giovedì 24 maggio 2012

LA VERA MAFIA: LA BANCA D'ITALIA


La vera mafia è nella Banca d'Italia

Elio Lannutti Mario Draghi

  Oggi Mario Draghi ha tenuto una lezione alla Sapienza, mentre fuori i ragazzi venivano trattenuti da un cordone di poliziotti in casco e manganello. Non si può dire che Elio Lannutti gliele abbia mandate a dire. Il senatore Idv, in collegamento su Sky TG 24, ne ha approfittato per definirlo "il massimo responsabile di quello che accade". Poi ha invitato tutti, compreso Beppe Grillo, all'assemblea della Banca d'Italia, il 31 maggio, dove in passato lui e i manifestanti sono stati più volte manganellati. Perché "la vera mafia è quella che sta dentro la Banca d'Italia", conclude Lannutti. 

 Nel frattempo Draghi, protetto dalla polizia che teneva alla larga gli studenti contestatori, ha spiegato perché la BCE non può essere ritenuta responsabile dell'utilizzo dei soldi che ha dato alle banche al tasso agevolato dell'1%, senza che queste ultime li reinvestissero nell'economia reale, dandoli alle aziende in crisi e agli imprenditori che ogni giorno danno una stretta ulteriore al nodo scorsoio.

 Da guardare ed ascoltare con attenzione:

 Mario Draghi La Sapienza Roma BCE soldi liquidità LTRO Claudio Messora Byoblu Byoblu.com

"Superamento della fame" secondo la Banca Mondiale

www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 23-05-12 - n. 410

da ciptagarelli.jimdo.com/2012/05/17/aumento-dei-profitti-e-della-fame-nel-mondo
Traduzione di Daniela Trollio da www.elparquedelashamacas.org/html/banco_mundial.html
Profitti e fame nel mondo
Le strategie di "superamento della fame" secondo la Banca Mondiale
di Vicent Boix (*) - elparquedelashamacas.org
01/05/2012
Nel 2011 si scatenò una terribile carestia nel Corno d'Africa che minacciò le vite e i mezzi di sussistenza di più di 12 milioni di persone, principalmente in Somalia, Gibuti, Etiopia e Kenia, che poi si estese al Sudan e ad alcune regioni dell'Uganda.
Si è parlato di situazioni caotiche e le morti per sottoalimentazione sono state calcolate tra le 50.000 e le 100.000, secondo l'Oxfam e Save the Children (1).
La situazione stava leggermente migliorando nella regione, grazie all'azione umanitaria e alle piogge della fine del 2011 (2) ma, nonostante tutto, 8 milioni di persone continuano a ricevere aiuti umanitari e la FAO ha lanciato l'allarme perchè le previsioni della prossima stagione delle piogge annunciano che pioverà meno del previsto.
La crisi è ben lontana dall'essere risolta e negli ultimi mesi si è estesa ad otto paesi del Sahel, dove si calcola ci siano circa 15 milioni di persone a greve rischio di insicurezza alimentare.
Gli Stati più colpiti sono il Niger (5,44 milioni, il 35% della polazione), il Ciad (3,6 milioni, 28% della poolazione), il Mali (3 milioni, il 20% dela popolazione), il Burkina Faso (3,6 milioni, il 10% della popolazione), il Senegal (0,85 milioni, 6% della popolazione), il Gambia (0,72 milioni, il 37% della polazione) e la Mauritania (0,7 milioni, il 22% della popolazione), anche se l'inquietudine si è estesa anche al Camerun e alla Nigeria (4).
L'aumento dei prezzi degli alimenti
Per vari organismi la causa di queste tragedie nel Corno d'Africa e nel Sahel ha la sua origine nell'aumento dei prezzi degli alimenti, nella siccità esistente nella regione e nei cattivi raccolti.
La realtà è che - a fattori congiunturali come la siccità o la riduzione delle contivazioni -, bisognerebbe aggiungerne altri "storici", come la de-strutturazione delle comunità e delle loro tradizioni agricole, una insufficiente politica agraria, la spinta all'agroesportazione a scapito della sovranità alimentare e dell'agricoltura contadina per il consumo proprio e la vendita sui mercati nazionali, ecc. ecc.
Tutto ciò ha fatto sì che molti paesi africani dipendano dalle importazioni di cibo e, quindi, dai prezzi internazionali degli alimenti, che si sono decuplicati in meno di un decennio.
Inizialmente questo aumento venne legato, perversamente, all'offerta e alla domanda di alimenti e di materie prime agricole (soprattutto cereali). Ma, col passare del tempo, è stato riconosciuto che, invece, questo aumento ha maggiori relazioni con gli investimenti finanziari nei mercati alimentari dei futures, come si può vedere nel grafico.
www.elparquedelashamacas.org/images/banco_mundial.gif 
Attivi finanziari in materie prime - Indice dei prezzi della FAO
(Elaborazione dell'autore su dati di GRAIN, FAO e Istituto Internazionale di Finanza).
Così il Parlamento Europeo riconosceva, nel gennaio 2011, che "... questi accadimenti sono provocati solo in parte da principi di base del mercato come l'offerta e la domanda e che in buona misura sono consguenza della speculazione (...) i movimenti speculativi sono responsabili di quasi il 50% dei recenti aumenti di prezzo ..." (5).
Nella stessa direzione Olivier de Schutter, relatore delle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione, segnalava in settembre che "L'appoggio ai biocombustibili, così come altri aspetti legati all'offerta (come i cattivi raccolti o la sospensione delle esportazioni) sono fattori di importanza relativamente secondaria, ma nel teso e disperato stato delle finanze mondiali scatenano una gigantesca bolla speculativa" (6).
Per decenni si è promossa un'agricoltura esportatrice di alimenti e materie prime, creando così una dipendenza dalle esportazioni, cosa che ha dato origine a dinamiche disastrose come quella annunciata dalla FAO, che ipotizzava l'anticamera dell'attuale crisi alimentare che l'Africa soffre: "... i paesi a basse entrate e deficit alimentari sono stati colpiti con durezza dagli aumenti dei prezzi negli ultimi anni. A causa di questi rialzi, molti di questi paesi hanno dovuto pagare fatture più alte per l'importazione di alimenti. Quasi tutti i paesi africani sono importatori netti di cereali. Le persone più colpite dal rialzo dei prezzi sono i compratori netti di alimenti, come i residenti urbani e i piccoli contadini, i pescatori, i pastori e i lavoratori agricoli che non producono alimenti sufficienti per coprire le loro necessità. I più poveri tra loro destinano più del 70-75% delle loro entrate all'acquisto di alimenti" (7).
Le strategie di superamento
In un recente rapporto della Banca Mondiale si menzionano le cosiddette "strategie di superamento" per combattere la fame. Queste mal definite "strategie" non sono altro che sacrifici che, obbligatoriamente in una situazione di crisi alimentare, le persone devono fare per saziare al minimo le loro necessità nutrizionali. Per fare più luce su questo tema controverso, lo stesso organismo indica che "i meccanismi di superamento non sono universali, ma normalmente implicano risposte comuni tra le famiglie e i paesi. In primo luogo, la risposta implica un certo tipo di tagli al consumo (come alimenti meno cari e la riduzione della quantità e della frequenza dei pasti) e condotte di normalizzazione del consumo (chiedere prestiti, comprare alimenti a credito, vendere attivi e cercare più lavoro)...".
In un primo momento si potrebbe credere che la Banca Mondiale stia dando semplicemente informazioni su alcune azioni disperate e la gente utilizza in momenti di emergenza. Ma invece la corporation arriva a giustificarle e le vede come uno strumento in più per attenuare la fame, assicurando che "le strategie di superamento possono attenuare alcuni di questi rischi, con opzioni che generino impatti molto positivi sul benessere...."
L'organizzazione multilaterale accetta queste condotte, anche se non può non confessare la realtà e riconoscere che il minor consumo di alimenti e l'incapacità di realizzare una dieta equilibrata conducono ad un minor consumo di micronutrienti.
Nello stesso tempo riconosce che i bambini, le donne incinte e i malati cronici hanno bisogno di un'alimentazione più nutriente e variata, e che quindi dispongono di minori meccanismi di recupero.
Ma la Banca Mondiale unisce miracolosamente le sue "strategie di superamento" alla carità degli stati nazionali: "... gli interventi pubblici devono considerare le strategie di superamento, complementare i loro effetti positivi e mitigare le loro deficienze. Ad esempio, i programmi di alimtazione scolare possono ridurre l'incentivo dei genitori a togliere i bambini dalle scuole per farli lavorare, così come i sussidi condizionati alla scolarità. Grazie a questi sussidi può non essere necessario saltare pasti e con programmi nutrizionali ben focalizzati si riesce a ridurre l'insuffienza di micronutrienti dovuta alla mancanza di pasti. " (8).
In sostanza, alcune delle possibili soluzioni proposte dalla Banca Mondiale davanti alle attuali crisi alimentari passano per la riduzione dei pasti, per il prestito di denaro per comprare cibo e per la carità attraverso l'aiuto alimentare come complemento alle "strategie di superamento".
Si può aggiungere ben poco ad una simile dichiarazione di principio.
Gli speculatori continuino ad incrementare i loro profitti sui mercati dei futures, gli accaparratori continuino la colonizzazione dei paesi impoveriti e le multinazionali degli agro-affari continuino a mantenere il controllo sulla catena alimentare.
Che siano le persone e le nazioni a sacrificarsi sempre. Gli altri continuino i loro lucrosi affari.
(*) Ricercatore associato della Cattedra di "Terra Cittadina - Fondazione Charles Léopold Mayer" dell'Università Politecnica di Valencia.
Note:
1) SAVE THE CHILDREN e OXFAN: "Un ritardo pericoloso", 18.1.2012.
2) FAO: "Finisce la fame in Somalia ma la situazione continua ad essere molto grave", Nairobi, 3.2. 2012.
3) FAO: "Appello urgente della FAO per il Corno d'Africa", Roma, 23.3.2012.
4) FAO: "Urgenza dell'aiuto agli agricoltori e allevatori di bestiame colpiti dalla siccità nel Sahel", Roma, 9.3.2012.
6) KNAUP, H., SCHIESSL y M., SEITH Y.A.: "la fame quotata in Borsa", da El País, Madrid, 4.9.2011.
7) FAO: "Guida per i paesi colpiti dal rialzo dei prezzi alimentari", Roma, 15.1.2011.
8) Banca Mondiale: "Tendenza dei prezzi mondiali ", febbraio 2012, in: http://www.bancomundial.org/temas/preciosalimentos/alerta/enero-2012.htm
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria "G.Tagarelli" - Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

