Nonno" è amico (anche socio
in affari) di "Steiner Rudi". E qui lascio spazio alla tua
immaginazione, al tuo acume investigativo, per capire cosa sia
successo. Ho dei forti dubbi, a tal proposito, che si indirizzano
verso qualcuno. Significativo e interessante è il fatto che,
"Steiner", sempre nel citato rapporto, appare come figura
di primo piano nel traffico di cocaina. Gli inquirenti italiani,
astutamente, arrivarono al punto di denunciarlo con la dicitura in
rubrica: "... Rudi, non meglio identificato...". Un chiaro
intento. Coscienti delle malefatte commesse in quel di Nizza si sono
premuniti di coprirsi, adeguatamente, le spalle da un eventuale
procedimento penale. Hanno cercato di salvare la capra e i cavoli.
Erano convinti, adottando una simile depistante strategia, che mai e
poi mai, ruminante e legumi, un giorno, sarebbero stati cucinati e
serviti come primo piatto l'uno e quale contorno gli altri.
Imperdonabile leggerezza. Non hanno tenuto conto che, in Ticino, la
carne di capra bollita, accompagnata da patate e cavoli lessati, è
una pietanza prelibata.
Bolos
Ricardo, altro elemento importante dell'organizzazione criminosa, è
un avvocato residente a San Paolo. Nel 1992 è stato colto in
flagrante, in quella città, con 8 kg di cocaina. Una nostra vecchia
conoscenza come ti avevo spiegato prima, per i fatti avvenuti a
Basilea e che avevano portato all'arresto del Di Mauro. Intrattiene
stretti legami con il "Nonno" Nunes Aercio, il grossista
della cocaina. Risulta coinvolto in un particolarissimo episodio che
ebbe luogo ai primi del mese di novembre 1990, quando, a San Paolo,
furono sequestrati 500 kg di cocaina e furono arrestati i
trasportatori; tre cittadini italiani tutti residenti a Roma, nelle
persone di De Montis Giuliano, Filippini Renato, Porcacchia
Giancarlo, unitamente al colombiano di Calì Gaviria - Vasquez
Manuel. La droga era pronta per partire verso il porto di Genova
nascosta dentro un carico di mobilio destinato a Città del Vaticano.
Anche in questo caso (che fu di conseguenza chiamato "Operazione
Vaticano"), risultò che il carico era stato fornito dal
"Nonno". Tramite l'avvocato Bolos e tramite tale Adecelli
Alberto, factotum dei fratelli Guido e Mariano Fabbrocini, acquirenti
della droga e organizzatori del traffico, la mezza tonnellata di
stupefacente avrebbe dovuto attraversare l'oceano. (La vicenda è
stata illustrata, ampiamente, dal sottoscritto, nel rapporto datato
12.4.1991)
I
fratelli Fabbrocini comparvero agli inizi degli anni 80 in uno snodo
cruciale della storia delle organizzazioni criminali italiane.
Trattasi dei titolari del Banco Fabbrocini di Marano (Napoli), che
poi fallì in circostanze oscure. Vengono indicati dagli atti della
magistratura di Palermo quali banchieri della arcinota famiglia di
Michele Greco, il capo della cupola di "Cosa Nostra".
Notoriamente, scrivono i magistrati italiani, i Fabbrocini risultano
strettamente legati al "clan" camorrista che fa capo a
Lorenzo Nuvoletta che costituiva una fondamentale base continentale
della mafia siciliana. Dopo le disavventure dell'istituto bancario
maranese i Fabbrocini fuggirono in Brasile. Fra i loro contatti
eccellenti quelli con il gruppo camorristico del potente
contrabbandiere Michele Zaza. Lo scandalo del Banco Fabbrocini
coinvolse anche l'ex ministro italiano Gava Antonio, che faceva parte
del collegio di revisione della banca con il ruolo di presidente.
Proprio in questi periodi, si sta celebrando il processo contro l'ex
ministro, per corruzione e appartenza ad un organizzazione criminale
come la Camorra. Risultò che De Montis, Filippini, Porcacchia,
trasportatori, avevano agito in correità con tale Bartoletti
Fabrizio e Capitani Beatrice, personaggi, questi ultimi, che non
furono arrestati.
Il
nome del Porcacchia era già apparso nella mastodontica inchiesta
statunitense "Pisces". Prima del sequestro (fra il
24.4.1990 e il 14.10.1990) questi personaggi avevano soggiornato in
diversi alberghi di Zurigo e Ginevra. Da qui chiamavano le stesse
utenze telefoniche romane. Permettimi di dire che non a caso venivano
chiamati numeri telefonici di Roma, visto come, il Porcacchia
appunto, faceva parte della famosissima "banda della Magliana".
E
non era nemmeno del tutto casuale il legame fra questi personaggi con
uno dei capi della malavita romana, tale Emidio Salomone,
recentemente arrestato a Roma mentre proveniva dal Brasile dove si
trovava da parecchi anni e dove, naturalmente assieme ad altri,
organizzava i trasporti della cocaina. In Brasile si era perfino
sottoposto ad un intervento chirurgico plastico facciale. Se vuoi ti
posso anche fornire l'indirizzo della clinica dove si era sottoposto
all'intervento, tra l'altro già emersa nel corso delle indagini
"Mato Grosso". Il sequestro dei 500 kg causò ai fratelli
Fabbrocini una perdita (inclusiva del prezzo del carico e del
trasporto, già pagati) quantificabile nell'ordine di circa 4 milioni
di dollari.
Per
rifarsi, i fratelli Fabbrocini organizzarono l'invio di quantitativi
più ridotti con l'impiego di corrieri. Alcuni fra questi furono
intercettati in Svizzera, in particolare a Lugano. Il 5.2.1991 sulle
rive del Ceresio furono arrestati René Albert Janssen e Ruben Carlos
Mejia Arza. Il 9.2.1991, sempre a Lugano, fu la volta di Angel
Roberto Candiy - Ayala. In totale furono sequestrati 6 kg di cocaina.
Il sottoscritto partecipò, sotto copertura, quale taxista,
all'operazione e scoprì che il gruppo aveva fatto precedenti viaggi,
come mi confidò uno degli arrestati. Lo stesso giorno, nello stesso
albergo dove erano arrivati i corrieri, fu pure arrestato tale Amici
Antonio, proveniente da Roma come tutto il gruppo cui qui si fa
riferimento, il quale aveva con se il denaro per l'acquisto della
droga. Era lui il trasportatore incaricato di far giungere lo
stupefacente nella capitale italiana.
I
corrieri sudamericani erano in possesso dell'utenza telefonica di un
albergo di San Paolo (l'Hotel Studius) dove era reperibile tale
"Carlos", professione portiere, l'uomo che organizzava le
partenze. "Carlos" riceveva disposizioni da Adecelli
Alberto, cioè il factotum dei fratelli Fabbrocini. Segnalai,
telefonicamente, queste circostanze ai colleghi di Bellinzona
sottolineando i forti dubbi, validi indizi, secondo cui
l'organizzazione doveva disporre di conti bancari in Svizzera.
Invitai i colleghi, in via d'urgenza a voler trasmettere queste
informazioni alla procura pubblica di Lugano al fine di aprire,
eventualmente, un procedimento penale.
La
tua collega Del Ponte, tuttavia, non diede seguito alle informazioni
ritenendole inverosimili, dicendo agli ex colleghi, latori del
rapporto informativo, "che ne aveva piene le scatole delle
menzogne del Cattaneo". Un contegno, quello della tua collega
Del Ponte, biasimevole sotto ogni aspetto. E, come dimostrato, non
era la prima volta. Ma, come dice un altro vecchio detto popolare, il
diavolo fa le pentole dimenticandosi dei coperchi.
Infatti,
il 4.6.1991, la Kantonspolizei di Zurigo Kloten trasmise un telex a
Bellinzona segnalando l'arresto di tre persone con poco più di un kg
di cocaina. Si trattava di Avino Giorgio, Guerra Raffaele e Cogliati
Alessandro, tutti cittadini italiani. Era stato quest'ultimo a
trasportare la droga da Rio de Janeiro a Zurigo. Gli altri, Avino e
Guerra, provenivano da Marano, località vicino a Napoli, per
occuparsi delle fasi successive del trasporto.
I
biglietti aerei Rio-Zurigo di Cogliati e quelli Napoli-Zurigo degli
altri due personaggi risultarono pagati, sempre secondo le
indicazioni della polizia zurighese, da Fabbrocini Mariano, uno dei
due fratelli ex proprietari dell'omonimo Banco Fabbrocini di Marano.
I tre disponevano di numerose utenze telefoniche di Milano, del
Brasile (Rio e Porto Seguro) e soprattutto di Roma. Gli accertamenti
dei colleghi di Zurigo mostrarono che la droga era stata pagata
tramite il conto 5665-52-1 c/o Credito Svizzero di Chiasso, conto
intestato a tale Bertoni Matilde agenzia viaggi Fiesta Tur, rua de la
Quitanda, Rio de Janeiro. (Toh! Un'agenzia di viaggio!)
Cogliati
aveva con sé, fra gli altri, i numeri telefonici 06-5897875, di Roma
e 02-781068 di Milano. Il primo risulta intestato a: Agenzia viaggi
Fiesta Tur S.R.L, viale Trastevere 60, Roma, cioè alla consorella
italiana usata per coprire il pagamento della droga. L'utenza
milanese risulta invece intestata all'agenzia Publimedia S.R.L, Corso
Venezia 18, Milano appartenente al dott. Fabbrocini Mariano.
Avino
era stato notato, sorvegliato e fotografato in quel di Locarno, tempo
prima, in compagnia del noto Rallo Vito, arrestato in seguito proprio
nella città del Verbano, per traffico di droga, armi, monete false
ecc. In seguito Rallo si era messo a disposizione della polizia quale
informatore. Certo saprai anche del suo coinvolgimento per il furto -
truffa di buoni del tesoro in danno del Vaticano e che ha trascinato
nella voragine l'ex ministro italiano Martelli e la sua segretaria,
di cittadinanza svizzera, Kolbrunner.
Rallo,
Avino e gli altri avevano un contatto a Zurigo nella persona di tale
Ottomano Joe che condusse al sequestro di 7 kg di cocaina. Anche in
questo caso la droga proveniva dal Brasile. Nel telex inviato dai
colleghi zurighesi il 4.6.1991 vengono segnalate altre utenze
telefoniche scaturite dopo l'arresto di Avino, Guerra e Cogliati. Tre
numerei vengono indicati come importanti: 0055 - 21 - 4473880, tale
Orlando a Rio de Janeiro; 0055 - 73 - 8751051 e 0055 - 73 - 2882888.
Gli ultimi due si riferiscono alla località brasiliana di Porto
Seguro. Va notato, qui, che Porto Seguro era una delle basi
dell'organizzazione criminosa. Al numero 0055 - 73 - 8751051
corrisponde l'hotel Veranda do Sol. Per verificare i sospetti
relativi all'eventuale connessione dei fratelli Omar, Francisco e
Jacqueline Do Nascimento, Demario Ferreira Nogueira e compagnia, con
l'universo criminoso legato ai fratelli Fabbrocini, ho proceduto ad
un elementare controllo componendo l'utenza sopracitata e chiedendo
solo e semplicemente di Omar. La voce femminile ha testualmente
risposto che: "... Omar non è qui, si trova a una certa
distanza da qui, alla locanda Mar Aberto. Hai il numero di
telefono?...". Alla mia risposta, evidentemente negativa, la
signora ha aggiunto: "...un attimo che te lo dò... 8751153...".
Nei giorni compresi fra l'8 e il 10 luglio 1991, come già detto in
precedenza, avevo incontrato sotto copertura, all'Hotel Oton Palace
di Belo Horizonte, il Do Nascimento Francisco e l'amico di questi
Delmario Ferreira Nogueira. Come riferito puntualmente nel diario
"undercover" dell'operazione "Mato Grosso", in
uno di questi incontri il Do Nascimento mi invitò a recarmi a Porto
Seguro presso la locanda Mar Aberto per incontrare Bisco Rinaldo,
Brivio Aldo e sicuramente, di conseguenza, altre interessanti
persone. Fornendomi queste indicazioni mi diede un biglietto con il
numero 8751153, lo stesso numero trovato in possesso ai galoppini dei
Fabbrocini. La Procura Pubblica, la nostra, purtroppo mi negò il
permesso. Perché? Per ragioni di sicurezza? Nient'affatto!
Impossibile che pensassero alla mia sicurezza, non l'hanno mai fatto!
D'altra parte non c'era nessun pericolo evidente, il modo in cui mi
ero infiltrato nell'organizzazione, lasciamelo dire da vero
professionista, non dava adito a dubbio alcuno, quindi... No, mio
caro ex amico, bisogna parlarci chiaro, avere il coraggio (che tu non
hai) di dire le cose come stanno: stavate credendo (come sempre) nei
pettegolezzi, nient'altro che quello! Juan Ripoll Mary, altro
personaggio importante con il quale, sempre sotto copertura, ho avuto
diversi contatti, in Brasile e in Ticino. Godeva (magari li gode
ancora), in Brasile, di poderosi appoggi politici, specialmente nel
1991, quando ero in contatto con lui, epoca in cui era al potere l'ex
presidente Collor, destituito perché coinvolto in uno scandalo
legato ad un vasto giro di trafficanti di cocaina e riciclatori che,
detto per inciso, si ricollegano con quanto emerso dall'inchiesta
"Mato Grosso". Lascio perdere tutti i dettagli, peraltro
già detti e scritti diverse volte nel 1991, per venire al sodo,
ritenuto e considerato che, in questi ultimi tempi, fatti nuovi,
importanti sono venuti alla luce, puntualmente riconducibili in tale
preciso contesto delle indagini, volutamente ed intenzionalmente
stroncate da un manipolo di guastatori o, per azzeccare un termine
più appropriato, avidi portatori di "virus" corruttivo.
Disponeva
il Ripoll di quattro società paravento, panamensi, dislocate a
Lugano dove era pure in contatto con un legale di fiducia con
funzione di amministratore. A suo dire usava queste società per far
circolare il denaro proveniente da attività illegali. Asseriva pure
di aver perso alcuni canali per il transito del denaro e di essere
alla ricerca di soluzioni sostitutive. Ci chiese quindi di assumere
tale ruolo. Sua intenzione era quella di riciclare 300 milioni di
dollari provenienti dalla Francia, dalla Spagna e dall'Italia oltre a
altri 100 milioni del gruppo terroristico ETA. Già aveva pianificato
nei dettagli un sofisticato e immenso apparato di riciclaggio
prevedendo addirittura i codici di contatto fra le persone che ne
dovevano costituire le pedine. A suo dire il denaro bloccato in
Italia proveniva dall'impero della Fininvest, meglio dire, per usare
parole sue, "dal gruppo di Silvio Berlusconi".
Era,
questa, una parte delle informazioni che avevo raccolto, dai vari
contatti avuti con Ripoll nel 1991. E la faccenda rimase a quel
punto, allo stato embrionale, non si fece nulla oltre il livello
informativo, nessuna verifica e nessun approfondimento delle
indagini; a dipendenza dei ragionamenti e delle interpretazioni che
ognuno poteva liberamente fare e dare, il tutto è andato a finire
nel dimenticatoio oppure, se si vuole, messo in un cassetto a marcire
o a stagionare con l'aggiunta di ingredienti calunniosi nei miei
confronti. Sono passati esattamente cinque anni e sono successe
parecchie cose che riguardano il gruppo Fininvest, in modo
particolare nel corrente anno, tangenti, corruzione e fondi neri sono
all'ordine del giorno.
Ti
è mai passato per il cervello, ammesso che tu ne abbia uno che
funzioni come dovrebbe funzionare, che le informazioni del Ripoll, da
me fedelmente riportate senza nulla togliere o aggiungere, potevano
essere fondate?
Parallelamente,
sempre Ripoll, aveva previsto, d'accordo con personaggi politici di
spicco, di far trasportare 600 milioni di dollari tramite corrieri
(compito che avrebbe affidato a noi) dal Brasile a Zurigo. Lì
sarebbero stati depositati su una serie di conti bancari che avrebbe
indicato. Da Zurigo i capitali sarebbero stati trasferiti, per via
bancaria, su conti a Montreal a favore di una società fittizia che
noi avremmo dovuto creare. Da lì il denaro avrebbe dovuto essere
ritrasferito in Brasile, sottoforma di prestiti, per essere impiegato
nella realizzazione, ex novo, di un'intera città denominata Nova
Atlantida. Infatti era già stato approntato un progetto di dettaglio
per la città, città che avrebbe richiesto un investimento di 20
miliardi di dollari. Anche i 300 milioni menzionati in precedenza
sarebbero stati affidati a noi. In seguito avremmo dovuto farli
accreditare su conti bancari a Lugano, conti che sarebbero stati
indicati di volta in volta in occasione delle consegne. E anche
questo denaro sarebbe confluito nel faraonico progetto di Nova
Atlantida. Queste, in sintesi, le informazioni raccolte nel 1991 a
riguardo del Ripoll. E tali sono rimaste nel tempo. Nessuna verifica,
nessun approfondimento, niente di niente.
Sicuramente
tutte queste, saggie, decisioni saranno state prese dopo una profonda
analisi della situazione e dopo aver raggiunto il pieno
convincimento, oltre ogni ragionevole dubbio, che erano tutte
frottole da me inventate, o costruite, per giustificare le trasferte
in Brasile il cui unico scopo era quello di stare vicino a mia moglie
Isabel Maria, "donna di malaffare" (per non dire altro)
come è stata più volte definita in passato da alcuni, comuni
conoscenti, pettegoli. Persone che pensano, riescono perfino a farlo
credere, solo ai loro simili, di essere delle aquile: invece, nella
realtà, con pregi e difetti, sono dei semplici gallinacei da cortile
quali sono i tacchini.
Agli
inizi dello scorso anno, in diversi conti presso altrettanti istituti
bancari di Ginevra, sono stati scoperti e posti sotto sequestro,
perché di provenienza illegale, qualcosa come 850 milioni di
dollari. Tale cifra, da capogiro, è giunta sui quei conti ginevrini,
a diverse riprese, attraverso tutta una serie di operazioni, illecite
evidentemente, commesse da un gruppo di persone del mondo politico e
amministrativo delle istituzioni brasiliane, iniziate nel 1991.
Proprio quando ero attivo sotto copertura. Perno delle operazioni
truffaldine risulta essere tale Do Nascimento Nestor. Anticipo che
non ha nessun legame di parentela con il "nostro" Do
Nascimento Francisco. In verità ha dei legami, ma di tutt'altre
origini, quelli connessi al traffico di cocaina! Nestor Do Nascimento
era stato, in passato, Direttore di un Penitenziario Federale
dapprima, Presidente di una Camera di un Tribunale Penale poi, e,
infine, Presidente di un Tribunale Civile. Nel periodo aprile -
maggio 1991 (avevamo da poco iniziato l'inchiesta "Mato Grosso")
il suo nome venne alla ribalta in maniera clamorosa e scandalosa in
quanto sorpreso, con le "mani nel sacco", nel corso di una
transazione di 24 kg di cocaina assieme a quel Delmario Ferreira
Nogueira che, susseguentemente, come già riferito, ebbi modo di
incontrare e di conoscere, sotto copertura, all'Oton Palace di Belo
Horizonte, congiuntamente al Do Nascimento Francisco.
Arrivava
perfino al punto di ricevere i fornitori di cocaina, grossi
trafficanti, all'interno del palazzo di Giustizia. Era legato,
saldamente, con vari personaggi della malavita internazionale, in
generale, e a quella di Rio de Janeiro in modo particolare. La
cocaina venne trovata nel suo appartamento ed era di proprietà di
tale Mateo Sbabo Negri, cileno, conosciuto, con grossi precedenti
specifici, che agiva in correità con il cittadino cileno, da anni
residente in Brasile, Oscar Guzman Pena, personaggio, quest'ultimo,
di notevole portata internazionale, conosciuto dalle autorità di
mezzo mondo. Sbabo Negri Mateo è peraltro noto per i suoi grossi
legami con la mafia siciliana. Il Do Nascimento Nestor, anche in
virtù delle alte funzioni pubbliche che ricopriva, aveva notevoli
relazioni con importanti persone dell'allora governo Collor, non
tanto per ragioni professionali, ma soprattutto per varie attività
illegali, traffico di droga incluso. Se da una parte la vicenda
sollevò un gran polverone, principalmente nei media, dall'altra non
ebbe, penalmente, sostanzialmente nessun seguito.
È
interessante sapere che l'amico del Nestor Do Nascimento, Sbabo Negri
Mateo, nel 1986, a Rio de Janeiro, venne sorpreso con 100 kg di
cocaina che dovevano essere destinati in Europa. Trattavasi dunque di
una flagranza di reato che determinò pure l'arresto, per correità,
di una vecchia conoscenza delle nostre autorità, il cittadino belga
Barbé Edgard. Agli inizi degli anni 80, dopo aver subito durissimi
colpi, cominciarono a cadere gli ultimi baluardi della famosissima
"French Connection" che, a quei tempi, era notoriamente
conosciuta per essersi alleata, in tutto e per tutto, con "Cosa
Nostra" siciliana e americana, con la "n'Drangheta, con la
"Camorra" e, di conseguenza, con altre organizzazioni
criminali internazionali. Le varie inchieste condotte negli USA ed
in Europa dimostrarono, infatti, che la "French Connection"
operava con le consorelle organizzazioni turche e sudamericane. Barbè
Edgard aveva un sontuoso appartamento a Lugano - Paradiso dove
gestiva pure una società, import - export, fittizia, la classica
società paravento che gli serviva per coprire l'attività illegale.
In seno alla "French Connection" egli ricopriva un ruolo di
primissimo piano. Personalmente partecipai ad una riunione di
coordinamento a Losanna a riguardo di tale affare.
In
seguito presenziai anche alle varie perquisizioni effettuate
nell'appartamento e negli uffici del Barbè. Era coinvolto in un
grossissimo traffico internazionale di eroina e di cocaina che aveva
portato all'identificazione di diverse altre persone, in parte
arrestate, in Svizzera, Italia, Francia, Stati Uniti e Belgio. Le
indagini avevano anche evidenziato l'alto grado di corruzione,
istituzionale, che da tempo era in atto in Belgio. A Bruxelles,
infatti, finirono dietro le sbarre alcuni magistrati penali e diversi
agenti di polizia.
Una
vera e propria piovra i cui tentacoli avvinghiarono pure un avvocato
di Lugano, già noto per precedenti attività illegali o quantomeno
dubbiose, che aveva fondato la SA del Barbè e che aveva assunto la
presidenza in seno al consiglio di amministrazione, sapendo, o
presumendo, dell'effettiva attività del Barbè medesimo nonchè
delle reali funzioni della società. All'espletamento delle indagini
del ramo luganese della "French Connection" partecipò
anche, ufficialmente, una delegazione belga capeggiata dall'allora
maggiore Vernaillen. Alcuni mesi più tardi, a Bruxelles, alcuni
"killers" dell'organizzazione criminale fecero irruzione
nella sua abitazione, sparando all'impazzata, provocando la morte
della moglie e il ferimento, grave, dell'ex alto funzionario di
polizia.
