lunedì 22 agosto 2011

Cambiare il sistema è indispensabile

Cambiare il sistema
è indispensabile

di Ida Magli
ItalianiLiberi | 11.08.2011



I banchieri, insieme ai loro più fedeli complici, i politici e i giornalisti, non vogliono piegarsi davanti alla realtà. La realtà grida ormai da molto tempo che la globalizzazione della vita economica, dei mercati, delle finanze, delle scelte politiche (per non parlare della globalizzazione dei popoli e delle culture) è sbagliata. Tanto sbagliata che, laddove è stata assunta nella forma più assoluta, come in Europa, ha già portato a gravissime crisi. Quando l’idea (o l’ideologia) resiste di fronte ai fatti che la smentiscono e alla ragione che ne dimostra gli errori, questa resistenza si chiama nei termini tecnici psichiatrici “delirio”. Siamo, dunque, di fronte a una patologia grave dei nostri governanti, i quali non ci permettono neanche di dirlo: non passa nulla, né nei giornali né nei programmi televisivi della Rai o di Mediaset, di ciò che gran parte dei cittadini pensa (e che tutti penserebbero se fossero informati rettamente) dell’euro, dell’Unione europea, dei banchieri, che hanno fatto del gioco della Borsa il loro Dio ma ai quali i nostri politici si sottomettono. Adesso però non si può più sopportare questa mancanza d’informazione e di discussione perché per salvarci bisogna cambiare totalmente il sistema economico che è stato imposto in Europa con il Trattato di Maastricht.

Prima di tutto bisogna abbandonare l’euro perché “una moneta uguale per economie diverse è follia”, come scriveva pochi giorni fa l’economista del “Giornale”, Nicola Porro. Soltanto che, in base all’idea delirante di cui parlavo, in quello stesso articolo Porro ritiene logico non soltanto rimanere nella “follia della moneta unica”, ma anzi rafforzarla ubbidendo ai dettami della Banca centrale europea e dei banchieri che la guidano. Obbedire ai banchieri? Ma non sono stati loro, economisti e banchieri, a progettare e a imporre il macroscopico errore del mercato unico e della moneta unica europea? Sì, sono stati loro e in primis per l’Italia Prodi e Ciampi, che hanno svenduto le maggiori proprietà dello Stato e inflitto agli Italiani addirittura una tassa supplementare per “farci entrare in Europa”. Certamente Porro lo sa, ma è qui che brilla la logica: più hanno dimostrato di aver sbagliato fin dall’inizio e di continuare a sbagliare, e più dobbiamo obbedire, svenandoci ancora, vendendo quel poco che ancora l’Italia possiede, gettando nella fornace del loro gioco a perdere, pensioni, risparmi e chissà, magari anche il Colosseo in analogia del Partenone chiesto come cauzione alla Grecia.

Dunque, a sentire quali progetti stanno facendo contro di noi i politici, bisogna obbedire all’Europa, farci guidare dall’Europa. La quale Europa naturalmente non è un’astrazione, tanto meno un’idea: è la signora Merkel, è il signor Sarkozy, è il signor Trichet e pochi altri. Il signor Jean-Claude Trichet, cittadino francese imposto dalla Francia nella battaglia con la Germania per la presidenza della Banca centrale europea, è un banchiere dal passato burrascoso, gravemente macchiato da due macroscopiche “disavventure” (certamente molto più gravi per noi che economicamente ne dipendiamo che non quelle sessuali del signor Strauss-Khan che pure ha dovuto rinunziare al suo posto di presidente del Fondo monetario internazionale): l’accusa di aver elargito con disinvolta spensieratezza alla mafia piuttosto che alle popolazioni, l’immensa somma assegnata alla Russia dal Fondo monetario internazionale per aiutarne la ricostruzione dopo la caduta del Muro; e l’essere stato a lungo sotto processo, uscendone per il rotto della cuffia, per il clamoroso fallimento del Crédit Lyonnais. Anche non volendo dubitare dell’onestà del signor Trichet, rimane il fatto che di tutto ha dato prova, lungo la sua disastrata carriera di banchiere, salvo che di abilità e di saggezza, disperdendo in malo modo i nostri soldi (non dimentichiamoci mai che i soldi sono sempre i nostri). Perché mai dovremmo affidarci alle sue ricette e a quelle dei suoi più cari amici e colleghi, i Bini Smaghi, i Monti, i Draghi?

Gli indici di Borsa vanno a picco, gli investitori non si fidano dell’Europa, delle varie soluzioni che i banchieri propongono per i suoi debiti, ma perché dovrebbero? Non soltanto siamo governati da cattivi economisti e da cattivi banchieri, ma è ormai evidente a tutti che l’Unione europea esiste solo sulla carta e che di conseguenza non si può fidarsi della parola di nessuno per quanto riguarda gli impegni sui debiti degli Stati. E’ sufficiente un solo esempio: il giorno in cui Sarkozy ha attaccato la Libia, ha dimostrato a tutto il mondo, non soltanto che l’Ue non esiste, ma che il Presidente di uno degli Stati più importanti è il primo a non credere nell’Unione e a non mantenere la parola data. Sarkozy non ha forse firmato il Trattato di Lisbona, quel Trattato costitutivo dell’ Unione che impegna ognuno degli Stati membri a salvaguardare la pace e a non prendere nessuna iniziativa che possa danneggiare gli altri? Eppure nessuno degli Stati membri ha protestato. Ognuno si è comportato a modo proprio: la Germania si è dichiarata “neutrale”, il governo italiano ha fatto come al solito la scelta più dannosa per l’Italia unendosi alla guerra, e in pratica il Trattato di Lisbona è stato dichiarato nullo. Pertanto l’Unione non esiste e i suoi governanti hanno dato abbondanti prove di non meritare alcuna fiducia. Ma queste prove non le hanno date soltanto agli investitori: le hanno date a noi, che abbiamo già pagato caro il passaggio all’euro e che adesso dobbiamo pagare i loro errori. Una cosa, però, non è più proponibile: farci credere ancora all’Europa e chiederci di obbedirle.

I politici perciò si debbono convincere che bisogna cambiare tutto il sistema, abbandonando l’euro e la Bce. Farsi governare dai banchieri è stato letale per l’Europa in quanto il primato della libertà del mercato è il peggior dogma che sia mai stato stabilito. Il mercato non è un Dio: gli uomini non possono inginocchiarsi al suo servizio. E’ indispensabile ripristinare confini, controlli, dazi sulle merci, riconoscendo finalmente che è assurdo, stupido, antigienico e antieconomico far viaggiare ortaggi e frutta, pollame e latticini per tutto il mondo. L’Italia non è la Siberia: la nostra più grande ricchezza è il sole e la terra, cantata fin dall’antichità dai poeti per la bellezza dei suoi frutti. Chi se non un folle e un sadico, può aver deciso che bisognava distruggerla? Altrettanto folle e stupido è il dogma del “consumare sempre per produrre sempre per consumare sempre”. Basta: si può e si deve risparmiare, non sulle spalle dei cittadini, dei lavoratori, ma riappropriandosi delle norme della ragione, della logica. L’ideologia mercatistica globale sulla quale i banchieri hanno voluto che fosse costruita l’Europa, è fuori dalla logica e dalla ragione e giustamente è fallita. I politici guardino in faccia questa realtà e dicano di no all’Europa.

Ida Magli
Roma, 11 Agosto 2011

Valentino Rossi a Motegi? AIPRI: giusto rifiutare

mainfatti.it, 22-08-2011

Valentino Rossi a Motegi? AIPRI: giusto rifiutare harakiri radioattivo

Valentino Rossi non vuole andare in Giappone, ed ha ragione: "Il loro buon senso spontaneo trova in effetti riscontri scientifici incontrovertibili" scrive l'AIPRI - "L'inquietudine dei piloti motociclisti riguardo alla tenuta del gran premio di Motegi è pienamente e obiettivamente fondata".