Corso a dispense di Economia Politica

www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - formazione - 20-05-12 - n. 410

Corso a dispense di Economia Politica
 
di Renato Ceccarello
 
Ma gli uomini devono sapere che in questo teatro che è la vita umana è concesso solo a Dio e agli angeli di fare da spettatori
Francesco Bacone

La lunga storia di una crisi di sistema

www.resistenze.org - osservatorio - economia - 22-05-12 - n. 410
 
La lunga storia di una crisi di sistema
Intervista a Luciano Vasapollo
di Stefano Galieni *
 
20/05/2012
 
Con questa lunga e articolata intervista il professor Luciano Vasapollo offre una propria ricostruzione della crisi che sta sconvolgendo il capitalismo mondiale. Una crisi politica da cui non si può uscire con ricette palliative ma solo con una proposta di alternativa radicale.
 
La crisi attuale e le turbolenze in Europa di questi mesi vanno lette per Luciano Vasapollo, Professore di economia applicata all'Università La Sapienza e Direttore di Cestes - Proteo (Centro Studi dell'USB), all'interno di un processo storico-economico molto lungo di cui bisogna assolutamente tenere conto in maniera puntuale per capirne la reale entità.
 
«Quanto sta accadendo oggi è la conseguenza politico-economica di quanto avviene da molti anni e non è un dettaglio comprendere la tipologia, l'origine e gli effetti di questa crisi. Nel modo di produzione capitalista si possono, in termini marxiani definire e analizzare tre tipologie di crisi, quella a carattere congiunturale, quella strutturale e quella sistemica. Oggi tutti parlano di crisi sistemica ma pochi sanno veramente di cosa si tratta, ed inoltre quando noi analisti marxisti ne parlavamo in tempi non sospetti già negli anni novanta nessuno ci dava credito».
 
E quali sono le differenze sostanziali?
 
«La crisi congiunturale è da considerarsi "normale", poiché non è vero che il modo di produzione capitalistico è in equilibrio o in costante crescita quantitativa. Aveva perfettamente ragione Marx quando individuava le crisi come fase interna del ciclo in un modello economico produttivo di disequilibrio, e quindi fasi di sovrapproduzione, situazione che obbliga alla conseguente irrinunciabile condizione di bruciare forze produttive, distruggendo cioè forza lavoro e capitali in eccesso, materiali, tecnologici e finanziari, per poter ricreare le condizioni di una crescita capace di realizzare masse e tassi di profitto reputati "soddisfacenti" e ottenuti attraverso gli investimenti di plusvalore in nuovi processi di accumulazione del capitale a maggiore profittabilità .
 
La grande crisi del 1929 assume invece caratteri di strutturalità poiché il capitale internazionale aveva bisogno di un nuovo e diverso modello di accumulazione, anche se la stessa crisi di allora appariva o veniva presentata come quella di oggi come fosse di carattere finanziario, ma in realtà partiva da una profonda crisi dei fondamentali macroeconomici dello stesso modo di produzione capitalistico. Si è usciti da tale crisi con la messa a produzione di massa del fordismo e del taylorismo, e applicando il modello keynesiano di sostenimento della domanda realizzando un grande intervento pubblico, cioè innalzando gli investimenti in spesa pubblica, che non si traduce immediatamente in spese sociali.
 