Se
da una parte il nome "French Connection" sparì
praticamente dalla faccia della terra rimanendo solo un brutto
ricordo, dall'altra i superstiti, i "pesci grossi" per
intenderci, si integrarono totalmente nelle varie consorelle
organizzazioni criminali internazionali. La grossa inchiesta,
conclusasi positivamente nel 1986 a Friborgo - Les Paccots, è un
esempio. Elementi della ex "French Connection", con il
prezioso apporto dei loro ricercatissimi chimici (i migliori del
mondo, quelli che da 1 kg di morfina base sono capaci di produrre 1
kg di eroina pura al 90/95 %), avevano impiantato un laboratorio in
grande stile (quello che noi abbiamo poi usato come "trappola"
per Mirza e Giulietti) in uno "chalet" della regione. Al
momento dell'arresto avevano già prodotto oltre 20 kg di eroina
pura. Un altro esempio viene proprio dal Barbè Edgard. Non era
presente a Lugano nel corso del nostro intervento più sopra
descritto. Non conosco l'esito del procedimento penale avviato, in
quei periodi, in Belgio. Nemmeno posso dire, non ricordo, se per quei
fatti sia stato arrestato. Sicuro è che, come dimostrato, trovò
rifugio a Rio de Janeiro dove venne accolto, a braccia aperte, presso
quelle persone che già conosceva, così si è stabilito, quando era
a Lugano-Paradiso. Persone che contano, di peso, come lui del resto,
capaci di aiutarlo nella buona e cattiva sorte.
Già
ho spiegato i vari ruoli, importanti, svolti da Isabel Maria, mia
attuale moglie, in seno all'inchiesta "Mato Grosso". Le
intercettazioni telefoniche, con traduzione simultanea, che lei aveva
fatto presso la centrale della polizia federale di Rio de Janeiro,
portarono ad un significativo sviluppo delle indagini. Non tanto dal
punto di vista, numerico, dei kg di cocaina sequestrati, ma piuttosto
dal lato qualitativo delle persone attrici dell'evento puntualmente
inseritesi nella scacchiera investigativa "Mato Grosso".
Brevemente:
il 30.6.1991, a Rio de Janeiro, all'esterno dell'enorme mercato
"Barrashopping", tali Francisco Josè Dos Santos, Martin
Peter Rivera, (cileno) Helcio Fernandes Filho (agente della polizia
federale) e Francisco Zarza vennero tratti in arresto mentre stavano
concludendo una consegna di 5 kg di cocaina; un chiaro, semplice e
incontestabile reato poiché trattavasi di flagranza. Immediatamente
dopo, all'aeroporto internazionale, fu la volta di una "mula",
biglietto in mano, pronta per l'imbarco con destinazione Zurigo e con
3 kg di cocaina nella valigia, a finire nelle mani della polizia. Le
indagini, relative a questo episodio, dimostrarono che i succitati
avevano agito in correità con persone di un alto livello nella scala
dei valori del crimine organizzato, quali sono l'avv. Ricardo Bolos
(arrestato quasi un anno dopo a San Paolo), Oscar Guzman Pena e Sbabo
Negri Mateo. La banda aveva già fatto trasportare a Zurigo, a
diverse riprese, oltre 100 kg di cocaina.
Il
16.10.1991, a Lugano sono state arrestate quattro persone,
sudamericane, e sequestrati 9 kg di cocaina più 60.000 dollari USA
in contanti. Oltre ad essere in possesso di diversi numeri telefonici
di San Paolo, avevano anche quello di un certo "Nunes",
pure di San Paolo. Potrebbe anche trattarsi di pura coincidenza, non
ho mai escluso un simile fattore nella mia attività investigativa e
l'ho sempre tenuto presente, però il fatto concreto è che erano in
possesso del biglietto da visita dell'avvocato Ricardo Bolos. Altra
coincidenza?
Il
rapporto della Questura di Milano datato 31 marzo 1992 evidenzia
molto bene la potenza e la portata dell'attività criminosa
dell'avvocato Bolos. Un esempio, in tal senso, è dato dalle
amicizie, strette, che lo circondano o che lo hanno circondato:
-
Lucien Edward Forbes, 1946, americano, noto trafficate di droga;
-
Orlando Da Silva Pinheiro, alias "Rosenthal" (ha scontato
una pena in Italia, per traffico di cocaina, con questo nome);
-
il defunto Villalon Guillermo, cileno;
-
il noto pregiudicato sudamericano Pedro Moacir - Exstein;
-
Casini Roberto, residente a Viterbo, albergo Roma, che Bolos (nel
1987) contattò telefonicamente più volte: Casini è cognato del già
citato Di Mauro Angelo, ex funzionario della Finanza di Roma ed
arrestato a Basilea nel 1987 dopo un'indagine mascherata condotta dal
sottoscritto: l'albergo Roma appartiene alla sua famiglia;
-
Balestra Luigi Felice, 1933 e Caputo Michele: il Caputo (notissimo
pregiudicato italiano) è stato il principale responsabile del
sequestro del noto Paul Getty, fatto del quale hanno parlato i media
di tutto il mondo. Dopo il sequestro, sempre Caputo, riparò in
Brasile in quanto ricercato in Italia per quel reato: più tardi
venne assassinato. Tuttavia, durante la sua permanenza in Brasile,
mise a segno un altro sequestro (un banchiere) con la correità di
tale Pellittieri Salvatore, altro pregiudicato latitante di Palermo.
Il Balestra è stato indagato per il riciclaggio del provento del
riscatto del sequestro Getty; D'Alessandro Italo Antonio, 1947,
italiano: nel 1986 è stato arrestato in Brasile per traffico di
cocaina. Uscito dal carcere ha ucciso i due testimoni che avevano
deposto, in tribunale, contro di lui;
-
Mannino Matteo, 1950, della nota omonima famiglia di Palermo e
stretta collaboratrice dei pari clan mafiosi dei Ciulla, Fidanzati e
dei Madonia, in perfetta sintonia con quella arcinota,
italoamericana, dei Gambino.
Queste
famiglie, a loro volta alleate con la non meno potente stirpe
calabrese dei Morabito, vennero coinvolte in una maxi indagine che
prese avvio, negli Stati Uniti, dalle confessioni, fatte ai
magistrati dell'Alta Corte di New York, dal pentito Joe Cuffaro,
precedentemente arrestato a seguito di un sequestro di 600 kg di
cocaina che erano giunti in Sicilia con il mercantile "Big
John", droga che era destinata ai citati gruppi mafiosi.
Trattasi, in sostanza, di quella vicenda che coinvolse poi la "Fimo
SA" di Chiasso attraverso le confessioni del Lottusi Giuseppe,
stretto collaboratore del Cuffaro Joe. E se tutto ciò non bastasse a
convincerti di quanto detto, particolarmente in riferimento ai vari
anelli di congiunzione con la maledetta operazione "Mato
Grosso", cito immediatamente un particolare (altri seguiranno),
concreto, stabilito ed emerso dagli accertamenti bancari a seguito
dell'arresto, avvenuto a Lugano il 13.6.1991, di Edu de Toledo, Massa
e compagnia. I documenti bancari sequestrati, in tale occasione,
presso la Banca Migros, dimostrano che ingenti somme di denaro
(dollari USA) sono stati inviati a Santiago del Cile a beneficio
della nota Elena Espinal Guerrero, già conosciuta agli inquirenti
ticinesi per ingenti traffici di cocaina emersi nei primi anni 80.
L'inchiesta, già a quei tempi, stabilì che la cocaina (oltre 100
kg) era destinata ai Ciulla e ai Fidanzati. Allo stesso risultato
portò l'inchiesta, condotta dal sottoscritto, che nel 1985 permise
l'arresto del Piazzi Walter, poi condannato a 17 anni di reclusione.
Circa 300 kg di cocaina finirono nelle mani del citato clan.
La
donna era la moglie del pluripregiudicato (defunto) Ciulla Giuseppe,
uno dei capi storici dell'omonimo "clan" e relativi
consociati, che da molti anni hanno ormai insediato una base
operativa nella capitale cilena. Dopo la morte del marito (deceduto
in un incidente stradale) è andata a convivere con il più volte
citato (pure defunto) Guillermo Villalon che da parecchio tempo era
un fido del consorzio di tali famiglie mafiose. L'Orlando Da Silva
Pinheiro alias Rosenthal, dall'Hotel Nikkey di San Paolo, nel periodo
compreso fra il 15 e il 17 ottobre 1991, ha chiamato diverse volte
alcune utenze di Lugano. Non voglio anticipare niente a tal
proposito. Non escludo però che ad uno di quei numeri telefonici di
allora corrisponda quell'avvocato che amministra, o amministrava, le
società panamensi del Ripoll. Al momento concedo il dubbio. Se però
la particolarità sarà confermata (alcuni indizi tendono a farlo),
ebbene, ciò aggraverebbe l'insieme dei fatti finora illustrati, già
gravi e delicati per loro natura, e contribuirebbe ad aumentare,
oltre misura, le mie preoccupazioni specialmente per quanto attiene
la mia sicurezza personale nonché quella dei miei cari.
Alla
fine del 1991 diversi episodi rendevano palese il grado di rischio in
cui mi trovavo esposto dopo una serie di operazioni, praticamente
ininterrotta, che era iniziata alla metà degli anni 80 e che mai
nessuno, a livello istituzionale Cantonale o Federale, aveva
concretamente affrontato. Nessuno, in quest'ambito, si era
preoccupato di strutturare il servizio dei mezzi di appoggio, nemmeno
del minimo indispensabile, utili per la conduzione delle varie
inchieste mascherate e, soprattutto, necessari per diminuire rischi,
pericoli e tutto quello che ne consegue durante e dopo simili
operazioni. Son stati spesi litri d'inchiostro a tal proposito,
evocando tali esigenze, da parte di tutti, politici, magistrati e
media, senza mai approdare a qualcosa di concreto. Neanche le mie
reclamazioni, ufficiali, hanno provocato l'effetto sperato, solo
promesse, parole...
Voglio
ricordare, brevemente, queste terribili e sconcertanti vicende.
Le
fughe di informazioni dovute all'impressionante grado di corruzione
dell'autorità turca in occasione dell'operazione dei 100 kg di
eroina sequestrati a Bellinzona.
La
notte fra il 16 e il 17 ottobre l990, sul piazzale dell'Hotel Losone
era stato ucciso l'informatore Alessandro Troja. Per puro caso non mi
trovavo con lui nel momento in cui un "killer", con estrema
e gelida professionalità, lo aveva colpito mentre stava uscendo
dall'automobile. Mai come in quell'occasione sentii l'odore della
morte così vicino: Troja mi aveva invitato, quella sera, ad
assistere a una partita di bridge. Fossi stato minimamente
appassionato al gioco delle carte, sarei stato con lui nel momento
della sua "esecuzione". Senza dimenticare il chiaro
messaggio di morte, nei miei riguardi, lasciato vicino al cadavere e
rappresentato da un proiettile, inesploso, in posizione verticale.
Dopo
l'operazione "Escobar", a Madrid, la polizia spagnola si
era imbattuta in un gruppo di narcotrafficanti. Ne era nato un
conflitto a fuoco nel quale uno dei malviventi era rimasto ucciso.
Fra i documenti rinvenutigli addosso figurava una lista di persone da
sopprimere. Sulla lista vi era il sottoscritto, indicato con il nome
di copertura e relativi connotati. Il gruppo disponeva, tra l'altro,
di una persona di appoggio situata in territorio elvetico,
segnatamente a Interlaken.
Durante
il processo Escobar un teste fu tradotto a Lugano per deporre. Si
trattava di un trafficante, emissario europeo dei cartelli
colombiani, in arresto in Germania per un traffico di 375 kg di
cocaina sequestrati ad Amburgo grazie al nostro lavoro sotto
copertura. Il suo nome è Mario Calderon - Barrera. Questi si era
distinto per la sua irriducibile crudeltà, avendomi costretto a
incredibili "acrobazie" per impedirgli di sterminare, senza
mandare in fumo il lavoro, una famiglia della quale faceva parte un
bimbo di 3 anni. Lasciò di stucco la Corte, i giornalisti e il
pubblico, estraendo di tasca una mia fotografia, con tanto di nome e
cognome, apparsa alcuni anni prima su un quotidiano in occasione
della consegna di una riconoscenza da parte del Governo degli Stati
Uniti. Calderon lasciò chiaramente intendere che, presto o tardi, si
sarebbbe vendicato.
Un
altro episodio rientra nella vicenda che sfociò nel sequestro di 14
kg di eroina. Quattro cittadini turchi, fra cui Nevzat Ozdemir
(residente ad Agno), furono condannati a pene pesantissime alla fine
del 1991. Durante la notte di sabato 2 novembre 1990, in concomitanza
con il succitato processo, l'attenzione di due agenti di pattuglia
nella zona di viale Zara a Milano, venne attirata da una Peugeot 405
SR bianca. Nel baule dell'auto, abbandonata in un giardino pubblico
da alcuni giorni, vennero ritrovati i corpi martoriati dalle botte e
"incaprettati" del cittadino turco Alì Altimas, 21 anni, e
del suo compatriota Aydin Aydemir, 29 anni. Aydemir era l'informatore
che aveva collaborato con il sottoscritto in quell'occasione e aveva
reso possibile il sequestro dei 14 kg di eroina. A seguito del
comportamento sospetto di alcune persone che erano a contatto con
l'imputato Nevzat Ozdemir, il collega commissario Bazzocco del
servizio antidroga di Chiasso segnalò, con un rapporto indirizzato
al Comando, che la mia vita e quella di altri colleghi, nonchè
quella dell'informatore, erano in grave pericolo. Rammento che
proprio una delle persone sospette che presenziavano ai dibattimenti
processuali, cercò di tendermi una trappola con il pretesto di una
presunta consegna di droga che doveva avvenire in quelle sere a
Lugano. Diede informazioni in tal senso ad Azzoni, che già
conosceva, chiaramente fasulle, sperando che abboccassi. Non fu il
caso perché (e questo prima ancora del tempestivo rapporto
Bazzocco), quando Azzoni me ne parlò, mi accorsi che qualche cosa
non quadrava; l'informazione, così come mi era stata riferita, era
strana, confusa, contorta e quindi priva di quella logica che
inversamente, per essere valida e credibile, doveva avere. I fatti,
purtroppo, diedero ragione al collega Bazzocco e al sottoscritto,
poiché tre giorni dopo avvenne il macabro rinvenimento di viale
Zara. Il Nevzat Ozdemir ha perfino avuto la spudoratezza di
minacciarmi apertamente, nel corso del contraddittorio, davanti
all'allora GI Meli e al suo difensore nella persona dell'avvocato Edy
Salmina.
Le
telefonate dei narcotrafficanti protagonisti dell'inchiesta "Mato
Grosso" intercettate, in Brasile, durante tale operazione;
telefonate che indicavano chiaramente i tentativi dell'organizzazione
criminale volti a una mia identificazione.
Il
penultimo evento, in modo particolare, ti indusse, a fine novembre
1991, a redigere una lettera all'attenzione del comandante
Dell'Ambrogio invitandolo a volermi accreditare negli Stati Uniti,
presso gli uffici DEA, per allontanarmi dal pericolo. Riconosco la
tua buona intenzione. Devi però ammettere che fu una cosa senza capo
né coda, così alla buona, senza nessuna pianificazione. Non ti sto
muovendo nessun rimprovero; non era compito tuo preparare e
pianificare una situazione del genere. A parte ciò, il comandante
accelerò la mia partenza. Dovevo raggiungere Washington prima del
7.12.1991 dovendo rilasciare un'intervista, poi diffusa dalla
trasmissione televisiva T.T.T, alla quale abbiamo, mesi dopo,
assistito assieme. Il comandante medesimo, attraverso un biglietto,
mi comunicò tutte le coordinate necessarie per contattare la squadra
televisiva della TSI che già si trovava nella capitale degli Stati
Uniti.
Prima
di partire per gli USA scrissi un rapporto, precisando di che cosa mi
sarei occupato con la DEA: ovvero di tutte le ricerche bancarie
relative all'inchiesta "Mato Grosso". Infatti gli
accertamenti effettuati fino a quel momento, soprattutto dopo
l'arresto del cassiere della banca Migros Gianmario Massa, avevano
fatto emergere parecchi conti bancari statunitensi (in particolare
sull'asse New York - Miami), conti accesi presso la Audi Bank e la
Republic National Bank sui quali erano transitate diverse centinaia
di milioni di dollari.
Le
informazioni a disposizione dei colleghi americani al servizio degli
uffici antiriciclaggio della DEA indicavano che quel denaro veniva
accreditato in Giappone e in Inghilterra, per poi rientrare
sistematicamente in Svizzera e in Brasile. Era dunque evidente la
necessità di un coordinamento fra il lavoro della DEA e quello
elvetico. Ancor più palese era l'esigenza di approfondire le
ricerche bancarie per trovare nuovi elementi. D'altronde questa era
anche la tua volontà nella lettera al comandante Dell'Ambrogio.
Partii
per gli States il 3.12.1991. Contattai immediatamente il collega
Passic Greg, mio amico personale, capo dei servizi antiriciclaggio
della DEA, col quale si era creata una proficua collaborazione da
diversi anni, principalmente quando era capo ufficio della DEA a
Berna. Con lui venne discussa tutta la problematica riguardo alle
ricerche bancarie e venne pianificata la relativa centralizzazione
dei dati. Il collega americano si dichiarò disposto a dare ampia
collaborazione ed anche a partecipare, in grande misura, alle spese
che sarebbero derivate da tale lavoro. Greg Passic chiese se fossi
regolarmente accreditarto. Risposi che, come vuole la prassi e come
inteso, i miei superiori se ne sarebbero occupati in tempi brevi. Era
pure inteso che dovessi rimanere distaccato presso la DEA per un
periodo di almeno sei mesi. In sostanza avrei operato alle dipendenze
dell'antidroga americana. I colleghi della polizia federale
brasiliana di Belo Horizonte, d'accordo con la DEA di Brasilia,
comunicarono che necessitava la mia presenza a Belo Horizonte in
quanto stavano procedendo al sequestro dell'ufficio cambio di Jaime
Hoffmann, una vera e propria miniera di indicazioni finanziarie, dove
stavano emergendo decine e decine di conti correnti utilizzati dai
narcotrafficanti che avevo contattato sotto copertura.
La
mia presenza poteva dunque fornire indicazioni estremamente preziose.
Ero l'unico, ripeto l'unico, che conosceva il caso nella sua
globalità e nei numerosi dettagli e particolari che lo componevano.
La persona perspicace è, soprattutto, quella dotata di acume, cioè
che sa penetrare con la mente nell'intimo delle cose e nelle teste
degli altri, che sa leggere e valorizzare i vari dati raccolti, che
sa interpretare le mezze frasi, i silenzi, i sottintesi e le
reazioni. Io sono fatto così e devo ringraziare chi mi ha dato tale
immenso bene, un dono, un sesto senso, che più volte mi ha anche
salvato la vita, ricordalo, solo quello mi ha salvato la vita e
nient'altro; altrimenti sarei morto e sepolto da diverso tempo. Non
sarò l'unico ad avere delle capacità del genere, probabilmentele le
hai anche tu, però con la differenza che non sei capace di
applicarle convenientemente.
Un'altra
necessità ancor più pressante era quella di verificare, attraverso
l'ascolto e la traduzione di decine di ore di registrazioni
telefoniche, quelle conversazioni nelle quali i trafficanti facevano
riferimento, dicendolo a chiare lettere, a Franco Ferri di Locarno,
cioè al sottoscritto. E qui la posta in gioco era molto alta, anzi,
altissima, c'era in gioco la mia vita e quella dei miei cari. Non era
la prima volta che succedeva. Si trattava della mia vita, non della
tua o di quella di altri. Delusioni, amarezze, angoscie e rabbia
esplodevano in mè. Mi sentivo come se qualcuno mi tirasse per il
collo da una parte e per i piedi dall'altra; sentimenti che,
immancabilmente, provo quando rievoco tali fatti, come li sto
provando tuttora mentre ti sto scrivendo.
Vergognoso
e scandaloso il vostro comportamento. Nessuno di voi si è dato la
pena di fare qualche cosa. Bastava solo un poco di buona volontà, di
buon senso soprattutto. Era così difficile mandare qualcuno ad
ascoltare e tradurre quelle numerosissime telefonate che, tenendo
conto degli altri gravi pericoli che avevo corso in passato, poteva
essere determinante per la mia incolumità o, specialmente, per
quella dei miei famigliari? Fare un piccolo sforzo del genere non
vale forse la vita di una o più persone? Non mi risulta che tu sia
un chiaroveggente. E anche se tu fossi un mago ormai non credo più
in te, sia come uomo sia come magistrato, immagina quindi se potessi
credere in un venditore di fumo.
Nessuno,
dico nessuno, nemmeno i carri armati della ex Unione Sovietica mi
avrebbero impedito di raggiungere Belo Horizonte per fare quello che
ho fatto. Non ho assolutamente nulla da rimproverarmi, ci
mancherebbe! Tu e gli altri, invece, si, avete molte cose sulla
coscienza! A spettegolare, per esempio, con tutti i vostri carichi di
pregiudizi mettendo, volutamente, i paraocchi, tanto da considerare
il problema soltanto da un determinato aspetto, perdendo di vista
(dimenticando) i valori positivi di tutto il complesso. Siete stati
dei veri professori.
Raggiunsi
pertanto Belo Horizonte nella piena convinzione che il mio
accreditamento fosse stato regolato. In quella località mi avvalsi
della collaborazione di mia moglie. Per fortuna che c'era lei ad
interessarsi di cose e svolgere compiti che altri avrebbero dovuto
fare! Era già stata avvisata, dei pericoli, dal dottor Getulio
Bazzerra, capo dei servizi antidroga di quella città. Appena giunto
in Brasile presi contatto con gli uffici della DEA. La lettera
inviata a suo tempo dal collega Passic al comandante Dell'Ambrogio
era molto chiara in tal senso. Va sottolineata la lealtà e la
tempestività con la quale il dottor Getulio Bazzerra, presente alla
famosa riunione-farsa di Berna (ne parlerò separatamente), aveva
provveduto a segnalare questi pericoli. Dapprima telefonicamente e
poi con un telefax, il 20.11.1991, fece giungere nei nostri uffici di
Bellinzona alcuni estratti di quelle bollenti registrazioni, per
prevenire il pericolo.
L'iniziativa
del collega brasiliano è risuonata come un urlo nel deserto.
