domenica 2 ottobre 2011

L'informazione risponde a un principio di signoraggio

In Italia l'informazione risponde a un principio di signoraggio


Fonte: http://www.cinquew.it/articolo.asp?id=5200


della-valle-diego2/10/2011
CROTONE - La lettera di Diego Della Valle pone un problema serio. In Italia l'informazione risponde a un principio di signoraggio. Ci si astiene di addentrarsi nel ventre della balena e si rimane nel campo del non detto. Arrivare a dover comprare una pagina di pubblicità per dire basta a questa classe politica è sintomatico di un sistema in cui l’informazione, lontana dal potersi definire libera, è il semplice risultato dell’equazione “poltrona + scrivania = padrone”, non una vocazione né tanto meno un diritto garantito così come dovrebbe accadere in un paese realmente civile, quale l’Italia oggi probabilmente non è.
di Antonella Policastrese

New York, indignados bloccano il ponte di Brooklyn

New York, indignados bloccano il ponte di Brooklyn. Centinaia di arresti 
Il Fatto Quotidiano

E’ salito a più di 700 il numero di manifestanti arrestati dalla polizia a New York per aver bloccato il ponte di Brooklyn. Gli arrestati fanno parte del movimento degli “indignados” americani, che da ormai due settimane manifestano davanti a Wall Street per protestare contro i finanzieri e i politici, ritenuti responsabili della crisi economica.

“Più di 500 sono stati arrestati sul Ponte di Brooklyn nel tardo pomeriggio, dopo che ripetuti avvertimenti erano stati dati dalla polizia ai manifestanti perché rimanessero sui marciapiedi – ha detto un portavoce della polizia – alcuni hanno obbedito e hanno percorso il marciapiede senza essere arrestati. Altri si sono presi per le braccia e hanno proceduto sulla carreggiata dei veicoli e sono stati arrestati”. Il ponte è stato riaperto alle 20:05 ora locale (le 2:05 in Italia).

Chi sono gli indignados

Si riuniscono ogni sera per l’Assemblea Generale e decidono le strategie del giorno. Una sorta di Costituente i cui Stati Generali sono composti da disoccupati, veterani, studenti, insegnanti, tutti gli ‘ordinary Joe’. Li unisce un comune denominatore, sono fuori dai giochi di Wall Street. E la delusione contro Barack Obama accusato di aver tradito i suoi ideali. Il loro unico legame con la finanza è quello dei risparmi mandati in fumo con la crisi economica. Si ispirano alla Spagna, all’Egitto, alla Grecia, alla Tunisia e alla recente protesta delle tende a Tel Aviv. Il loro quartier generale è all’ombra dei grattacieli di Wall Street. Si sono installati a Zucconi Park, tra la Broadway e Liberty Street.

“Ogni presidente – dicono – è schiavo di Wall Street”. Ed evocano i movimenti giovanili degli anni ’60, è da loro che sono partiti i cambiamenti, sono loro che hanno fatto sì che il sistema cambiasse. “Noi vogliamo fare lo stesso – racconta Luke Richardson, 25 anni cameriere – la storia ci insegna che i cambiamenti vengono sempre dal basso”. La solidarietà dei cittadini non si è fatta attendere, i passanti offrono donazioni, e alcuni ristoranti hanno donato del cibo. C’è così una sorta di cucina sempre aperta dove tutti possono sedersi alla tavola comune. Un movimento nato a New York, davanti a Wall Street, ma che si sta espandendo a macchia d’olio anche nelle altre città degli Stati Uniti grazie ad una rete di comunicazione messa in piedi nella stessa piazza. Come ormai succede ovunque, le armi sono YouTube, Facebook, Twitter, trasmettono persino aggiornamenti in tempo reale in streaming. Fanno circolare anche un loro quotidiano, ‘The Occupied Wall Street Journal’. Il 6 ottobre il movimento si sposterà a Washington, simbolo della politica e delle lobby, in occasione del decimo anniversario della guerra in Afghanistan.