Tanto è che dalla crisi del 1929 non si è usciti con il new deal ma attraverso il keynesimo militare che esprime il suo massimo livello con la seconda guerra mondiale e con la stessa ricostruzione post- bellica. Gli Stati Uniti diventano la nuova locomotiva mondiale allo sviluppo capitalistico, infatti rafforzando l'apparato industriale militare nella preparazione alla guerra e non dovendosi neanche preoccupare a guerra finita della loro ricostruzione perché non subiscono danni nel loro territorio, possono dedicare risorse da destinare agli investimenti produttivi nella ricostruzione dopo i danni di guerra subiti dai paesi europei, realizzando così un forte interventismo statale attraverso la politica degli aiuti sul modello dei "Piani Marshall".
 
Tale situazione permette agli USA di realizzare un proprio sviluppo economico basato soprattutto sull'import e sull'indebitamento, interno , esterno, pubblico e privato. Una economia così strutturata sull'indebitamento poiché basata sull'importazione, determina quantità di dollari e di titoli in dollari certamente superiori alla ricchezza realizzata dagli Stati Uniti, contravvenendo così alle regole basilari degli accordi di Bretton Woods.
 
I paesi creditori accumulano così valuta USA in un mondo fortemente "dollarizzato". Si arriva al punto a fine anni '60 che i dollari in circolazione a livello mondiale sono almeno sei volte la ricchezza degli Stati Uniti e quindi di fatto gli accordi di Bretton Woods inevitabilmente saltano per una imposizione unilaterale da parte degli Usa, che vogliono campo libero per un ulteriore sviluppo del loro modello importatore-debitorio da imporre al mondo in termini politico-commerciale o anche politico-militare espansionistici.
 
Anche perché intanto muta lo scenario mondiale?
 
«Infatti nel frattempo entrano in campo due nuovi competitori internazionali, cioè i Paesi sconfitti nel conflitto, la Germania e il Giappone, che scelgono per la ricostruzione e il rafforzamento del proprio sistema di sviluppo interno, un modello capitalistico diverso da quello statunitense, meno aggressivo. Tale modello è stato definito renano - nipponico, e si basava soprattutto su un forte e riqualificato apparato industriale, in funzione di una articolata e competitiva propensione all'esport, mantenendo un ruolo importante dell'impresa pubblica; un modello sostenuto da un consociativismo con le forze sindacali controbilanciato da un capitalismo più a carattere sociale rispetto a quello USA, o meglio anglosassone, definito anche capitalismo aggressivo e selvaggio. Il modello renano-nipponico ha permesso a tali paesi un forte rafforzamento dell'apparato industriale interno, mantenendo salari relativamente più alti, imponendo così una condizione di bassa conflittualità sociale. Tale strutturazione ha creato da subito problemi competitivi agli Usa che verso il Giappone hanno scatenato una vera guerra speculativa per diminuire la competitività internazionale del Giappone e dello yen. La Germania nel frattempo continua il proprio rafforzamento industriale con una forte capacità esportatrice e per poter mantenere tale modello aveva bisogno di una moneta forte e di un'area europea che assumesse i caratteri di polo economico-commerciale e monetario a guida tedesca, e per far ciò necessitava eliminare competitori interni a tale nuovo polo geoeconomico deindustrializzandoli e rendendoli dipendenti dall'esport della Germania..
 
È allora che comincia la crisi sistemica che oggi vediamo chiaramente.
 
Intanto con la fine degli accordi di Bretton Woods nel 1971 si evidenzia anche l'inizio dell'attuale crisi sistemica, a causa delle stesse difficoltà nel realizzare da parte del capitale internazionale un nuovo modello di accumulazione in grado da permettere non solo la crescita della massa complessiva del plusvalore ma tale che sappia mantenere per i paesi a capitalismo avanzato quei tassi di profitto reputati congrui per far ripartire il sistema ai livelli di crescita alla profittabilità desiderata .
 
Gli effetti di tale crisi portano necessariamente all'acuirsi della competizione globale, che viene definita come la nuova fase della globalizzazione; in effetti una nuova fase della mondializzazione capitalista in cui a globalizzarsi in effetti è l'espansione soffocante della finanza. In effetti la crisi sistemica del capitale necessita della globalizzazione neoliberista che sviluppa politiche economiche restrittive tese a contrarre i salari diretti, indiretti e differiti e contemporaneamente a tentare di aumentare la massa dei ricavi, per compensare la evidente caduta tendenziale del saggio di profitto. Si cerca così di invadere nuovi mercati attraverso nuovi progetti e modalità di presentarsi degli imperialismi, a matrice USA ed euro-germanica, a carattere economico-politico-militare per tentare di risolvere la crisi. Agli altri paesi europei viene imposta la deindustrializzazione e la delocalizzazione dell'attività produttiva in un nuovo disegno della divisione internazionale del lavoro.
 
Si sviluppa in tal modo la cosiddetta fase della globalizzazione neoliberista partendo da forti processi di deregolamentazione dei mercati, abbattendo il ruolo interventista nell'economia da parte degli Stati, puntando ad un modello di competizione globale che sviluppa in primis un attacco senza precedenti al costo del lavoro e contemporaneamente processi di delocalizzazione produttiva (in paesi con lavoro a basso costo ma specializzato, non normato e non sindacalizzato, in questo modo si fa piazza pulita dell'industria dei maggiori competitori europei con la Germania), esternalizzazioni, privatizzazioni e dirottando risorse su una finanza aggressiva e destabilizzante, tentando di realizzare con le rendite quanto non si riusciva ad ottenere in termini di profitti.
 
Il Marco non può farcela a reggere alla competizione internazionale con l'area del dollaro se non si crea un polo economico commerciale europeo che metta la moneta tedesca in condizione di competere col dollaro e con un'economia della Germania che possa ambire a diventare la nuova locomotiva del capitalismo internazionale.
 
Insomma fin dagli anni '70 si gettano le basi per la costruzione dell'Europa dell'euro e del polo imperialista europeo».
 
Quindi l'euro è di fatto una moneta che sostituisce il marco?
 
«La costruzione del polo imperialista europeo di fatto avviene sulle necessita competitive internazionali della Germania; pertanto lo stesso euro è da considerarsi una sorta di Super Marco, ed infatti i tassi di cambio imposti agli altri paesi europei non sono stati pesati in base alla ricchezza dei singoli Stati ma in funzione delle necessità competitive politico-economiche e politico-monetarie della Germania. Non è un caso che nei mesi successivi all'introduzione dell'euro, ad esempio, in Italia. il potere d'acquisto dei salari di fatto si dimezza poiché con un euro si acquista in pratica più o meno ciò che pochi mesi prima si acquistava con mille lire e non con le 1936 imposte dalla quotazione di cambio dell'euro.
 