Paolo Scampa, presidente dell'AIPRI è netto: "Nessuno esce dal Giappone senza aver incorporato la sua dose di radionuclidi artificiali il cui effetto patogeno si mostrerà nel tempo. Nessuno esce dal Giappone senza aver incrementato la probabilità di morire di tumore, di infarto, di leucemia e di tante altre malattie. I piloti fanno bene a voler starne alla larga. Fanno bene a voler tutelare la loro salute. Fanno bene a rifiutarsi al hara-kiri radioattivo". Fukushima è da tempo fuori dai circuiti della grande informazione, quella che, per "simpatia", riesce a penetrare nelle menti dei cittadini, tra la pioggia di fiction ed entertainment. Ma a volte ritorna, come si dice, e paradossalmente proprio sotto forma di uno dei "passatempi" più amati dal telespettatore: il "Gran Premio". In questo caso il disastro nucleare nipponico torna al grande pubblico con il "2011 MotoGP World Championship Round15 Grand Prix of Japan" che dovrebbe svolgersi in Giappone il 2 Ottobre a Motegi, una pista a soli 140 Km circa in linea d'aria dalle centrali nucleari in crisi di Fukushima. Uno spettacolo che, come cercava forse di spiegare qualche giorno fa a Brno Valentino Rossi, deve rimanere uno spettacolo.

Diceva il campione di Urbino: "Io ho paura di andare in un posto dove c'è una centrale nucleare fuori controllo e dove si succedono con costanza terremoti. Adesso dopo i test tornerò a casa e penserò sul da farsi, ma di certo non sono tra quelli che vogliono andare" e sottolineava "Noi non facciamo un lavoro che ci obbliga ad andare in posti pericolosi perchè aiutiamo la gente, questo non è il nostro mestiere. Noi facciamo uno spettacolo e a me non interessa sapere che ho una assicurazione che mi curerà se starò male, vorrei non correre questi rischi". Una voce fuori dal coro, quella di Rossi, che ha quasi lo stesso effetto del martello lanciato contro lo schermo del "Grande Fratello" nel celebre spot Apple girato da Ridley Scott nel 1984 (http://www.youtube.com/watch?v=W6GMSMrV8dc).

Perché Fukushima, il più grande disastro nucleare dell'industria atomica di sempre, una vera "apocalisse nucleare" come l'ha definita Gunther Oettinger, commissario europeo per l'energia (rimarcando anche "parlo di apocalisse e credo che la parola sia particolarmente ben scelta"), un "buco nero" industriale che mette in pericolo con le sue radiazioni un intero popolo (e le generazioni a venire), e di cui non si vede la "fine", si fa di tutto per renderlo quasi "ridicolo" come fosse una "storiella". Se nel 1986 le radiazioni di Chernobyl erano mortali e i bambini bielorussi continuano ad essere ospitati da famiglie generose in tutto il mondo per le necessarie cure, nel 2011 a Fukushima le polveri radioattive sembra siano diventate "neutre" come la granella sul gelato e i bambini di Fukushima semplicemente non esistono per l'opinione pubblica (tanto che il "Giappone nasconde risultati test alla tiroide dei bambini di Fukushima" http://is.gd/SDlsDR).

Così è abbastanza comune, a proposito della vicenda del MotoGP in Giappone, leggere qua e là sul web dei commenti e dei post su alcuni blog che ridicolizzano la "paura" dei piloti di andare a gareggiare a Motegi, per via di una "semplice" Fukushima. Motegi viene "usata" costantemente, si dice, anche da altri piloti in diverse altre gare, ad esempio la Formula Nippon, o il Mondiale di Trial, e il fatto che "per paura delle radiazioni" il "2011 MotoGP World Championship Round15 Grand Prix of Japan" possa essere messo in discussione, da "gente che rischia la vita a 350 all'ora", non pare essere accettabile. The show must go on, sempre di più, e se il MotoGP fosse stato a Pripyat (Chernobyl), al giorno d'oggi, ci sarebbero state le stesse pressioni. Anche le radiazioni di Chernobyl sarebbero state "granella sul gelato" tanto da permettere ai residenti di tornare di quando in quando a sbrigare delle faccende o a prendere dei ricordi (come si sta permettendo in Giappone).

Il pilota che ha "paura delle radiazioni" o chi osa solamente ricordare che è in atto un'emergenza nucleare, giusto a pochi chilomentri dal circuito, viene preso di mira, pesantemente, perché reo di "non dare una mano al Giappone". Fa davvero riflettere a questo proposito una "inquietante frase di Rossi" riportata da "La Stampa" in un articolo di Andrea Scanzi: "Alcuni piloti sono stati minacciati" (http://is.gd/TyA69V). Sempre in questo articolo si legge che: "Nel frattempo il fronte piloti è diventato friabile. (...) All'inizio i più duri erano Jorge Lorenzo, che citava infervorato film e libri su Cernobyl, e Stoner, che di colpo si è presentato a Brno sostenendo come, stante la sua prossima paternità, non fosse più convinto del 'no' a Motegi: come un figlio possa spingerti incontro alle radiazioni, lo sa solo lui. (...) A luglio, al Mugello si era persino sentito Paolo Campinoti, team manager della (ecologica) Pramac, asserire che non andare a Motegi era inconcepibile: significava dare un dispiacere al popolo ferito nipponico".

Una situazione davvero surreale, per certi versi assurda, dato che, sempre citando Scanzi: "Nessuno al mondo penserebbe di passare un weekend in Giappone. Non a ridosso di Fukushima. Non se dotato di senno. Nessuno tranne la Dorna, la potentissima società spagnola che gestisce (comanda) la MotoGp". E allora molti sono dell'opinione che, a questo punto, il MotoGP di Motegi si farà, ma la vittoria sarà di chi, paradossalmente, non vi parteciperà. L'AIPRI (Association Internationale pour la Protection contre les Rayons Ionisants) una delle poche organizzazioni indipendenti che fornisce a livello mondiale informazioni sugli effetti del nucleare civile e militare, interviene sulla vicenda, portando la solidarietà ai piloti.

Paolo Scampa, presidente dell'AIPRI, in un post sul blog dell'organizzazione scrive: "L'inquietudine dei piloti motociclisti riguardo alla tenuta del gran premio di Motegi è pienamente e obiettivamente fondata. L'Aipri non può che sostenerli nella loro legittima richiesta di annullamento del gran premio. Il loro buon senso spontaneo trova in effetti riscontri scientifici incontrovertibili" (http://is.gd/umA39W). L'AIPRI è molto chiara su ciò che sta succedendo in Giappone e lo spiega in poche righe: "Fukushima è il più grave incidente nucleare mai avvenuto e più grave del insieme degli incidenti civili mai avvenuti. Ingenti quantitativi di radionuclidi polverizzati sono stati immessi nell'atmosfera mondiale, ossia tonnellate in ognuna delle quali vi sono circa 18 kg di elementi di fissione e di attivazione 'longevi' che rappresentano un potenziale ufficiale di 1 miliardo di dosi letali per inalazione, e una parte è ricaduta sul territorio nipponico".

Chi legge i blog in lingua giapponese sa bene che la popolazione è terrorizzata dall'opacità delle notizie tanto che, sempre per citare l'articolo de La Stampa: "I giornalisti hanno firmato un comunicato in cui si ribellano alla Dorna. Gran parte di loro non partirà. Tra questi, pare, Mediaset: commenterà da Milano. Gli addetti ai lavori ricevono di continuo mail da amici giapponesi che esortano a non raggiungerli: 'Si rischia la vita'. E' uno scenario verosimile, consono peraltro alla frase di Rossi" (http://is.gd/TyA69V). Il presidente dell'AIPRI ricorda che "Il Giappone è oramai una zona radioattiva off-limit sia per via del deposito di infinitesimali particelle radioattive su praticamente tutto il territorio, anche se più marcato da Tokyo compreso in su, sia per il fatto della contaminazione cronica dell'aria alimentata dagli incessanti rilasci di Fukushima".

Far finta di niente non porta a migliorare le cose: "Recarsi in Giappone significa esporsi tanto alla radioattività artificiale esterna quando alla molto ma molto più dannosa radioattività interna respirando, bevendo e mangiando fatalmente particelle ionizzanti. Non vi è più, coltura, bestiame, cibo, acque, incontaminato. Le morti improvvise, testimoniate dai blog, stanno incrementandosi in Giappone in maniera spaventosa, enorme, gli aborti spontanei sono in crescita, sintomi di malessere fisico generico si stanno diffondendo nella popolazione, ingenti tracce di radioattività sono state riscontrate nei bambini, i rilievi radiologici dei cittadini provano una pesante e diffusa contaminazione nell'intero paese" conclude la nota dell'AIPRI.