Equitalia, verso lo scontro sociale nelle piazze


FISCO

Equitalia, due mesi per pagare
poi ti pignorano la casa

Nuove regole al via. Lo Stato vuole incassare 13 miliardi. Si deve saldare ancora prima di un processo che definisca chi ha ragione

di CORRADO ZUNINO, Repubblica
ROMA - L'Agenzia delle Entrate cala l'arma "fine del mondo" sui contribuenti: in modo silenzioso, dopo un rinvio estivo e tre rivisitazioni in altrettanti decreti, ventiquattro ore fa l'Agenzia ha offerto al mastino Equitalia uno strumento di rara efficacia. Dopo 60 giorni dall'avviso al contribuente ("Devi pagare", e si parla di debiti con lo Stato contratti a partire dal 2007, imposte sui redditi, Iva, Irap), l'Equitalia guidata da Attilio Befera, l'istituzione più temuta del paese, potrà attivare i suoi mezzi per recuperare il debito. Senza muovere un passo, potrà iscrivere ipoteca sull'artigiano considerato infedele (facendo scattare una comunicazione alla centrale rischi delle banche con conseguente chiusura dei fidi), potrà pignorare il suo conto corrente (rendendo impossibile il pagamento di dipendenti e fornitori), avviare i pignoramenti presso terzi (sono i crediti dei clienti, Equitalia ha il potere di arrivare anche lì) e far partire le ganasce fiscali su auto e van posseduti.

Da ieri, il "titolo di debito" è immediatamente esecutivo: basta un avviso per considerarti in mora. Non c'è più bisogno di istruire una cartella esattoriale che, ricorsi compresi, portava al saldo dell'eventuale debito entro 15-18 mesi. Il problema è che in quattro casi su dieci i ricorsi davano ragione al contribuente. Già. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha chiesto al suo braccio destro Befera certezza di entrate, gli ha assegnato l'obiettivo 13 miliardi 
per la prossima raccolta fiscale e, quindi, gli ha offerto una legge che dà al Fisco poteri mai visti nella storia della Repubblica. Entro 61 giorni dall'avviso - a prescindere dal fatto che l'avviso sia stato ricevuto o dorma in un ufficio delle Poste, in una Casa comunale - il contribuente o paga l'intera somma o contesta pagandone un terzo (più gli interessi maturati). Si deve saldare prima ancora dell'istruzione di un processo amministrativo che definisca chi ha ragione. Di fronte al ricorso del cittadino, per sei mesi gli agenti della riscossione non potranno avviare pignoramenti, ma potranno ipotecare una casa e bloccare un'auto. Se Equitalia, poi, si convince che c'è "fondato pericolo" di perdere il credito, ha il mandato per fare quello che crede: sequestrare una pensione, mandare un bene all'asta immobiliare. Se il colpito dimostrerà di avere problemi di liquidità - novità della terza e ultima rivisitazione - chiederà a un giudice tributario una sospensiva per fermare l'azione (per 150-180 giorni) oppure aderirà a un concordato (sconto con trattativa).

"Non esiste più diritto alla difesa, devi versare che tu abbia torto o ragione", attacca l'avvocato Alberto Goffi, consigliere regionale Udc del Piemonte, riferimento della rivolta anti-Equitalia. "Si sta colpendo chi ha fatto dichiarazioni fedeli e oggi, a causa della crisi, non è in grado di pagare le tasse. Non puoi impugnare quello che hai dichiarato, è la condanna a morte delle imprese oneste". Pietro Giordano, segretario Adiconsum: "Con questi tassi prossimi all'usura crescerà il debito dei contribuenti, le misure introdotte a luglio vengono vanificate". Già, sull'onda delle sconfitte alle amministrative e le conseguenti urla della Lega ("tutta colpa di Equitalia"), a inizio estate il governo innalzò a 20 mila euro il tetto per l'ipoteca sulla prima casa, pretese due avvisi prima di apporre le ganasce fiscali e allungò a 72 mesi le rate per i debiti. Quindi, per cercare di diminuire il gigantesco contenzioso fermo nelle commissioni di ricorso, l'Agenzia ha avviato un mini-condono per chi aveva contestato. Ieri, però, è stata sguainata l'arma letale: "60 giorni per pagare". A fine mese arriverà il redditometro, quindi il carcere per gli evasori. I dirigenti dell'Agenzia: "Ora possiamo andare avanti spediti, gli esattori punteranno al sodo. Usciamo dall'Ottocento, entriamo nel Duemila". 
(2 ottobre 2011


Marra: referendum contro le 5 leggi regala-soldi alle banche

Marra: referendum contro le 5 leggi regala-soldi alle banche

Segreti di Stati Cap.14 Patto degli USA coi nazisti per l'atomica...