La costruzione del polo euro-germanico necessita di una nuova divisione europea del lavoro nel quale i paesi dell'Europa meridionale-mediterranea si trasformino in aree di importazione, infatti proprio i dati di maggio 2012 confermano che il 45% delle esportazioni tedesche si riversano proprio nell'are europea. Si risolvono così, quindi, le necessità competitive del modello tedesco che evidenzia significativi surplus della bilancia dei pagamenti che trovano possibilità di investimento ad alto rendimento acquisendo il deficit della bilancia dei pagamenti degli altri paesi europei in particolare quelli mediterranei, cioè acquistandone i loro titoli del debito pubblico. Il surplus tedesco è determinato dal proprio modello di esportazione che realizza profitti sull'import degli altri paesi europei, i quali essendo ormai deindustrializzati sono costretti ad indebitarsi sempre più e alla fine il surplus finanziario tedesco realizza rendite dall'acquisto dei titoli del debito pubblico dei PIIG. Ci sono surplus finanziari che non possono restare immobili quindi la Germania si compra i titoli del debito pubblico dei PIIGS.( volgare acronimo, che significa maiali, utilizzato dai potentati del capitale per identificare la marginalità resa utile e indispensabile per sorreggere l'impianto imperialista euro-tedesco)».
 
Ma il problema è il debito pubblico?
 
«In realtà i dati ci confermano che ad essere fuori controllo è il debito privato, soprattutto delle banche e delle grandi imprese, e il debito pubblico si è formato nel tempo non per l'eccessiva spesa sociale. Infatti ad esempio in Italia l'impennarsi del debito pubblico è dovuto alle scelte dei governi già dagli anni '70 di accettare per ragioni politico-clientelari livelli incompatibili di evasione fiscale funzionale al sistema partitico e politico-economico; elargizioni clientelari al sistema di impresa attraverso incentivi, defiscalizzazioni, rottamazioni, ecc.; stanziamenti di cifre altissime per grandi opere pubbliche mai realizzate e utili solo per foraggiare il circolo perverso di imprenditoria criminale, tangenti politico-partitiche, malaffare e criminalità organizzata; sperpero di spesa pubblica ma non sociale con finanziamenti legali, illegittimi e illegali al sistema dei partiti e alla politica affaristica.
 
Il debito pubblico serve a determinare le condizioni di delegittimazione del ruolo dei singoli stati in campo economico e politico per creare lo Stato sovranazionale europeo, cioè il passaggio al super Stato politico europeo che necessariamente porta a creare deficit di democrazia, a stabilire la sovranità della super Germania.
 
I piani di ristrutturazione della Bce verso i PIGS sono serviti a costruire questa Europa e la Bce sta facendo quello che l'Fmi ha fatto per l'America latina, attraverso i piani di aggiustamento strutturale, Pas, o piani di austerità, agendo con privatizzazioni, abbattimento della spesa sociale, riduzione del costo del lavoro e creazione di precariato giovanile e non.
 
Ma ora la stessa costruzione del sovrastato europeo è messa in ginocchio dalla crisi di sovrapproduzione che sta realizzando anche quella di sottoconsumo per contrazione dei redditi da lavoro. L'austerità non può andare di pari passo con la crescita; le politiche restrittive servono solo per ultimare la resa dei conti di classe contro il movimento dei lavoratori e per delegittimare definitivamente il ruolo degli Stati-nazione abbattendo ciò che rimane dell'economia pubblica.
 
Ma è evidente che non esistono soluzioni di carattere economico alla crisi sistemica. Non si possono certo risolvere i problemi della crisi, come vorrebbero la maggior parte dei partiti della sinistra europea e gli economisti keynesiani che a volte ancora si autodefiniscono marxisti, dando il ruolo di prestatore di ultima istanza alla Bce (che oggi presta denaro alle banche con un interesse all'1% mentre i titoli emessi hanno il 6% di interesse) e permettendo le emissioni di eurobond che dovrebbero servire a coprire il debito. Seguendo le ricette imposte siamo come soggetti che sanno quale è il proprio boia, danno il proprio collo e preparano il nodo. Non se ne esce certo da una crisi sistemica del capitale internazionale con improbabili e anacronistiche soluzioni economico - keynesiano che puntano all'impossibile coniugazione fra austerità e politiche espansive per la crescita in quanto illogiche sul piano macr4oeconomico oltre ad essere impossibili sul piano politico-economico. Nelle regole dell'economia si parte da un equilibrio ma se mancano le risorse bisogna andare a prenderle da qualche parte. Per arrivare ad oggi i titoli greci sono in mano tedesca, potrebbero mettere in conto di abbandonare Atene ma piazzare i titoli al 2, 5%».
 
Tu quindi chiedi una soluzione politica?
 
«Le ricette di partiti come il Pd che appoggiano in todo il governo Monti sono suicide e indietro storicamente, economicamente e politicamente anche rispetto a quello che pensano molti uomini politici ed economisti che si richiamano alla destra berlusconiana o addirittura più radicale. Inutile offrirsi all'altare sacrificale imposto dalla Germania sperando di entrare fra i potenti addossando tutti i costi della crisi ai lavoratori. Quello che sta attuando il governo dei professori bocconiani e clerico-confindustriali contro il mondo del lavoro non era riuscito a farlo neanche Berlusconi, poiché si sta subendo totalmente la ristrutturazione imposta dalla borghesia tedesca. Quanto accaduto attraverso le politiche economiche negli ultimi otto mesi rischia di costituire le fondamenta per costruire la nuova forma-Stato d'Europa per i prossimi 30 anni. Ma sta rinascendo un forte conflitto sociale, malgrado anche la posizione accondiscendente e consociativa del partito di Bersani e dei suoi utili alleati dei sindacati confederali, che fingono inappropriate proteste ma accettano la filosofia del disegno politico complessivo. Il parlamento abbatte lo stato di diritto e modifica la Costituzione con una maggioranza trasversale, ma sono ormai politicamente talmente deboli e non rappresentativi della società reale che sono bastate le proteste di massa contro Equitalia per annunciare l'utilizzo dell'esercito rievocando i tristi periodi della democrazia repressiva antipopolare e a connotato fascistoide».
 
Le elezioni in Grecia potrebbero essere decisive in tutti i sensi anche a favore del rilancio di un forte e organizzato movimento dei lavoratori europeo?
 
«Auspico una vittoria delle sinistre di classe in Grecia perché potrebbero riaffermare un forte protagonismo sociale e le possibilità di uno sviluppo autodeterminato in molti paesi europei. Oggi la sinistra di classe greca, che non può assolutamente prescindere dal ruolo chiave del KKE e dalla forza conflittuale del sindacato del PAME, potrebbe porsi come punta più avanzata del conflitto sociale europeo contro le politiche dell'euro e della troika.
 