Nessuno, nel modo più assoluto (lo ripeto ancora), si è preoccupato
di questo ennesimo attentato alla mia sicurezza. Da Belo Horizonte
contattai più volte i nostri uffici spiegando cosa stavo facendo.
Parallelamente mantenevo contatto quotidianamente con il collega, e
amico fraterno, Passic a Washington. Tutto il materiale raccolto dal
sequestro dell'ufficio di Jaime Hoffmann fu inviato per fax ai nostri
uffici a Bellinzona: erano più di 70 (settanta) conti bancari fra i
quali anche quello del Francisco Do Nascimento in Lussemburgo, altri
del Jaime Hoffmann stesso in Svizzera, e quelli, numerosi, accesi
negli USA presso la Repubblic National Bank di proprietà del
notissimo Edmond Safra, banchiere, nome apparso nelle più grosse
inchieste a livello mondiale: Pizza Connection, Lebanon Connection,
Pisces, Polar Cap, ecc. ecc.!!!
Tale
materiale, delicato perché si riferiva a conti bancari con nome e
cognome delle persone, nome e numeri dei conti più nome delle
banche, l'avevo ricevuto dal dottor Getulio Bazzerra informalmente,
con la promessa di ufficializzare la consegna il più presto
possibile. Telefonai pertanto a Sulmoni e, il caso volle, che tu ti
trovassi nel suo ufficio proprio in quel momento. Non solo non ti sei
degnato di parlare con me (avevo forse la rogna o la peste?), ma ti
sei rifiutato di dar seguito alla mia richiesta (due piccole righe
per fax) dicendo a Sulmoni "che ne avevi piene le scatole di
questa storia".
Una
frase che non mi giungeva nuova, che avevo già sentita e proferita,
tempo prima e sempre per la stessa inchiesta, dalla tua collega e
amica Del Ponte. Povero e piccolo uomo, in tutti i sensi, ti dico
oggi, anche se avrei dovuto dirtelo molto tempo prima. Più avanti
capirai perché non l'ho fatto. Nessuno può sensatamente sostenere
che io operassi "fuori controllo". Lo dimostra la quantità
e la qualità del materiale che, attraverso mille difficoltà
tecniche e di altro genere, feci pervenire a Bellinzona, via fax, il
19.12.1991: complessivamente oltre una trentina di pagine, con dati,
nomi, indirizzi di persone con precisi riferimenti ticinesi.
Il
febbrile lavoro a Belo Horizonte si svolse su diversi fronti:
l'identificazione del materiale e la sua puntuale traduzione dal
portoghese all'italiano e all'inglese: l'ascolto e relative
traduzioni delle registrazioni telefoniche: le analisi di tutto il
materiale e la "cucitura" in una visione d'insieme.
D'altronde, già prima di partire, in data 29.10.1991 e
successivamente in data 29.11.1991, Sulmoni ed io avevamo segnalato a
chi di dovere, Jacques Ducry in prima linea, quale via seguire
nell'indagine e quali compiti, di indispenasbile supporto, svolgere a
Bellinzona e altrove: Stati Uniti, Italia e Brasile compresi.
Che
sei sordo come una campana (dipende dai casi, certe volte il tuo
udito è più fine di quello di un cane da guardia), l'avevo capito
da tanto tempo, adesso però non venire a dirmi che sei anche cieco o
analfabeta!! Pochi giorni dopo la trasmissione del materiale da Belo
Horizonte mi giunse in Brasile l'amara sorpresa. Nessuno aveva
provveduto a regolarizzare la mia posizione, ovvero da Bellinzona, e
quindi da Berna, non era giunto nessun regolare accreditamento.
Scoprii che solo verso il 20 dicembre 1991, cioé quasi tre settimane
dopo la mia partenza, la ex collega Della Bruna era stata
sommariamente e informalmente incaricata di redigere un rapporto di
accreditamento, che fu fra l'altro steso in modo inadeguato. A
mettere l'accento sull'irregolarità dell'accreditamento era stato
l'ufficio DEA di Berna, che mostrava risentimento essenzialmente per
due motivi: perché mi trovavo a Washington con una funzione
realmente operativa (e non semplicemente per uno stage di
perfezionamento) e, dall'altra parte, perché il nostro referente
principale era, per quanto attiene all'operazione "Mato Grosso"
e ai suoi risvolti riguardanti la criminalità organizzata italiana,
l'ufficio DEA di Milano. Si trattava di una situazione più che ovvia
poiché la DEA milanese era il primo interlocutore di spicco dei
servizi italiani (Guardia di Finanza nel caso specifico) che, al
nostro fianco, si stavano occupando delle indagini.
Va
notato, inoltre, che l'ufficio bernese DEA era presente alla ben nota
riunione (farsa di carnevale!) internazionale tenutasi a Berna nei
giorni 22/23.10.1991. Caspita, ma c'eri anche tu. Con Patzold,
giurista dell'Ufficio Centrale di Polizia, dirigevi i lavori. Si
dovevano prendere delle decisioni, importanti, che dovevano dare una
svolta decisiva, in tutti i sensi, alle indagini. I lavori si sono
svolti nell'arco di due giorni, il 22 e il 23 ottobre 1991. Di
conseguenza ricorderai sicuramente che, quando mi hai dato la parola
dopo i soliti convenevoli, ho passato in rassegna tutti i tasselli
del grande mosaico investigativo. In conclusione ho fatto una ferma,
valida, opportuna e precisa proposta: la costituzione di un gruppo di
lavoro sul modello "Octopus" che aveva ottenuto enorme
successo, non per merito tuo però. Eravamo alla fine della prima
giornata di lavoro. La decisione relativa alla mia, sensata, proposta
è stata rinviata all'indomani.
Contavo
molto sul tuo appoggio. Malgrado la cattiva esperienza fatta con
"Octopus" ero convinto che, questa volta, avresti
dimostrato le tue capacità decisionali e che la bambinesca
superficialità che ti opprime, almeno per una volta l'avresti
lasciata fuori dalla porta. E invece mi hai deluso, come hai deluso e
amareggiato tutti i presenti. Ho provato vergogna e umiliazione
quando, all'indomani, alla ripresa dei lavori, la tua sedia è
rimasta vuota per tutta la giornata. Gli occhi di tutto il mondo
erano puntati su di noi: alla presenza delle delegazioni della DEA di
Milano, della DEA di Berna, della DEA di Brasilia, dell'Ufficio
Centrale di Polizia, della Guardia di Finanza di Milano, della
Polizia Federale di Belo Horizonte, dell'Interpol Olanda, di Scotland
Yard Londra, del BKA della Germania, dell'Interpol Parigi (OCTRIS),
della Polizia Cantonale di Zurigo e della Polizia Cantonale di
Ginevra, hai brillato per la tua assenza, questo sì!
Sei
stato un vero protagonista in senso negativo! Partecipando e
dormendo, oppure mandando tutti a quel paese, al limite, avrei
cercato di capirti e forse ti avrei anche giustificato e difeso. Ma
questo tuo puerile, irresponsabile, scandaloso e vergognoso
comportamento, non lo si può, in nessun modo giustificare, anzi è
meritevole di biasimo e condanna! Le conseguenze le conosci
perfettamente, la riunione si è sciolta con un nulla di fatto.
Personalmente mi trovai sempre più isolato e completamente spiazzato
per quanto riguardava la sicurezza.
Al
contrario sei stato invece la sera precedente, prima durante e dopo
la cena fatta in comunione, brillante ed intraprendente nel comandare
"champagne pour tout le monde" e a dettare ordini del tipo:
"Tato tira fuori la carta di credito (quella che usavo sotto
copertura per intenderci) che qui comando io!". Ti sei sentito
importante a fare il grand'uomo, il grande e irriducibile Procuratore
Pubblico deciso, fermo e convinto, davanti a quegli stessi occhi che
avevano creduto in te ma che, il giorno dopo, ridevano per non
piangere. E proprio questo tuo sgradevole comportamento ha provocato
le reazioni di Patzold il quale, solitamente difficile da smuovere,
si è sentito in dovere di scriverti una letteraccia.
A
tal proposito ti voglio ricordare che tu eri il magistrato titolare
dell'
incarto.
Così scriveva, il 4 aprile 1991, la PP Del Ponte al PP Mordasini:
"...
a seguito della nostra riunione del 27 marzo 1991, presenti
l'avvocato Joerg Schild, MPF - Berna, nel pomeriggio il Comandante
dott. Dell'Ambrogio, dopo aver discusso con i colleghi, le confermo
l'accordo del nostro ufficio nel senso che la vigilanza-sorveglianza
delle inchieste mascherate svolte dalla Polizia nell'ambito della
lotta al traffico di stupefacenti, verrà condotta dalla Procura
Pubblica Sopracenerina, segnatamente dal Procuratore Pubblico
Sostituto Jacques Ducry...."
E
l'11 aprile 1991 il PP Mordasini confermava, al Comandante
Dell'Ambrogio, tale decisione presa all'interno delle due Procure.
L'indagine
"Mato Grosso" era appena stata avviata, eravamo agli albori
di tutta la storia. Era la "prova del fuoco", della verità,
in riferimento alle tue capacità di saper condurre in porto una mega
inchiesta con grande determinazione, con sagacia e spirito
battagliero, era, insomma, la verifica dell'"essere o non essere
...". Pertanto, l'8 maggio 1991, sulla base delle esperienze
passate e sulla scorta delle proiezioni dei vari filoni, poi
unificati in "Operazione Mato Grosso", analizzati nel corso
della riunione del 1 maggio 1991, intravedendo uno spiraglio di
chiarezza nell'oscurità che era calata dopo la partenza dell'allora
PP Dick Marty, decisi, non a caso, di scriverti un lungo e
dettagliato rapporto nella speranza che il barlume diventasse cielo
sereno. Rapporto, tra l'altro, che tutti i colleghi d'ufficio hanno
approvato e sottoscritto e che riporto nella sua versione integrale:
"...
I'l maggio 1991, per sua iniziativa e in accordo con il signor
Comandante, nei locali della Procura Pubblica, si è tenuta una
riunione di lavoro per discutere le varie indagini, tuttora sul
tappeto, più sopra elencate. (Ndr:
i citati filoni unificati in "Mato Grosso")
A tale riunione hanno partecipato:
-
Procura Sopracenerina: On SPP J. Ducry;
-
Ministero Pubblico della Confederazione: dr. J. Schild, dr. R.
Patzold, J. Kaeslin; - DEA: J. Costanzo capo servizio DEA Italia a
Roma;
-
Comando Polizia Cantone Ticino: Cdt avv. M. Dell'Ambrogio, Del Pol S.
Sulmoni, comm. c D. Corazzini, comm. G. Galusero, comm. F. Cattaneo.
I
vari punti trattati, oggetto di approfondita analisi, sono stati
oltremodo interessanti e la relativa discussione, proficua
particolarmente dal profilo giuridico. In quest'ottica sono state
date precise disposizioni e le idee chiarissime. Non altrettanto
dicasi per quanto attiene il lato tecnico-operativo sul prosieguo
delle singole indagini. Concretamente nessuno ha deciso cosa fare,
chi lo deve fare e come farlo; più specificatamente: mancanza di
supporti e strutture per facilitare l'attività sotto copertura, come
e dove incontrare, in queste prime fasi, le varie persone implicate
che, rammentiamo, tutte chi più chi meno, hanno contatti operativi
con la Svizzera e in modo particolare con Lugano. Da questo punto di
vista, la situazione non ha cambiato aspetto, malgrado anni di
interventi e di richieste intesi ad ottenere piccole cose, comunque
essenziali, tali da facilitare il lavoro. Si sono provati amaro in
bocca e grande delusione, nel corso della citata riunione, quando si
è detto che non è possibile portare avanti questo genere di
indagini, non tanto per la mancanza di strutture, bensì per
questioni di non disponibilità finanziaria. È da anni che si
ripetono le stesse cose: politici e massmedia sono concordi nel dire
che il fenomeno droga va colpito specialmente ai livelli più alti,
ma nessuno, concretamente ed operativamente, ha fatto qualche cosa,
in prima linea la Confederazione. Non si vuole colpevolizzare nessuno
ma, tuttavia, da Berna ed in questa riunione, ci si attendeva
qualcosa di più. Personalmente, se prima nutrivo ancora qualche
dubbio, ora ho raggiunto la convinzione che in Svizzera si è
organizzati e strutturati, al massimo, per dare la caccia "alle
formiche", frase che ho più volte ripetuto anche in occasione
dei recenti seminari dell'Istituto Svizzero di Polizia, a Lyss e
Chaumont. I nostri servizi, modestia a parte, hanno avuto enormi
successi con riconoscimenti sia a livello nazionale sia
internazionale. Nessuno ha però mai chiesto come è stato possibile
e soprattutto con quali mezzi e strutture operative. Tali risultati
sono stati conseguiti unicamente grazie all'immaginazione e
all'inventiva dei singoli e alla fortuna che li ha fin qui assistiti.
Con
quali strutture e mezzi si è operato e si opera ancora oggi? Domanda
semplice e risposta altrettanto semplice: facendo capo al numero
telefonico privato (top secret) che di volta in volta viene cambiato
ed alla quale utenza rispondono i familiari con identità varie.
Oppure grazie alla disponibilità di privati cittadini, amici
personali che, proprio in virtù di questa amicizia, prestano la loro
collaborazione. È sempre difficile fare un calcolo pratico dei
rischi che un'indagine mascherata comporta, non si sa mai cosa può
esserci dietro l'angolo. Esistono tuttavia dei rischi che si devono
eliminare a priori, preventivabili, vedi il coinvolgimento di terze
persone che nulla hanno a che vedere con l'attività dello Stato, in
questi casi della Polizia. Ritornando al discorso delle operazioni in
oggetto, come stabilito durante la riunione citata, i nostri servizi
si sono adoperati per mantenerle vive e calde, temporeggiando con
argomenti finora plausibili. Non sappiamo però fino a quando si
potrà mantenere tali atteggiamenti. Forzatamente si dovrà arrivare
ad una conclusione, vuoi positiva, vuoi negativa. Sinceramente ed
onestamente non dipende più ora solo dalla volontà dei singoli
agenti impegnati nelle varie indagini sotto copertura. In caso di
conclusione negativa, bisognerà tener presente che, oltre a quella
degli agenti, vi è in gioco anche l'incolumità di informatori che
sono attualmente e costantemente in contatto diretto con i
malavitosi.
Di
conseguenza, l'eventuale rinuncia (in altre parole l'inserimento
della retromarcia), dovrà essere oltremodo credibile. Intravediamo
uno spiraglio per aggirare il pur comprensibile ostacolo
rappresentato dalla mancanza di mezzi finanziari: invitare le varie
persone in Ticino, basterebbe un colpo di telefono, per continuare le
trattative.
Però:
a)
non si hanno valide strutture sotto copertura e quindi il discorso è
già frenato. Per un tipo, ad esempio, come Ripoll che ha quale uomo
di fiducia un avvocato ticinese, sarebbe un gioco da ragazzi risalire
alle identità degli agenti;
b)
in questi giorni è d'attualità il prossimo processo contro Escobar
Severo e compagnia, che sicuramente avrà risonanza internazionale.
In questo dibattimento i nostri servizi sono stati citati quali
testi. Quindi....;
c)
come già spiegato nel rapporto 3.5.1991 allestito all'attenzione del
signor Comandante (vedi fotocopia allegata), i nomi degli agenti
sotto copertura e, soprattutto, i mezzi tecnici con i quali hanno
operato in passate inchieste, sono stati acquisiti agli atti
ufficiali dalla Magistratura Sottocenerina (in particolare ci
riferiamo all'inchiesta contro Escobar).
Proprio
tutte queste considerazioni ci hanno portato, dopo approfondita
riflessione, a concludere che, seppur a malincuore e colmi di rabbia,
ma senza vittimismo e senza addossare colpe specifiche a chiunque,
l'unica soluzione possibile è la rinuncia alla continuazione, in
siffatte condizioni, a questo particolare genere di indagini.
Non
vorremmo più trovarci di fronte, in futuro, a gravi situazioni come
quella verificatasi a Losone, per la quale, in coscienza, ci si può
sentire in qualche modo responsabili. (Ndr: assassinio
dell'informatore Troja dove il sottoscritto ha salvato la pelle
grazie ad una... partita di bridge).
Come
elemento di dissuasione, e tanti fatti lo hanno dimostrato,
l'inchiesta mascherata si è rilevata un mezzo molto valido. Si vuole
continuare su questa strada? Bisognerà allora cambiare totalmente
mentalità e ciò ad ogni livello: in seno agli organi di Polizia,
della Magistratura e dei politici. Caso contrario non dovremmo
meravigliarci più di quel tanto se grosse organizzazioni criminali
si saranno radicate nel territorio cantonale o nazionale.
Il
nostro servizio ha ritenuto di coinvolgere lei in prima persona visto
che, proprio lei è stato designato responsabile di alcune delle
operazioni elencate in rubrica. Chiediamo quindi che sia lei ad
estendere il nostro pensiero a chi di dovere e di competenza. Una
presa di posizione, una volta tanto, chiara e con conseguente
risposta scritta, non si può più rimandare. Siamo fiduciosi e
crediamo nelle Istituzioni: la volontà e l'impegno nostri sono
assicurati. Chiediamo solo che ci venga data la possibilità di
continuare ad operare con la necessaria tranquillità e serenità.
Un'ultima cosa: non rientra nelle nostre ambizioni la pretesa di
risolvere o debellare un problema di portata mondiale come è quello
della droga. Ci sia comunque messo a disposizione il minimo
indispensabile per arginarlo, prima che deteriori - più di quanto lo
abbia già fatto - la nostra intera società."
Ricorderai
che, alcuni giorni dopo, circa il contenuto di questo rapporto, c'è
stata una discussione alquanto vivace con l'allora comandante
Dell'Ambrogio. Alla fine si decise di continuare con le inchieste
mascherate nella speranza che qualche cosa cambiasse. Campa cavallo
che l'erba cresce! In verità qualche cosa effettivamente e
concretamente cambiò.... in peggio! La tanto sospirata schiarita
lasciò spazio libero a dense e minacciose nuvole temporalesche e mi
trovai in un buio cupo costretto a procedere a tastoni. È proprio il
caso di dire che "si stava meglio quando si stava peggio."
Me ne accorsi, sperimentandolo sulla mia pelle, accettando di
continuare il lavoro sotto copertura dell'operazione, appena avviata,
"Mato Grosso". Gravissimo errore, avrei dovuto mandare a
quel paese te e comandante, come d'altronde avevo iniziato a fare (ti
ricordi?) nel corso della discussione.
Rammenterai
che fu proprio il comandate Dell'Ambrogio a calmarmi dandomi
amichevolmente
alcune pacche sulle spalle. Se, ipoteticamente, vi avessi buttato
tutti e due fuori dalla finestra, ora starei fisicamente, moralmente
e materialmente, meglio, molto meglio !!!
Contavo
molto sul tuo pieno appoggio e sulla tua fiducia. Sei stato abile a
farmelo credere. Mi sono sentito tradito e deluso mettendoti in
disparte nei momenti cruciali, allorquando il tuo pieno appoggio
sarebbe stato determinante e risolutorio. Almeno ti fossi limitato a
rimanere impassibile come hai fatto. Invece hai contribuito ad
annientarmi andando a raccontare, personalmente, tutti quei
pettegolezzi che avevi raccolto e preso come oro colato, al
Comandante Dell'Ambrogio, dimostrandogli nel contempo la tua totale
sfiducia nei miei confronti. E in quel periodo, pur fra mille
difficoltà, io continuavo il mio lavoro, sempre alla ricerca del
prossimo anello di congiunzione con l'intento di avere un mosaico il
più completo possibile.
In
quest'ottica, Fasanotti e Ceretta erano due pedine fondamentali.
Tempestivamente li avevo segnalati ai nostri uffici di Bellinzona
direttamente dal Brasile. Soprattutto il Fasanotti che godeva di
importanti appoggi a Zurigo dove aveva già piazzato diversi e
svariati kg di cocaina e dove, in un istituto bancario, depositava i
proventi dei suoi loschi traffici. Era in combutta con il garagista
Pola Agostino (noto, preparava le macchine con doppio fondo, per il
trasporto della droga dalla Spagna alla Svizzera) che a sua volta
intratteneva stretti rapporti con un personaggio, un autista
professionale (al momento non faccio il nome). Tra l'altro il nome
del Fasanotti era apparso in una maxi-inchiesta condotta dal "New
Scotland Yard" di Londra per una sequela impressionante di
reati. Il citato autista professionale ebbe modo di trasportare
diversi clienti, gravemente indiziati di riciclaggio di enormi somme
di denaro (inchiesta in mano alle autorità del Canton Vaud),
dall'aeroporto di Zurigo-Kloten negli uffici di un noto
professionista già emerso nella vicenda dei fratelli Magharian
rispettivamente al centro dello scandalo Kopp.
Gli
informatori, fin tanto che ebbi la possibilità di tenerli sotto
controllo e di dirigerli convenientemente, si comportarono entro i
limiti legali. Non ho mai permesso che commettessero sconcerie tipo
quelle che conosciamo. Mi hanno trasmesso alcune informazioni e mi
hanno, dietro mia precisa richiesta, introdotto nel giro di alcuni
personaggi che mi interessavano. Questo per quanto attiene il Franco
Fumarola e il Guillermo Bravo detto "Carlos". Pur essendo
amici del Rudy Steiner non ho mai voluto che i tre agissero insieme,
fintanto che la PP Del Ponte non avesse preso una decisione in merito
al mandato d'arresto di quest'ultimo. Con Rudy Steiner ho parlato
diverse volte, unicamente per ottenere il massimo possibile delle
informazioni. E ho fatto il tutto con assoluta trasparenza.
Dovresti
sapere che quella dell'informatore è una figura indispensabile
quanto problematica. Esiste tutta una tipologia degli informatori.
Con questa parola si intendono:
-
privati cittadini che hanno assistito a eventi significativi o sono
entrati accidentalmente in possesso di informazioni rilevanti;
-
persone che forniscono informazioni alla polizia a titolo amichevole;
-
persone che propongono informazioni unicamente in cambio di denaro, i
cosiddetti "cacciatori di taglie";
-
sospettati o pregiudicati che, oltre ad essere alla "caccia di
denaro", cercano di negoziare o coprire la loro attività
illegale in cambio di informazioni.
La
maggior parte delle inchieste "undercover" nascono da
rivelazioni fornite alla polizia da informatori appartenenti a questa
tipologia, segnatamente da elementi dalle caratteristiche
comportamentali che rientrano negli ultimi due punti testé
descritti.