(Segreti di Stati - torna all'indice)


Capitolo XIV - Quel Patto coi Nazisti per l'Atomica

L'orrore senza fine dell'accordo USA-NAZI nel 1945
(un mio articolo pubblicato su "Liberazione" il 20 agosto 2000 e... sue conseguenze)

Dopo il suicidio di Hitler, il suo delfino Martin Bormann, da lui nominato nel testamento del 29 aprile 1945, fece un patto con il servizio segreto Usa, l’OSS all’epoca guidato da Allen Dulles: in cambio di un sommergibile pieno di scienziati e materiali tecnologicamente innovativi, si assicurò l’immunità per sé e per alcuni altri gerarchi nazisti. Si trattava del sommergibile “Unterseeboot 234 XB”. Tra i graziati vi era anche Heinrich Muller, un feroce capo delle Ss. Il sommergibile partì da Amburgo e portò Muller e Bormann nel golfo di Biscay in Spagna dove li attendeva un’altra imbarcazione. Dopodiché continuò il viaggio verso gli Usa per arrendersi il 14 maggio alla nave Uss Sutton. Ecco l’elenco di parte delle 300 tonnellate del prezioso carico: 560 chili di uranio arricchito (ossido di uranio 235), 465 chili di atabrina (chinino sintetico), benzil cellulosa (utilizzabile come moderatore per un reattore nucleare), tre aerei Messerschmitt smontati, proiettili anticarro (i precursori degli attuali proiettili all’uranio impoverito), tre tonnellate di progetti vari, alcuni tipi di bombe ed altro. Ufficialmente gli Usa non dicono che l’uranio trovato era arricchito, tuttavia in un documento di disciplina militare del 1995 firmato da McNair ed intitolato “Risposte radicali a regimi radicali”, troviamo: ”... il sommergibile da trasporto tedesco aveva 550 chili di uranio non specificato... ”. Una richiesta di chiarificazione sulla reale natura dell’uranio, avanzata da parte della Cnn a metà degli anni Novanta, si è scontrata con l’opposizione da parte del governo Usa, del segreto per motivi di sicurezza nazionale. E già, perché con tutti quei soldi e mezzi che avevano dispiegato nel progetto Manhattan, nel novembre 1944 erano solo riusciti a produrre pochi grammi di uranio arricchito... poi arriva il sommergibile nazista, a maggio, ed ai primi di agosto le bombe sono già pronte! Salvato in corner quindi tutto lo staff del progetto che avrebbe altrimenti dovuto faticosamente giustificare il fallimento del progetto più costoso della storia degli Usa. Sarebbe lungo qui elencare tutta la documentazione che prova senza ombra di dubbio che: 1) senza l’uranio del sommergibile non sarebbe stato possibile fabbricare la bomba all’uranio di Hiroshima; 2) senza la benzil cellulosa, usata come moderatore, non sarebbe stato possibile sintetizzare il plutonio; 3) senza l’aiuto dello scienziato Schickle che era a bordo del sommergibile, il suo contraltare americano nel progetto Manhattan, Louis Alvarez, non sarebbe riuscito a progettare in tempo l’innesco ad implosione per la bomba al plutonio di Nagasaki! Altri due scienziati, ingegneri aeronautici che erano a bordo del sommergibile, vennero riciclati all’interno dell’industrie Fairchild da cui uscirà negli anni cinquanta il famoso aviogetto F-105 usato nella guerra del Vietnam. Si trattava di August Bringewald, braccio destro dello stesso Willi Messerschmitt, e di Franz Ruf, che assieme avevano partecipato alla costruzione del Messerschmitt 262 Schwalbe, il primo aviogetto mai costruito.

Operazione “graffetta”

Per arrivare a costruire la bomba atomica, così vuole la tradizione, vennero spesi due miliardi di dollari in quello che verrà ricordato come “progetto Manhattan”. Questa operazione occupò negli Usa uno stuolo di scienziati che lavorarono avvolti nel più grande segreto tra il 1942 ed il 1945. Le bombe, precedute da una di prova nel New Mexico, vennero sganciate in agosto su due città giapponesi: Hiroshima e Nagasaki. Ci furono polemiche per il gran numero di morti, nell’immediato centinaia di migliaia, e perché pareva che il Giappone ormai si sarebbe arreso comunque. La cosa in qualche modo bruciò agli Usa tant’è che questi due bombardamenti nei loro annuali della storia nucleare, vennero registrati come dei “test”. Subito dopo, nel novembre 1945, iniziò l’operazione Paperclip (testualmente: graffetta) che consistette nel reclutare quanti più possibili scienziati tra quelli nazisti per sottrarli ad altri paesi (Urss) che potevano cercare di avvantaggiarsi similarmente dei progressi scientifici compiuti dalla Germania nazista. Questa operazione in pratica consistette nell’importazione di circa 20.000 tedeschi tra il 1945 ed i primi anni Settanta. L’origine vera del nomignolo Paperclip è abbastanza triste. Il progetto di importazione di ex nazisti aveva avuto l’approvazione da parte del Presidente Truman a patto che gli scienziati esfiltrati, come si dice nel gergo dei servizi segreti, non fossero esageratamente nazisti. Pertanto alla Cia decisero di “medicare” i curricula di quelli troppo coinvolti nel regime, cioè di riscriverli, e per riconoscerli dai curricula che potevano invece passare così com’erano, appunto, vi apponevano una graffetta. Anche la Francia importò circa 800 scienziati tedeschi, mentre la Gran Bretagna - ma queste sono le cifre ufficiali - ne importò 300. Quelli che non erano importanti per la scienza, cioè gli ex gerarchi sia nazisti che fascisti più in vista, compresi i collaborazionisti come gli Ustascia Croati, vennero esfiltrati in America Latina assieme alle ricchezze che in qualche modo si erano procurati durante la seconda guerra mondiale - per lo più sottraendole ad ebrei e membri di altre etnie che erano stati espropriati e/o eliminati nei campi di concentramento. Il Vaticano, ad esempio, all’epoca aveva creato una “ratline”, un corridoio attraverso il quale questi personaggi arrivavano a Roma, travestiti da porporati, venivano forniti di documenti falsi e spediti in Sudamerica. Il giro dei soldi invece fu più difficile da scoprire, ma è evidente che vi furono gigantesche operazioni di riciclaggio cui non pare estraneo il famoso Ior. Ma torniamo negli Usa.