I compagni greci si devono assumere la responsabilità politica insieme alle altre organizzazioni sociali e del sindacato conflittuale di indicare al movimento dei lavoratori europeo, a partire da quelli dei paesi PIIGS, una soluzione tutta politica rilanciando una battaglia per la fuoriuscita dall'Europa dell'euro su un terreno di classe; un percorso di lotte e organizzazione per far convivere i momenti rivendicativi tattici con la capacità di rilanciare attraverso la lotta il protagonismo sociale e sindacale che si sappia coniugare con la prospettiva strategica sull'orizzonte della trasformazione radicale in chiave socialista. Per far ciò serve una proposta e un percorso tutto politico e non di accettazione delle compatibilità economiche per quanto edulcorate e a carattere apparentemente sociale, ponendosi da subito fuori dall'euro dell'Europa imperialista e per la costruzione di un'area che si muova da subito sul terreno dell'anticapitalismo.
 
Un forte e organizzato movimento di classe a partire dall'Europa Mediterranea , potrebbe imporre attraverso una forte e radicale legge patrimoniale, una congrua tassazione di tutti i capitali, una effettiva redistribuzione del reddito ma soprattutto della ricchezza già a partire da riforme strutturali che riconoscano il reddito minimo garantito universale, la gratuità di tutti i servizi essenziali, un piano di edilizia pubblica e popolare, la protezione e il salario pieno per tutti i lavoratori.
 
Il fulcro centrale della proposta deve però partire dalla nazionalizzazione delle banche per il controllo sociale dei flussi di credito da indirizzare prioritariamente a investimenti socialmente utili ponendo da subito la questione della nazionalizzazione dei settori strategici e la statalizzazione dei cosiddetti settori in crisi.
 
Basti pensare a quanto accaduto nei paesi dell'ALBA in America latina, dove si è realizzata una vera e propria inversione di tendenza sociale attraverso il distacco degli organismi del capitale, come l'FMI, con le nazionalizzazioni dei settori strategici come le comunicazioni, l'energia, i trasporti , con forti investimenti sociali sorretti da una propria Banca del Sur.
 
Da noi bisogna realizzare lotte e percorsi di un nuovo protagonismo sociale capace di invertire i rapporti di forza da parte delle organizzazioni di classe per elaborare un programma tattico e strategico.
 
Se si esce da soli dall'euro, cioè con una decisione unilaterale di un solo paese, si viene certamente investiti dalla speculazione internazionale capace di spezzare le possibilità di uno sviluppo autodeterminato.
 
Se la sinistra greca vince dovrebbe pensare a mettersi alla guida del movimento di classe europeo per costruire una vasta area dell'alternativa anticapitalista, che prendendo di petto la questione del debito e imponendo il suo non pagamento alle banche europee e alle società finanziarie internazionali sappia porre le basi per la costruzione di un'area di paesi che si doti di una propria moneta e di un auto centrato modello di sviluppo fuori dalle logiche del profitto e dello sfruttamento capitalista (nel nostro libro "Il risveglio dei maiali PIIGS", già alla seconda edizione 2012 per l'editore Jaca Book, chiamiamo tale moneta LIBERA per l'area ALIAS che potrebbe comprendere i paesi dell'Europa Mediterranea, dell'Africa Mediterranea inglobando anche alcuni paesi dell'Est Europeo).
 
Ma tutto ciò è utopia? E' davvero nel mondo irrealizzabile di alcuni "sognatori marxisti"?
 
«La crisi del capitale è sistemica e profonda, e sempre più si trasformerà in una crisi sociale senza precedenti. La storia non ha percorsi lineari ma procede con salti e rotture in funzione delle determinanti del conflitto sociale, basato su sempre nuove e più articolate relazioni sociali che modificano i rapporti di forza e che vanno indirizzati a favore del movimento dei lavoratori, con intelligenza tattica ma senza nulla concedere al capitale accettando impossibili ruoli di cogestione della crisi. Di esempi ne abbiamo tanti: dal progetto alternativo antimperialista, anticapitalista e di sistema dell'ALBA, fino a soluzioni legate specificatamente solo alla risoluzione del problema del debito, come ad esempio anche in Europa l'Islanda, che non ha avuto problemi a fare una scelta coraggiosa dichiarando il non pagamento del debito pubblico alle società finanziarie e alle banche inglesi e olandesi restituendo invece i soldi dei titoli pubblici ai piccoli risparmiatori ma non ai potenti. In America Latina ci sono stati casi di percorsi di default programmato, come l'Argentina che a inizio di questo nuovo secolo veniva data per spacciata, ha invece seguito un proprio modello di sviluppo nazionale sottraendosi dal cappio dello strozzinaggio dei potentati finanziari internazionali ed oggi è una potenza emergente. Per far tutto questo c'è bisogno di una virtù che oggi in Italia e in Europa fatica ad emergere, il coraggio politico di una sinistra di classe che scelga da subito il terreno conflittuale per la prospettiva dell'alternativa di sistema in chiave socialista».
 
* Controlacrisi

Fiori di Bach per il debito pubblico



Fiori di Bach per il debito pubblico.

Circa due post fa (errore mio) ho confuso Cicap e UAAR, attribuendo al Cicap i problemi dell' UAAR, cosi' faccio ammenda parlandone bene. O meglio, parlandone cosi' per come sono. Vorrei cioe' fare con voi un'ipotesi, un'ipotesi che parli di come quella che vediamo fallire oggi non sia una politica, non sia una  scelta od una decisione: quello che vediamo e' il catastrofico fallimento di una non-scienza, l'economia, che sta mostrando di fronte a tutti di non essere una forma di sapere. Andiamo per gradi.

Supponiamo che qualcuno affermi questo: usando la cristalloterapia e i fiori di bach e' possibile prolungare la vita dei motori delle automobili e migliorarne le prestazioni. Questa scienza e' cosi' sofisticata che sa spiegare in termini di "energie positive" e "negative" quanto accade alla vostra automobile, e di conseguenza essi sanno come farvela durare di piu'.

Fico. Che cosa farebbe allora il Cicap ? Il Cicap inviterebbe i maggiori esperti di tale scienza, fornirebbe loro delle automobili su cui si e' misurato lo stato iniziale,e  poi chiederebbero a questi esperti di produrre cambiamenti misurabili sull'auto stessa.

Quando, inevitabilmente, tali scienze fallirebbero, ovviamente i nostri ciarlatani si giustificherebbero dicendo che "e' vero che queste auto non sono migliorate, ma se non fosse stato per noi si sarebbero distrutte inesorabilmente. Sarebbe stato ancora peggio."  Questa e' la ragione per cui si fanno test a doppio cieco, ovvero paragonando (nel nostro caso) automobili che vengono sottoposte al trattamento ed automobili che NON vengono sottoposte al trattamento: sara' impossibile affermare che senza sarebbe andato peggio, perche' quelle senza hanno continuato a lavorare.

Comunque, immaginiamo la scena: i nostri ciarlatani mettono i loro cristalli e i loro fiori di Bach nei Chakra dell'automobile , e non cambia nulla. Momento imbarazzante, figura di merda, e risposta chiara: quelle teorie non valgono niente, non funzionano non sono una forma di conoscenza del mondo.