Maurizio Maria Corona

La moneta dell'ALBA sta crescendo

L'ALBA sta crescendo

Dal blog ALBA-MED - Trad. a cura di N. Forcheri

Settantasette società dei paesi membri di ALBA hanno utilizzato il sistema di compensazione SUCRE per un importo equivalente a $144 milioni di transazioni durante il primo semestre dell'anno, ha dichiarato un esponente della banca centrale venezuelana.


Ciò rende più probabile il raggiungimento dell'obiettivo di $300 milioni-equivalenti entro fine anno, ha dichiarato il vice presidente della Banca centrale, Eudomar Tovar. Il volume totale di transazioni in SUCRE nel secondo semestre del 2010 è ammontato a un importo di $40 milioni-equivalenti; solo sei società vi avevano partecipato in quel semestre.

Il Sistema Unico di Compensazione REgionale (SUCRE, in spagnolo ZUCCHERO), iniziato l'anno scorso, è stato impiegato da enti di Cuba, Bolivia e Venezuela per l'acquisto di olio di palma, prodotti tessili, farmaci, prodotti veterinari, gomme, carta, plastica, libri, tonno, urea, riso, latte in polvere e auto, tra le altre cose.

Anche se aumenta un po' il lavoro burocratico nelle transazioni, il Sucre elimina l'uso dei dollari USA il cui acquisto rende le transazioni più costose.

Chávez chiede il suo oro e la BoE non ce l’ha più

Hugo Chávez chiede il rimpatrio del suo oro e la Banca d’Inghilterra non ce l’ha più
di Attilio Folliero - 21/08/2011

Fonte: attiliofolliero.blogspot


La Banca di Inghilterra ha venduto tutto il suo oro, anche quello che il Venezuela le aveva affidato in custodia. Secondo l’analista Max Keiser la Banca di Inghilterra non ha l’oro venezuelano e per questa deve rivolgersi al mercato per poterlo consegnare al Venezuela.

Oggi il Venezuela chiede giustamente il rimpatrio delle sue 211 tonnellate d’oro che erano state inviate in Inghilterra e in altre banche di tutto il mondo, come garanzia per i prestiti erogati dal Fondo Monetario Internazionale ai governi di Jaime Lusinchi nel 1988 e di Carlos Andrés Pérez nel 1989.

Il Venezuela ha cancellato tutti i suoi debiti da vari anni, ma l’oro dato in garanzia rimane nei forzieri delle banche di vari paesi: il 17,9% in Inghilterra, il 59,9% in Svizzera , l’11,3% negli Stati Uniti, il 6,4% in Francia e lo l 0,8% a Panamá; mentre solo il 3,7% delle sue riserve d’oro si trovano nelle casseforti del Banco Central de Venezuela.

Oggi Hugo Chávez ha richiesto il rimpatrio del suo oro e risulta che la Banca di Inghilterra, pure percependo un compenso per custodire l'oro venezuelano, nella realtà l'aveva venduto. Giustamente, di fronte alla domanda del governo venezuelano, ora lo deve consegnare, non ha materialmente l'oro e quindi per adempiere ai suoi obblighi deve cercarlo nel mercato mondiale, cosa che sta facendo salire il prezzo. Ovviamente Hugo Chávez non è la causa di questo rialzo, ma la colpa è dei banchieri ladri che hanno venduto persino l'oro che dovevano custodire.
Inoltre la giusta richiesta di Hugo Chávez ha allertato il mercato mondiale, generando ancora più incertezza in relazione all'opportunità di detenere divise quali il dollaro e l'euro. Tutti gli investitori del mondo stanno comprando oro ed argento come beni rifugio.

Ricordiamo che il Venezuela detiene una delle più forti riserve internazionali di oro al mondo con 366 tonnellate e inoltre ha miniere di oro, come quella di Las Cristinas, una delle più grandi del mondo con più di 500 tonnellate di riserva.

Oltre al rimpatrio del metallo prezioso, Hugo Chávez ha annunciato la nazionalizzazione di tutte le attività ollegate all’oro, perché, come ha spiegato, si tratta di un prodotto strategico e lo stato non può lasciare in mani ai privati e alle multinazionali straniere le proprie attività.
Fino ad oggi, in Venezuela le attività di settore minerario collegate alll'oro erano date in concessione a imprese transnazionali che potevano trattenere il 50 percento dell'oro estratto, mentre dovevano vendere il restante 50 percento alla Banca Centrale del Venezuela. D'ora in poi, sarà lo stato a incaricarsi dell'estrazione dell'oro e di tutte le attività collegate.

Inoltre Hugo Chávez, in accordo con la Banca Centrale, in virtù della crisi che penalizza Stati Uniti ed Europa e in attesa del probabile crollo del dollaro e dell'Euro, ha annunciato che la sua riserva internazionale, oggi totalmente nelle banche dei paesi in crisi, sarà diversificata e messa nelle banche di Brasile, Russia e Cina, cioè in banche dei paesi BRICS, che rappresentano il futuro dell’economia mondiale.

Losca manovra del governo italiano per svendere il patrimonio pubblico

DOMINGO 21 DE AGOSTO DE 2011

La crisi economica e la losca manovra del governo italiano per svendere il patrimonio pubblico

Attilio Folliero, Caracas 21/08/2011


La manovra finanziaria 2011 è stata approvata circa un mese fa (Legge 111 del 15/07/2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16/07/2011), ma già è stata varata una manovra bis! Siamo convinti che la manovra e la manovra bis avranno pochi effetti. Siamo già in crisi e le manovre 1, 2 e le altre che verranno aggraveranno la crisi.

Tutte queste manovre stanno gettando i presupposti per una ulteriore svendita dei beni italiani: la riserva d’oro italiana, la quarta per grandezza al mondo, grandi imprese pubbliche ancora in mano allo stato, alcune delle quali già privatizzate parzialmente, le imprese municipalizzate, quelle che danno sempre grandi profitti, come la raccolta dei rifuti, o la distribuzione dell’acqua.


Stiamo attenti, che in certi paesi, per esempio in Bolivia la privatizzazione dell’acqua arrivò al punto che ai boliviani più poveri non solo venne negato l’allaccio all’acqua potabile ma vennero costretti a pagare, anzi prepagare per riempire alla fonte i secchi d’acqua. Per poter prelevare l’acqua alla fonte, tramite un secchio, dovevano prima aver pagato la quota prevista!

A tutto questo vanno aggiunti i beni del demanio pubblico, che fanno gola a molti privati. Qualcuno dirà che sulla base delle attuali leggi non è possibile vendere i beni del demanio. Poveri illusi!

Tutti hanno parlato dei tagli e delle nuove tasse, ma nessuno ha messo in evidenza ciò che di losco, veramente losco si nasconde nella finanziaria.

Invito a leggere il comma 18 dell’articolo 10 della Legge 111 del 15/07/2011. Il comma in questione recita esattamente:

I crediti, maturati nei confronti dei Ministeri alla data del 31 dicembre 2010, possono essere estinti, a richiesta del creditore e su conforme parere dell'Agenzia del demanio, anche ai sensi dell'articolo 1197 del codice civile”.

Dalla lettura sembra intendersi che i debiti che ha lo stato (che al momento ammontano complessivamente a circa 1.900 miliardi di euro, possono essere estinti, quindi pagati su richiesta del creditore. Qui sorge il primo problema: un creditore si presenta allo stato (al ministero) e chiede il saldo dei debiti. Lo stato (il ministero), in base a questo comma li estingue. Ma con quali soldi o per meglio dire come paga il creditore? Dato che il comma prosegue con la dicitura “su conforme parare dell’Agenzia del demanio” si intuisce che i debiti potranno essere estinti su richiesta del creditore cedendo beni del demanio; se non fossimo in presenza di beni del demanio non ci sarebbe stato bisogno del parere dell’Agenzia del demianio! E’ giusto?