È
possibile, senza definire nei dettagli i criteri direttivi da
adottare di fronte agli informatori, illustrare alcune norme di base:
-
l'informatore non deve creare esso stesso l'occasione delittuosa e di
conseguenza l'informazione;
-
la credibilità dell'informatore e dell'informazione da lui fornita
vanno analizzate e verificate con occhio attento ed esperto, cosa che
pochissimi sanno fare;
-
mantenere il controllo della situazione evitando in particolare
travasi di informazione dalla polizia verso l'informatore stesso,
altra cosa che pochissimi sanno fare;
-
una volta acquisita la fiducia dell'organizzazione criminosa,
estromettere, con i dovuti criteri, astuzia e diplomazia,
l'informatore o limitarne per quanto possibile il ruolo e la
funzione;
-
affiancare costantemente un funzionario all'informatore, sin dalle
prime mosse, per non perderne il controllo.
In
conclusione occorre tener presente che l'informatore non è la
persona che garantisce il buon esito dell'operazione. Oltre alla
gestione, nei termini citati, della "talpa" l'inchiesta
trae il suo successo, legale, da un consistente, serio, lavoro
tecnico e da una particolare predisposizione intellettuale affiancata
da un'adeguata preparazione specialistica.
Il
professor Girodò, docente di psicologia dell'Università di Ottawa e
membro della commissione esaminatrice per il reclutamento degli
agenti "undercover" del Canada, afferma che nel suo Paese
"... la scelta dei candidati si base su persone che già hanno
esperienza nel campo di polizia giudiziaria, provata, con attitudini
intellettuali superiori alla media...".
Quando
iniziai l'operazione "Mato Grosso" avevo alle mie spalle
una lunghissima esperienza acquisita da un impressionante (che ti
voglio ricordare) curriculum professionale specifico. E non era la
prima volta che mi trovavo al cospetto di quella particolare
categoria di informatori più sopra citata. Avevo, risultati alla
mano, una provata esperienza nella difficile gestione di siffatti
personaggi, come dimostra questo breve curricolo professionale.
Nel
1969 mi sono iscritto all'Accademia di polizia, che ho frequentato a
partire dal 1. novembre di quell'anno, fino alla conclusione dei
corsi, a fine giugno del 1970. Sono stato assegnato al Posto di
gendarmeria di Locarno. Nel 1973, dopo aver frequentato un corso
speciale dell'Antiterrorismo a Ginevra, sono stato impiegato, quale
agente speciale di sicurezza, sui voli di linea Swissair. Per circa 4
mesi ho svolto questo servizio viaggiando in tutto il mondo e
collaborando con le polizie di numerosi paesi. Nel maggio del 1975
dalla Gendarmeria sono passato al Servizio antidroga di Locarno del
quale sono divenuto responsabile. Con queste mansioni ho operato per
dieci anni esatti, fino al mese di maggio del 1985. Durante il
periodo locarnese ho avuto modo di occuparmi dei mille problemi
legati al mondo della droga: le difficoltà dei tossicodipendenti,
che spesso chiedevano aiuti più simili a quelli dei servizi sociali
che non a quelli tradizionalmente considerati "di polizia".
Mi sono confrontato con i piccoli spacciatori locali, con i venditori
di droga italiani che giungevano in Ticino durante il fine settimana,
con i "distributori" di media portata fino ad arrivare a
personaggi di grande portata nell'ambito di questo squallido e
crudele commercio. Le inchieste che mi hanno impegnato in prima
persona, durante questo periodo locarnese, sono innumerevoli:
-
quella sui fratelli Martinoni (traffico di 40 chili di hascish e 1
chilo di oppiacei);
-
quella che ebbe per protagonista il giovane boliviano Roberto Suarez,
figlio del monopolista della cocaina di quei tempi, fu uno dei primi
lavori eseguiti "sotto copertura" in collaborazione con i
servizi americani della DEA. Operammo sul triangolo Ticino, New York,
Miami. Riuscimmo a sequestrare 600 chili di cocaina a Miami e a
scoprire con quali modalità l'organizzazione approfittava delle
strutture bancarie elvetiche, segnatamente ticinesi, per riciclare
una parte dei proventi. Suarez Jr. fu arrestato a Locarno dove si
muoveva sotto falsa identità. Fu poi estradato negli States. Un caso
che fece giurisprudenza poiché spinse il Tribunale federale a
prendere posizione in senso favorevole riguardo al lavoro "sotto
copertura" svolto soprattutto negli Stati uniti.
-
un'altra inchiesta di spicco fu quella a carico del noto politico e
municipale di Ascona Stelio Stevenoni, legato indirettamente alla
faccenda Suarez. Stevenoni fu condannato per traffico di cocaina e
alcuni reati minori a 7 anni di reclusione.
-
su un altro fronte, quello dei traffici di eroina proveniente dai
mercati orientali, segnalo l'inchiesta "Haldi Elisabeth e
Roger", una coppia che si occupava di autotrasporti nel canton
Soletta e che disponeva di una casa di vacanza a Gordevio. Anche
questo fu un lavoro "undercover" svolto in stretta
collaborazione con il Bundeskriminalamt di Wiesbaden (BKA). Un
"affare" di 10 chili di eroina e 50 di hascish.
-
Parallelamente ho svolto l'inchiesta a carico dello spagnolo Pedro
Alarcon, personaggio che era fuggito dal famigerato carcere di
Burgos. Scoprimmo che Alarcon, dopo una lunga latitanza, si era
rifugiato in Valle Maggia dove rimase per 3-4 mesi, portando a segno
una serie impressionante di reati gravi: traffico di cocaina, eroina,
lsd, assassinio, diverse rapine a mano armata, una lunga serie di
furti con scasso, spaccio di monete false, falso in documenti,
traffico di armi ... L'abitazione valmaggese era stata trasformata in
una base operativa e in un vero e proprio arsenale.
-
Anche il "caso Foglia", dal nome della principale
protagonista, fece clamore nel nostro Cantone e soprattutto a
Locarno. La donna fu riconosciuta colpevole del traffico di alcuni
chili di cocaina e di eroina. Fu condannata a 11 anni di reclusione.
L'inchiesta coinvolse anche, quale destinatario di una parte della
cocaina, il discusso leader della Lega dei ticinesi Giuliano
Bignasca.
-
L'ultima inchiesta, fra quelle che mi impegnarono maggiormente
durante il mio servizio alla testa dell'antidroga locarnese, fu
quella a carico di Walter Piazzi, cittadino italiano residente da
anni in Colombia. Attraverso il Ticino transitarono centinaia di
chili di cocaina destinate alla n'drangheta calabrese notoriamente
alleata di Cosa nostra. Piazzi ingaggiava ragazzi di Locarno e degli
altri centri ticinesi per trasportare la droga verso l'Italia. Fu
condannato a 17 anni di reclusione.
Nel
maggio 1985 ebbi una formidabile occasione per mettere a frutto
l'esperienza acquisita in quel periodo, fui infatti assegnato al
Comando della polizia cantonale, Servizio informazioni droga (SID),
dove costituii un gruppo speciale con l'intento di mettere a frutto
in modo ottimale le conoscenze acquisite in precedenza. Il servizio,
tuttora attivo, si occupa in particolare di inchieste con risvolti
internazionali e di tutte le attività sotto copertura. In
quest'ambito ho ottenuto dei grossi successi operando in diversi
paesi (Italia, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Francia,
Turchia, Tailandia, Stati uniti d'America, Canada, diversi paesi
dell'america latina, Austria...).
Le
principali inchieste "undercover":
-
Il "caso dei 100 chili di eroina di Bellinzona"
-
la cosiddetta "lebanon connection" che ebbe clamorosi e
sorprendenti conseguenze nel "caso Kopp".
-
Il caso connesso del turco Nurettin Goven che arrestammo a Graz (A)
con 40 chili di eroina.
-
Il sequestro di 50 chili di eroina che un gruppo turco stava
trafficando in Belgio. Un altro "nucleo" criminale fu
arrestato a Milano con 60 chili della stessa sostanza.
-
la vicenda del turco Hamza Turkuresin, pure legata alla "lebanon
connection" e ad altre importanti inchieste italiane. Il turco
era divenuto "agente" per conto della nota famiglia
Morabito della n'drangheta di Platì (Calabria). L'inchiesta ci portò
in Belgio, a Zeebrugge, dove potemmo togliere dal mercato 100 chili
di cocaina nascosti sotto una nave mercantile. L'inchiesta ebbe un
tragico risvolto a Losone, dove fu ucciso l'informatore Alessandro
Troja e dove rischiai personalmente la stessa fine.
-
Il caso "Morias", un ex capitano dei servizi antidroga
peruviani, che aveva certi interessi in Svizzera. Lo arrestammo in
Francia con 480 chili di cocaina.
-
Il notissimo "caso Escobar", dal nome del giovane
narcotrafficante, figlio del primo "cavaliere della coca"
estradato negli States dalla Colombia. Anche in questa inchiesta
presi dei grossi rischi, lo scoprì la polizia di Madrid quando
intercettò, ed ebbe un conflitto a fuoco, con 3 killer che avevano
ricevuto l'ordine di eliminarmi. Uno di loro rimase ucciso nello
scontro. Aveva con se la mia descrizione, il mio nome di copertura e
il gruppo già disponeva di appoggi in Svizzera per mettere in atto
il suo piano.
-
Parallelamente gestii l'indagine a carico di Mario Calderon Barrera,
amico di Escobar. Operammo su una moltitudine di fronti: Svizzera
(Ticino e Canton Vaud), Spagna, Germania e Olanda. In totale
sequestrammo più di 3 tonnellate di cocaina.
-
Da questo lavoro nacque poi la conosciuta indagine finanziaria
battezzata "Octopus". Furono sequestrate pietre preziose
per oltre 2 milioni di franchi e furono ricostruiti i meccanismi di
riciclaggio per circa 10 milioni di dollari.
-
Il "caso Navarrete", personaggio sorpreso a Lugano mentre
stava effettuando una transazione di oltre un milione di franchi
svizzeri provenienti dal traffico di cocaina.
-
Il cosiddetto "caso dei 15 chili di eroina" scoperti e
sequestrati a Lugano, con il coinvolgimento di una banda turca che
faceva capo a tale Nevzat Ozdemir residente a Agno. Un informatore
che collaborava con i servizi italiani e, nel caso specifico, con me,
fu ucciso con il crudele timbro mafioso dell'"incaprettamento".
Anche in questa occasione si soprì che l'organizzazione aveva teso
una trappola per togliermi di mezzo e vendicarsi. Un collega aveva
segnalato per iscritto che la vita dell'informatore e la mia stessa
esistenza erano in grave pericolo. Queste informazioni erano
contenute in un rapporto consegnato tre giorni prima dell'assassinio
avvenuto a Milano, nei pressi di viale Zara.
-
Infine l'"operazione Mato Grosso". Un'inchiesta che ha reso
possibili sequestri di parecchie tonnellate di cocaina e
l'identificazione di centinaia di conti bancari utilizzati per il
riciclaggio. Su questi conti scoprii, in collaborazione con la DEA e
la Polizia federale brasiliana, il passaggio di parecchie centinaia
di milioni di dollari sporchi. Purtroppo, simile immenso patrimonio
investigativo è stato malamente sciupato.
Come
detto è praticamente impossibile, per me, fornire un elenco completo
delle inchieste nelle quali ho investito le mie energie. Dopo aver
persorso tutti i gradini della gerarchia professionale (gendarme,
appuntato, caporale, agente PS, agente PS I, ispettore, commissario)
ho attualmente il grado di COMMISSARIO AGGIUNTO.
Riconoscimenti:
Indico
unicamente quelli che considero maggiormente significativi.
-
PREMIO MERITO ALL'ONORE dell'Associazione internazionale degli
ufficiali di polizia antinarcotici (INEOA). Agosto 1987. Orlando,
Florida, USA. Riconoscimento ricevuto con l'allora procuratore
pubblico Dick Marty.
-
PREMIO MERITO ALL'ONORE del Dipartimento di Giustizia del Governo
degli Stati uniti d'America. Novembre 1987, Washington D.C. . Premio
pure ricevuto a fianco dell'on. Marty. L'onorificenza fu consegnata
dal direttore della DEA, Jack Lawn, in occasione di un ricevimento
alla Casa Bianca alla presenza del Presidente degli Stati Uniti,
Ronald Reagan.
-
RICONOSCENZA SPECIALE PER L'ATTIVITA' CONTRO IL NARCOTRAFFICO da
parte del Federal Bureau of Investigation (FBI), Berna, estate 1988.
-
RICONOSCENZA SPECIALE PER L'ATTIVITA' CONTRO IL NARCOTRAFFICO da
parte del Bundeskriminalamt (BKA) di Wiesbaden, 1990.
-
Due ATTESTAZIONI DI RICONOSCENZA per il lavoro svolto. Da parte del
Segretariato Generale Interpol (SGI), Lione, febbraio 1990 e marzo
1991.
Altri
riconoscimenti simili sono giunti da Italia, Olanda, Belgio e Canada.
Dal
1977, fino al momento in cui ho cessato, per motivi di salute,
l'attività, ho inoltre rappresentato il Ticino nel Gruppo di lavoro
permanente intercantonale che si riuniva periodicamente, a Berna,
sotto la direzione del Ministero pubblico della Confederazione.
Nel
1990 il Consiglio Federale, attraverso il Dipartimento di Giustizia e
Polizia, mi aveva designato rappresentante per la Svizzera nel gruppo
internazionale di lavoro per il coordinamento delle indagini sotto
copertura che si riuniva periodicamente nelle capitali dei paesi
affiliati. A seguito dell'azione denigratoria e deligittimante,
portata avanti dai servizi francesi con il sostegno dei nostri, sono
stato, ingiustamente, estromesso dal gruppo. Nel contempo, ho preso
atto che un funzionario corrotto, come il comm. Lecorff (OCTRIS
Parigi), ha continuato a farne parte.
Chiusa
questa dovuta parentesi, ritorno al filo del discorso che avevo
lasciato sulla figura degli informatori. L'irrefrenabile avidità di
voler far denaro a tutti i costi li portò a commettere delle vere e
proprie piraterie. Dal trafficante e ricettatore italiano, residente
da anni a Rio de Janeiro, il Nino Esposito tanto per intenderci,
titolare di conti bancari denominati "Venus" accesi presso
la Discount Bank di Lugano e la omonima filiale di Zurigo, si fecero
consegnare, con la promessa di un pagamento futuro (mai avvenuto),
una serie di gioielli, provento di furti e rapine, per un valore di
circa 30.000 dollari USA. Con fatica riuscii a contenere le pretese
del Nino Esposito il quale voleva, pretendeva, che fossi io a
rifondere la quota dei valori eclissati. Non ti parlo poi dei rischi
che mi hanno fatto correre. È facilmente intuibile. Già ti ho detto
dell'uso della gioielleria dove lavorava mia moglie. Utilizzavo le
strutture di tale lussuoso negozio per alimentare la convinzione, nei
narcotrafficanti, che ero un facoltoso malvivente. Ebbene,
approfittando della fiducia che si era creata, Franco Fumarola e
Guillermo Bravo detto "Carlos", non esitarono ad
avvantaggiarsi della favorevole occasione facendosi consegnare, a
credito, gioielli vari per un importo di 8.500 dollari USA, poi
divisi con il Giancarlo Egidio Oliverio alias "Rudy Steiner".
Immediatamente
dopo tali fatti, avvenuti in rapida successione nello spazio di
ventiquattro ore, sparirono dalla circolazione. Si rifugiarono a
Parigi, "chez OCTRIS". Dal terzo, che era a San Paolo, mi
feci rifondere, dopo numerose insistenze, lo scoperto che avevo
anticipato di persona al negozio pagando con degli Eurocheques, per
non pregiudicare il lavoro e anche per salvare la faccia.
Di
questi comportamenti sleali e pirateschi, nei confronti sia del
negozio sia dell'Esposito, ne fu testimone anche il vostro "nouveau
enfant prodige" Sergio Azzoni. Tuttavia, forte del fatto che
avevo, nel rispetto delle norme comportamentali descritte, evitato
travasi di informazioni verso gli informatori (Azzoni incluso), ero
cosciente che il loro allontanamento non poteva assolutamente
compromettere il buon esito dell'operazione in corso.
La
svolta decisiva, in senso negativo, è iniziata immediatamente dopo
il naufragio dei prefissati traguardi che si dovevano e si potevano
raggiungere con la riunione internazionale di Berna, rivelatasi poi,
per la tua incompetenza (ti sfido a dimostrare il contrario),
scabrosa e sconcertante. Era la tua grande occasione, doveva brillare
la tua perspicacia, sinonimo di penetrazione, sottigliezza, acume,
accortezza, astuzia, acutezza, avvedutezza, intuito, finezza,
intelligenza, lucidità e sagacia: hai invece lasciato spazio
all'oscurità e la tanto attesa perspicacia si è tramutata in
lentezza, ottusità, ebetismo e sprovvedutezza. È stato l'inizio...
della fine.
I
rappresentanti, deviati, dell'OCTRIS di Parigi (commissario Lecorff e
congrega, vera e propria accozzaglia di delinquenti internazionali
legalizzati), inaspettatamente si sono trovati davanti la strada
spianata per mettere in atto le perverse e corrotte operazioni "Nizza
1 e Nizza 2" che, paradossalmente, la lacunosa riunione, da te
maldestramente diretta, aveva preparato. Li vedremo più
dettagliatamente in seguito, tali fatti.
Il
14.1.1992 il commissario Lecorff comunicò al nostro Ministero
Pubblico Federale, facendo proprie le dicerie di Franco Fumarola, che
il trio di informatori non aveva più intenzione di lavorare con il
sottoscritto poiché, a loro dire, frequentavo una donna qualificata
come "prostituta". Gli informatori ritenevano che ciò
costituisse un pericolo e si rifiutavano di prestare collaborazione
con il sottoscritto. Ma di quale collaborazione parlavano se erano
già diversi e svariati mesi (inizio aprile 91, dopo le piraterie
accennate) che erano spariti dalla circolazione? Semplici banalità e
puerilità sulle quali taluni (troppi), a piacimento e per
convenienza, hanno costruito una marea di maldicenze e di
pettegolezzi.
Le
dicerie, diffuse un po' ovunque, praticamente in tutto il Mondo (dove
ero, e lo sono tuttora, molto conosciuto) e, peggio ancora, in
Svizzera e in Ticino, hanno avuto un effetto devastante sulla mia
figura professionale che fu completamente deligittimata. In realtà è
stata incredibilmente strumentalizzata la relazione sentimentale con
la mia attuale moglie Isabel Maria, colpevole di essere rimasta al
mio fianco a combattere una giusta causa. È impressionante la
facilità con la quale è stata gettata alle ortiche un'inchiesta di
grande importanza in nome di pettegolezzi usciti dalle bocche di
ciarlatane comari ottocentesche. Mi sentivo completamente
disorientato, solo, abbandonato, calpestato, infangato, umiliato e
tradito. Ero totalmente paralizzato, confuso, non riuscivo più a
ragionare. Eravamo agli inizi del 1992. Quell'anno lo passai
all'Università di Losanna. È stata la mia salvezza perché avevo
meditato, seriamente ed intensamente, il suicidio. Avevo perso tutto:
casa, famiglia, mamma e fratelli. Il periodo trascorso all'Università
mi aiutò a sollevarmi un poco dalle tremende angoscie che mi
soffocavano e dalle ansie e timori astratti che mi opprimevano.
Riuscii quantomeno, aiutato da pochi (ma buoni) amici rimasti fedeli,
a capire cosa era successo ed a scoprire le sporche manovre messe in
atto dai miei ex colleghi, il tutto raccolto nel noto rapporto di
denuncia indirizzato al Consiglio di Stato, al Ministero Pubblico
Federale, al Ministero Pubblico Cantonale e al Comando Polizia, steso
in data 27.11.1992. Rapporto poi sfociato nella conosciuta inchiesta
amministrativa.
Alcuni
giorni prima c'era stato un tentativo di conciliazione con i colleghi
d'ufficio. Spero ti ricorderai di quella triste riunione, da te
presieduta, dove tutti si sono schierati contro il sottoscritto
chiudendosi, nel contempo, a riccio per proteggere il "grande
accusatore" Azzoni, venditore di fumo nella circostanza. Non sei
stato imparziale, neutrale, non hai sentito le parti in causa con
equità, obiettività e serenità, come lo sarebbe stato un buon
giudice. Ti sei scandalizzato dalla montagna di scemenze dette
dall'Azzoni; le hai prese per vere come se fossero state dette dal
depositario della verità! Tant'è vero che, ad un certo momento, mi
sono alzato e, indignato, ho lasciato quel "processo"
dall'esito già scontato. Dovetti anche subire l'aggressione,
verbale, di Galusero, che arrivò al punto di minacciarmi di
conseguenze, fisiche, assai pesanti. Galusero che, fino a un po'di
tempo prima, aveva pubblicamente biasimato il comportamento di
Azzoni, definendolo un demente.
Cosa
era successo e cosa mi aveva spinto ad allestire il rapporto di
denuncia del 27.11.1992, lo sai meglio di me. Avevo la supervisione
dell'operazione "Mato Grosso" e mi competeva la
responsabilità, come sempre avevo fatto in passate e numerose
operazioni, di sorvegliare per evitare qualsiasi irregolarità.
Quando l'inchiesta mi fu tolta dalle mani dal Comandante
Dell'Ambrogio, che aveva creduto a tutte le baggianate che tu e altri
gli avevate riportato, i servizi francesi, gli informatori nonché
elementi deviati della polizia federale brasiliana, ebbero la via
spianata. Si inserirono fra fornitori e acquirenti sostituendo ed
eliminando i reali fornitori all'origine del traffico di droga, di
cocaina per l'esattezza. Furono gli informatori stessi, in pieno
accordo con poliziotti francesi e brasiliani, a trasportare 60 kg di
cocaina dal Brasile alla Francia.
E
lo sai anche tu che la droga non proveniva dai cartelli colombiani o
da qualche raffineria dell'immensa regione brasiliana Mato Grosso.
Tale conferma la si legge, tra l'altro, tra le righe del rapporto del
Ministero Pubblico Federale datato 27 aprile 1992, che a tal
proposito, a pagina 6, riferisce: "...
tale quantità di droga è stata messa a disposizione a Carlos e Rudy
Steiner (i conosciuti informatori) da Marco Cavaliero, vice capo
della Polizia Federale Antidroga Brasiliana, che l'aveva prelevata
dai suoi depositi...".
Cavaliero era il sostituto di Romeo Tuma, vice presidente di una
setta religiosa, tuttora sotto inchiesta per traffici internazionali
di cocaina!!! I funzionari brasiliani e francesi falsificarono anche
le carte facendo apparire il tutto come una cosiddetta consegna
controllata. La cocaina venne poi venduta dagli informatori, con la
sorveglianza dei servizi francesi, a Fasanotti, Ceretta e compagnia.