Sapete perche' faccio questo esempio? Perche' oggi avete Monti al governo. Ora, Monti e' il preside di una delle facolta' di economia piu' blasonate del paese. Se c'e' qualcuno che "capisce di macroeconomia", se c'e' qualcuno che SA tutte le cose che si dovrebbero sapere, e' lui.

Eppure la disoccupazione peggiora,  lo spread non ha fatto quello che lui aveva previsto, la stretta creditizia aumenta, il PIL e' in calo. 

Cosa stiamo vedendo? Stiamo vedendo un ciarlatano che fallisce: ha fatto tutti i suoi rituali magici, ha toccato i Chakra dell' Italia, ha evocato gli spiriti che doveva evocare, e NON E' MIGLIORATO NIENTE.

Come succede SEMPRE a chi spaccia per scienza un ammasso di cazzate: appena provano a metterle in pratica, falliscono. Sanno tutto. Quando sono in cattedra SANNO TUTTO. Come i ciarlatani che vogliono migliorare il motore mettendo una pietra di basalto nel baule dell'auto per "risvegliare le energie",  hanno un sacco di parole.

Non immaginate quanti libri si scrivano su fiori di bach, reiki, cristalloterapie ed altro. Quanti esperti ci siano. Quante scuole, corsi , diplomi ci siano. Se leggete quei libri si parla di dosi, di quantita' di composizioni, come se si trattasse di una scienza esatta. Ma tutto questo funziona? Funziona solo fino a quando non si chieda loro qualcosa: PRODURRE RISULTATI MISURABILI.

Ora, la cosa non e' solo italiana. Se in Italia Monti ha avuto il parlamento piu' obbediente della storia, e ha potuto fallire nonostante le sue potentissime parole magiche (liberalizzazioni, riforme, spending review, abracadabra) , le cose non stanno meglio altrove. Altrove dove? Altrove ovunque.

Sin dall'inizio del suo mandato, Obama Barack ha chiamato i maggiori esperti delle maggiori universita' americane per consigliarlo. I ciarlatani si sono mossi, hanno fatto fare al governo delle cose. E non e' cambiato praticamente nulla per gli americani, se non i titoli dei giornali. 

C'e' , oggi, oggi che il mondo crede nella religione del libero mercato -o forse dovrei chiamarla superstizione- un posto ove le cose vadano BENE?

Cos'e' BENE? E' facile definirlo: esaminata sul piano logico l'economia si riduce a  due obiettivi

  • Divisione dei compiti che dia un determinato compito a chi meglio lo svolge.
  • Divisione delle risorse, che dia le risorse piu' vitali al maggior numero possibile di persone, in ordine di necessita'.

Allora, signori: esiste al mondo UN paese liberista ove la disoccupazione sia bassa e le persone abbiano sempre cio' di cui hanno bisogno? 

No.  Non c'e'.

Da quando le scuole liberiste dominano la stampa, la politica, i governi, le decisioni, non c'e' UN SOLO paese che sia andato in quella direzione applicando quelle ricette. I disoccupati sono dei numeri enormi, quando non enormi -ed in crescita- , anche nei paesi "emergenti" come Cina ed India.

La distribuzione delle risorse e' SEMPRE PEGGIORE in QUALSIASI paese abbia applicato quelle ricette. QUALSIASI. 

L'economia dei ciarlatani fallisce: dietro tutti i blablablabla, alla fine tutto quello che MISURIAMO e' disoccupazione (=fallimento nella distribuzione dei compiti) e distribuzione iniqua delle risorse (=fallimento nella divisione delle risorse). 

Tutti. Monti e' il preside della scuola che insegna economia al professori di economia. E ha fallito tutti gli obiettivi. hanno fallito allo stesso modo gli espertoni consultati da Obama, e stanno fallendo i liberisti che in INghilterra stanno devastando quel poco di buono che c'era (lo stato inglese) nel tentativo di evocare lo spirito di Margareth Tatcher.(1)

Se qualsiasi altri gruppo di persone avesse millantato le conoscenze che si millantano nelle facolta' di economia , e poi avesse fallito in questo modo, il Cicap o chi per lui li avrebbe smascherati immediatamente: ciarlatani.

Da quando si e' iniziato a privatizzare ed a smantellare lo stato sociale, in tutto il mondo, non c'e' UN SOLO posto ove la disoccupazione sia calata -se non per brevissimi periodi- e la distribuzione delle risorse sia migliorata.  Fallimento completo.

Voi direte: ma come e' possibile che nessuno sappia? Come e' possibile che una scienza intera sia tutta fuffa? Oh, non e' la prima volta che accade. Qualche secolo fa, chiedendo ai medici come affrontare la peste, vi avrebbero consigliato di vestirvi cosi':


Si trattava di vestirsi con questi assurdi panni da cerusico, portare a spasso una clessidra su due ali, e altre cose a seconda del modello (quello e' un modello "columbina", sembra) . Sapete che succedeva? Succedeva che siccome si praticavano i salassi e il sangue veniva versato in strada -sangue infetto- , le lunghe drappeggiature di questi vestiti non facevano altro che sporcarsi nella fanghiglia infetta , e i medici erano i primi a crepare. Inoltre, siccome i guanti venivano indossati ma non lavati, il risultato era di trasmettere ancora di piu' il male. In ultimo, si raccomandava di riempire il becco della maschera di erbe officinali (salvia e artemisia) , il che sembrerebbe  sensato (come filtro ante litteram)  se ci fosse qualche efficacia di tali erbe contro i batteri, ma specialmente se la peste si trasmettesse per vie aeree, cosa che non e'(2). In realta' avrebbero fatto meglio ad usare delle brache che evitassero i morsi delle pulci alle caviglie, evitare drappi che potessero strofinarsi al suolo, non praticare il salasso (che era inutile) e specialmente non gettare il sangue in strada (e magari ricominciare a costruire fogne, eh).

MA la scienza dell'epoca, ovvero l'ammasso di sciocche superstizioni che si spacciavano per medicina, diceva questo: vestiti cosi' e guarirai la peste. I medici morirono a migliaia perche' le tuniche raccoglievano fanghi infetti dalla strada.

E' gia' successo, quindi, che tutto il sapere dell'uomo in un campo SIA STATO COMPLETAMENTE INUTILE. E come ci si accorgeva di questo? Ci si accorgeva di questo perche' i maggiori esperti, i grandi chirurghi, i grandi medici, NON RIUSCIVANO A MIGLIORARE DI UNA VIRGOLA LA SITUAZIONE.

Non deve stupire. Ma e' quello che sta accadendo oggi. 

In tutto il mondo si sono chiamati esperti , i maggiori esperti, chiedendo loro cosa fare. Ricette piu' o meno strampalate, come il nuovo liberismo inglese, stanno venendo applicate. Nessuna sta funzionando.


CIARLATANI.

Certo, i medici del 1659 erano in buona fede. Avevano studiato queste cose, e sino a quando il paziende fosse in grado di riprendersi (cioe' non avesse davvero bisogno di un medico) erano in grado di curarlo. Il guaio veniva quando il paziente si ammalava sul serio, o veniva in caso di epidemia.