Il comma conclude rimandando all’articolo 1.197 del codice civile, che a sua volta recita:

“Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta (1320). In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della vendita (1483 e seguenti, 1490 e seguenti), salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno. In ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi”

Quest’articolo del codice civile è tirato in ballo per giustificare il fatto che il creditore che ha prestato soldi allo stato, invece di ricevere i soldi, possa ricevere una prestazione differente, ossia un bene del demanio. Il codice civile dice che se una persona contrae un debito in denaro non può liberarsi del debito restituendo cose differenti dal denaro, anche se fossero cose di pari valore o addirittura di valore superiore, salvo che il creditore sia d’accordo.

Praticamente con questa finanziaria a parte i tagli e l’aumento delle tasse si stanno dettando i presupposti per poter pagare i creditori con un bene del demanio, una spiaggia ad esempio. L’attuale governo, qualche termpo fa non aveva pensato ad esempio di “fare cassa” dando in concessione le spiagge? L’idea venne ritirata per la diffusa avversione dell’opinione pubblica. Oggi tale possibilità è stata introdotta nel silenzio più assoluto dei media ufficiali.

La cosa si presenta in maniera ancora più losca perchè la norma in questione sembra aprire la strada ad una trattativa diretta tra debitore e stato (ministero), eliminando anche la regola dell’offerta più vantaggiosa, essendo necessario il solo parere favorevole dell’agenzia del demanio. Io credo che siamo di fronte alla privatizzazione del patrimonio artistico e paesaggistico del Belpaese.

Il fine ultimo del debito pubblico è l’appropriarsi, da parte di ristretti e potenti gruppi economici, di imprese, beni e patrimoni dello stato. Il privato, per quanto economicamente molto potente, mai sarebbe riuscito ad appropriarsi di determinati beni pubblici senza la scusa del debito pubblico.

Solo la scusa di un enorme e impagabile debito pubblico può portare perfino alla vendita ed alla svendita dei beni del demanio pubblico. L’opinione pubblica non si oppone, anzi finisce per favorire azioni del genere, pena la necessità di sborsare di tasca propia ulteriori tasse.

Inoltre, ci sono imprese in cui nessun privato, neppure il più potente potrebbe mai pensare di entrare. E’ sufficiente pensare alla costruzione della capillare linea ferroviaria o la capillare linea telefonica. In Italia, quando si iniziò a costruire la linea ferroviaria nessun privato avrebbe mai potuto pensare di costruirla! Così come nessun privato sarebbe stato in grado di realizzare la Telecom, ex SIP.

Queste imprese colossali è in grado di realizarle solo lo stato, avendo la possibilità di trovare gli enormi finanziamenti necessari attraverso i crediti garantiti dallo stato. Come si arriva alla vendita o meglio alla svendita della Telecom, ex Sip? Una volta che lo stato ha terminato l’opera ed è un’opera che da frutti, grossi guadagni, il privato riesce ad entrarne in possesso grazie al problema del debito pubblico.

Quando il debito è enorme, impagabile, lo stato deve vendere le proprie imprese e tutto quanto ha disponibile. Il gruppo economico interessato all’acquisto, per poter entrare in possesso dell’impresa pubblica in questione, o meglio controllare totalmente l’impresa non deve neppure sborsare l’intera quota, essendo suficiente, in una società per azioni, essere in possesso della quota di maggioranza. Pensate al gruppo che è riuscito a controllare la Telecom, ex Sip.
Il problema dell’Italia è duqnue grave, dato che ha debiti accumulati per 1.900 miliardi di Euro, che rappresentano il 120% del PIL, quota destinata a crescere.

Con le manovre in atto si finirà per: aumenatre il fallimento delle imprese o accellerare la fuoriuscita delle imprese dall’italia, verso quei territori che permettono maggiori guadagni; aumenterà la disoccupazione; diminuiranno gli introiti sia diretti che indiretti. Conclusione: il PIL si contrae, il debito aumenta percentualmente sul PIL, ma continuerebbe ad aumentare anche se il bilancio fosse in pareggio per via dell’aumento degli interessi sul debito, che continuano a crescere.

L’alto debito pubblico è dunque la gisutificazione per svendere quanto è rimasto da svendere e perfino, come visto, si cederanno i beni del demanio pubblico, fino alla cessione delle imprese municipalizzate, quindi alla privatizzazioen dell’acqua e non ci sarà nessuna opinione pubblica contraria.

E’ già successo, anche in Italia, negli anni novanta e succederà ancora. Si stanno dando tutti i presupposti. Tra l’altro la reazione degli italiani è ormai compromessa da decenni di attività di instupidimento operata della televisione privata. Ovviamente sto parlando di reazione immediata. Successivamente, quando l’italiano si ritroverà non solo privato di una fonte di reddito, derivante dal lavoro, ma anche di quei meccanismi di protezione e di assistenza che allo stato attuale gli impediscono di rendersi conto del problema cui stanno andando incontro (pensione, sanità, educazione, ecc…), necessariamente spinto dai rimorsi della fame saranno costretti a ribellarsi.

Oggi l’italiano non protesta perchè comunque ha la pancia piena, grazie alla pensioni delle generazioni passate, ai risparmi del passato, all’assistenza sanitaria gratuita, ecc…; ma tutto questo sta per terminare. Necessariamente si va incontro ad esplosioni sociali, come ci insegna la storia. Naturalmente quando le esplosioni sociali saranno forti, il ricorso alla dittatura sarà inevitabile. Solo un regime forte, dittatoriale, fascista può operare una dura repressione, non certo una democrazia, sia pure solo formale come quella italiana.

Ricordiamo un attimo il passato recente. L’Italia aveva un grande patrimonio costituito dalle imprese pubbliche ed aveva l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, che gestiva le imprese pubbliche.

L’IRI per anni è stata una delle più grandi aziende del mondo, oggi diremmo multinazionale, superata solo da alcune multinazionali statunitensi. Ancora nel 1992 era l’azienda con il maggior fatturato (vedasi articolo del Corriere), equivalente a circa 40 miliardi di Euro e nel 1993 era ancora al settimo posto al mondo per fatturato.

Le aziende dello Stato, le aziende IRI, facevano profitto ed erano ovviamente molto appetibili dal grande capitale. Le imprese pubbliche non solo producevano, vendevano e davano lavoro, ma erano anche fonte di grossi introiti per lo stato. Come si giustificò la sua vendita o meglio la svendita? Semplice: si disse che l’Italia aveva il grosso problema del debito pubblico e per ridurlo era necessario vendere qualcosa. Ovviamente il privato non compra carrozzoni, imprese che danno perdite, ma solo imprese che fanno guadagnare, soprattutto se fanno guadagnare molto.

Per poterle vendere (o per meglio dire per poterle comprare con lo sconto, diciamo così, o al prezzo più basso possibile) era necessario farle apparire come imprese in crisi. A capo della gestione delle imprese pubbliche italiane venivano posti gli amici o gli amici degli amici del grande capitale interessato ad acquistare; questi illustri gestori della cosa pubblica al fine di imporre la tesi che le imprese statali andavano vendute perchè allo stato non apportavano benefici, facevano di tutto per creare queste perdite. Gli amici e gli amici degli amici del grande capitale invece di serivire l’Italia ed il popolo italiano servivano il grande capitale.

Conclusione: grazie a queste manovre tese a svalorizzare le imprese pubbliche, il grande capitale potè acquistare le migliori imprese italiane a prezzi di svendita (vedasi: Il sacco d’Italia).

Dunque, l’Italia vendeva perchè aveva bisogno di ridurre il debito pubblico ed allo stesso tempo faceva dei grossi affari – ci dicevano – perchè si stavano vendendo dei carrozzoni che davano solo perdite e tutti erano felici e contenti.

Quando mai il capitale privato acquista carrozzoni? L’Italia vendette i suoi gioielli e momentaneamente, grazie ai quattro soldi di questa svendita, ridusse per quegli anni il debito pubblico.
Negli anni successivi, dato che la política non è mai cambiata (ossia ha continuato a macinare deficit di bilanci) ed allo stesso tempo sono mancati gli introiti delle imprese pubbliche svendute, il debito è velocemente salito a circa il 120% del PIL ed il futuro è irrimediabilmente compromesso.