Incassarono circa 800.000 dollari USA che divisero fra loro,
poliziotti compresi. Il dileguamento degli informatori, al momento
della consegna della droga a Fasanotti e compagnia, trova poi una
infantile spiegazione nel rapporto francese che, riferendosi a quanto
avvenuto a Nizza, sostanzialmente dice: "..
sfortunatamente al momento di arrestare, oltre agli acquirenti, anche
i fornitori, questi si erano già dileguati da pochi minuti...".
E pensare che era stato messo in atto un massiccio dispositivo di
sorveglianza. Una barzelletta da.... far piangere! Volevano far
apparire legale un traffico di droga attuato da informatori e
ufficiali di polizia. Prima ancora del Ministero Pubblico Federale,
avevo provveduto io stesso a mettere sull'attenti i miei ex colleghi
e superiori: di non mettere le mani in simili "operazioni"
totalmente avverse alla legalità. Li avevo invitati a non
partecipare, chiudendo gli occhi davanti alla realtà, a traffici di
droga, "operazioni" con tutti i crismi dell'illegalità,
che venivano commessi da funzionari di polizia stranieri. Il già
citato rapporto del Ministero Federale ha focalizzato il gravissimo
reato commesso dai servizi francesi, brasiliani e dagli informatori.
Anche i nostri ne erano a conoscenza. L'avvertimento, il monito, del
Ministero Pubblico Federale, era molto chiaro ed esplicito. Metteva
bene in risalto questa delicata situazione avvertendo i Cantoni
affinché non rimanessero invischiati in simili "operazioni di
polizia". Parole dette e scritte al vento che soffiava in un
deserto. In modo particolare gli ammonimenti contenuti nella pagina
11 di tale rapporto: "... abbiamo cercato, in questo rapporto,
di mettere in relazione l'insieme dei fatti e delle informazioni
importanti che ci sono state comunicate. Non è nostro compito
esprimere giudizi sul modo di operare e di agire di certi servizi
stranieri di polizia coi quali noi dovremo comunque continuare a
lavorare nel quadro di altre inchieste. Ci sembra per contro
particolarmente importante che tali elementi siano portati a
conoscenza dei servizi e delle autorità coinvolti nella presente
operazione Mato Grosso per far sì che se ne traggano i dovuti
insegnamenti per il futuro e per l'attuazione di simili
operazioni...".
Purtroppo
nella perversa operazione che abbiamo chiamato "Nizza 1"
era già stata abbozzata l'idea dell'ancor più malsana e malversa
operazione "Nizza 2", poiché le sorveglianze rivelarono la
presenza, nella zona delle transazioni, di un'autovettura con targhe
ginevrine intestata a tale Paolo Tarditi, poi identificato nel
latitante Sergio Bonacina, una vecchia conoscenza dell'Autorità
giudiziaria ticinese sul quale pendevano ben due mandati di cattura
internazionali per gravi reati legati al traffico di sostanze
stupefacenti.
Sempre
nel documento del Ministero Federale, a pagina 10, si legge che: "...
il 6 aprile 1992 a Berna si è tenuta una riunione di lavoro al fine
di definire il seguito dell'operazione concernente l'affare Bonacina
Sergio. L'Italia, la Francia, i cantoni Ticino, Vaud e Ginevra e il
nostro ufficio hanno partecipato a questa riunione. Dalla discussione
è emerso che i servizi francesi erano fortemente interessati a
infiltrare un loro agente, non un funzionario di polizia, bensì
l'informatore Franco Fumarola, con lo scopo di fare una consegna di
150 kg di cocaina a destinazione del Bonacina Sergio. Per poter
realizzare il contatto era però necessario che il Ticino fungesse da
intermediario per fornire "la chiave d'entrata" (...)
Incidentalmente abbiamo saputo, al di fuori della riunione, che la
fonte dei 150 kg di cocaina era il nominato Guillermo Bravo detto
Carlos (Ndr: altro informatore)...".
Malgrado
gli avvertimenti del Ministero Pubblico Federale e perfettamente al
corrente di tutti i risvolti più sopra elencati, sapendo dunque che
stavano commettendo un atto altamente illegale, Azzoni venne inviato
dapprima in Brasile e poi a Parigi e a Nizza per partecipare, con i
francesi, all'attuazione del "piano Bonacina". I nostri
servizi, oltre a contattare i collaterali francesi, si misero in
diretta relazione con gli informatori, dando loro precise
disposizioni, creando di conseguenza il diretto contatto con i
coniugi Bonacina. L'informatore Guillermo Bravo, detto Carlos, venne
piazzato presso l'Hotel Concorde Lafayette sotto la falsa identità
di Hernan Carlo Soto. Venne così ripetuto il copione, già visto,
della prima operazione, con la differenza notevole del chiaro,
rilevante nonchè documentato, coinvolgimento dei nostri servizi.
È
stata, quella dei nostri servizi, un'attiva e frenetica
partecipazione dall'inizio alla fine, in tutte le sue fasi e in tutti
i sensi, con scienza e coscienza, ben sapendo che stavano commettendo
un reato gravissimo. Basti pensare che il caro Azzoni ha perfino
partecipato direttamente al lavoro sotto copertura!! Dai diari e dai
manoscritti redatti durante "l'operazione" emergono
contingenze di estrema gravità. Da queste annotazioni traspare con
chiarezza assoluta la partecipazione attiva dei nostri servizi. La
circostanza è d'altronde attestata dal fatto che la polizia ticinese
ha sostenuto le spese di tale gravissima farsa.
E
ti dirò di più. Ai coniugi Bonacina è stata consegnata cocaina in
due precise circostanze: una prima volta 5 kg a Parigi che i
Bonacina, evidentemente, hanno pagato. Ma, si sa, per gli avvoltoi,
morti di fame, era ben poca cosa. Volevano un'entrata più
sostanziosa, più appetibile, la fame era tanta! Di conseguenza
programmarono un'altra consegna, a Nizza, una decina di giorni più
tardi. In quell'occasione, i Bonacina, ricevettero e pagarono, 50 kg
di cocaina. Furono arrestati e, manco a dirlo, malgrado le imponenti
misure di sorveglianza, "i fornitori di origine sudamericana
riuscirono a sottrarsi all'arresto". Così, testualmente, si
legge ancora nei rapporti francesi allestiti per questo evento.
"Sequestrati ben 50 kg di cocaina", magnifica, eccezionale,
strepitosa e grandiosa operazione antidroga della nostra Polizia, in
collaborazione con altre. Questi sono stati i commenti dei media. Il
nostro Comando, aveva infatti rivendicato la paternità, con un
comunicato ufficiale, la buona riuscita dell'"operazione"
che aveva permesso l'arresto del latitante Bonacina. Non dimenticare
che il Bonacina era colpito, da anni, da due mandati d'arresto
internazionali, per enormi traffici di droga, emessi dalle nostre
Autorità Giudiziarie.
Perché
mai, allora, non lo si è arrestato prima? I nostri servizi sapevano
dove si trovava. Era proprio necessario che funzionari di polizia
ticinesi commettessero un gravissimo reato, rimanendo impuniti, per
"provare" che il Bonacina fosse un trafficante di droga?
Bisogna forse commissionare un omicidio ad un conosciuto,
identificato e accertato come tale, "serial killer" per
dimostrare che è un assassino? Che fine hanno fatto i 5 kg venduti
la prima volta? Dato il tempo trascorso fra le due consegne, circa
dieci giorni, è facile suppore che siano stati immessi sul mercato
di dettaglio, finiti nelle vene, o nei nasi, di parecchi consumatori.
Se
poi pensiamo alle statistiche che vengono allestite ogni qualvolta
viene effettuato un sequestro, mi vien da ridere istintivamente. Di
fatto, come in un circolo vizioso, lo stesso quantitativo viene
sequestrato un'infinità di volte e, di conseguenza, i fondamentali
valori e criteri statistici, vengono travisati dando un'immagine
surreale della situazione. E poi, tutti i dati, con i relativi
numerini, vengono distribuiti a tutti i livelli, ai media, ai
politici, alle organizzazioni internazionali preposte alla lotta
contro il traffico di droga come l'ONU, il Segretariato Generale
d'Interpol, l'Undercover World Group, la DEA, l'FBI ecc, e usati per
svariati intenti e scopi che si possono facilmente leggere senza
doverli scrivere. Sembrerebbe un concetto utopistico, chimerico,
invece è quello che realmente succede. Non ti sembra grave e
scandaloso tutto ciò?
L'inchiesta
amministrativa non si è addentrata in questo campo, non ha
affrontato gli aspetti principali che ho denunciato, che denuncio
tuttora e che continuerò a denunciare finchè avrò fiato. Ha solo
precisato che i funzionari di polizia ticinesi hanno partecipato,
marginalmente, con l'interesse di scoprire eventuali conti bancari
intestati al Bonacina. Puerile e banale giustificazione!!
Si
dimentica facilmente che, un simile eventuale risultato, lo si
sarebbe potuto scoprire con il semplice arresto del Bonacina, quando
era stato identificato e quando era noto il suo indirizzo, molti
giorni prima dell'attuazione di un siffatto crimine. Nemmeno si è
tenuto conto del risultato del processo, contro Bonacina e compagnia,
celebratosi a Nizza.
Riducendo
sensibilmente (massicciamente), in maniera clamorosa, le proposte
avanzate dall'accusa, la Giuria, nella commisurazione delle pene, ha
principalmente considerato, in misura predominante, la grave
provocazione commessa da un branco di avidi e spregiudicati
sciacalli. Non riesco a trovare altri aggettivi per definire
personaggi del genere che, oltretutto, quando sussiste l'opportunità,
con la compiacenza di funzionari di polizia, spogliano
sistematicamente le vittime di tutti i loro beni mobili. Polizia
francese (OCTRIS) e Procuratore Pubblico, quella specie di un
vermiciattolo qual'è il tuo collega di Nizza che sosteneva l'accusa
e che ha avuto il coraggio di definirmi, pubblicamente, vile e
codardo, sono usciti sconfitti dal dibattimento processuale. È stata
la mia grande vittoria, ottenuta e voluta, da solo contro tutti,
contro un potente sistema istituzionale corrotto, come lo era quello
della "grande" Francia.
Mi
è stato detto che non si possono smantellare le Istituzioni. Sono
perfettamente d'accordo. Non mi si dica però che non si può
intervenire laddove il marciume è più che evidente. Sarebbe
veramente preoccupante. Non sarebbe di buon auspicio per il nostro
sistema istituzionale.
E
ora, amico mio, come la mettiamo con il Bonacina? Verrà chiesta
l'estradizione tenendo conto che, da noi, ha ancora dei conti in
sospeso con la giustizia? Quando sarà scarcerato in Francia troverà
alloggio nelle nostre carceri? Non dirmi che le passate
responsabilità del Bonacina verranno suggellate con un non luogo a
procedere in nome del principio, peraltro giusto e fondato quando ne
sussistono le premesse, "ne bis in idem". Sarebbe veramente
grottesco!
In
Francia non è stato giudicato per i gravi reati commessi in Ticino,
e altrove, che sono all'origine dei due mandati d'arresto
internazionali citati. Lasciami anche dire che la sequela degli atti
commessi dai nostri servizi nella gestione dell'affare Bonacina,
visti i precedenti dell'"operazione Nizza 1", vanno ben
oltre il puro e semplice comportamento superficiale (dolo eventuale).
Si tratta, in questo caso, di un atto illecito, punibile dalle nostre
legislazioni, commesso con premeditazione e con l'aggravante della
funzione. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico! In quel
periodo, proprio a cavallo degli anni 1992 / 1993, al Comandante
Dell'Ambrogio subentrò il tanto, da te, decantato Comandante
Wermelinger che, messo alla prova, si è rivelato un totale
fallimento. Un comandante che non comandava, anzi, che si lasciava
comandare, senza nerbo, senza spina dorsale, un coniglio come te!!
Nel
frattempo la situazione in Brasile si aggravava. La vita di mia
moglie era seriamente in pericolo. Le minaccie si facevano forti e
consistenti. Scrissi pertanto due dettagliati rapporti al Comandante
Wermelinger, il primo datato 13.4.1993 e il secondo datato 8.6.1993,
rapporti che trascrivo, qui di seguito, fedelmente.
Rapporto
di segnalazione
Minacce
intervenute dopo l'operazione Mato Grosso
Polizia
del canton Ticino
Alla
cortese attenzione del Comandante
Dott.
Saverio Wermelinger
Bellinzona
13.4.93
Egregio
sig. Comandante,
Come
lei sa, a partire dal febbraio del 1991 sono stato incaricato dal
Comando e dalla Procura pubblica di occuparmi dell'inchiesta
denominata Mato Grosso. Al fine di identificare e rendere
perseguibili gli organizzatori di numerosi e consistentissimi
traffici di cocaina verso il nostro paese, mi sono recato più volte,
sotto copertura, in Brasile, entrando in contatto con i trafficanti.
A causa delle note divergenze sulla regolarità del mio
accreditamento ho poi dovuto abbandonare bruscamente l'operazione. In
precedenza era emerso chiaramente che i narcotrafficanti facenti capo
alla famiglia Do Nascimento, all'onnipresente Aercio Nunes, ai
fratelli Fabbrocini notoriamente legati alla camorra napoletana,
stavano cercando di identificarmi con l'aiuto di alcuni avvocati
elvetici chiaramente compromessi nel traffico di stupefacenti.
Purtroppo devo constatare l'assoluta assenza di un lavoro di retrovia
che avrebbe dovuto tutelare la mia sicurezza. Nessun collega ha
proceduto a verificare quali modalità e quali contingenze avessero
permesso ai narcotrafficanti di individuare la mia reale località
ticinese di provenienza. A questa fonte di pericolo si è poi
aggiunto il brusco disimpegno, disimpegno che si è svolto
forzatamente al di fuori delle normali regole di conduzione di
un'inchiesta mascherata. Le note oscure vicende che hanno avuto per
protagonista l'ufficio dell'OCTRIS francese già menzionato altrove e
i tre informatori scaduti a trafficanti costituiscono una terza,
ulteriore, fonte di pericolo. Da alcuni giorni sono rientrato in
Ticino affrontando i molti timori che offuscavano questo rientro.
Purtroppo questi timori hanno trovato preoccupanti riscontri. Nemmeno
ora mi sento al sicuro, tanto più che la mia vita è già stata
ripetutamente messa in pericolo e molto concretamente minacciata da
diverse organizzazioni. Constato tra l'altro che almeno un magistrato
ticinese è stato dotato di scorta armata durante il periodo della
mia assenza. Personalmente mi trovo ora ad affrontare, da solo, quei
problemi di sicurezza che in passato non furono mai affrontati a
fondo. Come noto durante l'operazione Mato Grosso sono entrato in
contatto con la cittadina brasiliana che qui menzionerò come "A".
Grazie al suo lavoro nel commercio A ha fornito un consistente
contributo alla mia sicurezza ed alla creazione di quegli artifici
che, purtroppo, sono ancora eccessivamente lasciati alla capacità di
improvvisazione del singolo agente. A. mi ha inoltre aiutato nelle
traduzioni dei materiali d'inchiesta, grazie al suo contributo ho
potuto almeno osservare quei meccanismi che hanno permesso ai
trafficanti di ottenere dati importantissimi riguardo alla mia
identità. Dopo avermi fornito prove inconfutabili della sua
affidabilità A. è divenuta, per me, molto più di una compagna
occasionale d'inchiesta. Le fughe di informazioni e le sbavature con
le quali sono stato confrontato durante la fase sotto copertura,
hanno purtroppo avuto delle conseguenze, conseguenze che solo ora
sono valutabili in tutta la loro gravità. Già dopo la fase
undercover A. ricevette, attraverso i suoi genitori, numerose
telefonate da parte di una sedicente giornalista della nota rivista
Veja. La voce femminile al telefono chiedeva di contattare A. per
conoscere l'operato del "poliziotto europeo" che era con
lei. Evidentemente la figura del "poliziotto europeo"
coincide con la mia persona. I genitori di A. si insospettirono
soprattutto perché la sedicente giornalista rifiutava di lasciare
qualsiasi recapito che permettesse di richiamarla. La stessa voce
femminile si è rifatta viva, dopo mesi di silenzio, intorno allo
scorso 20 marzo. Stavolta il tono e il contenuto della telefonata
erano però sostanzialmente diversi: la voce chiedeva di incontrare
A. per trasmetterle una citazione della procura federale brasiliana
per "falsa testimonianza". Dopo aver verificato
l'impossibilità di una simile situazione A. trasse la conclusione
che potesse trattarsi si una telefonata intimidatoria con riferimento
alla sua attività di traduttrice espletata durante l'operazione Mato
grosso. La situazione si è ulteriormente chiarita, ed aggravata, in
questi giorni. Lo scorso 30 marzo sono rientrato in Europa.
Immediatamente il quotidiano la Regione ha pubblicato un servizio nel
quale faceva esplicitamente riferimento al mio arrivo e al Brasile.
Il giorno seguente è uscito lo scandaloso articolo del Blick, il 2
aprile è stata la volta del Corriere del Ticino che indicava come
imminente il mio arrivo. Sabato 4, infine, ancora la Regione
pubblicava ben due pagine sull'inchiesta amministrativa in corso
lasciando intendere cose molto gravi a proposito dei contatti
intrattenuti dal sottoscritto in terra brasiliana e indicando
chiaramente che il mio rientro era avvenuto. Il giorno seguente, cioè
domenica 4 aprile, i genitori di A. hanno ricevuto una prima serie di
2 telefonate, seguite da altre 3 nei giorni successivi. La voce era
sempre la stessa, ma ancora una volta cambiava il contenuto: stavolta
l'ignota interlocutrice diceva di essere la segretaria dell'avvocato
Riccardo Bolos. Ebbene, Riccardo Bolos è una figura di grande
importanza nell'ambito dei rilievi emersi dall'inchiesta Mato Grosso,
un personaggio a stretto contatto con i narcotrafficanti indicati in
precedenza. Il suo nome, tra l'altro, emergeva a stretto contatto con
quell'Angelo Di Mauro che era stato protagonista di un'inchiesta del
1987. In quell'occasone, con un lavoro sotto copertura, avevo
concretato l'arresto del Di Mauro. A carico dell'avvocato Bolos, che
risultava presente a Basilea come sorvegliante dell'operazione
criminosa, l'allora Procuratore pubblico sopracenerino Dick Marty
aveva spiccato mandato di arresto internazionale. È molto curioso,
inoltre, osservare che nell'ambito dell'operazione Di Mauro, emergeva
anche il nome - falso - di tale Rosenthal che risulta oggi essere il
noto Orlando Da Silva, personaggio attualmente incarcerato in Ticino
per le vicende che hanno portato in carcere il defunto Anasco
Villalon (traffico di 9 chili di cocaina). Da Silva è risultato,
inoltre, in contatto con quell'Abilio, che nella sua dubbia veste di
infiltrato della polizia civile brasiliana, risulta essere uno dei
protagonisti della malaugurata operazione Bonacina, operazione che
altrove ho chiamato "Nizza 2". Queste contingenze mi
spingono ad alcune riflessioni: è molto probabile che le notizie
pubblicate dalla stampa ticinese siano giunte, in tempo reale, in
Brasile. Gli stessi dati collezionati durante l'inchiesta Mato Grosso
mostravano con quale disponibilità alcuni avvocati elvetici si
prestino ad aiutare i narcotrafficanti nel tentativo di identificare
i poliziotti. È dunque provato che esistono numerosi canali di
informazione che legano i narcotrafficanti sudamericani al Ticino e,
in particolare, al Canton Ginevra. Noto inoltre che, pur rimanendo
invariata la voce femminile delle telefonate, il contenuto di queste
chiamate è variato puntualmente man mano che variava la situazione.
Posso desumerne che i grossisti della cocaina temano un mio
intervento chiarificatore di fronte alla commissione d'inchiesta. Fin
qui trattasi di doverose riflessioni, di ragionamenti "cuciti"
sulla base dei dati a disposizione. Vi è però una certezza, che
scaturisce dal fatto che la voce femminile abbia pronunciato il nome,
inconfutabile, dell'avvocato Bolos: i narcotrafficanti hanno
identificato A. come collaboratrice del sottoscritto nell'ambito
dell'inchiesta. Non è necessario, qui, che vi ricordi i pericoli
insiti in un paese notoriamente attraversato da fenomeni di
corruzione i cui esempi più lampanti sono emersi con la recente
destituzione del capo della polizia federale Romeo Tuma nonché dello
stesso presidente Collor. Sottolineo dunque l'urgenza di intervenire
a protezione di A. e della figlioletta di 6 anni che le è stata
affidata in occasione di un precedente divorzio. Sono convinto che la
sola soluzione consista nello spostamento di A., anche se questa
ipotesi contrasta duramente con i progetti esistenziali di A., che
gode, nel suo paese, di una rispettabilissima collocazione
professionale e sociale. Rimango a disposizione in qualsiasi momento
per completare queste informazioni, per verificarne l'attendibilità
e per valutare qualsiasi soluzione appaia praticabile. Devo
aggiungere che queste circostanze mi appaiono, oltre che dolorose,
anche imbarazzanti. Temo infatti che, con le tensioni sviluppatesi
all'interno del mio servizio a seguito della malaugurata operazione
di Nizza, qualcuno possa avere la crudeltà e l'insensibilità di
rimproverarmi per aver chiesto allo Stato di risolvere un "mio"
problema. Il dato essenziale è invece quello relativo al pericolo
cui si trova esposta attualmente questa persona. Se l'inchiesta Mato
Grosso non avesse avuto il ben noto esito negativo, avrei potuto
tutelare in modo ben migliore la sicurezza mia e delle persone che mi
hanno aiutato. Personalmente ho grande e piena fiducia nell'inchiesta
amministrativa in corso. Tuttavia non potevo certo attendere l'esito
di questa inchiesta trovandomi di fronte a situazioni di pericolo che
sono preoccupantemente evolute in queste ultime ore.
Con
grande stima
Comm.
Fausto Cattaneo
________________________
Rapporto
di aggiornamento
Ulteriori
minacce
Polizia
del canton Ticino
Alla
cortese attenzione del Comandante
Dott.