Sapete come spiegavano le epidemie nel 1659? Con l'astrologia.

E questo era quello che si studiava IN TUTTE le maggiori facolta' di medicina DEL MONDO. TUTTI, tutti i medici che uscivano da tali scuole erano letteralmente imbevuti di una tale massa di cazzate (il corpo umano secondo loro era composto da fuoco, acqua, terra e aria) che oggi ci metteremmo a ridere solo ricordandole.

Questa falsa scienza resistette anche oltre il dovuto: quando si scoprirono i batteri, moltissimi medici rifiutarono di praticare la profilassi (lavarsi le mani, disinfettare gli strumenti) per decenni.  Quando si scoprirono i vaccini, i medici non vollero saperne per mezzo secolo. Quando si scopri' che il salasso non serviva a niente, fu quasi uno scandalo. 

La pura e semplice verita' e' che la differenza tra scienze e ciarlatanerie consiste nella quantita' di benefici materialmente misurabili che producono. Oggi i ciarlatani usciti dalle universita' di economia sono ovunque e stanno consigliando tutti i politici. In Italia addirittura sono al governo, col nome di "Tecnici".

Ecco, il loro fallimento e' sotto gli occhi di tutti: e poteva essere intuito.

Quando Monti faceva le sue liberalizzazioni,qualcuno gli chiese per quale motivo avere 4500 taxi in piu', 2000 farmacie e 500 notai avrebbe risollevato il paese. E lui rispose che si "sarebbero liberate energie per un 1% del PIL". 

Sapete come riconoscere il cialtrone? Al 99.99% dei casi, il cialtrone pseudoscientifico fa un uso abnorme della parola "energia". Cercate pure, cercate pure ovunque. Cercate il Mago Otelma, i complottisti, quelli che credono ad HAARP, alle scie chimiche, alla cristalloterapia, alle piu' strampalate forme di "scienze alternative", in che modo funzionino le loro tecniche. Vi parleranno di "energie" , senza MAI definirle, misurarle, quantificarle.

Doveva essere chiaro, a tutti e sin da subito, che Monti sia solo un astrologo con molti titoli accademici (accadeva anche in passato,  quando l'astrologia era parte delle scienze) , sin da quando ha nominato le "energie", senza mai nominare unita' di grandezza, dimensioni, quantita'.

Ora, siete liberi di fidarvi di chi esce da una facolta' di economia, pretendendo di aver studiato una scienza (strana scienza, non ha MAI fatto UNA SOLA verifica sperimentale delle leggi che enuncia) , e di ascoltarli mentre vi parlano dei meravigliosi principi della scienza macroeconomica , microeconomica, abracadabra e magicabula.

MA ricordatevi una cosa:


QUESTO E' IL MEDICO CHE AVETE CHIAMATO PER CURARVI.

Ha scritto un sacco di libri, ha letto un sacco di libri,  conosce un sacco di parole, e' considerato un maestro, e' un'autorita' del suo campo.

E NON SA PROPRIO NIENTE.

Divertitevi pure, coi vostri esperti in economia usciti dalle universita' che insegnano economia. Presto scoprirete che quella "scienza" e' l'equivalente della medicina del 1600.

Con la sola differenza che oggi DOVREMMO SAPERE che senza la parte sperimentale una scienza non va da nessuna parte. Invece, nelle facolta' di economia fingono di non saperlo.

Quello che stiamo vedendo non e' il declino di un sistema o di una politica o di una ideologia. Stiamo assistendo al classico momento in cui arriva un periodo di siccita', il popolo e' allo stremo, il capo del villaggio chiama lo stregone perche' faccia piovere, lo stregone fa la sua danza della pioggia,   LO STREGONE FALLISCE.

Questo e' quello che sta succedendo: sic et simpliciter. 

E non servira' a molto esibire formule, presunte conoscenze di scienze inesistenti quali "macroeconomia", o altre fesserie che si studiano dalle parti di Monti. Se non fai piovere, non sai far piovere. Grande spirito o no. Vi e' stato chiesto di far piovere. Dicevate di saper fare a far piovere. Dicevate di sapere tutto sulla pioggia, di sapere come e dove avevano sbagliato gli altri.

Peccato che non riusciate a cavare ragno dal buco.

Far funzionare l'economia della Libia a vantaggio dei libici

www.resistenze.org - pensiero resistente - imperialismo e globalizzazione - 21-05-12 - n. 410
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Il crimine di Gheddafi: Far funzionare l'economia della Libia a vantaggio dei libici
di Gowans Stephen
06/05/2012
 
"Le compagnie petrolifere sono controllate da stranieri, che grazie ad esse hanno guadagnato milioni. Ora, i libici devono trarre profitto da questo denaro", Muammar Gheddafi, 2006.
 
Il Wall Street Journal del 5 maggio fornisce la prova, oltre a quelle già raccolte, che alla radice dell'intervento militare della NATO in Libia dello scorso anno vi era l'opposizione alla politica economica del governo Gheddafi.
 
Secondo il quotidiano statunitense, gli accordi più favorevoli ai libici, che il governo Gheddafi stava contrattando, fecero infuriare le compagnie petrolifere private tanto da "sperare in un cambio di regime in Libia... che potrebbe alleggerire alcune delle dure condizioni che avevano dovuto accettare nella partnership" con la compagnia petrolifera nazionale libica. [1]
 
Per decenni, molte compagnie europee avevano goduto di accordi che garantivano loro la metà della del petrolio di alta qualità prodotto negli impianti libici. Alcune grandi compagnie petrolifere speravano che il paese avrebbe aperto ulteriormente agli investimenti, dopo che da Washington erano state revocate le sanzioni nel 2004 e i giganti statunitensi erano rientrati nella nazione nordafricana.
 
Ma negli anni che seguirono, il regime di Gheddafi rinegoziò la quota delle compagnie petrolifere spettante da ogni impianto, facendola passare dal 50% circa a un decisamente più basso 12%.
 
Subito dopo la caduta del regime, diverse compagnie petrolifere straniere hanno manifestato la speranza di ottenere condizioni migliori negli accordi esistenti o più interessanti per quelli futuri. Fra quelle che nutrono speranze in un'espansione libica vi sono la francese Total e l'olandese Shell.
 
"Vediamo la Libia sotto il nuovo governo come una grande opportunità", diceva Sara Akbar, amministratore delegato della compagnia privata Kuwait Energy, lo scorso novembre in un'intervista, e aggiungeva che "Sotto Gheddafi, le esplorazioni erano ferme a causa dei termini molto duri". [2]
 
Il giornale aveva già riferito dei termini "duri" (leggasi pro-libici) che il governo Gheddafi aveva imposto alle compagnie petrolifere straniere.
 