I politici di turno hanno continuato a gestire la cosa pubblica esattamente come prima, spendendo più di quanto avessero a disposzione, ossia creando annualmente dei deficit, coperti ovviamente con nuovi debiti (i Buoni del tesoro o Bond per la sua sigla in inglese).

Tra l’altro la recente nata Unione Europea, al servizio unicamente del grande capitale, imponeva che si continuasse a vivere facendo deficit; infatti, con la regola che il deficit non potesse superare il 3%, stava dicendo che gli stati potevano e dovevano spendere più di quanto avessero a disposizone, altrimenti se avesse voluto bilanci senza deficit, avrebbe imposto la regola del pareggio di bilancio.

Lasciando liberi gli stati di accumulare annualmente un 3% di debiti, la UE e chi stava dietro sapeva benissimo che in dieci anni gli stati si sarebbero ritrovati con deficit minimi del 30%, da aggiungere a quelli pregressi.

A questo si aggiunge il fatto che praticamente nessuno stato rispettava tale regola, ossia tutti sforavano tranquillamente il tetto del 3%, presentando alla UE bilanci truccati, che tutti sapevano essere truccati. In questo modo si è favorito il debito pubblico, che non è un problema di alcuni stati, come vogliono farci credere i giornali di regime, ma di tutti gli stati della UE.

Anche stati considerati solidi (sic!), come la Germania o Francia, che dieci anni fa presentavano debiti inferiori al 50%, con la regola imposta dalla UE hanno finito per ritrovarsi con debiti dell’80% o più (Vedasi: Tabella del debito pubblico degli Stati al 2010).

Continuano a dirci che l’Europa si divide in due: l’Europa degli stati del nord, opulenti, con politici capaci e probi e quindi meritevoli di restare nell’area Euro; l’Europa dei, PIGS (dei maiali), degli stati del sud, con deficit spaventosi, politici corrotti, che non meriterebbero di restare nell’area Euro. E’ assolutamente vero quello che si dice dei PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna; ovviamente la I ben potrebbe identificarsi con l’Irlanda, stato del nord, fino a pochi anni fa esaltato come modello di stato capitalista), ma è altrettanto vero che gli stati del nord sono ugualmente nei guai (ad essere sinceri sarebbe più opportuno utilizzare una ben nota parola di cinque lettere che a qualcuno apparirebe una volgarità).

La verità, dunque, è che tutti gli stati sono in fallimento, compresi quelli del nord. Il fatto di avere debiti inferiori agli stati del sud, significa solo che stanno meglio degli stati del sud, ma ugualmente sono sulla soglia del fallimento. Ovviamente l’Italia è tra i paesi con i problemi più gravi e difficilmente risolvibili, a meno che non si adottino determinate politiche già sperimentate in altre latitudini, in America Latina.

Tutto sembra indicare che l’Italia non ha un futuro molto roseo davanti e se crolla l’italia, ossia fallisce, ossia arriva il giorno in cui il Ministro delle Finanze di turno deve dire al mondo “Signori non possiamo pagare i nostri debiti”, crolla inevitabilmente tutta l’Europa.

Tutti abbiamo asssitito alla farsa (destinata a sfociare in tragedia) del salvataggio greco, di un piccolo paese; se il problema dovesse toccare un grande paese come l’Italia, la fine dell’Europa sarebbe inevitabile.

E non dimentichiamo l’altra grande farsa che si è consumata dall’altra parte dell’Atlatico. Che l’accordo sia stato solo una farsa si intuisce analizzando le cifre. Gli USA hanno vissuto per decenni al di sopra delle loro possibilità, accumulando anno dopo anno deficit di bilanci pubblici, che sono ormai impagabili, oscillando tra i circa 15.000 miliardi dei dati ufficiali ed i circa 30.000 miliardi quando si aggiungono i dati del salvataggio (improbabile) delle imprese in crisi; a tutto questo va aggiunto il deficit dell’intera società statunitense (Imprese e famiglie) e qui ovviamente gli zeri sono così tanti che è sufficiente dire che sono impagabili.

Il problema degli USA non si è risolto con l’accordo del 2 agosto - come hanno cercato di farci credere tutti i media ufficiali del mondo – e l’aumento del limite del debito a 14.694 miliardi; il debito USA al 18 agosto ha già raggiunto i 14.620 miliardi, quindi fra non molto tempo si ripresenterà il problema; inoltre i tagli annunciati (qualche centinaio di miliardi all’anno), che saranno sopportati dalle fasce più deboli, attraverso i tagli all’educazione, alla sanità, alle pensioni, all’assitenza sociale, per quanto possano sembrare enormi sono ridicoli in confronto ai deficit previsti daibilanci USA del prossimo decennio. Infatti, i bilanci annuali preventivi per il decennio 2012-2021 presentati da Obama prevedono entrate complessive (nel decenio) per 39.084 miliardi di dollari, a fronte di uscite pari a 46.055 miliardi, per un deficit totale di 6.971 miliardi, cui vanno aggiunti altri 794 miliardi per il pagamento degli interessi sul debito. Tagliare spese (e ripetiamo ai danni dei più deboli, lasciando intatte le spese militari, ad esempio) per un migliaio di miliardi è semplicemente una barzelletta. E’ una farsa che si trasformerà in tragedia.

Fonte: Ufficio del Bilancio del Congresso USA (CBO). Notare che al debito riportato vanno aggiunti oltre 4.600 miliardi dei debiti fra le amministrazioni pubbliche.


Prima della crisi, il 10/10/2007, avevamo parlato di una imminente crisi che non sarebbe stata la solita crisi ciclica del capitale, ma la crisi che avrebbe condotto al tracollo dell’occidente. Molti ancora non hanno capito che non si tratta di una crisi congiunturale, ma strutturale ed alla fine tutto l’occidente (Stati Uniti ed Europa) ne uscirà fortemente ridimesionato, con la possibilità che l’area Euro vada incontro ad una disgregazione, cosi come gli USA potrebbero cessare di esistere come stato unitario; ma questo lo aveva già previsto Igor Panarin nel 1998.

Ovviamente dire tracollo dell’occidente non significa la fine del sistema capitalistico, che ha ancora ampi margini di crescita e di fatto sta crescendo in zone del mondo, dove fino a qualche anno fa sembrava di essere in pieno medio evo. Il tracollo, ovvero il forte ridimensionamento riguarderà l’Europa occidentale, gli USA ed ovviamente Israele, stato che esiste ed esisterà solo fino al giorno in cui esisterà la protezione degli Stati Uniti.

L'11 Settembre bancario

L'11 Settembre bancario
Da Effedieffe - Maurizio Blondet

Il tracollo delle Borse mondiali passerà probabilmente alla storia
come l’inizio della vera Grande Depressione. È stato l'Undici
Settembre per le banche europe; e come l'altro 11 Settembre, è stato
un attentato. Autore, lo stesso che ha fatto collassare le Twin Towers
(se credete che sia stato Bin Laden, è inutile che leggiate oltre).

Il tracollo è stato causato - scientemente - dalla Federal Reserve. I
fatti:


Il 18 agosto, alle 20.06 ora americana, sul sito del Wall Street
Journal del noto Rupert Murdoch, appare il seguente alert:

«La FED sta chiedendo alle banche europe che operano in USA se esse
dispongano dei fondi per operare su base giornaliera negli Stati
Uniti, e in certo casi, consiglia le banche di revisionare le proprie
strutture in USA».

Infatti, prosegue il testo «la FED e i regolatori statali segnalano di
essere sempre più preoccupati che la crisi del debito europeo possa
tracimare nel sistema bancario americano, e perciò intensificano la
loro sorveglianza sulle grandi banche europee con filiali in USA».

Con la prima frase, la Banca Centrale americana fa sapere al mondo che
sospetta le banche europe di essere insolventi. Da quell'occhiuto
controllore che ha dimostrato di essere dal 2007, si comporta come il
direttore della gioielleria Tiffany di fronte ad un tizio male in
arnese che si dichiara intenzionato a comprare un anello con brillante
grosso come una nocciola: «Ma i soldi, lei, ce li ha? Ha un credibile
accesso a fondi?». E lo dice ad alta voce, in modo che tutti i clienti
sentano.