L’“Atomo per la pace”

L’orrore procurato dalle bombe sul Giappone rischiava di compromettere definitivamente la nascente scienza atomica, l’opinione pubblica era fortemente contrastata. Fu pertanto necessario mettere in piedi una gigantesca operazione di propaganda che venne chiamata “Atomo per la pace” e fu patrocinata dal Presidente Eisenhower. Le Nazioni Unite, ed in particolare l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si legarono tramite accordi bilaterali con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica al fine di subordinarle eventuali studi sull’impatto della radioattività sull’uomo. Nessun organismo dell’Onu avrebbe potuto rivelare dati o fatti contrari agli interessi della Aiea. In questo modo, si incaricò la volpe di guardare le galline. Si individuarono a metà degli anni Cinquanta dei possibili campi di applicazione del nucleare per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica. Nacque così la “radioterapia” contro il cancro - in realtà proprio causato in massima parte dalla contaminazione radioattiva - le centrali nucleari elettriche - che in realtà servivano per arricchire il combustibile per la corsa agli armamenti - ed altre amenità che per lo più servivano a riciclare le scorie che già allora erano un problema. La principale, l’uranio cosiddetto impoverito, venne usata in molte applicazioni dove ci si sarebbe aspettato di trovare il piombo: contrappesi di aerei civili e militari, additivo di denti ed apparecchiature odontoiatriche, additivo nelle lenti di occhiali e strumenti di precisione, zavorra, schermatura per altre sostanze radioattive, come ad esempio il cobalto in ambito ospedaliero. Ma poi anche fertilizzanti, proiettili (i primi usati nel Viet Nam nel 1966), container, vernici, elettrodi per le saldature per colorare prodotti in ceramica e vetro. In seguito si usò irradiare anche per conservare il cibo, per testare prodotti industriali, per vedere se i bambini delle elementari avevano la tubercolosi e per verificare la posizione dei feti nelle donne incinte. A fronte di una serie di usi ufficiali, almeno negli Usa, vi furono centinaia di migliaia di persone sottoposte ad esperimenti radioattivi senza che ne fossero a conoscenza. Senza contare i lavoratori del settore, minoranze etniche quali gli americani nativi che venivano usati come minatori nelle miniere d’uranio e nel processo di costruzione delle armi nucleari.