Saverio Wermelinger
Bellinzona
8.6.93
Egregio
signor Comandante,
Devo
purtroppo aggiornare le segnalazioni contenute nel mio rapporto dello
scorso 13 aprile con nuovi dati, dati che, purtroppo, per me, sono
sempre più preoccupanti. Immediatamente dopo il 30 marzo, data del
mio rientro in Ticino, la persona che menzionavo in quel rapporto con
l'appellativo di "A", aveva ricevuto alcune telefonate
chiaramente minacciose da una sedicente "segretaria
dell'avvocato Bolos", uno fra i personaggi più rilevanti
dell'organizzazione di narcotrafficanti emersa con l'indagine "Mato
Grosso". A quel momento, come riferito nel rapporto del 13.4.93,
avevo espresso il sospetto che tali minacce fossero in qualche modo
conseguenza della campagna di stampa ostile e calunniosa che aveva
accompagnato il mio arrivo dal Brasile. In seguito "A" ha
dovuto subire altri episodi indicativi e chiaramente preoccupanti . A
metà aprile un individuo si è presentato sul posto di lavoro di
"A", cercando di scattare delle fotografìe. Due giorni
dopo al suo domicilio si è fatto vivo un sedicente commesso, dicendo
di dover consegnare un mazzo di fiori. Avendo constatato
l'impossibilità di entrare in casa, l'individuo si è poi dato alla
fuga. Evidentemente si trattava di una falsa consegna poiché nessun
negoziante di fiori si è fatto vivo nei giorni successivi. Queste
contingenze mi hanno seriamente preoccupato. Gli sviluppi menzionati
hanno avuto luogo proprio quando le mie condizioni di salute erano
assai precarie, cioè durante i giorni di permanenza in clinica. In
tali condizioni, e a migliaia di chilometri di distanza, non potevo
minimamente essere di aiuto ad "A" e ai suoi familiari, né
potevo seriamente concentrarmi sui miei problemi di salute e
abbandonarmi con un minimo di serenità alle cure mediche. Alcuni
fraterni amici hanno quindi deciso di organizzare un particolarissimo
regalo offrendo un viaggio in Ticino alla persona menzionata. In
questo modo ritenevano di poter sbloccare una situazione di pericolo,
dando temporaneamente sollievo al sottoscritto. Questi amici
speravano di anticipare, con il loro contributo, i tempi di una
"soluzione ufficiale", che attendo tuttora. Al momento
attuale questi amici sono le sole persone che si siano occupate
concretamente di quei problemi di sicurezza per i quali ero stato
inviato negli USA nel dicembre del 1991. Ricordo brevemente queste
vicende: L'uccisione dell'informatore Alessandro Troja avvenuta il
17.10.90; per puro caso mi trovavo nella stanza d'albergo e non con
la vittima; Il ritrovamento di una lista di persone da eliminare sul
cadavere di un narcotrafficante morto in uno scontro a fuoco con la
polizia spagnola; il mio nome figurava sulla lista; La minaccia
proferita dal teste Calderon durante il processo a Severo Escobar e
coimputati (aveva con se una mia fotografia e il mio indirizzo
esatto); L'uccisione tramite incaprettamento (preannunciata da un
rapporto del comm. Bazzocco) dei turchi Ali Altimas e Nevzat Ozdemir
nell'ambito dell'operazione undercover che portò al sequestro di
14,5 chili di eroina; le fughe di informazioni dovute
all'impressionate grado di corruzione dell'autorità turca in
occasione dell'operazione dei cento chili di Bellinzona; le
telefonate dei narcotrafficanti brasiliani intercettate durante
l'operazione Mato Grosso, telefonate che indicavano chiaramente i
tentativi della famiglia Do Nascimento volti a una mia
identificazione.
Come
noto il mio ritiro avvenuto in occasione dello spoglio dei materiali
sequestrati al cambista Jaime Hoffmann, ha fatto tornare la
situazione al punto di partenza. Anzi, in queste settimane mi sono
trovato a fare i conti con nuove, ulteriori emergenze. Invero il
"ritiro dal fronte" è stato di assai breve durata: durante
il processo a carico di Francisco Do Nascimento, Gianmario Massa e
coimputati sono stato convocato poco prima delle 22 di sera affinché
fossi presente in aula il giorno successivo quale testimone. Cosa che
in effetti è avvenuta. Ancora una volta, in consonanza con le nostre
leggi, ho ritenuto mio dovere presentarmi quale testimone così come
richiesto dal presidente della Corte. Durante la precedente giornata
processuale l'imputato Francisco Do Nascimento ha formulato
pubblicamente il mio nome sotto copertura: cioè quello
dell'inesistente avvocato Franco Ferri. Il fatto che Franco Ferri
fosse un agente della polizia sotto copertura è poi stato confermato
agli imputati, pochi secondi dopo, dal delegato Silvano Sulmoni,
presente pure quale testimone. Pochi giorni dopo, ovvero lo scorso 25
maggio, la signora "A" ha dovuto rientrare in Brasile per
occuparsi dei suoi cari. Mentre l'aereo sorvolava l'oceano Atlantico,
a casa di "A" giungeva una nuova telefonata di minaccia:
una voce maschile, che si esprimeva, stavolta, in lingua italiana,
diceva di voler parlare con "A", qualificandosi con
l'appellativo di "Franco Ferri". Nessuno, in Brasile,
sapeva che A sarebbe partita quel giorno per rientrare in Patria.
Pochissimi lo sapevano in Ticino. La situazione diviene di giorno in
giorno più inquietante. La mia sensazione, già espressa nel
rapporto del 13 aprile, ed ora ulteriormente rafforzata, è che
queste telefonate abbiano origine dal Ticino: è in Ticino, infatti,
che proprio nei giorni precedenti, è stato fatto pubblicamente per
la prima volta il nome di Franco Ferri. Un'ennesima telefonata è
giunta direttamente ad "A" la sera dello scorso giovedì 3
giugno quando, stavolta in portoghese (con accento brasiliano)
affermava che "presto arriveremo alla resa dei conti".
Egregio signor Comandante: durante i lunghissimi mesi di questa
vicenda ho ricevuto molti inviti alla calma, a non drammatizzare, ad
avere fiducia e, non ultimo, a curare la mia salute. Vorrei tanto
sapere come poter curare la mia salute e progettare il mio futuro in
simili condizioni, come ottemperare alle disposizioni del medico che
mi impone di conservare uno stato d'animo sereno e stare lontano dai
problemi. La degenerazione dell'operazione Mato Grosso, il mio
rientro affrettato dagli USA, i numerosi rischi precedenti, gli
effetti catastrofici che tutti questi elementi hanno avuto sulla
vicenda privata del mio divorzio, tutto questo fa si che io mi trovi
a vivere, da molti mesi, in condizioni non molto dissimili da quelle
di un rifugiato dell'ex-Yugoslavia. Non ho un'abitazione mia, né un
volume di entrate accettabile, non un luogo dove "nascondermi"
dopo una lunga serie di operazioni undercover condotte senza
interruzione, non ho neppure la possibilità di proteggere
adeguatamente, se non me, almeno le persone care, prima fra tutte,
"A", mia futura sposa. Posso contare unicamente sull'aiuto
di amici. Vorrei sapere che cosa lo Stato mi consiglia o mi chiede di
fare. In queste condizioni di attesa, attesa soprattutto di un
ristabilimento della mia dignità di uomo e di poliziotto, mi riesce
assolutamente impossibile pianificare una sana via d'uscita per il
futuro. Non posso abbandonare le persone care al pericolo, né posso
dimenticare di essere un umile servitore dello Stato, pronto a
testimoniare a favore della verità, anche quando questa verità è
dolorosa. Le telefonate di minaccia che giungono in Brasile
ogniqualvolta succede qualcosa di rilevante in Ticino sembrano
rispondere a una sola, possibile, logica: quella di scoraggiarmi
affinché io rinunci a testimoniare nell'ambito di quell'inchiesta
amministrativa che il Consiglio di Stato ha deciso di avviare dopo la
lettura dei rapporti di Berna e dell'ampio esposto intitolato
"Rapporto di segnalazione sull'inchiesta Mato Grosso" da me
redatto. Mi risulta che durante il processo l'imputato Francisco Do
Nascimento abbia rilevato una circostanza che - se vera - apparirebbe
quantomeno strana: durante gli interrogatori l'ispettore Azzoni, che
era con me in Brasile, si sarebbe fatto volontariamente riconoscere
dall'imputato. Non capisco per quale motivo un poliziotto debba
presentarsi spontaneamente al narcotrafficante incappato in
un'operazione undercover. Mi risulta inoltre che il delegato Sulmoni
abbia dichiarato di aver visto il summenzionato rapporto di
segnalazione e che, quindi, non sia stato protetto da un minimo
segreto istruttorio. Da più parti mi sono reso conto che parecchie
persone sono state erroneamente informate nel senso che costoro sono
convinti dell'esistenza di un'inchiesta a mio carico. La mia
permanenza in Ticino, di questi ultimi mesi è inoltre permeata da
una serie di episodi ulteriormente preoccupanti: come noto da anni il
presunto trafficante Arman Haser, da noi inquisito nell'ambito
dell'operazione Eiger (lebanon connection) cerca di vendicarsi
inviando lettere minatorie e precetti esecutivi per milioni di
franchi ai protagonisti di quell'inchiesta. Una sua recentissima
lettera inviata all'informatore A.C. menziona la mia permanenza
presso la clinica di Castelrotto. Vorrei notare, di transenna, che
Haser era in contatto con persone ampiamente menzionate nell'ambito
dell'inchiesta Mato Grosso, in particolare con un avvocato sul quale
si addensano pesanti sospetti. Vorrei tanto sapere come mai Haser,
che si trova da anni in Canada, possa conoscere simili particolari
della mia vita privata. In conclusione, egregio signor comandante,
vorrei attirare la sua attenzione sulla mia attuale situazione
personale e su quella dei miei cari. Credo di aver dato tutto quanto
potessi dare allo Stato del Canton Ticino e in generale al mio Paese.
Nelle attuali condizioni di solitudine e di provvisoria
delegittimazione i rischi cui sono sottoposto vanno oltre qualsiasi
limite accettabile.
in
fede: comm. Fausto Cattaneo
Speravo
tanto in un aiuto consistente, un sostegno morale. A nulla sono valse
le mie suppliche, le mie preghiere e le mie lacrime. Se ne fregò
altamente dei miei problemi, se ne lavò le mani, come Ponzio Pilato.
Che fare? Per prima cosa accelerammo i tempi del matrimonio anche se,
in verità, nessuno dei contraenti voleva sposarsi. La nostra
intenzione era quella di convivere pacificamente. In quel momento
però era l'unica soluzione proponibile, che avrebbe dato la
possibilità, in barba a tutti, alla mia futura moglie di stabilirsi
in Svizzera. Per carità, non è che ora siamo pentiti di esserci
sposati, anzi, siamo felicissimi di averlo fatto.
Nello
stesso periodo, l'Arman Haser, aveva intentato una causa contro
l'onorevole Dick Marty e contro la mia persona per presunte e pretese
irregolarità commesse nell'esercizio delle mie funzioni. Causa poi
sfociata, in ultima istanza, davanti al Tribunale Federale, il quale
sentenziò infondate prive di ogni e qualsiasi valore giuridico le
richieste avanzate dall'interessato. Nell'iter procedurale ricevetti
un'infinità di lettere raccomandate che dovevo ritirare a
Bellinzona. Mi rivolsi ancora al comandante Wermelinger. Era compito
suo prendere posizione in merito. Se ne lavò le mani ancora una
volta dicendomi di rivolgermi ad un avvocato !! Si rifiutò perfino
di rifondermi le spese che dovetti sostenere nelle svariate trasferte
da Locarno a Bellinzona. Povero e misero tapino anche lui!
Nell'estate
1994 cominciai a frequentare una spiaggetta del Gambarogno, località
che tu ben conosci. Un bel giorno, di un caldo torrido e afoso, nella
spiaggetta, all'occasione affollatissima, fece capolino un
personaggio, noto negli ambienti come violento e bevitore abituale.
Era armato di pistola calibro 9, colpo in canna più altri 8 nel
caricatore. Era seriamente deciso ad uccidere la propria moglie,
gerente dello spaccio, e tutti i suoi amanti. Così diceva, brandendo
l'arma. Una situazione terrificante e traumatizzante. Riuscii a
neutralizzarlo. Tra le varie altre armi da fuoco che teneva in casa,
con relative munizioni, aveva un fucile pompa, carico, sotto il
letto. Feci poi intervenire chi di dovere ai quali consegnai armi e
bagagli. In quel periodo non ero ancora al beneficio della pensione,
ero in malattia, con tanto di permesso medico di uscire. Morale della
favola: alcuni giorni più tardi, dal Comando, ricevetti la seguente
stringata e fredda lettera, senza nessun convenevole di sorta,
firmata dal Vice Comandante: "...
per ordine del signor Comandante la invito a consegnare
immediatamente la tessera di polizia...".
Fine della citazione. Un ordine perentorio, senza nessuna
motivazione, dal sapore squisitamente dispotico e antidemocratico,
che non s'addice certamente alle capacità intellettuali che un
Comandante e un Vice dovrebbero avere. Telefonai immediatamente al
Comandante Wermelinger. Volevo che giustificasse e motivasse tale
provvedimento. Già sai cosa mi fu risposto perché, a suo tempo, te
l'avevo detto. Ora lo scrivo perché è giusto che certe cose si
sappiano, soprattutto se dette, non dal "Gigi di Viganello",
ma da un alto funzionario qual'è il Comandante: "...
mi risulta che lei ha lavorato in periodo di malattia effettuando un
intervento, non autorizzato, in un bagno pubblico del Gambarogno...".
Non faccio ulteriori commenti, già si commenta da solo. Aggiungo
solo che al Comandante Wermelinger ho detto quel che pensavo di lui,
telefonandogli appositamente in presenza di testimoni, dagli uffici
di Locarno. Pensiero che ricalca esattamente quello che ho scritto
ora. Storie incredibili, cose dell'altro mondo, si potrebbe
definirle. Se tutto quanto non l'avessi vissuto sulla mia pelle non
crederei, nemmeno io, ad una storia simile. Ancora oggi mi capita di
pensare che il tutto sia stato un brutto sogno.
Ma
ritorniamo in Brasile dove avevo lasciato mia moglie in mezzo a tanti
pericoli e dove la situazione, come già accennato, si aggravava ogni
giorno. Isabel Maria dovette abbandonare il posto di lavoro e la
propria casa per sottrarsi alle concrete minaccie di morte. Trovò
rifugio presso parenti e amici cambiando sistematicamente indirizzi.
Tutto ciò avvenne quando le mie condizioni di salute erano assai
precarie. Mi portavo dietro, già da un po'di tempo, uno stato di
avvilimento e depressivo, a dir poco, mostruoso. L'idea che potesse
succedere l'irreparabile nei confronti di mia moglie, unico bene che
mi era rimasto,
faceva
aumentare il già precario grado di scoramento, di tristezza, di
smarrimento
e sgomento.
Mi
trovavo a migliaia chilometri di distanza nell'impossibilità di
aiutarla
e i miei problemi di salute si aggravavano. Il mondo mi crollava
addosso.
Non avevo i mezzi necessari per vivere. Non ho vergogna (semmai altri
dovrebbero averne), a dire che, per circa un anno, il mio stipendio
era di 350 franchi mensili. Sì, hai capito bene: trecentocinquanta
franchi svizzeri mensili!!! Uscivo da un divorzio che mi aveva
letteralmente ridotto sul lastrico e di conseguenza mi trovai in una
situazione finanziaria fallimentare. Le richieste di trattenute alla
fonte per i corrispettivi pagamenti, inoltrate dall'Ufficio
Esecuzioni e Fallimenti e dalla mia ex moglie, vennero accettate
dalla Cassa Cantonale, subordinatamente dall'Ufficio Stipendi. Il
decurtamento dello stipendio, abusivamente ed illegalmente accettato,
con una facilità e superficialità che ha dell'incredibile,
soprattutto perché avvenuto in uno Stato di diritto, democratico,
come il nostro, mi gettò maggiormente sulla strada dell'abbandono,
della miseria, della povertà, dell'indigenza e dell'accattonaggio:
non trovo altri aggettivi visto come, prove alla mano, la mia paga
mensile, per quasi un anno, è stata, lo ripeto ancora, di
TRECENTOCINQUANTA FRANCHI SVIZZERI.
Mi
sentivo moralmente e materialmente distrutto, annientato, denigrato,
deriso, ferito a morte nell'orgoglio, completamente in balia alla
rassegnazione, senza volontà alcuna di reagire davanti a tutto
quello che mi stava capitando. Non riuscivo, insomma, ad alzare
minimamente la testa (o la cresta, come si suol dire) per far
rispettare i miei diritti. Lo sanno tutti (alcuni lo sapevano anche
allora) che avrei dovuto ricevere, quantomeno, il minimo vitale
garantito. Invece, tale sacro diritto (sta scritto da qualche parte),
è stato arbitrariamente calpestato. Lo Stato deve preservare
qualsiasi individuo dall'"indegnità di una vita mendace".
Con questa storica sentenza il Tribunale Federale aveva costretto il
comune di Ostermundigen ad assistere materialmente tre fratelli
cecoslovacchi colpiti dall'indigenza a causa di una situazione
giuridica estremamente complessa. (Sentenza 2P. 418/1994 del
27.11.1995) Nel mio caso, invece, è lo Stato che mi ha ridotto
all'indegnità di una vita di mendicità per circa un anno,
causandomi un danno notevolissimo. Danno che ora qualcuno dovrà
pagare! Ero peggio di un mendicante, di un barbone. Un qualsiasi
rifugiato di "vattelapesca" (ce ne sono tanti in Svizzera),
nei miei confronti, era un privilegiato: io non avevo i soldi per
comperare un misero tozzo di pane raffermo per sfamarmi!!! E, in tali
condizioni finanziarie, con tutto l'altro carico di annessi e
connessi (salute, morale, sicurezza, paure, angoscie ecc. ecc., che
mi porto appresso ancora oggi), sono stato costretto a vivere per
almeno un anno!!!
Sei
capace di dirmi come ho potuto vivere e far fronte ai miei impegni in
simili condizioni tenendo presente che anche Isabel Maria, per i
conosciuti e risaputi motivi di sicurezza, fu costretta ad
abbandonare il proprio lavoro? Bussai a parecchie porte statali,
compresa quella del Comandante (per modo di dire), umiliandomi a
chiedere la carità, anche se chiedevo il giusto che dovevo avere,
quel minimo per poter vivere dignitosamente che, di riflesso, oltre
ad infondermi coraggio e speranza, mi avrebbe permesso di
pianificare, gradatamente e con un poco di tranquillità, il futuro.
Nossignore, niente di tutto ciò. Tutti se ne fregarono altamente in
maniera, a dir poco, ignobile e vile; in "primis" il signor
Wermelinger. E lui sapeva di questa situazione, glielo avevo perfino
scritto, come traspare dalle due lettere più sopra accennate e
fedelmente riportate. Mi sentivo come un pezzo di escrementi umani,
volgarmente detto "un pezzo di merda". E di lettere, il
signor Wermelinger, ne aveva ricevuto una terza in data 5 aprile
1993: "...
Improvvisamente, a causa delle calunnie diffuse da un gruppo di
informatori e da servizi francesi corrotti e interessati, mi sono
ritrovato in una situazione di totale deligittimazione. Da solo ho
dovuto ricostruire la dinamica dei perversi meccanismi che mi hanno
fatto toccare con mano la vulnerabilità delle nostre Istituzioni. Mi
sono ritrovato solo, con una parte dei colleghi nettamente ostile. Le
verifiche del Ministero Pubblico della Confederazione - peraltro
lungamente inascoltate - hanno ricostruito parzialmente la verità.
Dietro ai futili motivi che hanno mosso questi perversi meccanismi vi
erano colossali interessi. La reazione dello Stato è stata
inevitabilmente lenta. Gli effetti devastanti sono invece stati
immediati. Mi sono quindi trovato a pagare un triplice prezzo per
questa situazione: un prezzo in termini di salute, poiché il mio
impegno è stato ininterrotto per anni. Gli agenti speciali di altri
Paesi godono tra l'altro di un'adeguata assistenza psicologica che
serve a sorreggerli dopo ogni cambio di identità dovuta ad
operazioni "undercover"; un prezzo in termini di immagine e
di rapporti professionali. Alcuni miei colleghi, consapevolmente, si
sono schierati dalla parte dei servizi francesi che sostanzialmente
trafficano cocaina tradendo lo Stato; Un prezzo incalcolabile in
termini di sicurezza personale, come ben dimostra l'alluvione di
articoli e servizi che è puntualmente iniziata. Nomi di copertura,
luoghi strategici di precedenti operazioni, parentele, tutto è
finito in pasto a giornalisti senza scrupoli. (...) Durante
quest'ultimo anno la situazione è ulterormente peggiorata senza
contare i rischi di identificazione che ho corso durante l'operazione
"Mato Grosso" senza che qualcuno dei colleghi potesse darsi
da fare per proteggermi. Aggiungo inoltre che l'operazione "Mato
Grosso" è rimasta in buona parte incompiuta con tutti i
pericoli supplementari del caso. (...) Vorrei che lei confrontasse le
situazioni nelle quali mi sono trovato con quelle dei colleghi esteri
che erano al mio fianco durante le operazioni "undercover",
quei colleghi americani che dopo i lavori più impegnativi o dopo
determinati periodi vengono trasferiti altrove con nuova identità.
Per me nulla di tutto questo. (...) Qualsiasi malvivente che dovesse
confrontare con un minimo di attenzione i dati riferiti dalla stampa
sarebbe in grado di trovarmi. Sono stato presentato dal quotidiano
Blick, che evidentemente ignora la verità, non come vittima della
spietata dinamica delle lotte fra Stato e criminali, bensì come
utilizzatore di denaro pubblico sperperato in orge e champagne.
L'amministrazione pubblica per ora non ha potuto aiutarmi. Decine di
volte ho dovuto presentare il mio volto in aula penale senza
precauzione alcuna, rispondendo al fuoco di fila delle domande dei
difensori. Contemporaneamente ero impegnato sotto copertura in altre
indagini. Oggi come oggi chiedo solo che lo Stato mi riconosca il
diritto di vivere, di occuparmi serenamente delle persone che mi sono
care, togliendo almeno loro dal pericolo. Allo Stato del Cantone
Ticino ho dato tutta la mia vita traendo energia dai volti dei
ragazzi che ho conosciuto quando militavo nell'antidroga di
Locarno...."
Se
avessi scritto tutto ciò al pastore delle pecore dell'alpe del
Gesero, forse un minimo di appoggio e di comprensione l'avrei
ottenuto. Ero salito agli onori della cronaca in tutto il mondo, più
volte decorato a livello internazionale per il grande impegno e gli
enormi risultati ottenuti, per aver lottato in prima linea in
tantissime battaglie, disinteressatamente, con grande altruismo,
fronteggiando lealmente e legalmente lo strapotere di un nemico
crudele e spietato. Avevo cooperato allo smantellamento di varie
organizzazioni internazionali colpendole nelle finanze (loro tallone
d'Achille) e, implicitamente, permesso il sequestro dei loro beni a
favore dello Stato, togliendo nel contempo dal mercato nero diverse
tonnellate di droga pesante quali sono l'eroina e la cocaina,
prodotti dagli effetti sociali pestilenziali che, giustamente come
recita la legge, avrebbero messo in pericolo la salute di parecchie
persone, un numero incalcolabile davanti a quantitativi del genere.