Come per il false-flag dell’altro 11 settembre 2001, si nota subito
una smagliatura nella narrativa, di per sè rivelatrice. Nella seconda
frase, si dichiara infatti che la FED è preoccupata non per l'economia
USA, solidissima, ma per la crisi europea del debito: teme possa
tracimare nel sistema bancario USA, che - tutti lo sanno - è sano e
forte come una quercia, e la sua perfezione può essere guastata solo
dall'estero. Anzi, fa sapere nel seguito la FED, se le banche europee
non hanno soldi, possiamo prestar loro noi qualche milioni di
dollari...

L’ora in cui il Wall Street Journal lancia questo allarme è ben
pensata: la Borsa americana di Wall Street è chiusa, ma stanno per
aprire le Borse asiatiche.

Che infatti crollano subito, trascinando ora dopo ora le altre piazze
mondiali. Capirai: le grandi banche europee (mica la Cooperativa di
Risparmio di Carugo, ma la Deutsche Bank, la Societé Generale...) sono
illiquide, anzi insolventi. Immediatamente, le banche europe si
trovano in guai duri e veri: chi mai presterà loro dei soldi?

Naturalmente nessuno potrà dire che è stata la FED a compiere
l’attentato. L’alert del Wall Street Journal non nomina alcuna fonte,
salvo «people familiar with the matter», «gente addentro alla
faccenda”. Se dite che è stata la FED a provocare il disastro, sarete
chiamati «complottisti». (The Fed bombed the market - I ask, "Why?")

Intendiamoci, non è detto che la notizia sia falsa. Anzi, le filiali
americane delle banche europee possono trovarsi in difficoltà a far
fronte ai loro impegni in USA perchè i loro capitali stanno venendo
rimpatriati d’urgenza in Europa. Ma a maggior ragione, in una
situazione così delicata, che può ripercuotersi come un effetto-domino
nel mondo, cominciando con il congelamento dei prestiti intrerbancari
a breve (che fu l'effetto del fallimento Lehman) fino al collasso di
Stati, banche ed economie reali per prosciugamento del credito, le
Banche Centrali mica spifferano tutto ai giornalisti; al contrario,
agiscono con discrezione assoluta, approntando soccorsi in tutta
segretezza.

La situazione finanziaria mondiale era in bilico; la FED l’ha
precipitata, aggravandola in modo forse definitivo, trasformandola in
Grande Depressione. E l’ha fatto apposta. Perché?

Secondo il sito Zero Hedge sopra citato, l’ha fatto per avere la scusa
politica di fare il terzo quantitative easing, ossia una terza stampa
di dollari in massa (è una metafora: non c’è più bisogno di stampare
fisicamente dollari, basta aumentarne la disponibilità, velocità e
abbassarne il prezzo con vari trucchi contabili). È una
interpretazione non affatto sbagliata, ma insufficiente.

La verità è che la FED deve mantenere ad ogni costo il dollaro come
moneta di riserva mondiale, mentre ne annacqua il potere d’acquisto
stampandone a fiumi. Deve stamparlo a fiumi per annacquare l’enorme
debito americano in mano ai cinesi e ai giapponesi, ma nello stesso
tempo fare in modo che questi e gli altri operatori continuino a
comprare e richiedere dollari – anzichè euro, yen e franchi svizzeri
come hanno cominciato a fare.

Come ottenere questo scopo? Distruggendo la credibilità dell’euro,
delle banche europee, dei debiti di Stato europei.

Intendiamoci, l’euro non è una moneta sana, se non relativamente alla
moneta USA. Ma è forte, in quanto la Banca Centrale Europea ha agito
al contrario di quella americana: non ha fatto alcun quantitative
easing (creazione di massa monetaria), anzi già in piena crisi Trichet
ha avuto la bella idea di rincarare il denaro aumentando il tasso
primario: ciò ha aggravato la deflazione in corso, appesantito
l'economia in recessione e il debito pubblico di noi mediterranei, ma
ha «rafforzato l'euro». Cosicchè a livello mondiale si è cominciato a
trattare l'euro come moneta di riserva alternativa al dollaro.

Un esempio recentissimo: tutti vogliono comprare in questo periodo di
incertezza e di crisi degli Stati-debitori, franchi svizzeri. Ciò
provoca una rivalutazione eccessiva della valuta elvetica rispetto a
dollaro ed euro, tanto da danneggiare l'economia svizzera. La Banca
Centrale Svizzera, il 12 agosto scorso, ha fatto sapere che, per
ridurre il corso del franco, appoggerà la sua moneta all'euro.

All'euro, non al dollaro: per l'impero americano, questo è un segno di
malaugurio. Significa che la Banca Centrale Svizzera, quando vorrà
abbassare il cambio del suo franco, ne stamperà la quantità opportuna,
per comprare con essa titoli in euro del debito pubblico degli Stati
europei, Bund, francesi (italiani non credo). Non comprerà Treasury
Bills americani, di cui la FED ha stampato troppe cartelle, e che
perdono troppo di valore.

Bisogna correre ai ripari: facendo vedere che il dollaro serve ancora,
eccome se serve. Anzi, persino la Svizzera ha bisogno di dollari,
tanti dollari, più che euro. Come?

Detto fatto: il 17 agosto, la Federal Reserve di New York fa sapere
che la Banca Centrale Svizzera - la più forte e stabile delle Banche
Centrali - ha chiesto alla FED un prestito di 200 milioni di dollari,
probabilmente per sostenere una grande banca elvetica in difficoltà,
si dice la UBS o forse il Credit Suisse, che non riesce a farsi
prestare dollari per far fronte ai suoi impegni americani. Segue il
noto attacco ai titoli finanziari europei, nonostante le smentite di
UBS e Credit. La mano che ha lanciato la bomba di questi rumors, è
probabilmente la stessa dell'11 settembre: Al Qaeda in Manhattan
(AQIM).

E l’effetto voluto segue immediatamente: i rendimenti dei Buoni del
Tesoro USA decennali scendono sotto l'inflazione. Ciò perchè nel
panico, gli investitori che non sanno più dove mettere i soldi (non
certo nell'euro, dopo che si è saputo delle difficoltà delle banche
europee), comprano quelle tonnellate di Treasury come se fossero
ancora un bene rifugio. Anzi, per comprarli, ci perdono, accettando un
1,8% su Buoni decennali.

L’effetto è forse solo momentaneo, forse no. L'impero americano
finanziario e monetario ha deciso di giocare sporco (ma non l’ha
sempre fatto?); si vede che per esso il gioco vale la candela.

La candela (le conseguenze) sono disastrose anzitutto per le banche
europe: non trovano più compratori per i propri titoli di debito, come
già fanno fatica a trovarne gli Stati europei del Club Med. Persino i
prestiti tra banca e banca europea sono calati, come ai tempi del
fallimento Lehman.

E il sistema bancario europeo è alla disperata ricerca di capitali: le
90 banche europee che hanno superato i cosiddetti stress test
necessitano di rinnovare 5,4 trilioni dei loro titoli nei prossimi due
anni, fra cui le nuove emissioni per essere in regola con le nuove
regole di Basilea III.

Nei momenti tranquilli, si fa così: danno al detentore di una
obbligazione che viene a scadenza, un’altra obbligazione con scadenza
più lontana. Ma questi non sono tempi normali, e il detentore, per la
nuova obbligazione, vuole avere più interessi. O magari, soldi.

Attualmente, la maggior parte dei titoli delle nostre banche europee
(il 60%) è detenuta dalle compagnie di assicurazione. Ora, anche le
compagnie di assicurazione cercano capitale (750 miliardi di dollari)
per adeguarsi alle nuove esigenze di fondi propri imposte loro da
Solvency II, che è l'equivalente di Basilea III per le banche. E, in
tempi di crisi, le due regolamentazioni combinate producono effetti
disastrosi e imprevisti (ma la Banca dei Regolamenti Internazionali li
aveva fatti presenti); di cui il primo può essere che le compagnie
d’assicurazione schifino le nuove obbligazioni della banche europee,
oggi dichiarate insicure dalle mosse terroristiche della Federal
Reserve.