Il tabù del cancro

In questi anni bui, che ancora non sono finiti, si è cercato sostanzialmente di negare gli effetti della radioattività, primo tra tutti la pandemia di cancro. La comunità scientifica, che viveva dell’indotto del complesso industriale-militare, era in qualche modo ricattata dal sistema: se uno scienziato levava la voce, perdeva l’incarico di insegnamento, i fondi per la ricerca e veniva inesorabilmente emarginato dai colleghi paurosi di fare la stessa fine. Il cancro divenne un tabù e migliaia di miliardi di dollari vennero spesi annualmente per nascondere la vera origine della pandemia, come l’anno scorso puntualizzò Karl Morgan, figura chiave del progetto Manhattan, all’età di 93 anni. Allo stesso modo, se qualcuno faceva causa per il cancro preso magari nella fabbrica d’uranio o perché come soldato era stato portato a vedere uno dei centinaia di test nucleari, ingentissime somme venivano spese dal governo per evitare l’ammissione di responsabilità: se si fosse creato un precedente, si sarebbe aperta la diga delle cause per danni. Ma proprio l’anno scorso, negli Usa, lo scandalo è esploso ed il governo per la prima volta ha dovuto ammettere, almeno per i lavoratori del settore, la relazione causa-effetto tra la radioattività, il cancro ed altre malattie. Nel 1995 Clinton aveva creato una commissione per indagare sugli esperimenti sull’uomo e, in un memorandum riservato, venne fuori che alcuni degli scienziati nazisti esfiltrati col progetto Paperclip erano poi diventati i responsabili degli esperimenti radioattivi sull’uomo. L’anno scorso invece venne creato un Comitato governativo che si sta ancora occupando di indagare sui coinvolgimenti di società o enti americani con il nazismo; questo è il risultato delle ricerche di Israele che hanno portato alla scoperta dei famosi conti segreti in Svizzera e di tutta una serie di multinazionali che hanno sfruttato il lavoro dei detenuti dei campi di concentramento. Ne ricordiamo solo una a titolo di esempio: la Ig Farben. Dal dissolvimento di questa “Montedison” tedesca nasceranno tra le altre, le seguenti società: Monsanto, Ciba (ora Novartis), Searle, Eli Lilly, Roche e Bayer Ag. Le prime due sono coinvolte nei cibi transgenici, la terza è quella dell’aspartame, il famoso dolcificante cancerogeno. Le ultime due producono i chemioterapici per la cura del cancro che costano svariati miliardi al chilo e sono... cancerogeni (come si legge nei foglietti delle controindicazioni). Una breve lista di altre società che hanno sfruttato il lavoro degli internati nei campi di concentramento: Adler Sa, Aeg, Astra (ora fa gli organismi modificati geneticamente), Auto-Union, Bmw, Messerschmitt, Metall Union, Opta Radio, Optique Iena, Photo Agfa, Puch, Rheinmetall Borsig Ag (ora produce le corazze all’uranio dei carri armati), Shell, Schneider, Siemens, Daimler Benz, Dornier, Erla, Ford, Goldschmitt, Heinkel, Junker, Krupp, Solvay, Steyr, Telefunken, Valentin, Vistra, Volkswagen, Zeiss-Ikon, Zeitz, Zeppelin.

Il “pericolo rosso”

Quello che gli americani non poterono prevedere, tuttavia, fu il fatto che questa massiccia importazione di nazisti avrebbe drogato per 50 anni la politica estera del paese, ma non solo: anche quella interna. Sapevate ad esempio che Joan Clark, per anni rappresentante degli Usa presso le Nazioni Unite era la nipote stessa del Von Braun delle V-2? Altro scienziato graziato dal “lavaggio” del curriculum... Ricordate il Maccartismo? La persecuzione ossessiva di chiunque fosse in odore di comunismo? Proprio negli stessi anni le maglie dell’immigrazione americana nei confronti dei nazisti si aprirono completamente: non c’era più bisogno di avere un curriculum non nazista, bastava che, anche se uno era stato capo di un campo di concentramento, dicesse che aveva combattuto sul fronte contro i sovietici. Ironia della sorte, le prime vittime di questa politica furono gli stessi americani che si trovarono questi scienziati e medici nazisti, gli stessi degli esperimenti nei campi di concentramento, a capo dei progetti più importanti di esperimenti sull’uomo condotti in America: da quelli della Nasa a quelli della stessa Cia. Infatti Dulles, per eccesso di zelo, aveva salvato l’intera rete spionistica nazista, la famosa Abwehr di Reinhard Gehlen, e l’aveva riciclata nel cuore dell’Europa, nella Germania divisa, per combattere ad oltranza il “pericolo rosso”. Inutile dire a questo punto, che l’agente italiano della rete Dulles-Gehlen era un famoso aretino, ufficialmente imprenditore materassaio, con l’hobby della cospirazione, dei circoli riservati e con ottime entrature latino-americane. Ma questa è un’altra storia.
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Un mese esatto dopo l'uscita di questo articolo, la CIA si sbottonò (United Press International - UPI 9/20/2000 - CIA says Nazi general was intelligence source):