Tenendo presente gli elevatissimi costi sociali che un
tossicodipendente comporta avevo anche contribuito a far risparmiare
allo Stato un'enorme, indefinibile, somma di denaro. Senza che me ne
rendessi conto, caddi improvvisamente, spintonato con premeditazione,
nel fango. Dalle stelle alle stalle. Mi sono risollevato. Altri però,
e su questo ci puoi scommettere, andranno a finire nell'adiacente
letamaio e ci rimarranno per sempre.
Il
mio corpo e la mia mente erano, letteralmente, devastati, distrutti,
come se fossi passato attraverso un tritacarne. Peggioravo non di
giorno in giorno, ma di ora in ora. Alla sera avevo paura di
addormentarmi per paura di risvegliarmi all'indomani: la grande paura
del domani tremendo, ingiusto, ostile, vigliacco, inumano, egoista,
senza sentimenti, buio, sordo, senza speranza, senza gioia, senza
sorriso, il domani dall'impatto freddo e crudele, da affrontare con
le continue sofferenze e, conseguentemente, con un aumentato carico
di disperazione.
Ecco
le percezioni che provavo, che mi stroncavano, che mi soffocavano e
mi schiacciavano. Non c'ero più con la testa, stavo impazzendo, me
ne rendevo conto. Ero abulico, apatico, inerte: non avevo, malgrado
gli sforzi che facevo per trovarla, la forza mentale per affrontare i
numerosi problemi, me ne infischiavo, scappavo dai problemi adottando
la politica dello struzzo. Volevo essere quello di una volta, forte,
coraggioso, sicuro e intraprendente: non ci riuscivo, ero
attanagliato dalle angoscie. Non ero più vivo, vegetavo. A Isabel
Maria non ho mai potuto dire queste cose. Soffriva già molto a causa
di tutta questa bruttissima storia. La sua salute era precaria,
depressa anche lei. Non volevo che i suoi sensi di colpa, già
presenti, aumentassero. Lei, che mi aveva salvato la vita, doveva
uscire viva da quest'inferno. Lei che pure, ironia della sorte, aveva
perso tutto, la casa ed un posto di lavoro molto ben retribuito per
quelle latitudini. Non potevo, quindi, trarre benefici, nemmeno
morali, dalla persona amata. Anche questo mi è stato negato.
Ma
in nome di chi, di cosa e per quali ideali ho lottato una vita intera
contro la peggior forma di gangsterismo mondiale, dando più del
massimo che potevo dare, dando l'anima e il corpo, mettendo a
repentaglio la mia vita, quella del sangue del mio sangue, quella dei
miei cari e sacrificando tutto e tutti? Non ne potevo più, basta,
era ora di finirla! Quella strana, dolce, sensazione di sollievo che
il pensiero del suicidio mi provocava, che avevo già provato prima,
si fece ancora avanti, più forte che mai. Convulso e confuso, come
uno zombi, come un automa, lasciai spazio a siffatto insano gesto.
Si
era nella primavera, inizi, del 1993 e di li a poco doveva cominciare
l'inchiesta amministrativa. Ero appena rientrato dal Brasile dove mi
ero recato alla fine dell'anno 1992 per stare vicino ad Isabel Maria.
Lasciai due righe sul tavolo, bagnate di lacrime, a mia figlia
Fausta, l'unica, a parte Isabel Maria, che mi aveva compreso e che,
forse, avrebbe capito quel tragico atto. "Addio carissima
Fausta, sii orgogliosa, come sempre lo sei stata, di tuo padre, addio
a tutti, anche alle pezzenti, miserabili e meschine persone che
consideravo amiche".
Presi
la pistola e con l'auto mi recai a Locarno in zona Bosco Isolino. Il
colpo era in canna. Cominciai a pensare a tutta la mia vita che,
quasi per incanto, mi passava davanti agli occhi. Pensai a Isabel
Maria, ai miei famigliari, a chi mi voleva bene, a mia mamma
ultraottantenne..... piansi, piansi e ancora piansi, molto, a
dirotto. Ero annebbiato, deliravo e farneticavo. Stavo vivendo un
incubo, mi apparivano stranissime visioni. Il pensiero si focalizzava
sui ghigni beffardi e sarcastici di quelle persone che mi avevano
voltato le spalle.
Non
so come, mi è difficile spiegarlo, ma questo pensiero, allucinante,
figure dai volti che gioivano e sorridevano per quello che stavo
facendo, fece scattare, dentro di me, una molla carica di una rabbia
impressionante. Improvvisamente mi resi conto che stavo sbagliando,
che stavo per commettere un atto di vigliaccheria, che mi stavo
arrendendo nella maniera più scellerata e stupida possibile. Un
ulteriore impeto di collera, di furore, salì dal mio corpo; non
pensavo più al suicidio, sentivo una gran voglia di "vendetta",
di vittoria e di giustizia, provavo piena soddisfazione pensando di
poter, un giorno, sputare in faccia a certe persone. Stava piovendo.
Scesi dall'auto e cominciai a girovagare in mezzo al bosco, in riva
al lago, fino ad arrivare in centro città. Camminavo sotto l'acqua,
bagnato fradicio, piangevo, parlavo, gridavo e ridevo. Nella mia
mente si affacciavano mille pensieri, buoni e cattivi, ma quel che
più conta, abbandonai, quasi per magia, l'idea del suicidio.
Rientrai a casa deciso di dare battaglia fino in fondo, fermamente
convinto che dovevo farlo essendo nel giusto: costi quel che costi.
Deposi l'arma e stracciai la lettera d'addio.
Tu
non puoi immaginare, nemmeno minimamente, come mi sentivo, qual'era
il mio stato d'animo, in quei momenti. Veramente traumatizzante. Il
peggior periodo della mia vita. Non avevo mai provato cose simili,
neanche quando, nelle tantissime operazioni "undercover",
la puzza di morto mi era salita più volte su per le narici. Non
potrò mai dimenticare, cancellare, cosa ho passato: il trauma è
ancora presente e lo sarà per sempre. Ora, mentre sto scrivendo
queste cose, mi sento malissimo; solo io so quanto non avrei voluto
farlo! Le fresche ferite si riaprono e mettono ancora in evidenza la
carne viva, lacerata.
Tuttavia
c'è in me la ferma convinzione che lo devo fare, che lo devo mettere
nero su bianco (come lo sto facendo), per il mio bene, per sentirmi
appagato delle ingiustizie subite. Per eventualmente evitare che, a
futura memoria, ad altri succeda quel che è successo a me e, se
possibile, per il bene delle nostre Istituzioni. Non si tratta, te lo
ripeto, di una vendetta o di una rivincita, ma bensì di una voglia
di giustizia equilibrata. Cosa succederà? Francamente non lo so e
non lo voglio sapere. Non mi interessa sapere o presumere cosa
succederà. Al momento ho raggiunto la certezza, in sostanza per me è
l'aspetto prioritario, che quando avrò finito di scrivere, mi
sentirò vuoto e sollevato, come il vomito che libera lo stomaco da
una tremenda indigestione.
Mi
sforzai di riordinare la mente, le idee. Dovevo assolutamente fare
qualche cosa, reagire. Pensai all'avv. Mario Molo, professionista che
stimo moltissimo. È strano, ma il pensiero di telefonare all'avv.
Molo e quindi di recarmi nel suo ufficio, mi metteva paura, mi
angosciava. Nella mia testa si inseriva il timore di trovare altre
porte chiuse. Con fatica vinsi tale stato d'animo che mi strigeva,
come una morsa, la gola. Il giorno dopo ero nel suo ufficio. L'avv.
Molo capì all'istante la drammaticità e la gravità della
situazione, era molto preoccupato, al punto tale che mi mandò
immediatamente dal dottor Tazio Carlevaro. Finalmente trovai il tanto
agognato sostegno morale e il necessario calore umano. Grazie a loro
due ho cominciato a rivivere. Ero ancora vivo e avevo voglia di
vivere. Cominciai, gradatamente, a sperare e a ritrovare, piano
piano, quella necessaria fiducia che, per molto, troppo, tempo avevo
perso. In un periodo successivo mi recai a Berna presso il Ministero
Pubblico Federale dove fui accolto dai sigg. avv. Wyss e Schmid
nonchè dal collega ed amico Kaeslin. Assolutamente bisognava
escogitare un intervento in Brasile a favore di mia moglie. I
pericoli e le tensioni aumentavano. Dovevo, ad ogni costo, metterla
in salvo. Memore di luttuosi, tragici fatti, avvenuti alle nostre
"tranquille" latidudini, dove alcuni informatori furono
barbaramente assassinati, dovevo evitare il peggio. La realtà
sudamericana, dove la vita non ha nessun valore, dove la facilità di
uccidere una persona è, per noi in Svizzera, paragonabile al furto
di una bicicletta abbandonata, è notoria. L'avevo, purtroppo,
vissuta simile triste realtà. Che ne sarebbe stato di me se
l'imminente pericolo si tramutava in tragedia? Cosa avrei fatto? Come
avrei reagito? Immagina, ipoteticamente, una simile situazione e
troverai una facilissima risposta al quesito.
A
Berna capirono la gravità e la delicatezza della situazione.
Assolutamente non si doveva più tergiversare. E si meravigliarono
che in Ticino le mie suppliche d'aiuto non trovarono accoglimento.
Paradossalmente, i pettegolezzi e le dicerie, ne trovarono, Jacques,
eccome! Approntarono e finanziarono immediatamente un piano
d'emergenza. Giorni dopo mi trovai sull'aereo che mi stava portando
in Brasile. Le mie batterie si stavano, lentamente, ricaricando.
Stavo affrontando una missione per la quale valeva la pena di
rischiare la vita.
Sbarcai
a San Paolo e raggiunsi Rio de Janeiro con l'esistente ponte aereo
che collega le due metropoli ben sapendo che non esistono controlli.
A Rio de Janeiro mi attendeva una persona di assoluta fiducia. Mi
portò a casa sua, in una "favelas", dove Isabel Maria
aveva trovato rifugio. All'indomami, la stessa persona, ci portò
fuori città. Con un autobus di linea, pieno di contrabbandieri,
raggiungemmo Assuncion in Paraguay transitando per il valico
stradale, senza controllo alcuno, di Fotz Iguassù. Avevamo percorso
3.200 km! Sei giorni dopo eravamo a Zurigo attesi all'aeroporto
dall'amico Kaeslin che, per una quindicina di giorni, sempre per
motivi di sicurezza ci ospitò a casa sua. Missione compiuta, dunque.
Nel
frattempo avevo trovato un piccolo appartamento, ammobiliato, a
Locarno. Eravamo nel mese di dicembre 1993. Agli inizi del 1994
raggiunse la Svizzera, proveniente dal Brasile, anche la piccola
Vivian. Un giorno di primavera di quell'anno, a Locarno, mi incontrai
con Sam Meale, agente della DEA di stanza a Milano. Tu sai chi è
Sam. Non sai però (non potrai mai saperlo) quanto sia grande,
profonda e leale l'amicizia che da anni ci lega. Fianco a fianco
abbiamo combattuto più volte, rischiando la pelle, un comune nemico.
Assieme abbiamo diviso gioie e dolori. A Istanbul, nella nota
operazione dei "cento kg di eroina", quando la situazione
si era fatta critica a dismisura, gli ho salvato la vita. Le ha dette
e scritte queste cose, al suo Governo. Mi è bastato il suo grazie,
il grazie sincero di un vero amico. Era da tanto tempo che non lo
vedevo. Puoi quindi immaginare il piacere nel rivederlo. Si trovava a
Bellinzona per motivi di lavoro e doveva incontrarsi con te e con i
miei ex colleghi. Quando hai saputo che era in mia compagnia, ti sei
sdegnato gridando allo scandalo, sollevando un polverone a non
finire.
Temevi
che mi raccontasse qualche cosa circa l'inchiesta che stavate facendo
e che, così facendo, avrebbe rovinato tutto. Evviva la fiducia. Non
mi ha detto niente e nemmeno ho voluto sapere particolari. Già
sapevo che, dietro vostro invito, doveva incontrarsi con il vostro
informatore, protetto, Nicola Giulietti, vecchia conoscenza, braccio
destro di Haci Mirza, arrestato per la ormai storica inchiesta dei
100 kg di eroina. Me lo avevano detto i "muri del tuo ufficio".
Lo sai anche tu che i muri, a volte, parlano. Ricorderai che ti ho
immediatamente telefonato dicendoti quel che pensavo. E quando ti ho
buttato li il nome del Giulietti sei rimasto pietrificato, senza
parole. Vedi come eri prevenuto e carico di pregiudizi nei miei
confronti? Ma con quale diritto, mi chiedo ancora oggi, eri così
fortemente contrariato dal fatto che l'amico Sam fosse in mia
compagnia?
Non
ti ho più visto, o sentito, per molto tempo. Seppur a stenti, con
enorme fatica, sono sopravvissuto. Ed ora eccomi qua, non in forma
smagliante (quella arriverà con il passare del tempo, almeno così
spero), ma vivo e vegeto, deciso più che mai a dare battaglia fino
in fondo. Se ho sbagliato, pagherò nella misura in cui ho sbagliato.
Ma altrettanto dovranno pagare gli altri! È una questione di equità,
prevista anche dai nostri ordinamenti. Mi sembra di poter dire che io
abbia già pagato, pesantemente e ingiustamente, colpe altrui, a
favore dei veri responsabili che invece, paradossalmente, ne hanno
tratto beneficio.
Poi,
improvvisamente, nell'estate 1994, mi hai telefonato per invitarmi a
cena. E siamo andati a Vogorno: tu, io, Federica e Isabel. Mi aveva
fatto piacere rivederti e, soprattutto, mi aveva fatto piacere vedere
che ti trovavi bene con Federica. Non ho mai capito bene il perché,
dopo tanto tempo, di quell'invito. Forse volevi dirmi che Federica
era incinta (apparentemente non si notava), ma non te la sei sentita
di farlo. Un poco più tardi ci siamo incontrati in quella spiaggetta
del Gambarogno. Io ero con Isabel, e ci hai invitati a cena in un
ristorante della regione con i genitori di Federica. Eravamo seduti
al tavolo, eri allegro e contento con Federica e i suoi genitori. Mi
è sembrato strano anche quell'invito. Ti si leggeva in viso che
dovevi dirmi qualche cosa d'importante. Tant'è vero che, alla sera a
casa, dissi ad Isabel che ti volevi sposare. Almeno questa è stata
la mia impressione. Veramente, l'ultima cosa a cui pensavo, era che
Federica fosse incinta. Più tardi ho poi saputo della nascita del
piccolo Francois, tuo figlio, nel caso tu l'abbia dimenticato, nato
il 7 settembre 1994.
A
proposito, quanto tempo che non vedi tuo figlio? È un bel bambino,
mi chiama zio, ti assoglia moltissimo, fisicamente beninteso! In
prosieguo di tempo c'è poi stata la campagna elettorale durante la
quale, lasciatelo dire, hai predicato bene ma razzolato male, molto
male. Tantissima gente ti ha votato. I risultati usciti dall'urna
hanno effettivamente dimostrato un largo consenso a tuo favore.
Significa che la gente aveva creduto in te, alle tue belle parole
dette in campagna elettorale, ma son rimaste solo parole, senza
valore, come le promesse non mantenute e le bugie. Hai turlupinato i
tuoi affetti e i tuoi amici per cercare di riuscire nei tuoi intenti.
E alla fine, quando sei stato servito, hai abbandonato tutti in
maniera turpe, vergognosa. Sei veramente tagliato per la politica.
Il
16 aprile 1995, il giorno di Pasqua, dopo tanto tempo che non ti
sentivo, sei arrivato improvvisamente a casa mia. Più tardi giunse
anche la Federica con il piccolo François. Era la prima volta che
vedevo tuo figlio. Si vedeva che volevi dirmi qualche cosa, il tuo
atteggiamento lo lasciava intuire chiaramente. Poi, ad un certo
punto, sei scoppiato e hai cominciato a dirmi, riferendoti
all'indagine "Mato Grosso" e tutti i suoi risvolti, che
avevo ragione su tutta la linea. E mi hai chiesto scusa per tutte le
ingiustizie che avevo sopportato. Accettai le tue scuse con tanta
umiltà e bontà d'animo. Se da una parte mi ha fatto piacere
sentirti dire queste cose, non ti nascondo che, dall'altra, ho
provato un sentimento di disagio, di smarrimento. Dopo tutto quello
che avevo passato, autentiche infernali sofferenze, mi sentivo come
uno che, trasportato in ospedale per le medicazioni ad un piede, si
ritrova senza gambe.
Mi
hai detto che non potevi più fidarti di nessuno della Polizia
Cantonale, che "gli amici" di Bellinzona avevano anche
cercato di attribuirti frasi e fatti che tu non avevi mai pronunciato
né, tantomeno, disposto. Mezze frasi, piene di significato, alle
quali però non hai voluto aggiungere altro se non dei pacchiani e
comuni detti "se parlo io... ti dirò poi...". In quella
circostanza hai lanciato l'idea di costituire un gruppo di lavoro,
escludendo elementi della Polizia Cantonale, che avrebbe dovuto
occuparsi di riprendere tutto il discorso "Mato Grosso",
malamente troncato poco dopo i suoi albori. Si trattava, in sostanza,
di concentrare fatti, elementi, informazioni, documenti ecc., per
analizzarli e cucirli in un lavoro di assieme. Esattamente come io
avevo proposto nella sciagurata riunione internazionale di Berna.
Inoltre, il "pool", avrebbe cercato di portare a compimento
un'altra inchiesta, scottante e preoccupante per la connivenza di
persone del mondo politico - finanziario ticinese, personaggi della
"Ticino bene" per intenderci, con loschi traffici
internazionali di droga e, parallelamente, con il riciclaggio dei
proventi. Un'indagine dalle solide basi di partenza, con delle
connotazioni ben marcate. Parlo della confessione di una prevenuta,
arrestata a Zurigo con un carico di cocaina, suffragata da validi e
oggettivi riscontri, ottenuti anche attraverso precise indicazioni
che l'interessata ha fornito durante un sopralluogo. Una lampante
chiamata di correità, vestita di tutto punto, prescindendo dal fatto
che, con assoluta certezza, a mano di foto segnaletiche, ha
riconosciuto uno dei destinatari della cocaina. Qualcuno ti ha anche
consigliato, suggerito, di fare qualche cosa di concreto prima
dell'inizio della campagna elettorale. Lo hai promesso, ma non hai
fatto niente. Forse, nei tuoi calcoli elettorali, non hai voluto
rinunciare ad un tot numero di suffragi, preventivati, giunti da un
certo schieramento politico che, altrimenti, non ti sarebbero stati
dati.
È
dall'estate - autunno del 1994 che hai in mano simili carte vincenti
e
non
sei capace a giocarle. Lasciale nel cassetto. Con il passare del
tempo dapprima matureranno, poi invecchieranno, quindi marciranno e,
infine, quando sarà subentrata la prescrizione, saranno ridotte in
polvere. L'allora PP Dick Marty, con il sottoscritto, aveva fatto
esattamente così nella gestione di un vero e proprio "fiore
all'occhiello" qual'è stato l'affare Stevenoni! Non abbiamo
però avuto la fortuna di trovarci in mano una chiamata di correo
vestita, ma solamente alcune informazioni con addosso un paio di
minuscole mutandine.
Sei
stato abile a convincermi e io sono stato veramente un idiota a
credere e ad accettare. Mi sono dannato l'anima per mettere in atto
quella che doveva essere, come tu l'hai definita, "una
rivoluzione" legale a tutti gli effetti. Personalmente ho
contatto tutte le persone che avevamo scelto, i colleghi: Christian
Hochstaettler di Losanna, Reynold Guglielmetti di Ginevra, Carlo
Crespi di Zurigo, Jacques Kaeslin del Ministero Pubblico Federale e
Sam Meale della DEA di Milano. Con alcuni di loro ho anche indetto
delle riunioni a Berna e a Losanna. Tu però ti sei limitato a tirare
il sasso e poi, fatto deplorevole, a nascondere il braccio.
Il
primo maggio 1995, ci siamo nuovamente trovati a casa mia a cena.
C'era anche la Federica. Mi hai ripetuto le stesse cose. In toni
accesi e scandalistici hai poi commentato quella fotocopia di
quell'articolo giornalistico della "Regione" che mi avevi
portato. Riguardava il neo costituito comitato di sostegno a favore
del Casinò di Lugano. Il tuo disappunto era rivolto al Comandante
Ballabio che figurava in quella lista. Già immaginavi lo scandalo,
le ripercussioni generali e il putiferio che avrebbe provocato
qualora, il Casinò di Lugano, ente a rischio come tutti gli altri
del resto, venisse chiamato in causa e coinvolto in un riciclaggio di
denaro sporco.
La
sera dopo, ovvero il due maggio 1995, altro incontro a casa mia.
Presente anche la Federica. Ricorderai che quella sera hai voluto
assistere al dibattito televisivo, confronto, fra Chirac e Jospin che
si contendevano, in quel periodo, il trono di Presidente della
Francia. Abbiamo fatto le ore piccole. Hai rinnovato le tue
intenzioni, i tuoi entusiasmi e il tuo voler agire. Tant'è vero che
abbiamo programmato la trasferta a Milano per discutere con il
collega della DEA Sam Meale. Rammenterai il mio entusiasmo quando mi
hai confermato che ci sarebbe stato anche il comune amico Dick Marty.
La sua presenza è stata per me un ulteriore sicurezza, mi aiutò a
raggiungere il convincimento che stavi facendo le cose seriamente.
Invece, nella realtà, ci hai gabbati entrambi, ci hai preso per i
fondelli come si suole dire.
Il
6 maggio l995, era un sabato, con Dick Marty ci siamo recati a Milano
dove, negli uffici della DEA, abbiamo discusso con Sam Meale,
lungamente, tutta la problematica. Se ti ricordi bene, avevamo
raggiunto l'accordo che, quando i lavori sarebbero terminati, il
relativo documentato e dettagliato rapporto, per chiari motivi di
sicurezza e anche per soffocare prevedibili pettegolezzi e polveroni,
sarebbe giunto nelle tue mani attraverso uno dei tanti canali
ufficiali che avevamo a disposizione.
Il
20 maggio 1995 ti avevo invitato, con la tua ex compagna Federica e
con il tuo figlioletto Francois, a cena a casa mia. Invito che hai
accettato con entusiasmo. Come ti avevo detto, volevo farti conoscere
alcuni parenti di mia moglie Isabel Maria (zii e cugini) che si
trovavano in viaggio in Europa. Penso che non scorderai tanto
facilmente quella serata. Eravamo circondati da medici: un pediatra,
una ginecologa e un chirurgo. Potevamo strafare quella sera, il
pronto intervento sanitario era assicurato. Tuo figlio Francois,
eccitatissimo per il gran trambusto, non riusciva a prendere sonno e,
alla fine, si è poi addormentato fra le braccia del medico chirurgo.