Insomma, nelle prossime settimane vedremo un ammasso enorme di
indebitati - Stati, grandi banche europee, assicurazioni - che
implorano di indebitarsi ancor più, che chiedono denaro in prestito a
investitori – che, dal canto loro, sono sempre meno e meno disposti a
prestare a Stati, banche, assicurazioni a rischio-insolvenza. Con
tanta concorrenza e così pochi desiderosi di prestare, provate a
immaginare di quanto dovrà offrire loro lo Stato italiano in
interessi, per invogliarli. E magari non riuscirà ad invogliarli a
nessun prezzo.

Già ora, del resto, gli interessi sono tenuti a malapena a freno dal
fatto che la BCE compra i nostri titoli di debito pubblico, e quelli
spagnoli. I mercati compricchiano, proprio perchè la BCE compra. Ciò
significa che Italia e Spagna sono narco-dipendenti, per l’accesso ai
mercati di capitali, dalla continuazione degli acquisti della BCE.
Appena la BCE smette, smettono anche i mercati.

E la BCE deve aiutare anche le banche. Si calcola che abbia prestato
530 miliardi di euro finora a vari Stati e banche europee, accettando
come garanzia titoli di debito di quelle entità. Fra cui titoli del
debito greco. Figuratevi che garanzia. Il guaio è che la BCE, per
regolamento, non può accettare, come garanzia per fare prestiti, dei
titoli e obbligazioni che le agenzie di rating (americane) dichiarano
junk. Se la Grecia fa bancarotta (ipotesi ogni giorno più concreta), i
suoi titoli diventano junk, spazzatura: e la BCE non solo dovrà
accollarsi la perdita sul suo pacco di questi attivi che non valgono
più, ma dovrà restituire quei titoli che ha ricevuto dalle banche
europe come garanzia; e le banche europee dovranno sganciare altri 450
miliardi di euro in contante. Che ovviamente non hanno. La stessa BCE,
insomma, il prestatore d’ultima istanza, rischia l’insolvenza.

Provate solo ad immaginarvi come sarà ridotta l’economia reale
sottostante, come le imprese e i privati otterranno credito per andare
avanti, per il mutuo, per l’acquisto a rate di macchinari o beni di
consumo. O meglio, non cercate di immaginare; meglio non vedere. Non
vedere le nostre caste da 15 mila euro al mese che prelevano il loro
dovuto parassitario da un popolo di disocccupati, a cui hanno tassato
persino le mutande.

Si sta ripetendo, con lo stesso ritmo e con gli stessi errori, il
processo che trasformò la crisi di Borsa del 1929 nella Grande
Depressione del 1931. Anche allora la prima globalizzazione rese il
mondo così interconnesso, che una crisi in un Paese provocava un
effetto a catena negli altri: pericolo che i politici rifiutarono di
riconoscere.

Le follie speculative non furono regolamentate, proprio come oggi non
sono stati vietati i derivati e i CDS, nè si sono proscritte le
transazioni ad altissima velocità che sono diventate la piaga della
speculazione. Perchè no? Perchè, come nel 1929, si diceva che il
mercato finanziario andava lasciato libero di inventare metodi nuovi,
ciò alla fine rendeva più disponibile e a basso prezzo il capitale per
famiglie, imprese, acquisti a rate, banche bisognose di liquidità.

Nel 1931 una piccola banca austriaca, la Creditstantalt, fallì.
L’effetto a catena colpì economie già indebolite dalla crisi. La crisi
fu – ed è – la stessa cosa del boom: ossia indebitamento eccessivo.
Che oggi si chiama leveraging, effetto leva, perchè così suona più
tecnico-scientifico. (Home Blogroll Credit Crisis Finance Data News
Popular Sitemap RSS Daily Weekly Barack Obama as Herbert Hoover)

Ma indebitamento è. Economie ad alta leva, specie quelle in cui i
debiti a breve vengono di continuo rinnovati per fiducia in attivi
dati a garanzia che sono relativamente illiquidi, finiscono sempre
male. Governi altamente indebitati, banche indebitatissime, aziende e
famiglie ultra-indebitate possono trionfare ed esuberare per un tempo
anche lungo. Poi - bang! - di colpo la fiducia crolla, gli allegri
prestatori svaniscono, gli attivi diventano invendibili, e la crisi
appare come uno spettro abissale. L'euforia lascia il posto a decenni
di miseria, di disoccupazione, di stenti, ovviamente di insolvenze a
catena.

È questo il meccanismo che ha scatenato AQIM, Al Qaeda in Manhattan,
apparentemente per mantenere al dollaro bucato lo status di moneta
imperiale. Il gioco vale la candela? Chissà.

In tanto disastro, può avere interesse una constatazione anedottica:
la fortuna di Silvio Berlusconi esiste ancora. Fino a ieri era il
governante più ridicolo e screditato in Europa, il che si rifletteva
pesantemente sul debito italiano. I tedeschi facevano sapere che «non
desiderano affatto garantire le spese pubbliche dell'Italia. L'unica
molla che li indurrebbe a prestare i soldi è la fiducia che hanno nei
Paesi che ne beneficerebbero: tra questi non c’è quello governato da
Berlusconi» (da un blog germanico). Dopo aver firmato una manovra di
austerità che prometteva riforme del pubblico settore (la vera palla
al piede) e dei costi della politica, s'è visto che non era altro che
fumo negli occhi, una furbata disonesta - la sola cosa vera essendo un
durissimo prelievo dalle tasche degli italiani. Appena parlava lui, i
mercati chiedevano più interessi sul debito italiota.

Ogni giorno di più, il satiro di Arcore si rivelava quel clown, anzi
nano politico e mentale che è. Oggi, dopo l’incontro Merkel-Sarkozy a
cui non è stato invitato, la sua statura è cresciuta. Nel senso che
sono stati Angela e Sarko a rimpicciolire. Hanno proclamato di attuare
«un vero governo della zona-euro», hanno annunciato la Tobin tax,
hanno intimato la Regola d’Oro, ossia il pareggio di bilancio iscritto
nelle costituzioni agli altri Paesi. Erano annunci, vacui annunci in
pieno stile berlusconiano, furbesco fumo negli occhi alla Calderoli.

Appena finito «il vertice franco-tedesco», i mercati hanno risposto
fuggendo, e le Borse crollando in modo spaventoso. La Societé Generale
ha perso finora il 40%; la fiducia nelle grandi banche tedesche è
scossa. All’occhio dei mercati, non c'è poi tanta differenza: tutti
nani uguali questi leader europei, si confondono l'uno con l'altro.

Dunque, Berlusconi è assistito dalla sua ben nota fortuna.
Relativamente.

Cercasi Principe per Filettino

(20 agosto 2011) - Corriere della Sera

PRIMO PIANO APPROFONDIMENTI - LA STORIA - PICCOLI COMUNI A RISCHIO LA BATTAGLIA CONTRO IL DECRETO

Cercasi Principe per Filettino «Mai sotto i Vicini di Trevi»