La CIA ammette che un generale nazista era una fonte di intelligence

La "Central Intelligence Agency" ha confermato per la prima volta che un generale nazista di alto grado ha messo la sua rete antisovietica a disposizione degli Stati Uniti, durante i primi anni della guerra fredda. Gli Archivi Nazionali hanno rilasciato mercoledì scorso una testimonianza in tribunale "rendendo nota la relazione di intelligence con il generale tedesco Reinhard Gehlen, che era stata tenuta nascosta per 50 anni". I "National Archives" hanno dichiarato: "L'annuncio della CIA segna il primo riconoscimento da parte di quella agenzia, di aver avuto rapporti con Gehlen ed apre il cammino per la dissegretazione dei documenti relativi". Gehlen era il capo dei servizi segreti di Hitler sul fronte orientale durante la seconda guerra mondiale ed ha trasferito le sue conoscenze ed i suoi contatti agli USA mentre la guerra stava raggiungendo il suo apice. Nonostante che la relazione di Gehlen con i servizi americani, negli anni '50 e '60, sia stata oggetto, nel tempo, di cinque libri, l'evetuale rilascio di documenti della CIA sullo sviluppo della sua rete di spionaggio in Europa potrebbe portare nuova luce sulle origini della guerra fredda e sui primi sforzi dello spionaggio americano contro Mosca. La rete degli agenti di Gehlen in Europa - che includeva molti nazisti che vennero reclutati nei campi dei prigionieri di guerra da parte degli agenti americani - era conosciuta come "Organizzazione Gehlen" e riceveva milioni di dollari di finanziamenti dall'America fino al 1956. I National Archives affermano che l'ammissione da parte della CIA, dei suoi affari con Gehlen, viene in risposta ad una richiesta FOIA (NdT: il Freedom of Information Act, la legge americana sulla libertà d'informazione) da parte del ricercatore Carl Oglesby. L'agenzia ha dovuto rilasciare i documenti sul generale in base alla legge sulla dissecretazione dei crimini di guerra nazisti (NdT: il Nazi War Crimes Disclosure Act). Questa legge creò il Gruppo di Lavoro Interministeriale sui documenti relativi ai crimi nazisti (NdT: il Nazi War Criminal Records Interagency Working Group - IWG), che per più di due anni ha reso pubblici dei documenti relativi ai crimini di guerra della seconda guerra mondiale, attraverso i "National Archives". L'ex deputato Elizabeth Holtzman, membro dell'IWG, sostiene: "Questo dimostra che la legge sta funzionando. Dobbiamo ora lavorare assieme all'Agenzia per seguire il rilascio di questi documenti".
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Grazie ad una ricerca di Carter Hydrick - "Critical Mass", pubblicata su Internet e successivamente sparita - il quadro si completa, per quanto riguarda l'uranio arricchito fornito dalla Germania agli USA. Difatti, secondo Hydrick, l'impianto della IG Farben ad Auschwitz, la fabbrica "Buna", non era destinato a produrre gomma sintetica, ma bensì ad arricchire l'uranio. Hydrick afferma che questa fabbrica non aveva prodotto nessun quantitativo di gomma e che assorbiva altrettanta energia dell'impianto americano di arricchimento di uranio ad Oak Ridge. L'attendibilità dello studio di Hydrick mi è stata confermata personalmente da James E. Phelps, un ex direttore ad Oak Ridge. Ho scritto una email all'archivista di Auschwitz, per sapere se poteva mettermi in contatto con qualche superstite, ma mi è stato risposto che non esiste nessun documento che parla di produzione di uranio nel campo di concentramento. L'argomento meriterebbe di essere approfondito.