Il
27 maggio 1995 abbiamo trascorso il fine settimana al San Bernardino
nella casa della Federica. Io ero accompagnato da mia moglie e dalla
piccola Vivian. C'era anche tuo figlio Francois. Noi due ci eravamo
incontrati, prima, al rist. Brocco per discutere le nostre faccende.
Era ormai tutto pronto, ti avevo fatto un resoconto della situazione.
Il "pool" era ormai costituito e pronto ad entrare in
funzione. Il tuo tanto atteso segnale d'inizio non è però mai
giunto. Non ti dico la figuraccia che mi hai fatto fare al cospetto
degli altri colleghi.
Poi
non ti sei più fatto vivo fino al 26 giugno 1995. Era un lunedì.
Verso le 19.00 mi hai telefonato per invitarmi a cena. Vista l'ora
abbiamo combinato di trovarci a casa mia. Era una bella e calda
serata d'inizio estate. Siamo rimasti a pasteggiare in giardino
discutendo lungamente, di tutto, talvolta anche con toni vivaci e
facendo, come di solito, le ore piccole. Lanciando un chiaro appello
di aiuto, ad un certo momento, hai tirato fuori il nome "Hermes
Lupi", dicendomi che ti era appena arrivato un "dossier"
per riciclaggio di denaro sporco e non sapevi che pesci pigliare. A
tal proposito, in un'altra parte del presente scritto, dove ti ho già
spiegato dettagliatamente nessi e connessi che riguardano tale
personaggio, ti ho anche detto che non so come ho fatto a
trattenermi, a non reagire, da quell'impulso di rabbia che si è
scatenato, interiormente, nel sentirti dire certe cose e nel vederti
impacciato con l'incarto "Hermes Lupi". Se tu non avessi
ascoltato le perfide e pestifere voci, piene di calunnie e di
pettegolezzi nei miei confronti, ora i pesci li avremmo pigliati! E
non avresti pianto sul latte versato.
Il
giorno prima avevamo festeggiato il compleanno della piccola Vivian.
C'era anche la Federica con il piccolo Francois. Raccontandoti ciò
ti ho anche chiesto quanto tempo era che non vedevi tuo figlio.
Sapevo che era dal quel fine settimana passato al San Bernardino che
non lo vedevi. Alla festicciola avevano partecipato anche due coppie
di amici: una brasiliana con la loro figlioletta e l'altra
italo-brasiliana, pure con la loro bambina in tenera età. Di
quest'ultima coppia, l'uomo è colui che per anni ha lavorato nella
gioielleria di Rio di Janeiro assieme a mia moglie. Era quello che,
occupandosi delle relazioni pubbliche, era a stretto contatto con
Vincenzo Buondonno, Hermes Lupi e compagnia. Era la vera fonte delle
informazioni che mi giungevano attraverso Isabel Maria. E proprio
quel giorno mi chiedeva che fine avessero fatto i suoi "amici".
Gli risposi che era meglio parlare d'altro, della nostra amicizia,
della bella giornata e della bella festicciola, che non valeva la
pena parlare di tutto ciò, che era solo fiato sprecato. Ironia della
sorte, proprio il giorno dopo, sei arrivato sparato a casa mia a
parlarmi, anche, di questo episodio.
La
lingua batte dove il dente duole, dice un altro vecchio e comune
adagio. E così, dopo tutte le mezzi frasi, significative peraltro,
che mi avevi più volte ripetuto nei precedenti incontri, hai finito
per dirmi che l'"informatore" Rudy Steiner era finito
dietro le sbarre mentre si apprestava a consegnare circa 13 kg di
cocaina che, dal Sudamerica, aveva trasportato o, quantomeno, fatto
giungere in Italia. Gli inquirenti italiani, volendo incastrare o,
meglio dire, prendere con le mani nel sacco (in flagrante quindi),
"Pinco Pallino, Tizio, Caio e Sempronio", si sono
appoggiati ai nostrani e farfalloni "James Bond" ticinesi i
quali non hanno esitato a fare il contatto con l'Egidio Giancarlo
Oliverio, alias Rudy Steiner.
L'inchiesta
italiana aveva pertinenza con un ramo ticinese che coinvolgeva il
noto Alari Ivano recentemente condannato a 9 anni di reclusione. Atti
ufficiali dimostrano che l'Alari, sempre nel contesto della sua
attività criminosa, aveva stretti contatti con il Blanditi che a sua
volta li aveva con il Martignoni Giorgio. Per certi versi, i tre,
hanno anche agito in correità fra di loro. Tuttavia qualcosa andò
storto, visto come il tuo collega di Varese PP Abate, non esitò
minimamente a sbatterlo in galera che poi, in definitiva, è il suo
originale "habitat".
Si
è ripetuto, nei minimi dettagli, quanto avvenuto nelle depravate
operazioni francesi "Nizza 1 e Nizza 2". È un vizio! Si fa
in fretta a far denaro con questo sistema! Non è quindi escluso, in
un prossimo futuro, visto e constatato che tale struttura di lavoro è
praticamente legalizzata, che mi metta anch'io ad operare in questa
direzione. Risolverò così tantissimi problemi finanziari e in breve
tempo sarò ricco sfondato.
La
Polizia delega i trafficanti di droga per le operazioni "undercover".
E la Magistratura sta a guardare, con i paraocchi! È una farsa degna
del grandissimo Totò!
Assommando
le scempiaggini francesi con l'assurdità varesina e con tutto il
resto, ne viene fuori un quadro veramente decaduto, depravato. I
confini, o i limiti, della legalità sono stati sfrontatamente e
spudoratamente usurpati. Non riesco a capire come mai, la nostra
Magistratura, non abbia ancora aperto un procedimento penale contro
alcuni nostri funzionari di polizia.
Siamo
davanti ad una palese, evidente e chiara, ripetuta violazione
aggravata della Legge Federale sugli stupefacenti acutizzata dalle
funzioni. Il solo e semplice fatto, mi riferisco a quello di Varese,
di contattare, anche per conto di funzionari stranieri, un
personaggio qual'è il Rudy Steiner, sapendo perfettamente che:
a)
è ricercato da un mandato d'arresto per traffico internazionale di
droga emesso dalla nostra Magistratura;
b)
che avrebbe trasportato, o fatto trasportare, oppure spedito, un
certo quantitativo di cocaina;
c)
che la cocaina l'avrebbe consegnata, dietro pagamento (quindi
venduta), ad un'altra persona;
d)
che sarebbe ripartito, tranquillo ed impunito, con l'illecito
provento nelle proprie tasche;
e)
visti e conosciuti i gravissimi reati commessi in Francia nella
conduzione delle malsane operazioni "Nizza 1 e Nizza 2", è
di una mostruosa gravità impressionante. È una ricaduta premeditata
nell'illegale.
A
dimostrazione degli amichevoli e confidenziali rapporti che i mei ex
colleghi di Bellinzona intrattenevano con il trafficante di droga
Rudy Steiner, ti voglio raccontare un brevissimo, ma importante e
significativo, episodio.
Nel
corso della conosciuta inchiesta amministrativa, con il chiaro
intento di danneggiarmi, non hanno esitato a far pervenire al giudice
avv. Gaja una testimonianza, chiaramente a mio sfavore, sottoscritta
dall'interessato. Un agire concertato di comune accordo, con
premeditazione, vendicativo, di una meschinità, di una bassezza
d'animo, di una cattiveria e di un coraggio da far allibire anche le
mummie egiziane. Solo questo fatto, ce ne sarebbero altri, evidenzia
lo straordinario genere di rapporto che intercorreva fra di loro.
Per
dei fatti di minore importanza, che non reggono affatto il confronto
con quelli descritti e al centro della mia attenzione, reatucoli come
si dice in gergo, successi nell'ambito della Polizia Cantonale,
recentemente alcuni elementi hanno pagato a caro prezzo le loro
voglie sessuali. Un evento grave, più che dal punto di vista penale,
da quello dell'immagine. Giustamente sono state tolte dal cesto
alcune mele tarlate. Mi meraviglio che non vengono tolte quelle
marce!
Un
altro esempio, dai parametri totalmente capovolti, viene dal caso dei
due agenti della Polizia Comunale di Locarno, Orlando Guidetti e Ivan
Valsecchi. A tal proposito il presidente dell'Associazione delle
Polizie Comunali Ticinesi e Comandante della Polcomunale di Muralto,
Daniele Olgiati, in occasione della quindicesima assemblea tenutasi
il 27 marzo 1996 a Giubiasco, ha espresso dure critiche all'indirizzo
della nostra Magistratura. Nella sua relazione presidenziale ha posto
l'accento sulla vicenda dei due agenti. Se da un lato ci sono stati
episodi gravi che hanno macchiato il corpo di Polizia in generale,
dall'altro sono avvenuti fatti che, a detta di Olgiati, dovrebbero
indurre a qualche profonda riflessione. Emblematico, da quest'ultimo
profilo, il caso dei due colleghi citati, nei confronti dei quali,
Olgiati, ha espresso la solidarietà sua e dell'Associazione. "Due
colleghi - ha fatto presente - che, per aver svolto il loro lavoro
nel terrario della prostituzione, hanno conosciuto l'onta della
galera. Arrestati ed incarcerati per niente, ma unicamente per il
fatto che, quella che la stampa scritta ha definito tra virgolette
una ballerina, li aveva denunciati. Una denuncia risultata poi
mendace. Sette mesi di attesa per il decreto d'abbandono da parte del
procuratore pubblico ma, ciò che lascia più perplessi, sette mesi
di sospensione dal lavoro senza stipendio. E ancora non è finita.
Più che una telenovela io la definisco una vergogna".
Mi
associo, e mi complimento, con il Comandante Olgiati. Questo brutto
fatto, che denota una chiara mancanza di professionalità, dove la
Magistratura è tempestivamente intervenuta in maniera intransigente,
costruendo un castello accusatorio unicamente sulle nefandezze dette
da una prostituta, non è solamente vergognoso, come ha giustamente
sottolineato il Comandante Olgiati, ma è anche biasimevole sotto
ogni e qualsiasi punto di vista. E il biasimo aumenta, a dismisura,
quando si pensa che davanti agli intrallazzi che ho riferito, che tu
ben conosci e che si ripetono a scadenze regolari (come le telenovele
brasiliane), la Magistratura non reagisce, rimane impassibile.
Piuttosto che epurare si permette, si accetta con assoluta
indifferenza, che il virus contagioso della perversione si propaghi
irrimediabilmente fino ad insediarsi stabilmente nel tessuto
istituzionale. C'è di che preoccuparsi, eccome! Ti senti forse, in
qualche modo, compromesso in maniera tale da trovarti con le mani
legate? Si direbbe di sì visto il tuo (non) agire!
E
ora amico mio, come la mettiamo con Rudy Steiner?
In
tempi non troppo lontani hai chiesto ed ottenuto l'estradizione di
William Toledo. Nel caso che tu non lo sapessi, ti rammento che il
Toledo era ricercato per gli stessi reati, commessi a Lugano e
altrove, in correità con lo Steiner. Misure restrittive emesse, a
suo tempo, dalla PP Del Ponte nel contesto delle indagini esperite
contro Vinci Cannavà e compagnia. Trattasi quindi di un minestrone
cucinato, nello stesso brodo e nella stessa pentola, con le medesime
verdure. Solerte come sei, in ossequio ad un equo trattamento, mi è
facile immaginare che avrai già avviato la procedura di una formale
richiesta d'estradizione nei confronti del Rudy Steiner. A meno che
tu abbia deciso di trasmettere gli atti al tuo collega di Varese per
farlo giudicare in Italia anche per i reati commessi in Ticino, in
correità, come ho detto prima, con il William Toledo. In questo caso
troverebbe una giusta applicazione il principio "ne bis in
idem", cioè evitare che il prevenuto venga giudicato due volte
per gli stessi motivi. Il Martignoni Giorgio è stato arrestato
l'anno scorso in Colombia, in casa del trafficante Torres, e poi
estradato in Svizzera. Il relativo "dossier" si trova nelle
tue mani. Immagina ora il seguente scenario: "Il Martignoni si
trova, come detto, in casa del Torres. Le sue coordinate vengono
fornite, dai nostri inquirenti, al Rudy Steiner in Brasile con il
preciso ordine e compito di infiltrarsi, di intrufolarsi, nel giro
del Torres. Entra in contatto, di persona, con quest'ultimo e con il
Martignoni. D'accordo con i nostri investigatori, dalla Colombia,
organizza la spedizione di circa 13 kg di cocaina a Roma. Dopo alcune
trattative, fatte personalmente in Italia con i futuri acquirenti
che, a loro volta, sono direttamente legati al già citato Alari
Ivano, Steiner la trasporta da Roma a Varese. A consegna avvenuta,
nel parapiglia confusionale generale, viene arrestato assieme ai
destinatari della cocaina."
Ecco
giustificate le tue paure, le tue angosce, quando, agitatamente mi
hai ripetutamente detto quelle mezzi frasi che, oggi, sono piene di
significato. E quando mi hai raccontato il fatto di Varese hai
volutamente tralasciato gli aspetti e i particolari negativi, quelli
gravi tanto per parlare chiaro. Mi hai raccontato solo una mezza
verità, quella facilmente insabbiabile. Davvero un bellissimo
scenario.
Un
giro ormai conosciuto, avente sullo sfondo la fattoria dei Torres in
Colombia, la figura del Miguel Galindo di cui pure già si è detto
(all'epoca era in strette relazioni di "lavoro" con
l'Escobar Severo IV detto "Junior"), il Martignoni Giorgio
appunto, e dove si intrecciavano gli affari dell'ex collega Gerber,
del barista Patrick Baratti e del Bruno Blanditi.
Sarebbe
stata, provocazioni e istigazioni a parte, una bellissima e riuscita
operazione se non fosse stata commissionata ad un trafficante di
droga, ricercato, come il Rudy Steiner.
A
parte il fatto che il soggetto non è certo il tipo che lavora
gratuitamente, tenendo conto anche delle numerose spese da rifondere,
rimane l'azione per sé stessa gravissima che è stata commessa.
Un'"operazione" iniqua come tutte le altre, dove il
premeditato ingaggio del prezzolato personaggio, da parte dei servizi
della Polizia Cantonale, si è sempre delineato in una graduale serie
di azioni viziose e debosciate. Gli sono stati affidati ruoli,
funzioni e compiti attivi, dalle ragguardevoli connotazioni illegali.
Un vero e proprio connubio quello esistente con il Rudy Steiner. Non
siamo nella "Repubblica delle Banane" dove gli ordinamenti
vengono travolti e stravolti a piacere, "à la carte"!
Sembrerebbe,
in senso metaforico, che da tempo in Ticino si stanno facendo
esperimenti a riguardo della convenienza, o meno, di privatizzare
delicate indagini di polizia giudiziaria che, di regola, dovrebbero
essere condotte solo da particolari esperti, dando in caso positivo,
l'esclusiva ai trafficanti di droga patentati. Non ne vale la pena,
già sono stati fatti seri studi in tal senso, esistono valide tesi
fatte da autorevoli persone. Quello che invece succede da noi è roba
da baraccone del circo equestre, con la differenza che alle risa che
provocano i pagliacci si sostituiscono le lacrime determinate dalla
degenerazione di un sistema.
L'ho
detto prima e lo ripeto ancora: la Polizia delega notori trafficanti
di droga, ricercati d'arresto, per svolgere operazioni sotto
copertura. Tu, Procuratore Pubblico, sei stato, e rimani, a guardare.
È l'ennesimo esempio, l'ennesima riprova. Steiner che poi, in tempi
non tanto lontani, poco prima del suo arresto a Varese, si era
incontrato con Azzoni 5 - 6 volte in Italia.
Inaudito!
Vuoi forse che la Polizia Cantonale diventi il rifugio di trafficanti
di mezzo mondo seguendo il conosciuto copione francese peraltro già
ben assimilato?
Un
Azzoni che, non dimentichiamolo, ha fatto delle false dichiarazioni
sia davanti al Giudice Gaja, incaricato dell'inchiesta
amministrativa, sia davanti alle Assisi Criminali di Lugano nel corso
del processo contro Josè Do Nascimento e compagnia.
In
questa precisa circostanza ha avuto la spudoratezza di dire, già
evidenziata in occasione della riunione conciliatoria da te
presieduta, che io non avevo assolutamente incontrato il Do
Nascimento sotto copertura a Belo Horizonte. Non solo è stato
smentito dal sottoscritto, pure presente quale teste, ma anche dai
fatti e dall'imputato medesimo.
Non
c'é che dire, ha veramente tantissimo pelo sullo stomaco!
Lunedì
26 giugno 1995. È stata quella l'ultima volta che ti ho visto. Poi
sei scomparso, dileguato, in non so quali meandri.
Il
3 luglio 1995, non sopportando più il tuo biasimevole agire, ti ho
telefonato e ti ho detto, chiaro e tondo, quel che pensavo. Mi hai
promesso che ti saresti fatto vivo entro pochi giorni. Parole, solo
parole... promesse di marinai.
Il
19 agosto 1995 ti ho ritelefonato. Altre promesse...
Il
21 agosto 1995, ho fatto un ulteriore tentativo. Ti sei scusato e mi
hai nuovamente promesso che ti saresti fatto vivo, che ci saremmo
incontrati per appianare il tutto. E invece hai continuato a
perdurare nella tua latitanza.
Il
25 ottobre 1995, era un mercoledì, sapendo che partivi per Roma in
buona compagnia, sono andato all'aeroporto di Agno per vederti salire
sull'aereo. So che mi hai visto, ma tu hai fatto finta di niente. Io
non avevo, assolutamente, nulla da nascondere. Tant'è vero che ti ho
lasciato un messaggio sul parabrezza della tua automobile. Un
grazioso messaggio poetico: "Roma città antica, che Dio ti
benedica; Roma città dai caduti Imperi, cadrà anche il tuo, forse
non lo speri; Cadrà, cadrà e ancora cadrà, aspetta solo e si
vedrà". E in fondo al foglietto: "Tato tel 8593583, e
Sidney".
Il
28 ottobre 1995, era un sabato sera, ti ho chiamato sul tuo
apparecchio Natel. Sì, perché nel frattempo avevi disdetto il tuo
numero di Ravecchia. Non eri reperibile e di conseguenza ti ho
lasciato un messaggio sull'apposita segreteria. Non ti sei mai
chiesto chi mi ha dato il tuo numero di telefono visto che in Procura
non sono autorizzati a farlo? Tu di sicuro non me lo hai dato. La
Federica nemmeno perché non l'ha mai avuto. Fosse successo qualcosa
a tuo figlio ti avremmo avvertito con un piccione viaggiatore.
Tuttavia qualcuno me lo ha dato, qualcuno che ti è molto vicino.
Il
30 ottobre 1995, era un lunedì, al mattino verso le ore 09.20, con
mia grande sorpresa, mi hai telefonato. Non credevo alle mie
orecchie. Eri già in piedi a quell'ora. Ho perfino pensato che solo
uno strabiliante evento poteva averti buttato fuori dalle calde
lenzuola così di buon'ora. Ti ricordi cosa mi avevi promesso, cosa
avresti fatto entro pochi giorni? Le solite promesse...
Non
a caso ho detto di aver passato un lungo e interminabile periodo
infernale. Alle angosce, alle paure, a un grave stato di avvilimento,
alla miseria, alla povertà, al mendicare, alle umiliazioni, ai gravi
pericoli di vita derivati dai lavori sotto copertura, al totale
abbandono, si sono ripetutamente aggiunti altri problemi di salute.
Non facevo a tempo a riprendermi da un malanno che già ne subentrava
un altro: infezione alla prostata, infezione alla ciste, virus
viscerale, infezione ad un ginocchio, infezione inguinale, infezione
in bocca, attacchi gottosi e blocchi renali a ripetizione, tanto per
dirti quel che mi ricordo.
Già
un po'di tempo fa volevo scrivere queste cose. Prima non potevo, non
riuscivo, non avevo né la volontà, né la forza e nemmeno le
condizioni mentali per farlo.
Tant'è
vero che non sono nemmeno stato capace di redigere il rapporto del 27
novembre 1992. Ho dovuto farmi aiutare dal mio amico Sidney
Rotalinti. Susseguentemente, quando ho cominciato a riacquistare
fiducia, volontà, capacità e condizione mentale, avevi appena
costruito un tuo nucleo famigliare con la Federica, rallegrato e
rinsaldato, più tardi, dalla nascita del piccolo Francois. Anche i
nostri rapporti erano migliorati. Dopo aver riflettuto, esaminando il
problema da diverse angolazioni e tenendo in considerazione alcuni
aspetti, ho preferito lasciar perdere. Poi sei arrivato con le tue
lusinghiere proposte, per un certo verso allettanti, perché
all'orizzonte lasciavano intravedere il cammino della verità.
Mi
sono confidato e appoggiato al dott. Tazio Carlevaro il quale mi ha
consigliato che, riprendere un'attività investigativa di tale
qualità, soprattutto con il supporto del Procuratore Pubblico,
sarebbe stato un toccasana, un'iniezione di fiducia al morale. Al
contrario, hai rovinato tutto. Mi hai dapprima illuso e poi deluso.
Ecco spiegati i motivi che mi hanno indotto a prendere una simile,
sofferta, decisione. E non devi nemmeno vagare troppo con la tua
immaginazione per cercare di capire chi mi abbia aiutato. Risparmiati
la fatica. Ho fatto tutto da solo.
Non
ho nessuna pretesa di rifarmi la verginità. Voglio che si conosca la
verità. Quella verità che mi consentirebbe di uscire di scena dalla
porta principale.
Sono
altri che devono uscire da quella secondaria, per non dire da quella
anti-incendio.
"Sono
fermamente convinto che la verità disarmata e l'amore disinteressato
avranno l'ultima parola" ha
detto una volta Martin Luther King. E qualcun'altro, cui non ricordo
il nome, ha aggiunto: "...
il cuore ha le sue prigioni che l'intelligenza non apre...".
C'è
poi l'aspetto, da prendere seriamente in considerazione, della
rifusione dei danni, morali e materiali, che mi sono stati causati. E
non è cosa da poco conto. Prima o poi qualcuno dovrà pur affrontare
simile spinoso problema.
Bisogna
poi anche valutare la prospettiva della sicurezza. Non mi sento al
riparo da possibili vendette. Fonti ufficiali mi hanno informato che,
organizzazioni criminali, hanno rinnovato i loro propositi di
vendetta nei miei confronti. La vendetta è un piatto che si mangia
freddo. Ora esigo che si affronti anche questo spinoso problema. Per
me è giunto il momento di dire basta, di finirla. Ed è proprio con
questo scritto che metto la parola fine, cosciente che potrebbe anche
essere... l'inizio.
Non
ho mai avuto la cattiva abitudine di augurare del male a chicchessia.
Ti
auguro quindi ogni bene.
Riazzino,
10 aprile 1996.
Fausto
Tato Cattaneo