Il sindaco chiama Emanuele Filiberto e stampa moneta per salvare il paese

FILETTINO (Frosinone) - «Stiamo pensando di interpellare il giovane principe, il figlio dell' erede...». Emanuele Filiberto di Savoia? «Lui. Una provocazione, lo so, ma almeno così verrebbero tutti a capire perché ci opponiamo alla soppressione del nostro Comune. E che non costiamo allo Stato, ma anzi chiudiamo il bilancio in attivo, a fine 2011 conto di avere in cassa 400 mila euro risparmiati. Magari, chissà, il ragazzo potrebbe essere interessato al titolo di Principe di Filettino. Ci affideremo all' avvocato Carlo Taormina per capire come avviare l' iter per chiedere l' autonomia e arrivare al Principato...». Il sindaco Luca Sellari, 46 anni, in carica dal 16 maggio 2011 alla guida di una lista civica («metà centrodestra e metà centrosinistra, più civica di così») non va sottovalutato, anche se governa da una sede che sembra una villetta in collina. Conosce bene le regole della comunicazione, viene da una famiglia di solidi imprenditori di Frosinone («Sellari Immobiliare, agenzie in tutta Italia», recita la pubblicità) e sa che il gioco mediatico del Principato può fruttare molto a Filettino: in visibilità, quindi in turismo, cioè in ricchezza diffusa. È già arrivata la tv tedesca. Ben venga dunque Emanuele Filiberto. Il Savoia interessato per ora liquida tutto con una battuta: «Ringrazio per aver pensato a me, ma francamente la vedo un' ipotesi assai complicata e difficilmente praticabile. Anche se... in fondo so sciare abbastanza bene». Nel frattempo, Sellari ha già stampato (200 euro di investimento di tasca propria) un pacco da diecimila finte banconote del principato con la sua immagine. Valore 10 fioriti «che per noi valgono 20 euro, potrei anche dare una mano a Tremonti per risanare il bilancio... Ma i nostri "soldi" sono già finiti, sono venuti da Sora, Cassino, Avezzano, Capistrano dopo aver visto la tv». Prova generale del lancio di un prodotto: il Principato di Filettino. Riuscita alla grande. Tanto da immaginare una convention nazionale a settembre, tra questi monti, dei mini Comuni destinati alla cancellazione. Fin qui (Emanuele Filiberto, le banconote, forse anche la battuta sull' avvocato Taormina) siamo al gioco. Veniamo alle cose serie. E Sellari cambia passo: «Siamo solo 554 abitanti ma ospitiamo 5.800 seconde case di turisti, presenze estive e invernali da 10-13 mila persone nelle due stagioni con punte da 20 mila a Ferragosto perché a quota 1.063 metri siamo il Comune più alto del Lazio. Controlliamo il 22% del territorio del Parco dei Monti Simbruini, qui sgorga la fonte dell' Aniene con una capacità da 4.000 mila litri al secondo e disseta 70 Comuni laziali, se mai ne deviassimo il corso mezzo Lazio sarebbe in ginocchio, siamo località sciistica d' inverno e climatica d' estate. Abbiamo appena 8 dipendenti e un bilancio che non supera i 2 milioni di euro, con l' attivo che ho detto, e provvediamo ai bisogni del turismo». Una pausa, una confidenza: «La mia simpatia politica va istintivamente al centrodestra ma non capisco perché Berlusconi e Tremonti vogliano distruggere tradizioni secolari, consuetudini e legami sociali, la stessa dignità dei piccoli centri. Dovrebbero capire, Berlusconi e Tremonti, che chiudere i piccoli Comuni sarà come chiudere le piccole imprese... e poi gli abitanti di Filettino non accetteranno mai di fondersi con quelli là, finiremmo col portare solo soldi senza avere niente in cambio. Loro sì, hanno bei problemi di bilancio». Quelli là, gli innominabili, sono i duemila abitanti di Trevi nel Lazio, appena 9 chilometri di distanza che segnano un abisso incolmabile. Incomprensioni, ostilità, irrisioni secolari. Per quelli di Filettino darsi del «trebano» (ovvero abitante di Trevi) equivale a un insulto. Assicura Sellari: «Due giorni fa mi ha fatto chiamare una vecchietta di 91 anni che aveva saputo tutto dal tg. Appena arrivato mi ha detto: "Senti, sindaco, io ormai ho più di novant' anni e preferisco morire subito, adesso, piuttosto che iscritta all' anagrafe di Trevi". È la verità, giuro, nomi e cognomi». La conferma più sacra viene da don Alessandro De Sanctis, 93 anni portati (se non fosse banale scriverlo) miracolosamente, parroco di Filettino dal ' 49 (il più longevo d' Italia) ed erede dello zio paterno parroco don Filippo («la mia famiglia guida la parrocchia da 105 anni»). Dalla sua fantastica terrazza che si affaccia sul Monte Cotento, 2014 metri, e sul Viglio, 2156, protesta lucidissimo (d' estate celebra quattro Sante Messe domenicali in scioltezza): «I piccoli Comuni sono le perle d' Italia, le famiglie nelle grandi città si disperdono, qui restano unite. I soldi? A noi Provincia e Regione non danno che briciole, siamo autonomi». E Trevi, reverendo? Gli occhi azzurrissimi hanno un sussulto: «Da sempre c' è incomprensione... Finiremmo con l' essere oppressi. Oppressi! Loro hanno un che di superbo, erano già municipio romano dai tempi della Repubblica e poi dell' Impero, Filettino venne fondata solo verso il 1000 dopo Cristo. Ma noi abbiamo il turismo, l' acqua dell' Aniene, la gloria di questi monti. Insomma finire con Trevi? Sarebbe una ver-go-gna! Se organizzassero un referendum sull' autonomia sarebbe un plebiscito». Concordano tutti in piazza Giuditta Tavani Arquati, dove dal 24 dicembre al 6 gennaio è sempre acceso giorno e notte un gran falò a disposizione di chiunque voglia cucinare o scaldarsi. Concordano i coniugi Enerico (così, con la "e" al centro di Enrico) Scocchi e Rosamaria Giulitti, da quarant' anni titolari del ristorante «La galleria» (indimenticabili le sontuose tagliatelle al ragù di agnello). Soprattutto lei, Rosamaria, la cuoca, è furiosa: «Andare con Trevi? Mai! Quelli ci stendono, e poi non capiscono niente, non sono abituati al turismo e usano ancora un dialetto antichissimo. Insomma, con Trevi non se ne parla». Dieci passi più in là, ed ecco il bar «Risorgimento», autentico omaggio all' eroina della piazza, moglie del filettinese Francesco Arquati, uccisa con lui e il loro figlio dodicenne Antonio alla Lungaretta, Roma, il 25 ottobre 1867 dagli zuavi pontifici. La gestione è da 22 anni nelle mani di una rara «coppia mista»: Gianfranco Pomponi (da Trevi) e Ada Rossi (da Filettino). Ma il vincolo matrimoniale, e il bar in piazza, ha trascinato anche lui su posizioni filettinesi: «No, non mi sembra una cosa giusta chiudere il Comune, funziona bene così». Assai più agguerrita lei, e chissà cosa accade tra le mura domestiche: «Finire "sotto a Trevi" non va bene, noi abbiamo anche un campo da sci, Campo Staffi è roba nostra, e loro, lì, cosa hanno? Niente». È l' ora dell' aperitivo e capita Celestino Alunni, romano, dal 1978 titolare di una seconda casa a Filettino: «Aderisco subito al Principato, un' idea geniale. Vuoi mettere quando dico: "Ho una piccola casa nel Principato di Filettino". Elegante, no? Scherzi a parte, qui si sta benone, il Comune ci obbliga anche alla raccolta differenziata, tutto funziona abbastanza, ma perché in questa Italia dovrebbero buttare via qualcosa che gira per il verso giusto?». Nel frattempo funziona benissimo la pubblicità. Da due giorni il Comune è assediato da curiosi ma anche da proprietari di seconde case, soprattutto romani, che cercano il sindaco e si dichiarano pronti a cambiare residenza per evitare che Filettino scompaia come Comune autonomo e finisca «sotto» Trevi. A furia di sentirlo dire nei bar, nei ristoranti, a Campo Staffi, anche i turisti hanno un moto di fastidio quando gli nomini i trebani. Intanto, a Palazzo Chigi parlano di accorpamenti. Chissà quante Filettino, e quante Trevi, litigano lungo lo Stivale del 150° anniversario dell' Unità. Paolo Conti RIPRODUZIONE RISERVATA **** Il cartello **** La scheda I numeri Il Comune di Filettino si trova in Provincia di Frosinone, ha una superficie di 77,6 Km² e si trova a 1.063 metri sopra il livello del mare. Gli abitanti sono 554 Il sindaco Dal maggio 2011 sindaco è Luca Sellari ( sopra ): con la manovra Filettino rischia di essere soppresso L' idea Il sindaco sta pensando di affrontare l' iter per chiedere l' autonomia e trasformare Filettino in un Principato. Sellari ha pensato a Emanuele Filiberto di Savoia ( sopra ) come principe. L' interessato però si defila: «Ringrazio per aver pensato a me, ma francamente la vedo un' ipotesi assai complicata»

Conti Paolo

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