ANEMIA MONETARIA, PEGGIO DELLA PESTE

ANEMIA MONETARIA, PEGGIO DELLA PESTE 

 “… nonostante i protesti ed i furbi che non pagano, il titolo di credito resta il mezzo di pagamento più usato… sarà perché lo cheque si può postdatare (pratica illegale, ma diffuso escamotage per ritardare le scadenze)…” Con queste parole Fabio di Chio (Il Tempo, Roma, 24–4-‘4, p.29) ha dimostrato di saper individuare i sintomi dell’insolvenza, ma non le cause. Pretendere infatti di addossare, alla “furbizia” dei debitori, l’esplosione dell’insolvenza, significa non solo ignorare la vera causa dell’anemia monetaria, ma condannare come responsabile, la vittima del signoraggio delle banche centrali. Sono queste che, prestando il dovuto all’atto dell’emissione con interessi, anatocismo ed accessori, caricano il costo del denaro del 260% e rendono impossibile la puntualità dei pagamenti. Il suicidio da insolvenza è diventata una malattia sociale, che non ha precedenti nella storia, perché il debitore, pur essendo vittima, viene umiliato come se fosse il responsabile: il “furbo che non paga”. Quando la moneta era d’oro o convertibile in oro, la rarità era incontrollabile perché condizionata dalla legge fisica della disponibilità del metallo. Malgrado l’abolizione della convertibilità e della riserva, l’opinione pubblica crede ancora nella necessità di una limitazione rigida ed esasperata della rarità monetaria, su cui specula il signoraggio delle banche centrali, che ormai dominano, a costo nullo, quantitativi illimitati di moneta che emettono o ritirano arbitrariamente in tutto il mondo. La moneta è il sangue del mercato. Ormai ci siamo abituati a vivere in regime di anemia cronica sin dalla nascita della moneta nominale dominata dall’usura perché emessa in prestito, con parsimonia feroce, dai padroni delle banche centrali. Ecco perché si impone la assoluta, inderogabile necessità di una pacifica rivoluzione monetaria basata sulla proprietà popolare della moneta, cioè sulla MONETA PROPRIETA'del PORTATORE SIN dall’EMISSIONE e senza riserva. Dopo la scoperta del VALORE INDOTTO, anche la moneta può essere regolamentata secondo giustizia. Come l’aumento della quantità di sangue nel bambino, si adegua, per legge di natura, all’aumento della massa muscolare ed ossea, cosi l’incremento del sangue monetario va adeguato all’incremento del PIL (prodotto interno lordo), nel rispetto della stabilità dei prezzi di mercato. Con il pretesto di difendere la moneta dall’inflazione, si aumentano il costo del denaro ed i prelievi fiscali. Questo pretesto serve a coprire il vero scopo del prelievo che consiste nel pagare alla banca centrale il debito non dovuto – che è peraltro un credito rovesciato – nato col prestito del denaro all’atto dell’emissione. All’arbitraria difesa dall’inflazione – in cui la rarefazione monetaria è apoditticamente programmata per aumentare il potere d’acquisto attuale rispetto a quello precedente ossia commisurando la moneta a se stessa – va sostituita la legge dell’incremento della liquidità monetaria secondo giustizia. Il limite dell’emissione deve coincidere con la saturazione del mercato. Ciò significa che l’emissione monetaria e la produzione dei beni devono cessare contestualmente solo quando i prezzi coincidono con i costi di produzione. Questa politica mira a ridurre il più possibile la rarità , sia dei beni che della moneta, perché anche la moneta è un bene ed è incompatibile con la politica dell’usura che pretende di subordinare alla rarità della moneta la rarità dei beni. La politica dell’abbondanza può essere realizzata solo se si sostituisce alle banche centrali (S.p.A. con scopo di lucro) la funzione monetaria come quarto potere costituzionale dello stato… Solo così lo stato di diritto potrà essere anche " Stato di giustizia ” che consenta di vivere tempi nuovi a dimensione umana in cui tutti possono prestare moneta, tranne chi la emette. (Giacinto Auriti)

Il debito pubblico (da non pagare)

Chieti, 30 Settembre ’11, Sab, S. Girolamo - Anno XXX n. 325 - www.abruzzopress.info - abruzzopress@yahoo.it - Tr. Ch 1/81 Nuovo ABRUZZOpress >>> Nazionale Servizio Stampa - CF 93030590694 - Tel. 0871 63210 - Fax 0871 404798 - Cell. 333. 2577547 - Dir. Resp. Marino Solfanelli Ap – Economia