Nel quadro di un nuovo e più stringente sistema, noto come EPSA-4, il regime vagliava le offerte delle grandi compagnie discriminando sulla base di quanta parte della produzione futura avrebbero lasciato la Libia. I vincitori abitualmente promettevano oltre il 90% della loro produzione alla National Oil Corp. (NOC, la compagnia nazionale petrolifera libica).
 
Intanto, la Libia manteneva i suoi gioielli off limits agli stranieri. Gli immensi campi petroliferi terrestri, che rappresentavano la maggior parte della sua produzione, rimanevano prerogativa delle compagnie statali libiche.
 
Anche le imprese da anni presenti in Libia avevano ricevuto un trattamento duro. Nel 2007, le autorità iniziarono a forzarle per rinegoziare i loro contratti per portarli in linea con EPSA-4.
 
Una vittima è stata Eni, il colosso energetico italiano. Nel 2007, ha dovuto pagare 1 miliardo di dollari di incentivi per riuscire a prolungare la durata dei suoi interessi libici fino al 2042. Anche la sua quota di produzione è caduta dal 35-50%, a seconda dell'impianto, ad appena il 12%. [3]
 
L'insoddisfazione delle compagnie petrolifere stava anche nel fatto che la compagnia di stato libica "stabiliva che le società straniere dovevano assumere libici ai migliori posti di lavoro". [4]
 
Nel novembre 2007, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti avvertiva che "la leadership politica ed economica della Libia persegue politiche sempre più nazionalistiche nel settore energetico" e che vi erano "prove crescenti di nazionalismo sulle risorse libiche" [5], citando un discorso del 2006 in cui Gheddafi dichiarava: "Le compagnie petrolifere sono controllate da stranieri che grazie ad esse hanno guadagnato milioni. Ora, i libici devono trarre profitto da questo denaro". [6]
 
Il Governo di Gheddafi aveva forzato le compagnie petrolifere a dare alle loro filiali locali dei nomi libici. Peggio ancora, "le leggi sul lavoro sono state modificate per 'libianizzare' l'economia", vale a dire riformate a vantaggio dei libici. Le compagnie petrolifere "sono state spinte ad assumere dirigenti, tecnici e capi del personale libici". [7]
 
Il New York Times riassume così le critiche dell'Occidente. "Il colonnello Gheddafi si è dimostrato essere un partner problematico per le compagnie petrolifere internazionali, alzando spesso tasse ed imposte ed avanzando altre richieste". [8]
 
Anche se l'opposizione delle compagnie petrolifere private e del governo degli Stati Uniti alle politiche economiche filo-libiche di Gheddafi non prova che l'intervento militare della NATO sia avvenuto per rovesciare il governo, è tuttavia coerente con tutta una serie di prove che vanno in questa direzione.
 
In primo luogo, possiamo rigettare le argomentazioni occidentali che spiegano l'impiego della sua alleanza militare per motivi umanitari. Mentre la guerra civile in Libia diventava incandescente, un'alleanza di petromonarchie a guida saudita inviava truppe e carri armati in Bahrain per schiacciare una rivolta. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia - alla guida dell'intervento in Libia - non hanno fatto nulla per fermare questa violenta repressione. Significativamente, il Bahrain ospita la V Flotta statunitense. Altrettanto significativamente, la sua politica economica, a differenza della Libia sotto Gheddafi - è stata concepita per mettere gli investitori stranieri al primo posto.
 
In secondo luogo, quei paesi oggetto dei tentativi occidentali di cambio di regime - Corea del Nord, Siria, Venezuela, Cuba, Zimbabwe, Bielorussia, Iran - hanno posto gli interessi economici di tutta o una parte della loro popolazione, sopra quelli degli investitori e delle società straniere. È vero che le politiche economiche di India, Russia e Cina sono in certe misure nazionaliste e che questi paesi non devono affrontare nella stessa misura le pressioni per un cambio di regime, ma per un'alleanza statunitense sono troppo grandi da conquistare senza un pesante costo in sangue e denaro. L'Occidente prende di mira i più deboli.
 
Infine, i governi occidentali sono dominati da grandi investitori e compagnie. Il dominio delle corporation e della finanza sullo Stato avviene in diversi modi: con attività di lobby; comprando i politici attraverso il finanziamento della campagna elettorale e la promessa di incarichi remunerativi dopo il mandato; attraverso il finanziamento di think-tank per guidare la politica del governo e con la collocazione di amministratori delegati e avvocati aziendali nelle posizioni chiave dello Stato. Aspettarsi che la politica estera sia modellata su preoccupazioni di carattere umanitario e non invece sugli interessi delle industrie petrolifere, di armi, delle società specializzate nella ricostruzione e esportazione post-bellica, significa di ignorare la grande influenza che il grande capitale e la grande finanza esercitano sugli Stati occidentali.
 
In alcune parti del mondo è diverso. Là, i governi hanno orientato le economie al servizio dei loro cittadini, piuttosto che mettere il lavoro, i mercati del paese e le loro risorse naturali, al servizio degli investitori esterni e delle grandi aziende straniere.
 
Per aver rifiutato di sacrificare la vita dei loro cittadini all'arricchimento dei titani stranieri della finanza e dell'industria, a questi paesi viene fatto pagare un prezzo. I loro dirigenti sono vilipesi dalla becera propaganda e minacciati di persecuzioni da parte dei tribunali penali internazionali finanziati e controllati dagli Stati occidentali. Sono colpiti con devastanti blocchi economici e da sanzioni le cui caotiche conseguenze sono ingiustamente addossate alla "cattiva gestione" e alle "errate" politiche economiche, con lo scopo di creare una miseria diffusa e spingere le popolazioni a sollevarsi contro i loro governi. Con il finanziamento e supporto occidentale vengono create delle quinte colonne per progettare il cambiamento di regime dall'interno. Infine, l'onnipresente minaccia di un intervento militare esterno che è mantenuta per fare pressione sui governi di questi paesi affinché facciano marcia indietro.
 
I peccati di Gheddafi non erano crimini contro l'umanità, ma azioni al suo servizio. La sua reputazione infangata, il governo rovesciato, il paese assediato dall'esterno e destabilizzato dall'interno, la sua vita finita per aver osato mettere in atto un'idea radicale - spingere l'economia al servizio del popolo del proprio paese, piuttosto che il suo popolo e le sue risorse naturali al servizio degli interessi delle imprese straniere.
 
Fonte - http://gowans.wordpress.com/2012/05/06/gadhafis-crime-making-libyas-economy-work-for-libyans/
 
Note 
1, 2. Benoit Faucon, "For big oil, the Libya opening that wasn't, " The Wall Street Journal, May 4, 2012. 
3, 4. Guy Chazan, "For West's oil firms, no love lost in Libya, " The Wall Street Journal, April 15, 2011. 
5, 6, 7. Steven Mufson, "Conflict in Libya: U.S. oil companies sit on sidelines as Gaddafi maintains hold, " The Washington Post, June 10, 2011. 
8. Clifford Kraus, "The scramble for access to Libya's oil wealth begins, " The New York Times, August 22, 2011.