Il debito pubblico (da non pagare)
di Savino Frigiola

 Da più parti e dai più disparati schieramenti, con sempre maggior vigore, giungono esortazioni a non pagare il mastodontico debito pubblico nazionale. Man mano che i vari soggetti arrivano a quantificare mentalmente l’ammontare della cifra, con tanti zeri da renderla addirittura illeggibile, (circa un milione 935 mila 300 milioni di Euro) per rendersi conto del significato, si cominciano a fare alcune considerazioni paragonandola a prodotti e beni reali esistenti di valore equivalente. C’è da restare allibiti. Dai primi sommari conteggi emergono risultati a dir poco inimmaginabili e sconcertanti. Il debito pubblico è pari a 3 volte il valore dell’intero patrimonio immobiliare privato Italiano, a 8 volte il valore di tutti gli immobili dello Stato Italiano: scuole, ospedali, caserme, enti pubblici, porti, aeroporti, ferrovie ecc. ecc. Se si volesse pagare il debito pubblico occorrerebbero ben 33 manovre come l’ultima disastrosa di 59 miliardi, e vi è ancora da aggiungere gli interessi passivi pretesi nei 32 anni successivi. Se volessimo pagarlo con prodotti della nostre industrie ci vorrebbe l’intera produzione annuale delle macchine della FIAT (n. 1.781.000 di automobili Panda) per un minimo di 128 anni. Se volessimo pagarlo con prestazioni di lavoro occorrerebbero 20 milioni di lavoratori che dovrebbero lavorare gratis in tutti i giorni di un anno (365 giorni) per 10 ore al giorno a 10 €\ora. Non occorre essere grandi e blasonati economisti per comprendere che una tale mole di debito non potrà essere mai pagata, anche se decidessimo di consegnare ai nostri famelici strozzini l’intero patrimonio immobiliare sia pubblico che privato. Poiché secondo le regole truffaldine poste in essere dalla cricca bancaria monetaria, colposamente recepite dall’imbelle e compiacente classe politica senza alcuna distinzione di colore, quand’anche si dovesse arrivare alla spoliazione totale di tutti i beni nazionali del Paese, resteremmo comunque inadempienti, tanto vale smettere di mortificare il livello di vita dei cittadini anche con l’abbattimento delle attività sociali e risparmiarci la squallida sceneggiata di selezionare con grande cura i gioielli di famiglia da consegnare ai famelici banchieri, per poi raggiungere l’inutile risultato di procrastinare solo di qualche mese l’inevitabile crac finale. Ma la ragione più importante per non pagare il debito pubblico non è tanto dovuta alla natura giuridica dell’impossibilità ad adempiere, quanto alla truffaldina causa dell’indebitamento, frutto di un colossale raggiro posto in essere dalla cricca monetaria in combutta con un ristretto numero di politici, a danno dei cittadini, che si verifica in occasione dell’attuale emissione monetaria per mano di banchieri privati, causata dall’adesione al “trattato di Maastricht”. Anche secondo il parere si insigni giuristi internazionali il “debito detestabile” non deve essere pagato. Mutuando sinteticamente quanto riportato sul sito “Modart”, i tre requisiti necessari per poter definire un debito pubblico "detestabile" sono : 1) Il governo del Paese deve aver conseguito il prestito senza che i cittadini ne fossero consapevoli e senza il loro consenso. 2) I prestiti devono essere stati utilizzati per attività che non hanno portato benefici alla cittadinanza nel suo complesso. 3) I creditori devono essere al corrente di questa situazione, e disinteressarsene. C’è ne in abbondanza per mettere sotto processo banchieri e politici aventi causa, non solo per non pagare ma anche per ottenere il ristoro dei danni arrecati come egregiamente stanno facendo i cittadini Islandesi. Per fugare ogni incertezza in tal senso è sufficiente osservare l’Argentina la quale, messa in crisi con le solite manovre  economiche, sbarazzatesi di tutti gli orpelli monetari ora cresce di 7 - 8 % ogni anno. Scansare il debito non è sufficiente per rilanciare economia ed occupazione poiché le nuove risorse necessarie per gli investimenti produttivi producono altro debito che viceversa deve essere bloccato. Per far ciò lo Stato italiano, memore delle sue esperienze pregresse deve ritornare a battere moneta in prima persona. Se i titoli di debito dello Stato sono buoni e valgono, al punto da essere accettati e scontati dagli avveduti e prudentissimi banchieri privati, valgono anche i titoli monetari emessi dallo stesso Stato, che riprende a battere moneta in nome e per conto dei propri cittadini. Ne acquisisce la proprietà a titolo originario, iscrivere la cifra corrispondente al signoraggio all’attivo del proprio bilancio e la utilizza per il conseguimento dei suoi scopi istituzionali, a favore dei cittadini, per rilanciare economia, occupazione e ricerca come da centennale esperienza già effettuata dal 1874 al 1975. Ciò ha consentito, subito dopo l’unità d’Italia, di realizzare tutte le infrastrutture necessarie al nuovo Stato nazionale, compreso i famosi palazzi e quartieri “umbertini”, ancora esistenti in tutta l’Italia, senza imporre tasse ai cittadini e senza accendere debiti. Successivamente utilizzando sempre la stessa emissione monetaria si sono realizzate una miriade di opere pubbliche ancora esistenti dalle inconfondibili linee architettoniche, "razionalista" e del Piacentini anche queste senza aumentare il debito pubblico che, anzi, sino al 1940 era rimasto stabile al 20 % (tra i più bassi della storia d’Italia) per passare poi al 25% nel 1945, dopo una guerra persa. Successivamente lo Stato continuò a battere moneta sino al 1975. Gli introiti così incamerati hanno seriamente contribuito alla ricostruzione del territorio nazionale devastato dagli eventi bellici (all’inizio degli anni ‘70 il debito pubblico era sceso al 20 %). Tutto ciò a conferma e dimostrazione che il debito pubblico è generato dall’emissione monetaria dei banchieri privati. Se vogliamo restare in Europa occorre una piccola deroga ai trattati europei, troppo frettolosamente firmati, come quelli già effettuati anche da Paesi più blasonati di noi. Le ultime due, hanno permesso a due banche della Grecia e dell’Irlanda di emettere direttamente moneta con la benedizione della ELA (Emergency Liquidity Assistance) - BCE. Ciò che è consentito a due banche private non potrà essere negato ad uno Stato sovrano.
S.F.